Questioni sull'Ettateuco

Indice

Questioni sul Deuteronomio

30. ( Dt 20,4 ) Cooperiamo con Dio che ci aiuta

Poiché il Signore, vostro Dio, che avanza davanti a voi, è a fianco di voi per combattere per voi insieme a voi i vostri nemici al fine di salvarvi.

Ecco qui come anche quando si tratta di lotte spirituali si deve sperare e invocare l'aiuto di Dio, non affinché noi non facciamo nulla, ma cooperiamo con lui che ci aiuta.

Poiché l'agiografo dice così: combatterà con voi, per mostrare che anch'essi dovevano fare ciò che si doveva fare.

31. ( Dt 20,5-7 ) Le disposizioni degli uomini chiamati alle armi

Allora gli scribi parleranno al popolo in questi termini: Chi è l'uomo che ha costruito una casa e non l'ha inaugurata?

Se ne vada e torni a casa sua, perché non muoia in guerra e la inauguri un altro.

E chi è l'uomo che ha zappato per piantare una vigna e non ha goduto dei suoi frutti?

Se ne torni a casa sua, perché non muoia in guerra e non ne goda dei frutti un altro.

E chi è l'uomo che si è fidanzato con una donna e non l'ha presa ancora con sé in moglie?

Se ne vada e torni a casa sua, perché non muoia in guerra e non la prenda in moglie un altro.

Queste disposizioni potrebbero creare imbarazzo quasi a dire che potrebbero morire in guerra con uno stato d'animo migliore coloro che hanno inaugurato la loro casa e goduto i frutti delle vigne piantate di recente, dopo aver preso con sé la sposa novella, invece di quelli che ancora non hanno gustato tali godimenti.

Ma poiché il cuore dell'uomo si lascia prendere da siffatti godimenti che sono assai stimati dagli uomini, si deve intendere che queste disposizioni vengono date a persone che vanno in guerra; in tal modo appariva di essere fortemente attaccato a quei piaceri chi tornava indietro al fine di non combattere meno valorosamente per il timore di morire prima di inaugurare la sua casa, o prima di aver bevuto il vino della vigna piantata di recente o di aver preso in moglie la fidanzata.

Poiché d'altronde, per quanto riguarda la donna è meglio per lei sposarsi vergine anziché vedova con un altro uomo; ma - come ho detto - queste disposizioni avevano lo scopo di provare i sentimenti degli uomini chiamati alle armi.

32. ( Dt 22,5 ) Gli indumenti maschili vietati alle donne

Una donna non dovrà indossare indumenti maschili; l'espressione indumenti maschili vuol dire " strumenti bellici ", cioè le armi, come hanno tradotto anche alcuni altri autori.

33. ( Dt 22,13-21 ) La legge volle che le mogli fossero sottomesse ai mariti

Se uno avrà preso moglie e sarà vissuto con lei e poi la prenderà in odio e lancerà false accuse contro di lei e farà cadere su di lei una cattiva reputazione e dirà: Ho preso in moglie questa donna e mi sono accostato a lei ma non ho trovato i segni della sua verginità; allora il padre della ragazza e la madre di lei prenderanno le prove della sua verginità e le porteranno al consiglio degli anziani alla porta [ della città ] e il padre della ragazza dirà agli anziani: Io ho dato questa mia figlia in moglie a quest'uomo e adesso, avendola presa in odio, lancia contro di essa false accuse in questi termini: Io non ho trovato i segni della verginità di tua figlia.

Essi allora spiegheranno la coperta davanti agli anziani della città e gli anziani di quella città prenderanno quell'uomo, lo castigheranno e gli infliggeranno una multa di cento sicli d'argento, e li daranno al padre della giovane, poiché egli ha prodotto una cattiva reputazione riguardo ad una giovane israelita.

Essa rimarrà sua moglie ed egli non potrà ripudiarla mai più durante il tempo avvenire.

Se invece l'accusa risulterà fondata e non verranno trovate le prove della verginità della ragazza, allora [ gli anziani ] condurranno la giovane alla porta della casa di suo padre e gli uomini della sua città la lapideranno a colpi di pietra e così morirà poiché ha commesso un atto insensato tra i figli d'Israele prostituendo la casa di suo padre; così estirperai il male ch'è tra di voi.

Da questo passo si vede assai chiaramente come la legge volle che le mogli fossero delle donne sottomesse ai mariti e proprio loro serve; poiché, mentre la donna veniva lapidata se fosse stato dimostrato ch'era vera la testimonianza resa dal marito contro sua moglie, egli tuttavia non veniva lapidato qualora fosse stato dimostrato che la sua testimonianza era falsa, ma veniva solo castigato e multato e veniva obbligato a rimanere per tutta la vita con la moglie, da cui avrebbe voluto separarsi.

Negli altri casi invece la legge ordinava che fosse ucciso il falso testimone il quale recasse danno a qualcuno accusandolo di un delitto che, una volta provato portava con sé la pena che sarebbe dovuta essere inflitta a colui che egli accusava se l'accusa fosse risultata fondata.

34. ( Dt 22, 28-29.19 ) Quando il ripudio non è lecito

Se uno però trova una ragazza vergine, che non è fidanzata, e violentandola giace con lei e viene scoperto, l'uomo che ha peccato con lei dovrà dare al padre della ragazza cinquanta didramme d'argento, e la ragazza sarà sua moglie, poiché l'ha umiliata; non potrà ripudiarla durante tutto il tempo avvenire.

Con ragione possiamo chiederci se sia un castigo quello per cui uno non possa ripudiare durante tutta la vita colei che violò contravvenendo alla legge di Dio e perciò illecitamente.

Se infatti vorremo intendere che essa non può, cioè non deve essere ripudiata per tutta la vita per il motivo che è diventata la moglie ci viene in mente il fatto che Mosè permise di dare la lettera di ripudio e abbandonare la moglie. ( Dt 24,3-4; Mt 5,31; Mt 19,7; Mc 10,4 )

Riguardo però a coloro che deflorano illecitamente una vergine, il legislatore non volle che il ripudio fosse lecito affinché non sembrasse che l'uomo lo avesse fatto per prendersi gioco della donna e avesse fatto finta di prenderla in moglie anziché sposarla con un vero contratto matrimoniale.

Questa norma fu stabilita anche nel caso di una donna che il marito avesse accusato falsamente di non aver trovato in lei i segni della verginità.

35. ( Dt 23,3-4 ) Rut entrata nell'assemblea del Signore

Non entrerà nell'assemblea del Signore né l'Ammanita, né il Moabita; e non entrerà nell'assemblea del Signore né fino alla decima generazione né giammai.

