Questioni sull'Ettateuco

Indice

Questioni sulla Genesi

100. ( Gen 31, 53.42 ) Il timore di Isacco

Anche Giacobbe giurò per il timore di suo padre Isacco.

Per il timore certamente per cui temeva Dio, timore che aveva ricordato anche più sopra dicendo: Iddio di mio padre Abramo e il timore di mio padre Isacco.

101. ( Gen 32,2 ) L'accampamento di Dio

L'accampamento di Dio, che vide Giacobbe durante il viaggio, era senza dubbio la moltitudine degli angeli, poiché nelle Scritture è chiamata l'esercito del cielo.

102. ( Gen 32,6-12 ) Giacobbe dispose la massa della sua gente in due accampamenti

Essendo stato riferito a Giacobbe che gli stava venendo incontro con quattrocento uomini suo fratello [ Esaù ], egli in verità rimase turbato e con l'animo sconvolto essendo stato preso da una grande paura e, come parve bene ad uno spaventato come lui, dispose la massa della sua gente in due accampamenti. ( Gen 32,7 )

A proposito di tale fatto ci possiamo chiedere come avesse potuto aver fiducia nelle promesse di Dio, dal momento che disse: Se mio fratello piomberà nel primo accampamento e lo distruggerà, il secondo si salverà. ( Gen 32,8 )

Si poteva però dare il caso che Esaù distruggesse gli accampamenti, e tuttavia Dio, dopo quella calamità, lo avrebbe aiutato e liberato, e avrebbe così adempiuto le promesse che gli aveva fatte.

Con questo esempio, inoltre, dovevamo essere esortati affinché, pur avendo fede in Dio, facciamo tuttavia ciò che gli uomini devono fare, per non dare l'impressione di tentare Dio se non lo facessimo.

Si deve infine considerare quali parole dica il medesimo Giacobbe dopo di queste.

O Dio di mio padre Abramo, Dio di mio padre Isacco, o Signore che mi hai detto: " Torna al paese della tua parentela e io ti farò del bene "; mi basti tu per tutta la benevolenza e per tutta la fedeltà che hai usata verso il tuo servo.

Poiché con questo mio bastone ho attraversato questo Giordano ma ora sono ridotto al punto di formare due accampamenti.

Salvami dalla mano di mio fratello, dalla mano di Esaù, perché ho paura di lui; che non arrivi e non colpisca anche me ed i miei figli con le loro madri.

Tu però hai detto: " Io ti farò del bene e renderò la tua discendenza come la sabbia del mare che non si può calcolare a causa della sua moltitudine ". ( Gen 32,9-12 )

In queste parole si mostra evidente non solo la debolezza dell'uomo, ma anche la fiducia proveniente dalla sua fede religiosa.

103. ( Gen 32,21 ) Parole di Giacobbe e parole dell'agiografo

Ciò che i manoscritti latini riportano, a proposito di Giacobbe: Poiché egli disse: " Placherò il suo volto con i doni che lo precedono "; è l'agiografo che, parlando di Giacobbe, dice: Poiché egli disse: " Placherò il suo volto ".

Si capisce che queste sono parole di Giacobbe, ma le parole che seguono, cioè: con i doni che lo precedono, le aggiunge l'agiografo.

La costruzione logica della frase sarebbe dunque la seguente: Placherò il suo volto e poi vedrò la sua faccia; può darsi infatti ch'egli accolga la mia faccia, ma è stata inserita la frase dell'agiografo: con i doni che lo precedono.

104. ( Gen 32,26 ) Perché Giacobbe desiderò la benedizione dall'angelo

Il fatto che Giacobbe desiderasse essere benedetto dall'angelo con il quale lottò riportando la vittoria, è una grande profezia riguardante Cristo.

Infatti ci fa pensare che in questo fatto c'è qualcosa di simbolico, dal momento che ogni uomo desidera essere benedetto dal più grande.

Come mai dunque costui desidera essere benedetto da colui che egli aveva vinto nella lotta?

Ora Giacobbe ebbe il sopravvento su Cristo, o meglio sembrò avere il sopravvento, mediante quegli Israeliti dai quali Cristo fu crocifisso, ma viene benedetto nella persona degli Israeliti che credettero in Cristo, tra i quali era colui che diceva: Anch'io infatti sono Israelita, della stirpe di Abramo e della tribù di Beniamino. ( Rm 11,1 )

Il medesimo Giacobbe dunque era allo stesso tempo zoppo e benedetto; zoppo riguardo alla larghezza del femore, come nella massa degli appartenenti alla sua stirpe di cui è detto: Escono zoppicanti dalle loro vie; ( Sal 18,46 ) benedetto invece riguardo a coloro di cui è detto: Un resto [ d'Israeliti ] sono stati salvati essendo stati scelti per grazia. ( Rm 11,5 )

105. ( Gen 33,10 ) Significato delle parole rivolte da Giacobbe ad Esaù

Che significa quello che Giacobbe dice a suo fratello: Poiché ho visto la tua faccia come quando uno vede il volto di Dio?

Forse le parole di un animo pauroso e turbato si spinsero fino a questa adulazione?

Oppure si possono intendere in un certo senso che esclude il peccato?

Forse, infatti, poiché anche gli dèi dei pagani sono chiamati quelli che sono demoni, ( Sal 94,5 ) non si dovrebbe recare pregiudizio a un uomo di Dio a causa di queste parole.

Poiché non disse: " come se avessi visto la faccia di Dio ", ma: come uno vede, è incerto chi possa essere indicato in quell'uno.

E inoltre le parole furono forse misurate così moderatamente che anche lo stesso Esaù accolse con piacere un onore così grande a lui tributato e perfino coloro che avrebbero potuto intenderle anche in senso diverso, non poterono accusare d'empietà colui dal quale furono dette.

Sebbene queste parole fraterne fossero dette benevolmente, poiché anche dopo essere state accolte bene era passata la paura, Giacobbe poté dire "dio " allo stesso modo che anche Mosè fu detto " dio " per il Faraone, ( Es 7,1 ) conforme a quanto dice l'Apostolo: Quantunque vi siano di così detti dèi sia in cielo che in terra, come vi sono molti dèi e molti signori, ( 1 Cor 8,5 ) soprattutto per il fatto che in greco è detto senza l'articolo [ determinativo ], con cui senza alcun dubbio si suole indicare l'unico vero Dio.