Qui si pone il quesito come mai vi entrò Rut, la quale era Moabita, ( Rt 1,22 ) dalla quale ha origine anche la natura umana assunta dal Signore. ( Mt 1,5 )

Ma forse la frase: fino alla decima generazione è da prendere nel senso allegorico d'una profezia che essa sarebbe entrata.

Poiché le generazioni si contano a partire da Abramo quando viveva anche Lot, che fu il progenitore dei Moabiti e degli Ammaniti mediante le figlie, ( Gen 19,37-38 ) e contando lo stesso Abramo si trova la somma di dieci generazioni fino a Salmon che generò Booz, il quale fu il secondo marito di Rut.

Ecco le generazioni: Abramo, Isacco, Giacobbe, Giuda, Fures, Esrom, Aram, Naasson, Salmon.

Salmon a sua volta generò Booz, ( 1 Cr 2,11 ) il quale sposò la vedova Rut; e per questo si vede che dopo la decima generazione Rut fece nascere discendenti nell'assemblea del Signore con il partorire figli per l'appunto a Booz.

Uno però può ancora chiedersi con ragione perché l'agiografo aggiunge: né giammai.

Forse perché in seguito nell'assemblea del popolo ebraico non entrò nessun'altra persona degli Ammaniti e Moabiti dopo che con questa decima generazione si era compiuta la profezia.

O forse piuttosto l'agiografo dice: fino alla decima generazione per volere farci intendere, precisamente per mezzo della totalità raffigurata nel numero dieci, che non sarebbero entrati assolutamente mai, di modo che fece capire ciò aggiungendo l'espressione giammai in eterno?

Se la cosa sta così, sembra che Rut sia stata ammessa [ nell'assemblea del popolo ebraico ] contro il precetto che lo vietava.

Oppure era vietato di ammettervi gli Ammaniti, non le Ammanite, cioè gli uomini, non le donne di quel popolo?

E ciò si può supporre soprattutto per il fatto che, avendo gli Israeliti sconfitto quel popolo, ebbero l'ordine di uccidere tutti i maschi, ma non le donne, eccetto quelle che avevano avuto rapporti sessuali con gli uomini, ( Nm 31,17-18 ) poiché erano state loro ad allettare il popolo alla fornicazione, ma vollero risparmiare le vergini non imputando loro la colpa per la quale quel popolo meritò la sconfitta, ricordata anche qui come se l'agiografo si chiedesse per quale motivo Dio non volle che fossero ammessi nell'assemblea del Signore i Moabiti e gli Ammaniti.

L'agiografo infatti soggiunge: Poiché non vi sono venuti incontro con il pane e con l'acqua sulla via quando uscivate dall'Egitto e perché contro di te assoldarono Balaam, figlio di Beor dalla Mesopotamia, affinché vi maledicesse.

Queste colpe non le imputarono alle donne, che essi preferirono conservare in vita, neppure allorquando quel popolo fu sconfitto.

36. ( Dt 23,15-16 ) Vietato restituire lo schiavo fuggitivo

Non consegnerai al suo padrone uno schiavo che si sarà messo presso di te [ fuggendo ] dal suo padrone; il senso di questo passo non è che il padrone abbia consegnato, abbia cioè affidato lo schiavo - poiché l'agiografo avrebbe detto piuttosto depositum [ affidato ] - ma dice appositum [ messo accanto ] dal suo padrone, cioè messo presso di colui, dopo che si era allontanato da lui; la legge dunque proibisce non di accogliere ma piuttosto di restituire gli schiavi fuggitivi.

Si potrebbe senza dubbio pensare così ma solo se intendiamo che questi precetti sono stabiliti per la nazione e per il popolo, non per una sola persona.

Era pertanto proibito di restituire l'uomo proveniente da un altro popolo, fuggitivo dal suo padrone, cioè dal suo re, in cerca di rifugio presso la nazione degli Israeliti.

A questa norma si attenne anche lo straniero Achis, re di Fat, quando si rifugiò da lui Davide fuggendo dal suo padrone, cioè dal re Saul. ( 1 Sam 21,10 )

L'agiografo infatti spiega ciò assai chiaramente quando, a proposito del fuggitivo, dice: Avrà il suo domicilio in mezzo a voi, in qualsiasi luogo gli piacerà.

37. ( Dt 23,17 ) Proibito espressamente di fornicare tanto agli uomini che alle donne

Non ci sarà alcuna prostituta tra le figlie d'Israele, né alcun prostituto tra i figli d'Israele.

Ecco, in questo passo è proibito espressamente di fornicare tanto agli uomini che alle donne anche con persone che non siano coniugi e fa vedere chiaramente che è peccato l'unione sessuale con chi non è il proprio coniuge, dal momento che è proibito non solo che vi siano delle meretrici ma anche di accostarsi alle donne che fanno pubblico mercato del proprio corpo.

Non sembra però che nel decalogo questo peccato sia proibito esplicitamente con il termine moechia, con il quale comunemente s'intende solo l'adulterio.

Il nostro pensiero su questo punto l'abbiamo esposto nel passo relativo.5

38. ( Dt 23, 18.17 ) Abominio il guadagno di una meretrice e il prezzo di un cane

Non offrirai il denaro guadagnato da una meretrice né il prezzo di scambio di un cane nella casa del Signore tuo Dio per qualunque voto, poiché l'una e l'altra sono cose abominevoli per il Signore tuo Dio.

Ciò si deve intendere nel senso che abominevole al Signore Dio tuo non è solo una di queste cose ma tutte e due.

Riguardo al cane è proibito farne la permuta per i primogeniti che Dio comanda sia fatta mediante altri animali immondi, cioè cavalli, asini e altri simili animali che aiutano gli uomini e in latino sono chiamati iumenta [ giumenti ], nome derivato dal fatto che lo aiutano [ iuvando ]: non fu però permesso di fare lo scambio con il cane; forse anche lo scambio con il porco?

Si deve ricercare perché non era permesso di fare tale scambio e, se non fu permesso di farlo con siffatti animali, per qual motivo in questo passo è eccettuato il solo cane.

Il motivo per cui si parla del prezzo da pagare alla prostituta sembra essere perché prima nel testo c'è la proibizione che ci fossero prostitute tra le figlie d'Israele o che nessuno dei figli d'Israele avesse relazioni sessuali con una prostituta.

Inoltre, affinché non si pensasse che questo peccato potesse espiarsi offrendo nel tempio qualcosa del ricavato da quel mercinomio si dové dire che esso è una cosa abominevole per il Signore.

39. ( Dt 24,7 ) L'uomo deve scacciare dal suo intimo l'uomo malvagio

Quel rapinatore, cioè colui che ha derubato un uomo, sarà messo a morte e toglierete di mezzo a voi stessi il malvagio.

Così dice spesso la Scrittura ( Dt 22,21.24 ) quando ordina di uccidere i malvagi.

Anche l'Apostolo usa questa espressione quando dice: Perché vorrei io giudicare quelli che sono fuori [ della Chiesa ]?

Non siete forse voi quelli che giudicate coloro che sono dentro? Togliete di mezzo a voi stessi il malvagio. ( 1 Cor 5,12-13 )

Il greco infatti ha τόν πονηρόν [ il malvagio ], come si trova scritto anche in questo passo, poiché questo termine comunemente è inteso nel senso di " malvagio " piuttosto che di " male ".

L'agiografo non dice: τό πονηρόν, cioè " il male ", ma τόν πονηρόν, cioè " il malvagio ".

Di qui appare chiaro che l'Apostolo voleva intendere che merita la scomunica chi commette una colpa siffatta.

Adesso infatti la scomunica produce nella Chiesa l'effetto che produceva allora la pena di morte.

Sennonché la massima dell'Apostolo si potrebbe intendere anche in un altro senso, che cioè ad ognuno è comandato di scacciare da se stesso il male o il maligno.

Questo senso sarebbe più ammissibile se nel greco si trovasse " il male, la malvagità " non " il malvagio ", ma è più probabile che l'espressione si riferisca alla persona anziché al vizio, sebbene si possa intendere con esattezza anche nel senso che l'uomo deve scacciare dal suo intimo l'uomo malvagio, allo stesso modo che la Scrittura dice: Spogliatevi dell'uomo vecchio e, spiegando di che si tratta, dice: chi rubava ora non rubi più. ( Ef 4,22.28 )

40. ( Dt 24,8 ) Differenza fra sacerdote e levita

[ Dovrai agire ] secondo tutta la legge che vi giureranno i sacerdoti leviti.

In questo passo è chiaro che ogni sacerdote era levita, quantunque non ogni levita fosse sacerdote.

41. ( Dt 24,10-13 ) Debitore, creditore e pegno

Se in casa di un tuo prossimo ci sarà un debito, qualunque esso sia, non entrerai in casa sua per prendere il pegno; resterai di fuori e la persona che ha in casa sua il tuo debito ti porterà fuori il pegno.

Se però quella persona ne ha bisogno, non dovrai dormire con il suo pegno.

Tu dovrai rendergli il suo vestito all'avvicinarsi del tramonto del sole e così potrà dormire con il suo vestito e ti benedirà e ciò sarà per te una misericordia presso il Signore tuo Dio.

Non senza ragione si vede che rientra nelle opere di misericordia la condotta di un creditore padrone di un pegno, il quale non entra in casa del debitore per non arrecargli turbamento.

Ma con ciò viene anche avvertito il debitore di recar fuori il pegno al creditore.

Giustamente, al contrario, è causa d'imbarazzo il comando di restituire lo stesso giorno il pegno all'indigente, affinché se ne copra durante la notte chi non possiede di che coprirsi la notte; di conseguenza ci chiediamo per quale motivo non è fatto piuttosto obbligo al creditore di non portare via il pegno che deve restituire lo stesso giorno.

Se invece la disposizione di legge d'agire così ha lo scopo di far pressione sul debitore, affinché paghi il debito, in qual modo si affretterà a rendere il pegno sapendo che ne rientrerà in possesso lo stesso giorno?

Ma forse il legislatore ha stabilito che si agisca in quel modo per ricordare al debitore di non dimenticarsi di restituire ed evitargli di restituire quando realmente non ha il pegno?

E ciò soprattutto perché il debitore è vincolato dalla compassione usatagli dal suo creditore, verso il quale non dev'essere ingrato, visto che ha ricevuto il pegno con il quale può coprirsi la notte; nello stesso tempo anche il creditore, quando il debitore non lo avrà restituito, deve credere che non lo ha colui che ha anche bisogno di quest'opera di misericordia, che cioè gli sia restituito il pegno in quanto non ha nient'altro per coprirsi quando riposa la notte.

42. ( Dt 24,16 ) Ciascuno sarà responsabile della propria colpa

I padri non morranno per le colpe dei figli, né i figli morranno per le colpe dei padri; ciascuno morrà per il proprio peccato.

Questa affermazione non è solo dei Profeti ( Ez 18,18-20 ) ma anche della Legge, la quale dice che ciascuno dovrà essere tolto di mezzo a causa della propria colpa, non per quella di suo padre o di suo figlio.

Che significa allora ciò che è detto in un altro passo: Dio punisce i peccati dei genitori sui figli sino alla terza e quarta generazione?

Quest'ultima affermazione va forse intesa riguardo ai figli non ancora nati a proposito del peccato originale, che il genere umano contrae per eredità da Adamo; quell'altra frase invece fa distinzione riguardo ai figli già nati di guisa che ciascuno muore a causa del proprio peccato?

Poiché non contrae nulla per eredità dal padre chi era già nato quando suo padre peccò.

Ma poiché anche vi si dice: per coloro che mi odiano, ( Es 20,5 ) è chiaro che quella condizione si può revocare se i figli non imiteranno le azioni dei loro genitori.

Poiché anche il peccato derivante da Adamo viene imputato per questa vita, poiché tutti muoiono a causa di esso, ma non viene imputato in eterno a coloro che saranno stati rigenerati spiritualmente mediante la grazia e avranno perseverato in essa sino alla fine.

Se non che, se vengono imputati i peccati dei padri sui figli per coloro che odiano Dio, fino alla terza e alla quarta generazione, per qual motivo - possiamo domandarci con ragione - non si dice nulla della prima e della seconda o non vengono imputati alle altre generazioni nel caso che i bambini continuassero a imitare l'empietà e la cattiva condotta dei loro padri?

Con questo numero ha forse voluto l'agiografo indicare la totalità, per il fatto che si sottintende il sette: e non scrisse piuttosto precisamente " sette ", dicendo " fino alla settima generazione ", e così sarebbe intesa la totalità, poiché in questo modo risalta meglio la causa per la quale ha la sua perfezione questo numero?

Esso infatti è considerato perfetto poiché consta di questi due numeri, cioè del tre, che è il primo numero dispari intero, e del quattro, che è il primo numero pari intero.

Da questo fatto io credo che derivi l'espressione del Profeta, ripetuta più di una volta: Per tre e per quattro empietà non mi rimoverò [ dalla mia decisione ], ( Am 1,3 ) con la quale volle indicare tutte le scelleratezze piuttosto che soltanto tre o quattro.

43. ( Dt 24,17 ) È raccomandato di rendere giustizia a tutti, specie alle vedove

Non farai deviare la giustizia dovuta all'immigrato, all'orfano e alla vedova, non prenderai in pegno il vestito della vedova.

Perché Mosè non dice: e non prenderai in pegno il loro vestito?