Poiché non è detto: πρόσωπον τοϋ Θεοϋ [ il volto del vero Dio ], ma è detto: πρόσωπον θεοϋ [ il volto di un dio ], facilmente intendono quale differenza corra fra queste espressioni coloro che hanno dimestichezza ad ascoltare e comprendere il greco.

106. ( Gen 33,14 ) Se Giacobbe disse una bugia nella promessa fatta ad Esaù

Si pone il quesito se Giacobbe disse una bugia quando promise a suo fratello che sarebbe andato da lui a Seir, seguendo nel viaggio i passi dei suoi a causa dei quali egli restava indietro, siccome poi non fece così come racconta in seguito la Scrittura ( Gen 33,17 ) ma proseguì sulla via che conduceva ai propri parenti.

Aveva forse fatto la promessa con animo sincero, ma poi riflettendo prese un'altra decisione?

107. ( Gen 34,2-3 ) Il nome vergine nell'uso ebraico

Come mai la Scrittura dice che Sichem, figlio di Emmor, il Chorreo, capo del paese vide Dina, figlia di Giacobbe e la prese, dormì con lei e la umiliò.

E si sentì legato all'animo di Dina, figlia di Giacobbe, da forte affetto e amò appassionatamente la vergine e le rivolse parole conformi al sentimento della vergine?

Come mai è chiamata vergine, se [ Sichem ] aveva già dormito con lei e l'aveva umiliata?

Senza dubbio vergine è il nome relativo all'età, secondo il linguaggio ebraico.

O forse, sotto forma di ricapitolazione, si ricorda, dopo, ciò che era accaduto prima?

In realtà poté sentirsi legato da forte affetto all'animo di lei e amare la vergine e parlarle conforme ai sentimenti della vergine e in seguito giacere a letto con lei e umiliarla.

108. ( Gen 33,5; Gen 34,25 ) L'età dei figli di Giacobbe quando saccheggiarono Salem

Poiché Giacobbe, parlando poco prima con suo fratello Esaù, fece capire che i ragazzi erano suoi figli, che in greco sono chiamati παιδία, si può discutere come poterono compiere una strage ed un saccheggio della città così grandi, uccidendo i maschi sebbene sofferenti per la circoncisione [ accettata ] per [ riparare ] la [ violenza fatta alla ] loro sorella Dina.

Si deve dunque pensare che Giacobbe dimorò lì a lungo, finché non diventò giovinetta sua figlia Dina e giovanotti i propri figli.

In effetti sta scritto: Poi Giacobbe arrivò a Salem, città dei Sichemiti, che si trova nel paese di Canaan e piantò le tende dirimpetto alla città.

In seguito comprò, per cento agnelli, da Emmor, padre di Sichem, la porzione della campagna ove aveva rizzato la sua tenda; ivi poi eresse un altare e invocò il Dio d'Israele.

Dina, la figlia di Lia, che aveva partorito a Giacobbe, uscì per andare a vedere le figlie di quel paese, ( Gen 33, 18 - 34,1 ) ecc.

Risulta dunque chiaro da queste parole che Giacobbe rimase lì non di passaggio, come di solito fa un viaggiatore, ma vi comprò un campo, vi rizzò la sua tenda, vi eresse un altare e perciò vi abitò piuttosto a lungo.

Sua figlia invece, essendo giunta all'età in cui si potevano avere delle amiche, ebbe il desiderio di osservare le figlie dei cittadini del luogo e così, per vendicarla, fu compiuta una strage e un saccheggio che costò tanto sangue, e che come io penso non è più discutibile.

Una moltitudine di gente era infatti con Giacobbe, che era diventato assai ricco; ma a proposito di questo fatto sono nominati i suoi figli, che ne furono i capi e i suggeritori.

109. ( Gen 34,30 ) Ciò che disse Giacobbe per paura di una guerra dalle tribù confinanti

Quanto a ciò che disse Giacobbe, per paura di una guerra delle tribù confinanti con la città di Salem, che era stata saccheggiata dai suoi figli: Io invece ho pochi uomini, ma essi si raduneranno contro di me e verranno ad assalirmi e mi uccideranno, egli disse di avere pochi uomini a causa di più tribù bellicose che potevano sollevarsi, non che ne avesse molti di meno di quanti sarebbero potuti essere sufficienti a espugnare quella città, avendo diviso i suoi in due accampamenti durante il viaggio.

110. ( Gen 35,1 ) Dio ordina a Giacobbe di costruirgli un altare a Betel

Dio poi disse a Giacobbe: " Levati, sali verso il luogo detto Betel e risiedi lì, costruisci un altare al Dio che ti è apparso quando fuggivi dalla faccia di tuo fratello Esaù ".

Perché mai Dio non disse: " costruisci un altare a me che ti sono apparso ", ma disse: costruisci lì un altare al Dio che ti è apparso?

Forse perché lì era apparso il Figlio ed è il Padre a dire così? Oppure ciò è da annoverare tra qualche genere di locuzione?

111. ( Gen 35,2 ) La consegna degli orecchini con gli amuleti

Giacobbe, in procinto di salire a Betel ove gli era stato ordinato di costruire un altare, alla sua famiglia e a tutti coloro che erano con lui disse: Togliete di mezzo a voi gli dèi stranieri che sono con voi, ecc.; poi si dice: Allora diedero a Giacobbe gli dèi stranieri, che erano nelle loro mani e i pendenti che avevano agli orecchi.

Qui sorge il problema perché consegnarono anche gli orecchini che se erano ornamenti, non lo erano in relazione con l'idolatria a parte il fatto che si deve pensare ch'erano amuleti di dèi stranieri.

La Scrittura infatti attesta che Rebecca aveva ricevuto degli orecchini dal servo di Abramo, cosa che non sarebbe avvenuta se non fosse stato lecito avere orecchini per ornamento.

Di conseguenza gli orecchini che furono consegnati con gli idoli, erano amuleti degli idoli, come è stato detto.