Per qual motivo è proibito di violare il diritto di queste tre classi di persone, mentre è proibito di prendere in pegno il vestito della sola vedova e non anche il vestito di quelli, se non per il motivo che è raccomandato di rendere giustizia a tutti, poiché non hanno alcuno che li difenda né il forestiero per il fatto di trovarsi in un paese straniero, né l'orfano, cioè il pupillo poiché non ha i genitori, né la vedova perché non ha marito?

Quando, al contrario, è proibito di prendere in pegno il vestito di una vedova, io penso che ciò sia un insegnamento assai ingegnoso, nel senso che si devono chiamare veramente vedove quelle che sono anche povere.

La stessa cosa lascia intendere chiaramente anche l'Apostolo allorché dice: Se invece una vedova ha dei figli o dei nipoti, impari in primo luogo a governare la propria casa con lo spirito di fede e amore e a rendere il contraccambio ai genitori, poiché ciò è gradito a Dio.

La donna poi che è veramente vedova ed è rimasta assolutamente sola, ha riposto la speranza nel Signore e continua con costanza a pregare giorno e notte. ( 1 Tm 5,4-5 )

Chiama vedova davvero quella che non ha alcuno che l'aiuti, poiché non solo è senza marito ma anche senza discendenti e priva di ogni sorta di risorse; naturalmente non chiamerebbe assolutamente sola una che è ricca.

Alla vedova povera non si deve perciò portare via il vestito che si ha in pegno, poiché per il fatto stesso che il legislatore proibisca di portarle via il vestito, si dimostra che è povera.

Il creditore infatti le porterebbe via piuttosto il denaro o qualsiasi altra cosa, anziché il vestito.

D'altra parte può presentarsi alla mente la seguente obiezione: Ma se avesse molti vestiti non necessari ma superflui, in qual modo si potrebbe credere che sia veramente vedova, vale a dire non solo completamente sola ma anche che non trascorre la vita nei piaceri?

Parlando di una certa vedova l'Apostolo soggiunge: Quella però, la quale passa la vita nei piaceri, anche se vive, è già morta. ( 1 Tm 5,6 )

L'Apostolo contrappone questa vedova a una vera vedova, come se una siffatta vedova non fosse una vera vedova.

Nelle vedove ricche - quali che siano - che non hanno voluto rimaritarsi si loda la continenza, non se ne sottolinea l'essere assolutamente sole, poiché sono rimaste prive solo dei mariti ma non delle altre cose.

44. ( Dt 24,19 ) Ciò che si abbandona nei campi sia dei poveri

Quanto al testo della Scrittura in cui si ordina che, nella mietitura, nessuno raccolga un mannello [ di spighe ] lasciato per dimenticanza né l'oliva o l'uva abbandonata e nessuno torni indietro a raccogliere con più attenzione quanto è rimasto abbandonato per negligenza e dice che si devono lasciare ai poveri, al pensiero si presenta forse un'obiezione: Che dire se i frutti dei campi lasciati dai padroni li raccoglieranno i furbi e non i poveri?

Si deve però considerare in primo luogo che la persona che lascia queste cose lo fa mosso da misericordia con l'intenzione che sia dei poveri ciò che abbandona.

In secondo luogo quando si danno al popolo tali precetti, nello stesso tempo a coloro che non ne hanno bisogno si raccomanda di non andare in cerca di ciò che viene lasciato [ nei campi ].

Se però ne andranno in cerca, che dobbiamo pensare di loro se non che s'impadroniscono di beni altrui e, quel che è più grave, di beni dei poveri?

Da questi precetti vengono menzionati dunque le due classi di persone: non solo i padroni dei campi, affinché lascino per spirito di misericordia quelle cose, ma anche coloro che non sono poveri, affinché si astengano [ dal raccoglierle ] dal momento che ambedue queste cose vengono dette: sia da chi devono essere lasciate, sia per chi devono essere lasciate.

45. ( Dt 25,1-3 ) Distinzione fra empietà lieve ed empietà grave

Quando ci sarà una lite fra uomini e questi si presenteranno al tribunale e giudicheranno e giustificheranno il giusto.

Si deve pensare che sono i giudici a dover giudicare, non coloro che - a detta dell'agiografo - hanno una lite tra loro.

Il testo prosegue dicendo: e condanneranno l'empio e avverrà che se l'empio sarà degno di battitura, lo porrai davanti ai giudici che lo faranno flagellare davanti a loro in proporzione alla loro empietà.

Lo faranno flagellare con quaranta frustate senza aggiungerne di più, poiché, se continueranno a farlo flagellare con un numero maggiore di colpi, tuo fratello resterà umiliato davanti a te.

Occorre fare molta attenzione. Sebbene la Scrittura comandi di castigare con frustate i peccati che non meritano di essere puniti con la pena di morte, e con tanto poche battiture, chiama tuttavia empio oppure " individuo che agisce empiamente " chi viene sottoposto alla flagellazione, per farci sapere che le Scritture non parlano come parlano tante e tante persone.

Noi le leggiamo con troppo poca attenzione, se pensiamo che non sia un'empietà l'adulterio in quanto sembra che chi lo commette lo commetta solo contro una persona umana, sebbene la legge ordini di punire quel peccato con la pena di morte, ( Dt 22,22 ) e noi diciamo che le empietà sono più gravi di tali peccati, poiché alcune di esse vengono punite solo con quaranta colpi di frusta.

C'è dunque un'empietà lieve che merita solo la flagellazione e c'è un'empietà grave che merita la pena di morte.

Parimenti anche dei peccati che sembrano essere commessi non contro Dio ma contro una persona umana, alcuni meritano la pena di morte, altri invece meritano solo una correzione data o con la flagellazione o con un perdono più facile.

È noto a tutti che i traduttori [ detti ] i Settanta hanno esposto lo stesso concetto poiché anch'essi hanno denotato come empietà il peccato di colui che merita la flagellazione.

46.1. ( Dt 25,5-6 ) Su l'obbligo di sposare le moglie del fratello defunto

Se dei fratelli abiteranno insieme e uno di loro morirà senza avere discendenti, la moglie del defunto non apparterrà a un uomo di fuori, che non sia un parente; il fratello di suo marito andrà da lei e la prenderà in moglie e abiterà insieme con lei.

E avverrà che, quale che sia il figlio che nascerà, sarà riconosciuto come discendente legale con il nome del defunto e così il suo nome non sarà cancellato da Israele.

Sembra che l'obbligo, imposto dalla legge agli Israeliti, di sposare la moglie di un fratello, avesse l'unico scopo di procurare la discendenza al fratello defunto senza figli.

Quanto poi alla frase: Sarà costituito discendente mediante il nome del defunto e così il suo nome non sarà cancellato da Israele, cioè il nome del defunto, sembra voglia indicare che il bambino, che nascerà, viene ad essere in certo qual modo suo discendente prendendo il nome che portava il defunto.

Ecco perché ho ritenuto più plausibile risolvere, conforme al costume dell'adozione, il problema che si trova nel Vangelo circa i due padri di Giuseppe,6 uno menzionato da Matteo, ( Mt 1,16 ) cioè quello che generò Giuseppe, l'altro menzionato da Luca, ( Lc 3,23 ) quello di cui Giuseppe era figlio, poiché Giuseppe non aveva ricevuto il nome di nessuno di essi.

Può darsi tuttavia che la frase: sarà costituito erede legale come discendente, grazie al nome del defunto, significhi non che riceve il nome di lui, ma che il bambino è stabilito erede legale grazie al nome di lui, cioè come figlio non di colui dal cui seme è stato generato, ma del defunto per il quale è stata procurata la discendenza.

Quanto alla frase con la quale il testo prosegue: e così non sarà cancellato da Israele il suo nome, può intendersi non già nel senso che il bambino prenderebbe il nome di lui, ma nel senso che questo non sarà considerato come uno morto senza lasciare figli e perciò il suo nome, vale a dire il suo ricordo, rimarrà a lungo.

In realtà, anche se il figlio lo avesse generato lui, non gli avrebbe imposto il proprio nome per far sì che il suo nome non fosse cancellato da Israele; ma in realtà il proprio nome non sarebbe stato cancellato proprio perché sarebbe partito da questa vita lasciando dei figli.

E al fratello si fa obbligo di compiere con la moglie di lui ciò che non fu in grado di fare quello.

Ora, anche se non avesse avuto un fratello, un altro parente sposava la moglie di colui che fosse morto senza figli, per procurare discendenti a suo fratello, come fece Booz prendendo in moglie Rut, per dare un discendente al suo parente di cui essa era stata moglie ma dal quale non aveva avuto figli.

Cionondimeno il figlio nato da lei fu costituito erede legale del defunto in virtù del nome poiché fu chiamato suo figlio - e così avvenne che il nome del defunto non fu cancellato da Israele -, senza che tuttavia il bambino si chiamasse con il nome di lui. ( Rt 4,13-17 )

46.2. Il problema che si trova nel Vangelo circa i due padri di Giuseppe

Stando così le cose, la questione che si presenta nel Vangelo si può risolvere con un'altra fondata ipotesi: potrebbe cioè darsi che uno dei due ascendenti menzionati come persone distinte da Matteo e da Luca, ( Mt 1,16; Lc 3,23 ) sarebbe stato parente dell'altro per sposarne la moglie avendo potuto avere parenti e antenati anche in linea ascendente diversi da quelli dell'altro.

Poiché, se fossero stati figli di fratelli, avrebbero avuto uno stesso nonno.

Ma non è così, poiché secondo Matteo il nonno di Giuseppe è Matan, secondo Luca invece non è Matan ma Matat.

E se uno pensasse che si tratti solo della somiglianza del nome che i copisti lo trascrissero sbagliando soltanto l'ultima lettera e così la differenza risulta tanto piccola e quasi di nessun peso, che dirà dei padri di questi due?

Poiché, secondo Luca, Matat era figlio di Levi, secondo Matteo invece Matan risulta figlio di Eleazar; e così ripercorrendo la genealogia in linea ascendente risultano differenti i padri e i nonni e in seguito gli antenati fino a Zorobabel che secondo Luca è, a un dipresso, il ventesimo in linea ascendente a partire da Giuseppe, mentre secondo Matteo è l'undicesimo.

Si crede che egli sia il medesimo per il fatto che in ambedue gli Evangelisti si trova suo padre essere Salatiel.

Sarebbe tuttavia possibile che esistesse un'altra persona dello stesso nome avente un padre chiamato con lo stesso nome del padre dell'altra.

In effetti anche a partire da lui in linea ascendente gli antenati sono diversi in quanto, secondo Luca, Zorobabel ha un nonno chiamato Neri, secondo Matteo invece ne ha un altro chiamato Ieconia, e da qui in su non c'è mai accordo fino a quando non si arriva a Davide, attraverso Salomone secondo Matteo e attraverso Natan secondo Luca.

Sembra però assai difficile supporre che, per sposare la moglie di suo fratello, non ci fosse un parente più prossimo di un parente da parte di Davide in un grado così lontano che non aveva con il marito defunto alcun altro legame di parentela, essendo Davide, secondo Luca, a un di presso il quarantesimo antenato di Giuseppe, secondo Matteo invece all'incirca il ventisettesimo.

Tuttavia, se a sposare le vedove dei loro fratelli si cercavano anche i congiunti da parte delle donne, poté accadere che uno, il quale avesse una parentela tanto vicina, generasse Giuseppe unendosi con la moglie di un suo stretto congiunto morto senza figli e così avrebbe avuto due padri, uno naturale e l'altro legale, senza che nel seguito della genealogia appaia alcuna traccia di parentela nei padri, nei nonni e negli antenati più lontani per il fatto che la loro parentela era non da parte degli uomini, ma delle donne.

Tuttavia, se la cosa stesse così, allora non si risalirebbe a Davide come al capostipite comune.

Oppure, se si sostiene che le donne poterono essere registrate invece dei mariti nella genealogia, dove le registrerò io quando la Scrittura non ha questa abitudine, come nessun Evangelista le inserì [ nella genealogia di Cristo ]?

Quando infatti vengono citate le madri, non vengono menzionate senza nominare anche i loro padri.

E perciò o non c'era un parente più prossimo per unirsi con la moglie del defunto in modo da risalire all'origine della parentela di Davide oppure l'adozione fece sì che Giuseppe avesse un altro padre.

47. ( Dt 26,14 ) Le feste parentalia

Che significa il fatto che tra le altre cose che Mosè ordina siano dette dall'uomo a cui era ordinato di dare o spendere qualunque cosa nel dare la decima e allo stesso che aveva eseguito tutti quei comandamenti ordina di dichiarare anche quanto segue elogiando ed esaltando se stesso: Nulla di ciò ho offerto in onore di un morto?

Sono forse proibite con ciò le feste dette parentalia che sogliono essere celebrate dai pagani?

48.1. ( Dt 28,13-14 ) Come si può intendere andare a destra

Non devierai da nessuna delle parole che oggi io ti comando, andando a destra o a sinistra, per seguire altri dèi e rendere loro culto.

Ci si può chiedere come mai può intendersi che vada verso la destra chi va dietro altri dèi per rendere loro culto quando della destra si parla per indicare un pregio, mentre l'adorazione degli dèi non potrebbe essere mai un'azione lodevole poiché anche quanto al fatto che viene biasimato chi nella via della vita si scosta verso la destra, non viene però biasimato anche ciò che è alla destra, ma colui che si volge a destra, chi cioè si arroga ciò che è di Dio.