112. ( Gen 35,5 ) Come Dio agisce nello spirito degli uomini

Allora un terrore di Dio pervase le città che stavano attorno a loro e così non inseguirono i figli d'Israele.

Dobbiamo considerare come Dio agisce nello spirito degli uomini.

Da chi proveniva infatti il terrore di Dio negli abitanti di quella città se non da lui che manteneva le promesse relative a Giacobbe e ai suoi figli?

113. ( Gen 35,6 ) La città con tre nomi

Così Giacobbe giunse a Luz, cioè a Betel, che si trova nel paese di Canaan.

Si deve osservare che sono già stati ricordati tre nomi di questa città: Ulammaus, come si dice fosse chiamata prima, quando vi giunse Giacobbe nel suo viaggio in Mesopotamia; Betel, nome datogli dallo stesso Giacobbe, che significa: " Casa di Dio " e Luza, ricordato poc'anzi. ( Gen 28,19; Gen 35,15 )

Di ciò non dobbiamo meravigliarci, poiché avviene in molti passi della Scrittura e cioè che, trattandosi di città o di fiumi o di qualsiasi località della terra, si aggiungono o si cambiano nomi, per questo o quell'altro motivo, come avviene anche riguardo agli stessi personaggi.

114. ( Gen 35,9-10 ) Giacobbe chiamato Israele e poi di nuovo Giacobbe

Dio apparve di nuovo a Giacobbe a Luza e gli disse: Tu non ti chiamerai più Giacobbe, ma il tuo nome sarà Israele. ( Gen 32,28 )

Ecco, Dio gli dice così la seconda volta con la benedizione; questa ripetizione conferma una grande promessa mediante questo nome.

È infatti un fatto straordinario che coloro, ai quali è stato detto una sola volta che non si chiameranno più come si chiamavano prima, ma con il nome nuovo che veniva loro imposto, non vengano assolutamente più chiamati se non con il nome nuovo.

Giacobbe invece, per tutta la sua vita, e anche in seguito, fu chiamato Giacobbe, mentre non una sola volta Dio gli aveva detto: Non ti chiamerai più Giacobbe ma ti chiamerai Israele.

Si comprende dunque bene che questo nome è in relazione con la promessa [ della beatitudine ], in cui Dio sarà visto come fu visto prima dai Patriarchi.

Ivi infatti non ci sarà il nome vecchio, poiché non resterà nulla di vecchio, neppure nel corpo, e la visione di Dio sarà il sommo premio.

115. ( Gen 35,11 ) I tipi di discendenze da Giacobbe

Tra le promesse fatte a Giacobbe si dice: Da te nasceranno delle nazioni, anzi un gruppo di nazioni.

Si discute se le nazioni siano quelle generate fisicamente, mentre il gruppo di nazioni rappresenterebbe i generati dalla fede, o se tutti e due i tipi delle discendenze siano detti a causa della fede, se nazioni non possono chiamarsi l'unica nazione di Israele in rapporto alla generazione fisica.

116. ( Gen 35,13-15 ) Giacobbe fece una libazione sopra una pietra ma non offrì un sacrificio ad una pietra

Dio poi risalì dal luogo dove aveva parlato con lui.

Giacobbe allora eresse una stele sacra nel luogo ove Dio aveva parlato con lui: una stele di pietra.

Sopra di essa fece una libazione e sopra di essa versò dell'olio.

Giacobbe allora diede il nome di Betel al luogo ove Dio aveva parlato con lui.

Avvenne forse in questo luogo un'altra volta ciò che era già accaduto? ( Gen 28,18-19 )

Oppure qui è ricordato di nuovo? Tuttavia, quali che siano queste ipotesi, Giacobbe fece una libazione sopra una pietra ma non offrì un sacrificio ad una pietra.

Giacobbe pertanto non [ si comportò ] come gli idolatri che sono soliti erigere degli altari davanti a delle pietre e offrire sacrifici alle pietre come se fossero divinità.

117.1. ( Gen 35,26 ) Quanti figli di Giacobbe nacquero in Mesopotamia

Nel computo dei dodici figli di Israele, che gli erano nati, si dice: Questi sono i figli d'Israele, che gli nacquero in Mesopotamia, sebbene Beniamino fosse nato molto tempo dopo che avevano oltrepassato Betel e si avvicinavano a Betlemme alcuni, che hanno tentato di risolvere questo problema, hanno detto che non si deve leggere " nacquero ", come hanno la maggior parte dei manoscritti latini, ma " furono fatti "; in greco infatti sta scritto έγένοντο [ = " furono fatti " ], volendo con ciò fare intendere che Beniamino, sebbene non fosse nato lì, tuttavia fu fatto lì, poiché era stato già generato.

Perciò si pensa che Rachele uscì di lì quand'era incinta.

In questo modo infatti anche se si leggesse "nacquero " potrebbero dire: era già nato nel ventre della madre, poiché era stato concepito; ciò fu detto a Giuseppe riguardo a santa Maria: Il bambino che è nato in lei è opera dello Spirito Santo. ( Mt 1,20 )

117.2 C'è però un altro fatto che impedisce la soluzione di questo problema.

Poiché se Beniamino era già stato concepito lì, i figli di Giacobbe che uscirono di lì uomini fatti, avrebbero potuto avere a stento dodici anni.

Giacobbe infatti visse lì venti anni; ( Gen 31,41 ) nei primi sette dei quali non aveva moglie, finché l'ottenne col prestare servizio.

Ora, anche ammesso che gli fosse nato un figlio nel primo anno in cui prese moglie, quando Giacobbe partì di lì, il suo primo figlio poteva avere solo dodici anni.

Di conseguenza, se Beniamino era già stato concepito, l'intero viaggio e tutto ciò che la Scrittura narra riguardo a Giacobbe durante il viaggio, si sarebbe compiuto entro dodici mesi.

Ne consegue che i suoi figli tanto piccoli avrebbero fatto una strage così grande per vendicare la loro sorella Dina, uccidendo un tal numero di uomini da prendere la città. ( Gen 34,25-29 )

Si verrebbe così a scoprire che, di quei fratelli, Simeone e Levi, i quali per primi si gettarono con le spade su quegli uomini uccidendoli, avrebbero avuto l'uno undici anni e l'altro dieci, benché la madre avesse partorito ogni anno ininterrottamente.