Ecco perché nei Proverbi si dice: Non piegare né a destra né a sinistra, poiché le vie che sono a destra le conosce il Signore, ma quelle che sono a sinistra sono vie perverse. ( Pr 4,27 )

Sono quindi buone le vie di destra che il Signore conosce, poiché il Signore conosce le vie dei giusti, ( Sal 1,6 ) come si legge nel Salmo.

Il motivo per cui è detto: non piegare a destra, viene spiegato dalla frase aggiunta di seguito: poiché sarà lui a rendere diritte le tue vie.

Noi però non pensiamo affatto che non siano rette le vie di destra conosciute dal Signore, ma - come ho detto - piegare verso le vie di destra non è l'effetto della grazia del Signore, ma è volere arrogarsi ciò che è retto.

Alla fine - come ho detto - l'agiografo continua e dice: Lui stesso infatti renderà diritte le tue vie e i tuoi viaggi guiderà in pace. ( Pr 4,27 sec.LXX )

48.2. Perciò quello che si dice in questo passo del Deuteronomio, di cui trattiamo: Non ti scosterai da nessuna delle parole che oggi ti comando, andando a destra o a sinistra per seguire altri dèi e rendere culto ad essi, non è detto nel senso che altri dèi possano essere considerati come di destra; ma o vengono indicati luoghi della terra, poiché a destra o a sinistra [ delle vie ] i pagani che adoravano altri dèi avevano luoghi destinati ai sacrifici per gli dèi, oppure ciò si deve intendere separatamente di altri dèi, di modo che la frase può essere intesa in due sensi, di cui l'uno sarebbe: non ti scosterai da nessuno dei comandamenti che oggi ti prescrivo andando a destra o a sinistra, ossia secondo il senso da me spiegato più sopra; l'altro senso invece sarebbe: andando dietro altri dèi per rendere culto ad essi, sottintendendosi anche qui: non ti scosterai da nessuno dei comandamenti che oggi ti do.

Se volessimo esprimere questo senso completo della frase dovremmo ripetere le parole precedenti, che sono comuni ad ambedue i sensi, in modo che allo stesso modo che nel primo caso è detto: non ti scosterai da nessuno dei comandamenti che ti do oggi andando a destra o a sinistra, così nell'altro caso si dovrebbe ripetere: non ti scosterai da nessuno dei comandamenti che ti prescrivo oggi andando dietro dèi stranieri per rendere culto ad essi.

In effetti allontanandosi uno dai comandamenti prescritti gli avviene anche che trasgredisca il comandamento di non seguire altri dèi.

Certo questo non è l'unico comandamento, o è solo del comandamento di non seguire altri dèi che Dio non vuole che ci si dimentichi, ma è di tutti i comandamenti; tuttavia volle sottolineare soprattutto questo comandamento di guisa che, dopo aver enunciato genericamente il precetto con il quale ordinò di non allontanarsi da nessuno dei suoi comandamenti, lo volle prescrivere anche in modo particolare.

48.3. Pertanto l'espressione: a destra o a sinistra si potrebbe intendere anche nel senso che Dio comandò di non seguire altri dèi né a motivo di ciò che si brama per avere la felicità, né di ciò che si sfugge per evitare l'infelicità, cioè che, né per ciò che si ama né contro ciò che si odia, non si deve chiedere aiuto ad altri dèi, o almeno non in modo da cattivarsene il favore perché porgano aiuto o da renderli benevoli perché non arrechino danno, poiché anche di certuni sta scritto nel Salmo: La loro bocca dice menzogne e la loro destra è una destra di iniquità, poiché credono che uno diventi felice mediante le cose che possono essere possedute sia dai buoni che dai cattivi; e perciò la loro è una destra di iniquità, poiché sono iniqui coloro i quali credono che sia essa la destra; non è infatti la vera destra, ma la destra di coloro la cui bocca dice menzogne; chiamarono felice il popolo che possiede queste cose, quando al contrario - come l'agiografo subito dopo aggiunge e insegna - felice è il popolo di cui Dio è il Signore. ( Sal 144,8.15 )

È questa la vera destra della giustizia, non dell'iniquità.

Non si devono dunque seguire dèi diversi né a destra in modo che l'uomo creda di diventare felice grazie ad essi, né a sinistra di modo che, credendo che qualora gli fossero avversi, diverrebbe infelice, li adori per tener lontano da sé una tale sciagura.

O almeno, se pensiamo che la destra sono i beni eterni, la sinistra invece quelli temporali, si deve credere che la sacra Scrittura in questo passo ammonisca di non adorare gli dèi stranieri né per quei beni né per questi.

49. ( Dt 29,1 ) Il Deuteronomio è chiamato seconda legge

Queste sono le parole dell'alleanza che il Signore ordinò a Mosè di stabilire con i figli di Israele nella terra di Moab, oltre l'alleanza che aveva concluso con essi sull'Oreb.

Questo passo mostra perché questo libro si chiama Deuteronomio, per così dire " la seconda legge "; in esso c'è piuttosto la ripetizione della prima legge che non qualcos'altro di diverso; poiché sono poche le cose che non si trovano in quella che fu data la prima volta.

Tuttavia questi non sono chiamati due Testamenti, sebbene sembri che suonino così queste parole; in realtà l'una e l'altra alleanza è una sola, che nella Chiesa viene chiamata " Antico Testamento ".

Se infatti, a causa dell'espressione del passo ora esaminato, si dovesse parlare di due " Testamenti " non sarebbero più due ma molti di più, senza contare il Nuovo Testamento.

Poiché la Scrittura parla di alleanza in molti passi, come quella fatta con Abramo relativa alla circoncisione, ( Gs 24,25; Gen 17,4 ) oppure quell'altra più antica fatta con Noè. ( Gen 9,9 )

50. ( Dt 29,2-4 ) Ci sono anche occhi detti occhi del cuore

Voi avete visto tutto ciò che il Signore vostro Dio fece sotto i vostri occhi nella terra d'Egitto contro il Faraone, contro tutti i suoi servi e contro tutto il suo paese, le grandi prove che hanno visto i tuoi occhi, quei segni e prodigi grandiosi e la sua mano potente.

Ma fino ad oggi il Signore vostro Dio non vi ha dato un cuore per conoscere né occhi per vedere né orecchie per udire.

In qual modo allora prima è detto: Voi avete visto le grandi prove che hanno visto i tuoi occhi, se il Signore non aveva dato loro occhi per vedere e orecchie per udire, se non perché videro con i sensi del corpo, ma non con quelli del cuore?

Poiché ci sono anche occhi detti occhi del cuore.

Ecco perché Mosè prese a dire così: Ma il Signore Dio non vi diede il cuore per conoscere.

In relazione con questo asserto sono le due affermazioni successive: [ non diede ] né occhi per vedere né orecchi per udire, cioè per capire e ubbidire.

Quanto invece si dice nella frase: ma il Signore Dio non vi diede, Mosè non l'avrebbe detto affatto rimproverando e accusando, se non avesse voluto che s'intendesse che si riferiva anche alla loro colpa, affinché nessuno si reputasse scusabile per quel fatto.

Poiché allo stesso tempo dimostra che essi senza l'aiuto del Signore Iddio non potevano comprendere né ubbidire né con gli occhi né con gli orecchi del cuore.

E tuttavia, qualora mancasse l'aiuto di Dio, non per questo è scusabile il peccato dell'uomo poiché i giudizi di Dio, quantunque segreti, sono giusti. ( Ap 16,7 )

51. ( Dt 29,5-6 ) Gli Israeliti in fuga dall'Egitto portarono con sé il vino

E vi ha condotti per quarant'anni nel deserto; i vostri vestiti non si sono invecchiati e le vostre calzature non si sono logorate ai vostri piedi; non avete mangiato pane, non avete bevuto né vino né sicera, affinché sappiate che è lui il Signore vostro Dio.

Da ciò si vede che gli Israeliti quando uscirono dall'Egitto poterono portare nel loro bagaglio tanto vino quanto ne potevano consumare presto.

Poiché, se non ne avessero portato con loro assolutamente nulla, come sarebbe potuto avvenire il fatto narrato così nella Scrittura: Il popolo si sedette a mangiare e bere e poi si alzarono per divertirsi? ( Es 32,6 )

Ciò infatti non potrebbe dirsi dell'acqua, poiché le parole di Mosè ci fanno capire assai chiaramente che quelle voci non erano grida di guerra ma di persone ubriache. ( Es 32,6.18 )

52. ( Dt 29, 18.21 ) In che senso tutte le maledizioni possono incogliere un solo individuo

C'è forse tra voi, uomo o donna, famiglia o tribù, il cui pensiero si allontani dal Signore vostro Dio per andare a rendere culto agli dèi di quelle nazioni?

C'è forse tra voi qualche radice il cui germoglio produca veleno e amarezza?

E avverrà che quando ascolterà le parole di questa maledizione e in cuor suo concepirà una buona opinione di se stesso dicendo: Mi succedano cose sante, poiché cammino nel traviamento del mio cuore, affinché il peccatore non mandi in rovina allo stesso tempo chi è senza peccato.

Dio non gli accorderà il perdono, ma allora l'ira del Signore e la sua gelosia s'infiammerà contro quell'uomo e aderiranno a lui tutte le imprecazioni di questa alleanza scritte nel libro di questa legge.

Il testo dice: Vi è tra voi forse qualcuno? per farci intendere la frase come se fosse detta da uno che fa una domanda cercando di sapere se per caso ci fosse qualcuno.

Poiché se ce ne fosse stato qualcuno, sarebbe stato colpito da un gran terrore, perché nessuno all'udire quelle imprecazioni dicesse in cuor suo: siano per me sante, cioè siano per me sante quelle imprecazioni, poiché io cammino nel traviamento del mio cuore, seguendo così gli dèi dei pagani e rendendo loro il culto, come se ciò avvenisse impunemente.

Ma non sarà così - risponde il Signore - il peccatore non mandi in rovina chi è senza peccato; come se dicesse: " badate bene che colui, il quale la pensa così, non persuada nessuno di voi a fare tali cose ".

Dio non accorderà il perdono né a chi la pensa così né a chi ne resterà persuaso, come pensava quell'empio dicendo: Mi succedano cose sante, e per così dire distogliendo da sé l'efficacia di quella maledizione.

Ma allora s'infiammerà l'ira e la gelosia del Signore contro quell'individuo.

Dal momento che crederà di distoglierla da lui dicendo quell'espressione in cuor suo.

E gli resteranno aderenti addosso tutte le maledizioni di questa alleanza scritte nel libro di questa legge.

Per la verità non tutte le maledizioni possono incogliere un solo individuo, poiché un solo individuo non può nemmeno morire tante volte quante sono le specie di morte qui menzionate, ma il testo dice tutte per " qualsiasi maledizione ", in modo che non rimarrà immune da tutte colui sul quale si abbatteranno alcuni dei malanni a causa dei quali dovrà morire.

Quanto all'espressione: E nello stesso tempo il peccatore mandi in rovina chi è senza peccato - ciò nel testo greco è detto άναμάρτητον - non dev'essere inteso come se l'agiografo con il termine άναμάρτητον volesse indicare uno del tutto puro ed immune da ogni peccato, ma colui che era senza il peccato di cui si parlava.

Allo stesso modo nel Vangelo il Signore dice: Se io non fossi venuto e non avessi parlato loro, non avrebbero il peccato; ( Gv 15,22 ) ora non si tratta qui di ogni sorta di peccati in generale, ma di quello che avevano commesso rifiutandosi di credere in lui.

Anche Dio, a proposito di Sara, moglie di Abramo, dice di Abimelech: So che hai fatto ciò con cuore puro; ( Gen 20,6 ) ora naturalmente Dio non voleva fare intendere che il cuore di quel re fosse simile a quello di coloro dei quali è detto: Beati i puri di cuore, poiché vedranno Dio, ( Mt 5,8 ) ma aveva il cuore puro rispetto al peccato di cui si trattava, poiché, per quanto dipendeva da lui, non aveva desiderato la moglie altrui.

53. ( Dt 30,6 ) Dio promette di fare lui ciò che suole comandare che si faccia

Il Signore purificherà il tuo cuore e il cuore dei tuoi discendenti affinché possiate amare il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta l'anima tua perché tu viva.

Questa è un'evidente promessa della grazia, poiché Dio promette di fare lui ciò che suole comandare che si faccia.

54. ( Dt 30,11-14 ) Anche le opere devono essere accolte nel cuore ove si trova la fede che agisce mediante l'amore

Poiché questo comandamento che ti ordino oggi non è di un peso eccessivo per te e non è lontano da te; non è in cielo dicendo - cioè perché tu dica - Chi salirà per noi fino in cielo e ce lo prenderà e ascoltandolo lo metteremo in pratica?

E neppure è di là dal mare dicendo - cioè perché tu dica - Chi attraverserà per noi il mare e ce lo prenderà e ascoltandolo lo metteremo in pratica?

Vicina a te è questa parola, assai vicina, nella tua bocca e nel tuo cuore e nelle tue mani perché tu la metta in pratica.