È certamente incredibile che potessero essere compiuti tutti quei misfatti da ragazzi di quell'età, dal momento che anche la stessa Dina avrebbe avuto appena sei anni.

117.3 Il problema dunque si deve risolvere diversamente, purché s'intenda in modo corretto che, dopo essere stati ricordati dodici figli viene detto: Questi sono i figli di Giacobbe che gli nacquero nella Mesopotamia della Siria, perché tra tutti, ch'erano tanti, ce n'era uno solo che non era nato lì, ma che tuttavia aveva avuto lì la causa di nascere, poiché lì sua madre si era unita con suo padre.

Questa soluzione del problema deve però essere confermata da qualche esempio di un simile modo di dire.

117.4 Tuttavia nessuna soluzione di questo problema è più facile che quella d'intenderlo come un'espressione in forma di sineddoche.

Dove infatti c'è una parte maggiore e più importante, di solito con il suo nome si comprende anche ciò che non appartiene a quel nome.

Così Giuda non faceva più parte dei dodici Apostoli poiché era già morto quando il Signore risuscitò dai morti, eppure l'Apostolo mantenne il nome " dodici " in una sua lettera dove dice ch'egli apparve ai dodici. ( 1 Cor 15,5 )

I manoscritti greci infatti hanno questo numero con l'articolo in modo che non si possano intendere dodici quali che siano, ma quelli distinti dagli altri con quel numero.

Con questa figura retorica io credo che si espresse il Signore anche quando disse: Non ho forse scelto io voi, i dodici?

Eppure uno di voi è un diavolo, ( Gv 6,70 ) in modo che non sembrasse che anch'egli appartenesse alla scelta.

Poiché difficilmente si trova il nome di scelti usato in senso cattivo, se non quando i cattivi vengono scelti dai cattivi.

Se poi pensassimo che anch'egli fu scelto affinché, mediante il suo tradimento, si compisse la passione del Signore, la sua malizia fu scelta per qualcosa, poiché Dio si serve anche dei cattivi per il bene.

Consideriamo allora l'altro passo ove [ il Signore ] dice: Non parlo di tutti voi; io conosco coloro che ho scelti. ( Gv 13,18 )

Qui dichiara che l'essere scelti riguarda solo i buoni.

Quanto all'espressione: sono stato io a scegliere voi, i dodici, essa è detta sotto forma di sineddoche in modo che, con il nome della parte maggiore e migliore, fosse abbracciato anche ciò che non ha relazione con quel nome.

117.5 Questo modo di esprimersi si trova anche in questo medesimo libro, ove Emmor, in favore di suo figlio Sichem, affinché potesse prendere in moglie Dina, figlia di Giacobbe, andò a parlare con lo stesso Giacobbe.

Vi andarono anche i suoi figli che erano assenti, e a tutti Emmor disse: Mio figlio Sichem è fortemente innamorato di vostra figlia; dategliela dunque in moglie. ( Gen 34,8 )

Poiché la persona più importante era il padre, dicendo, mediante una sineddoche, vostra figlia, incluse in questo nome anche i fratelli di cui non era figlia.

Da qui viene anche la frase: Corri alle pecore e tra esse prendimi due capretti. ( Gen 27,9 )

In effetti le pecore e i capretti pascolavano assieme e poiché migliori sono le pecore, con il nome di esse abbracciò anche il gregge delle capre.

Così, poiché più importante era il numero degli undici figli di Giacobbe, ch'erano nati in Mesopotamia, nel ricordarli la Scrittura ha abbracciato anche Beniamino, che non era nato lì ed è detto: Questi sono i figli di Giacobbe, che gli nacquero nella Mesopotamia della Siria.

118. ( Gen 36,1-5 ) La moglie e i figli di Esaù

Il fatto che dopo il racconto della morte di Isacco si narra quali donne prese in moglie Esaù e quali figli generò, si deve intendere come una ricapitolazione, poiché questo non poté cominciare ad avvenire dopo la morte di Isacco, avendo Esaù e Giacobbe già centovent'anni. ( Gen 25,26 )

Isacco infatti li ebbe quando aveva sessant'anni e visse in tutto centottant'anni. ( Gen 35,28 )

119. ( Gen 36,6-7 ) Esaù si allontana dal fratello

Si discute come mai la Scrittura dica che Esaù, dopo la morte di Isacco, suo padre, partì dal paese di Canaan e si stabilì nella regione montuosa di Seir, ( Gen 36,6-8 ) sebbene si legga [ nella Scrittura ] che già vi abitava all'arrivo di suo fratello Giacobbe dalla Mesopotamia. ( Gen 32,4 )

È quindi facile immaginare che cosa poté capitare, affinché non si creda che la Scrittura s'inganni o inganni.

Che cioè Esaù, dopo che suo fratello se ne andò in Mesopotamia, non volle abitare con i suoi congiunti sia a causa del risentimento che lo tormentava per essere stato defraudato della benedizione, sia a causa delle sue mogli che vedeva essere spiacevolmente antipatiche ai parenti o per qualsivoglia altro motivo, e aveva cominciato ad abitare nel paese montuoso di Seir.

In seguito, dopo l'avvenuta riconciliazione tra lui e il fratello e dopo il ritorno di Giacobbe, tornò anch'egli dai suoi parenti; dopo aver seppellito insieme il loro padre morto, poiché quel paese come sta scritto non poteva accogliere i due fratelli diventati assai ricchi, se ne tornò di nuovo a Seir ( Gen 36,7-8 ) e lì propagò la stirpe dei Cananei.

120. ( Gen 36,21 ) Da Esaù la terra di Edom

Ciò che sta scritto: Questi sono i capi tribù discendenti dal Correo, figli di Seir, è ricordato dall'agiografo in relazione al tempo in cui egli viveva.

Ma poiché Seir, che aveva generato quei capi, già abitava quel paese prima che vi giungesse Esaù, di certo non si chiamava ancora il paese di Edom.

In effetti il nome dato a quel paese deriva solo dallo stesso Esaù, poiché l'unica persona di nome Esaù si chiamava Esaù ed Edom, e da lui ebbero origine e si propagarono gli Idumei, cioè il popolo di Edom.

121. ( Gen 36,31-39 ) Da Esaù il conto delle generazioni

La frase della Scrittura: Questi poi sono i capitribù che regnarono in Edom prima che regnasse un re in Israele, non deve essere intesa come se fossero elencati tutti i re fino al tempo in cui cominciarono i re in Israele, dei quali il primo fu Saul.

Molti infatti furono i re fino al tempo di Saul e anche [ prima ], al tempo dei Giudici, tempo che fu anteriore a quello dei re.

Ma di molti di questi Mosè poté ricordare solo quelli che vissero prima che egli morisse.

Non c'è poi nulla di strano che se si contano le generazioni da Abramo attraverso Esaù, capostipite degli Idumei, e Raguele, figlio di Esaù, e Zara, figlio di Raguele, e Iobab, figlio di Zara, al quale Iobab successe nel regno; Balach che visse ricordato come il primo che regnò nel paese di Edom, fino all'ultimo capotribù che Mosè poté nominare.

Di generazioni se ne trovano di più di quelle contate a partire da Abramo attraverso Giacobbe fino a Mosè.

Nel primo caso se ne trovano infatti più o meno dodici, nel secondo invece, fino a Mosè, all'incirca sette.

In effetti poté avvenire che nel primo caso venenissero menzionate più generazioni perché più antenati [ del Cristo ] successero l'uno all'altro per il fatto di essere morti prima.

In tal modo è pure accaduto che Matteo da Abramo fino a Giuseppe contò quarantadue generazioni, ( Mt 1,1-17 ) Luca invece, con le generazioni secondo un ordine diverso, non attraverso Salomone, come Matteo, ma attraverso Natan ne ricorda, da Abramo fino a Giuseppe, cinquantacinque. ( Lc 3,23-38 )

Infatti nella serie ove ne vengono contate di più, sono morti più presto che non in quella in cui se ne contano di meno.

Affinché poi qualcuno non si stupisca per il fatto che tra i re di Edom è ricordato Balac, figlio di Beor, e a causa della somiglianza del nome lo confonda con quel Balac che si oppose a Mosè che guidava il popolo israelitico, sappia che quel Balac era un Moabita e non un Idumeo, figlio di Zippor, non figlio di Beor, e anche lì viveva un Balaam, figlio di Beor, non di Balac.

Questo Balaam fu ingaggiato dal medesimo Balac perché maledicesse il popolo d'Israele. ( Nm 22,2-6 )

122. ( Gen 35,29; Gen 37,2 ) L'età di Giuseppe alla morte di Isacco

Dovunque ci volgiamo è difficile trovare in che modo la morte di Isacco abbia potuto combaciare con l'età di diciassette anni che allora aveva suo nipote Giuseppe, come la Scrittura sembra narrare secondo un apparente ordine cronologico. ( Gen 35,29 )

Non voglio dire che non si possa trovare nel timore che a me sfugga ciò che non sfugge a un altro.

Se infatti, dopo la morte di suo nonno Isacco, Giuseppe aveva diciassette anni, ( Gen 37,2 ) quando i suoi fratelli lo vendettero mandandolo in Egitto, senza dubbio anche suo padre Giacobbe aveva centoventi anni quando suo figlio Giuseppe aveva diciassette anni.

Isacco infatti aveva generato [ Esaù e Giacobbe ], come sta scritto, ( Gen 25,26 ) all'età di sessant'anni.

Isacco dunque ne visse in seguito centoventi, poiché morì a centottanta anni. ( Gen 35,28 )

Lasciò quindi i figli che avevano centovent'anni e Giuseppe diciassette.

Ma, poiché Giuseppe aveva trent'anni quando si presentò al cospetto del Faraone, e poi seguirono sette anni di abbondanza e due di carestia, allorché arrivò da lui in Egitto suo padre Giacobbe con i suoi fratelli, egli aveva di certo trentanove anni, ( Gen 41,46 ) però il medesimo Giacobbe, come di propria bocca dice al Faraone, aveva centotrent'anni di età, ( Gen 47,9 ) dunque Giacobbe aveva centoventi anni quando Giuseppe ne aveva diciassette; ma ciò non può essere affatto vero.

Se infatti, quando Giuseppe aveva diciassette anni, Giacobbe ne avesse avuti centoventi, senza dubbio si troverebbe che Giacobbe nel trentanovesimo anno di Giuseppe non aveva centoventi, ma centoquarantadue anni.

Se invece il giorno della morte di Isacco Giuseppe non aveva ancora diciassette anni, ma al suo diciassettesimo anno, in cui per testimonianza della Scrittura fu venduto dai fratelli in Egitto, giunse alquanto tempo dopo la morte di suo nonno, suo padre doveva avere anche più di centoquarantadue anni allorché raggiunse il figlio in Egitto.

Poiché la Scrittura, dopo aver narrato ( Gen 35,28-29 ) che Isacco era giunto al centottantesimo e ultimo anno della sua vita e ch'era stato sepolto, poi ricorda ( Gen 36,6-43 ) come Esaù si era dipartito da suo fratello dal paese di Canaan alla volta della regione montuosa di Seir, e aggiunge subito dopo il ricordo dei re e capitribù della sua nazione in mezzo alla quale Esaù era andato a stabilirsi o di cui era capostipite; dopo questi fatti così introduce il racconto riguardante Giuseppe: Ora Giacobbe s'era stabilito nel paese di Canaan.

Ed ecco le procreazioni di Giacobbe. Giuseppe aveva diciassette anni e pascolava le pecore con i fratelli. ( Gen 37,1-2 )

Si narra di poi come a causa dei suoi sogni divenne malvisto dai fratelli e fu venduto. ( Gen 37,5-28 )

Arrivò dunque in Egitto nel medesimo diciassettesimo anno di età, quand'era un po' più grande.

Perciò in tutte e due le ipotesi la questione rimane irrisolta.

Se infatti aveva diciassette anni dopo la morte di suo nonno, quando suo padre aveva centoventi anni, certamente nell'anno trentanovesimo della età di lui, quando Giacobbe andò in Egitto, il medesimo Giacobbe avrebbe dovuto avere centoquarantadue anni; allora invece Giacobbe ne aveva centotrenta.

E perciò, se Giuseppe fu venduto e condotto in Egitto a diciassette anni, si trova che fu venduto dodici anni prima che morisse suo nonno.

In effetti non poteva avere diciassette anni se non dodici anni prima della morte di [ suo nonno ] Isacco, nel centesimo e ottavo anno di vita di suo padre Giacobbe.

Se infatti a questi aggiungeremo ventidue anni in cui Giuseppe fu in Egitto fino all'arrivo di suo padre Giacobbe, gli anni dell'età di Giuseppe saranno trentanove e quelli di Giacobbe centotrenta e non si pone alcun problema.

Ma poiché la Scrittura dopo la morte di Isacco narrò i fatti suddetti, si pensa che Giuseppe dopo la morte di suo nonno avesse diciassette anni.

Dobbiamo quindi pensare che la Scrittura non parli più della vita di Isacco in quanto vecchio, anzi molto decrepito, per il fatto che già parla di Giacobbe e dei suoi figli.

Giuseppe perciò aveva già diciassette anni quando era ancora vivo Isacco.

123. ( Gen 37,10 ) Giuseppe non fu adorato dai genitori

Riguardo a ciò che dice Giacobbe a Giuseppe: Che cos'è questo sogno che hai fatto?

Verremo forse io, tua madre e i tuoi fratelli a prosternarci a terra davanti a te? se non lo s'intende detto in senso allegorico e simbolico, in qual modo può essere inteso riguardo alla madre di Giuseppe che era già morta?

Di conseguenza non si deve pensare che ciò non sia stato fatto neppure in Egitto quando egli si trovò elevato [ alla più alta carica ] poiché non lo " adorò " nemmeno suo padre, quando si recò da lui in Egitto, né poté farlo sua madre già morta. ( Gen 35,19 )

Questo dunque si può intendere facilmente riguardo alla persona di Cristo a proposito anche dei morti conforme a quanto dice l'Apostolo: [ Dio ] gli diede un nome che è al di sopra d'ogni nome, perché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio degli esseri celesti, dei terrestri e di quelli infernali. ( Fil 2,9-10 )

124. ( Gen 37,28 ) La Scrittura chiama Madianiti gli Ismaeliti

Si pone il seguente quesito: perché la Scrittura chiama Madianiti anche gli Ismaeliti, ai quali Giuseppe era stato venduto dai fratelli, sebbene Ismaele fosse figlio di Abramo avuto da Agar, mentre i Madianiti erano nati da Cettura?

Forse perché la Scrittura, a proposito di Abramo, aveva detto che egli aveva dato doni ai figli di quelle sue concubine, Agar e Cettura, e li separò dal proprio figlio Isacco, inviandoli in un paese dell'Oriente, ( Gen 25,6 ) si deve pensare che formarono un solo popolo?

125. ( Gen 37,35 ) Quali sono le figlie di Giacobbe

A proposito di Giacobbe ch'era gravemente addolorato per Giuseppe, sta scritto: Tutti i suoi figli e tutte le sue figlie si radunarono e vennero a consolarlo.

Quale figlie, oltre a Dina? O forse l'agiografo parla di figli e figlie contando insieme i nipoti e le nipoti?

I suoi figli più grandi infatti potevano avere a loro volta già dei figli.

126. ( Gen 37,35 ) L'inferno nella Scrittura e chi vi discende

Ma egli non volle lasciarsi consolare dicendo: " Discenderò piangendo da mio figlio nell'inferno ".

Di solito si fa una grande discussione in che senso si debba intendere l'inferno: se là ove ordinariamente dopo la morte scendono solo i cattivi o anche i buoni.

Se dunque vi scendono solo i cattivi, in qual modo Giacobbe dice di voler scendere là da suo figlio, che egli stava piangendo?

Non crede infatti che egli si trovi tra le pene dell'inferno.

Oppure sono forse parole d'una persona turbata e addolorata che perciò ingigantisce la propria sventura?

127. ( Gen 37,36 ) Capo dei cuochi o capo dell'esercito

E vendettero Giuseppe in Egitto a Petefre, l'eunuco [ del Faraone ], capo dei cuochi.

Alcuni non vogliono che si traduca capo dei cuochi colui che in greco è detto άρχιμάγειρος, ma " capo dell'esercito " che aveva il potere di uccidere.

Così infatti è chiamato anche [ l'ufficiale ] inviato da Nabucodonosor [ a Gerusalemme ], ( 2 Re 25,8-9 ) il quale aveva il comando supremo dell'esercito.

128. ( Gen 38,1-3 ) Gli anni di Giuda e dei suoi figli al tempo di Giuseppe in Egitto

Ora in quel tempo avvenne che Giuda discese dalle parti dei suoi fratelli e si recò da un uomo di Odollam chiamato Ira.

Lì poi Giuda vide la figlia d'un cananeo che si chiamava Sava, la prese in moglie e si unì a lei.

Essa concepì e partorì un figlio, ecc. Si pone il quesito in quale tempo ciò poté avvenire.

Se dopo che Giuseppe scese in Egitto, in qual modo nello spazio di circa ventidue anni poiché dopo tanto tempo risulta ch'essi andarono dal medesimo Giuseppe loro fratello in Egitto con il loro padre sarebbe potuto avvenire che tutti i figli di Giuda fossero dell'età di poter prendere moglie?

Poiché diede la sua nuora Tamar in moglie al suo secondo figlio dopo la morte del primogenito; essendo poi morto anche quello, aspettò che crescesse il terzo; ed essendo questo cresciuto, non la diede in moglie neppure a lui, temendo che morisse anche lui. ( Gen 38,6-11 )

Avvenne perciò che essa si pose a giacere con il medesimo suo suocero. ( Gen 38,12-18 )

Si resta giustamente sconcertati come mai tutti questi fatti potessero accadere nello spazio di tanto pochi anni, salvo che come forse è solita la Scrittura voglia fare intendere mediante la forma della ricapitolazione, che ciò iniziò ad accadere alcuni anni prima che Giuseppe fosse venduto, poiché così si esprime: Ora avvenne in quel tempo.

A questo proposito si discute tuttavia quanti anni potesse avere Giuda, il quarto figlio di Giacobbe, se Giuseppe quando fu venduto aveva diciassette anni, dal momento che il primogenito, Ruben, per l'età, poteva precedere suo fratello Giuseppe al massimo di cinque o sei anni.

La Scrittura però dice a chiare note che Giuseppe, quando fu presentato al Faraone, aveva trent'anni.

Poiché dunque si crede che egli fosse stato venduto quando aveva diciassette anni, era vissuto tredici anni in Egitto rimanendo ignoto al Faraone; ( Gen 41,46 ) ora, a quei tredici anni si aggiunsero sette anni di abbondanza e divennero vent'anni; a questi se ne aggiunsero altri due, poiché Giacobbe con i suoi figli entrò in Egitto il secondo anno della carestia, e si trovano ventidue anni in cui Giuseppe stette lontano dal padre e dai suoi fratelli.

È difficile ricercare in qual modo poterono accadere, in questo frattempo, tutti i fatti che si narrano a proposito della moglie, dei figli e della nuora di Giuda, salvo che non crediamo poiché poté accadere anche questo che, appena Giuda entrò nell'adolescenza, si fosse innamorato di colei che prese in moglie quando Giuseppe non era stato ancora venduto in Egitto.

129. ( Gen 38,14 ) Modo di vestire delle vedove

Allora [ Tamara ] essendosi tolti i suoi vestiti di vedova.

Di qui si vede che anche al tempo dei Patriarchi c'erano vestiti delle vedove fissati e appropriati, certamente diversi da quelli delle coniugate.

130. ( Gen 39,1 ) L'ordine degli avvenimenti

Riguardo al fatto che di nuovo si dice: Ora Giuseppe fu condotto in Egitto e lo acquistò Petefre, l'eunuco [ del Faraone ], la Scrittura torna alla successione ordinata degli avvenimenti dalla quale s'era allontanata per narrare i fatti descritti più sopra.

131. ( Gen 40,16 ) Il pane ordinario di crusca

Alcuni manoscritti latini hanno: Tre ceste di pani di spelta, sebbene quelli greci abbiano χονδριτών, che gli esperti di quella lingua interpretano come dei pani di crusca.

Si rimane stupiti in che modo il Faraone potesse avere come cibo pane ordinario di crusca.

È detto infatti che nel cesto superiore c'era ogni specie di cibi preparati dai panettieri per la tavola del Faraone. ( Gen 40,17 )

Si deve intendere anche che il cesto contenesse pani grossolani di crusca poiché la Scrittura dice: Tre ceste di pani di spelta ( χονδριτών ), e al di sopra v'erano cibi d'ogni sorta preparati dai panettieri nel medesimo canestro superiore.

132. ( Gen 41,1 ) La terra è più elevata rispetto all'acqua

Il Faraone credeva di stare sulla riva del fiume; è la stessa espressione usata dal servo di Abramo che disse: Io sto presso la sorgente d'acqua, ( Gen 24,43 ) poiché il greco nel secondo passo dice έπί τής πηγής, allo stesso modo che nel primo dice: έπί τοϋ ποταμοϋ.

Se questa espressione è intesa nel senso che ha nel Salmo, ove sta scritto: Il quale fondò la terra sull'acqua, ( Sal 24,2 ) non si è costretti a credere che la terra galleggi sull'acqua come una nave.

In realtà, secondo questo modo di esprimersi, si capisce esattamente che la terra è più elevata rispetto all'acqua, affinché in essa possano abitare gli animali terrestri.

133. ( Gen 41,30 ) L'abbondanza dopo la carestia

Quanto alle parole della Scrittura: Si dimenticheranno dell'abbondanza futura in tutto il paese dell'Egitto, devono intendersi non nel senso che l'abbondanza avverrà per coloro che soffriranno a causa della carestia, come se l'abbondanza dovesse avvenire dopo, ma nel senso che essa sarebbe venuta allora, quando parlava l'agiografo, come se dicesse: della presente abbondanza, simboleggiata come futura dalle vacche grasse e dalle spighe piene, la gente si dimenticherà a causa della carestia simboleggiata dalle vacche magre e dalle spighe brutte.

134. ( Gen 41,38 ) Per la terza volta viene accennato in questo libro lo Spirito Santo

Potremo forse trovare un uomo tale che abbia in sé lo Spirito di Dio?

Ecco, se non m'inganno, già per la terza volta ci viene fatto conoscere in questo libro lo Spirito Santo, vale a dire lo Spirito di Dio.

La prima volta nel passo ove è detto: E lo Spirito di Dio si librava sull'acqua. ( Gen 1,2 )

La seconda volta quando Iddio disse: Il mio Spirito non resterà in questi uomini, poiché sono carne. ( Gen 6,3 )

La terza adesso, come dice il Faraone a proposito di Giuseppe, che in lui c'è lo Spirito di Dio.

Finora però non abbiamo letto " Spirito Santo ".

135. ( Gen 41,45 ) Il nome dato a Giuseppe

Il Faraone diede a Giuseppe il nome di Psonthomphanec.

Si dice che questo nome significa: " Colui che svela le cose occulte " senza dubbio per il fatto che Giuseppe svelò al re i sogni; al contrario [ altri ] affermano che nella lingua egiziana Giuseppe fu chiamato con questo nome: " Salvatore del mondo ".

136. ( Gen 41,45 ) Di chi era figlia la moglie di Giuseppe

E gli diede in moglie Aseneth, figlia di Petefres, sacerdote della Città del Sole.

Di solito ci si pone la domanda: [ Figlia ] di quale Petefres? Di colui del quale era stato servo, o d'un altro?

Si pensa che più probabilmente fosse la figlia di un altro Petefres.

In che modo si possa credere che fosse figlia di quello è difficile dirlo a causa di molte circostanze.

Anzitutto perché la Scrittura non ricorda sebbene sembri giusto che non potesse passare sotto silenzio questo particolare che tornava a non piccola gloria di quel giovane, il prendere in moglie la figlia di colui del quale era stato servo.

In secondo luogo in che modo un eunuco avrebbe potuto avere una figlia? Ma si risponde: Come poté avere una moglie?

Si crede perciò che sia rimasto evirato in seguito ad una ferita casuale o di propria volontà.

Inoltre c'è il fatto che non è ricordata proprio la sua carica onorifica come al solito, cioè che egli era άρχιμάγειρος, che i traduttori latini resero nel senso di capo dei cuochi, altri invece come comandante della guardia del corpo.

Ma anche qui si risponde che quegli aveva due cariche: il ministero sacerdotale del Sole e il comando della guardia personale del Faraone; in conformità perciò in un altro passo è ricordata la sua carica che s'accordava con siffatte funzioni; qui, al contrario, dopo che in Giuseppe si manifestò un non piccolo dono della divinazione, dovette essere nominata la carica del suo suocero che era in relazione con la facoltà non piccola della divinazione, secondo l'opinione degli Egiziani riguardo al culto sacerdotale del Sole.

Nondimeno, per tutte queste cause, poiché era anche il capo dei carcerieri, è assai improbabile che in questo ufficio fosse messo a capo un sacerdote.

Inoltre la Scrittura non dice solo che fosse sacerdote del Sole, ma della Città del Sole, chiamata Eliopoli, che si dice sia distante più di venti miglia dalla città di Menfi, dove i Faraoni, cioè i re, avevano la loro residenza principale.

In qual modo, quindi, poteva trascurare il suo ufficio di sacerdote e servire speditamente il re, essendo a capo della guardia personale del re?

A ciò si aggiunge anche quanto si riferisce dei preti egiziani, che cioè prestavano il loro servizio religioso solo e sempre nei templi dei loro dèi e non ricoprivano mai alcun'altra carica.

Ma se per caso allora avveniva diversamente, ciascuno la pensi come gli pare; tuttavia non è una questione che non si possa risolvere, sia che vi fosse un unico Petefres, sia che ve ne fossero due.

Poiché qualunque di queste due ipotesi sia ritenuta giusta, non costituisce alcun pericolo per la fede né è contraria alla verità delle sacre Scritture.

137. ( Gen 41,49 ) La quantità di grano raccolto da Giuseppe

Così Giuseppe ammassò un'enorme quantità di grano, come la sabbia del mare, fino al punto di non poterla calcolare perché non esisteva un numero tale.

L'espressione: poiché non esisteva un numero tale è usata per indicare che quell'enorme quantità oltrepassava ogni numero per una massa quanto si voglia grande ma tuttavia limitata?

Salvo che questa non possa essere anche un'espressione iperbolica.

138. ( Gen 42,9 ) I sogni di Giuseppe avveratisi

E Giuseppe si ricordò dei sogni fatti da lui; poiché i suoi fratelli s'erano prostrati con la faccia a terra davanti a lui.

Qualcosa di più sublime è però da ricercarsi in quei sogni, poiché non può avverarsi in quel modo, riguardo al padre e alla madre che già era morta ciò che aveva veduto a proposito del sole e della luna, ( Gen 37,10 ) e perciò era stato rimproverato dal padre, ch'era vivo.

139. ( Gen 42,15-16 ) Giuseppe giura per la salute del Faraone

Che cosa vuol dire che Giuseppe, persona tanto saggia e tanto elogiata, non solo dalla testimonianza della gente tra la quale viveva, ma anche dalla testimonianza della Scrittura, giura per la salute del Faraone che i propri fratelli non sarebbero ripartiti dall'Egitto se non fosse venuto il loro fratello minore?

Forse che anche ad una persona buona e fedele come lui era diventata indifferente la salute del Faraone al quale serbava fede in tutto, come prima al proprio padrone?

Quanto più infatti [ doveva serbarla ] a lui che lo aveva innalzato ad una carica tanto onorevole, se l'aveva serbata a colui che lo possedeva come uno schiavo comprato?

Se ora non si curava della salute del Faraone, non avrebbe dovuto evitare anche lo spergiuro per la salute di qualsiasi persona?

Oppure non è uno spergiuro? Egli infatti trattenne uno solo di essi fin quando giunse Beniamino, e si avverò ciò che aveva detto: Non partirete di qui se non verrà vostro fratello. ( Gen 42,15 )

Poiché non poteva riguardare tutti ciò che era stato detto; come sarebbe potuto venire anche quello, se non fossero tornati alcuni di essi per condurlo?

Ma ciò che segue rende ancora più incalzante la questione quando Giuseppe ripeté il giuramento dicendo: Inviate uno di voi a [ prendere ] vostro fratello e conducetelo qua; voi sarete messi in prigione fino a quando le vostre parole siano messe in chiaro [ per sapere ] se dite o non dite la verità; se non dite la verità, per la salute del Faraone, voi siete delle spie; ( Gen 42,16 ) cioè: se non dite la verità, siete delle spie.

Egli confermò questa affermazione con un giuramento, dicendo: Se non dite la verità siete delle spie, cioè sarebbero stati degni del castigo dovuto alle spie; egli tuttavia sapeva che dicevano la verità.

Infatti uno non è spergiuro se, a colui che sa essere castissimo, dicesse: " Se hai commesso l'adulterio di cui sei accusato, Dio ti condanna " e a queste parole aggiungesse un giuramento; egli farebbe un giuramento assolutamente vero in quanto contiene la condizione " se lo hai commesso " benché egli sia persuaso che quel tale non l'ha commesso.

Uno invece potrebbe dire: Questo è un vero giuramento poiché, se quel tale ha commesso l'adulterio, Dio lo condanna; ma, nel caso da noi contemplato, in qual modo è un vero giuramento l'affermare: Se non dite la verità, siete delle spie, dal momento che, anche se mentissero, non sarebbero per questo delle spie?

Ma ecco che cosa io ho affermato: Giuseppe ha detto: Voi siete delle spie, come se avesse detto: Voi meritate di ricevere il castigo dovuto a delle spie, o, in altri termini: Voi sarete ritenuti delle spie a causa della vostra menzogna.

Innumerevoli somiglianti modi di dire mostrano poi che si poteva dire: "voi siete ", invece di: " sarete ritenuti " e " sarete stimati "; di qui viene l'espressione di Elia: Colui che risponderà con il fuoco, sarà Dio proprio lui. ( 1 Re 18,24 )

Poiché non lo sarà allora, ma sarà considerato Dio allora.

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