L'Apostolo afferma che questa è la parola della fede ( Rm 10,8 ) che è propria del Nuovo Testamento.

Possiamo però chiederci perché chiama comandamenti le precedenti prescrizioni scritte nel libro di questa legge. ( Dt 30,10 )

Le chiama così perché, se vengono comprese nel senso giusto, sono tutte prefigurative di realtà spirituali proprie del Nuovo Testamento.

Possiamo chiederci ugualmente perché l'espressione usata in questo testo: E non è neppure di là dal mare perché tu debba dire: Chi attraverserà il mare per noi e ce lo prenderà? è citata dall'Apostolo come segue: o chi scenderà nell'abisso? ed esponendo questa frase aggiunge: cioè per far risalire il Cristo di tra i morti. ( Rm 10,7 )

Ora Paolo dà il nome di mare a tutta la vita di quaggiù che si finisce di traversare con la morte così che in certo qual modo si arriva all'estremità del mare di là dal quale s'incontra la morte, come di là da questa vita che qui è paragonata al mare.

L'Apostolo inoltre non riporta l'espressione che segue nel testo: e nelle tue mani, ma solo: nella tua bocca e nel tuo cuore, ( Rm 10,8 ) e prosegue poi fino alla fine dicendo: poiché con il cuore si crede per conseguire la giustizia e con la bocca si fa la professione [ della fede ] per ottenere la salvezza. ( Rm 10,10 )

A ragione la versione dall'ebraico - per quanto ho potuto vedere - non ha l'inciso: nelle tue mani. Io tuttavia non credo che i Settanta l'abbiano aggiunto senza una ragione, poiché vollero farci intendere che anche le mani, che simboleggiano le opere, devono essere accolte nel cuore ove si trova la fede che agisce mediante l'amore. ( Gal 5,6 )

Poiché se ciò che Dio comanda è compiuto con le mani esteriori e non viene compiuto nel cuore, nessuno è tanto sciocco da pensare che i comandamenti si adempiono così.

Tuttavia, se la carità, che è il pieno compimento della legge, ( Rm 13,10 ) abiterà nel cuore dell'uomo, quand'anche le mani del corpo fossero ridotte ad un'assoluta impotenza di agire, si possiede ugualmente la pace con le persone di buona volontà. ( Lc 2,14 )

55. ( Dt 32,5 ) Chi pecca non nuoce a Dio, ma a se stesso

Essi peccarono, non per lui, figli biasimevoli.

L'espressione che in greco suona τέκνα μωμητά alcuni l'hanno tradotta con figli biasimevoli, come l'ho citata io qui, altri come figli impuri, altri come figli viziosi.

Da ciò non sorge un gran problema, anzi nessun problema.

Se però l'espressione è detta in senso generale: Peccarono non per lui - poiché chi pecca non pecca contro Dio, cioè non nuoce a Dio, ma a se stesso - allora quell'espressione ci muove giustamente a chiederci in qual senso si deve intendere la frase che si legge nel Salmo: Contro te solo ho peccato ( Sal 51,6 ) e in Geremia: Abbiamo peccato contro di te, speranza d'Israele, o Signore, ( Ger 14,7-8 ) e di nuovo in un altro Salmo si dice: Guarisci l'anima mia, poiché ho peccato contro di te; ( Sal 41,5 ) cerchiamo inoltre di sapere se peccare Deo è lo stesso che peccare in Deum.

A questo proposito il sacerdote Eli dice: Se uno peccherà contro Dio, chi pregherà per lui? ( 1 Sam 2,25 )

Per il momento dunque dirò ciò che frattanto mi pare giusto.

Comprenderanno forse un po' meglio coloro che di queste cose s'intendono meglio, o anch'io stesso in un altro momento nella misura in cui mi aiuterà il Signore.

Peccare in Deum [ peccare contro Dio ] è peccare in ciò che riguarda il culto di Dio.

Infatti l'espressione da me ricordata non indica null'altro di diverso poiché in questo modo peccavano i figli di Eli, ai quali disse ciò il loro padre.

In tal modo si deve pensare che si pecca anche contro le persone che appartengono a Dio.

Leggiamo infatti che Dio disse ciò ad Abimelech a proposito di Sara: Per questo ti ho preservato dal peccare contro di me. ( Gen 20,6 )

D'altronde peccare al Signore, o meglio aver peccato al Signore - salvo che per caso si trovi in qualche passo della Scrittura qualcosa che sia contrario a questo senso - mi pare sia detto giustamente di coloro che non fanno con spirito di fede penitenza dei loro peccati al fine di dar gloria al Signore che li perdona.

Ecco perché Davide, indicando il motivo per cui aveva detto: Per te solo ho peccato e ho fatto male al tuo cospetto, soggiunge le seguenti parole: così sarai riconosciuto giusto quando parli e trionferai quando sarai chiamato in giudizio; ( Sal 51,6 ) sia quando Dio dice: Giudicate tra me e la mia vigna, ( Is 5,3 ) sia che ciò s'intenda di Gesù Cristo nostro Signore, l'unico il quale poté dire con assoluta verità: Viene infatti il principe del mondo ma contro di me non ha nulla - cioè nessun peccato meritevole di morte - affinché però il mondo capisca che io amo il Padre e che faccio quello che mi ha comandato il Padre; alzatevi e andiamo via di qui, ( Gv 14,30-31 ) come se dicesse: Anche se il principe del mondo perseguita con il castigo della morte i peccati più lievi, contro di me non ha nulla, ma: alzatevi, andiamo via da qui, cioè perché io vada a soffrire la passione poiché con il soffrire io compio la volontà del Padre mio, non sconto la pena del mio peccato; e l'espressione di Geremia: Per te abbiamo peccato, o speranza d'Israele, è senza dubbio una supplica rivolta al Signore quando uno si pente con la speranza della salvezza derivante dal perdono.

Anche la frase: Guarisci l'anima mia, poiché ho peccato per te il fine che si propone è lo stesso, che Dio sia glorificato per il suo perdono, poiché grande è la sua misericordia verso coloro che confessano i loro peccati e tornano a lui che dice di non volere la morte del peccatore, ma che si converta e viva. ( Ez 33,11 )

Ecco perché anche Davide, non solo nel Salmo ma anche allorquando Dio lo rimproverò per mezzo del Profeta, non senza la speranza del perdono da parte del Signore, rispose: Ho peccato contro il Signore. ( 2 Sam 12,13 )

Poiché la persona che si mette sotto la mano di un medico per essere guarita è vista dal medico sotto l'aspetto di un ferito perché si produca in essa tutto l'effetto della medicina.

Ora in questo cantico il Profeta prevedeva che ci sarebbero stati alcuni che avrebbero peccato offendendo Dio con le loro iniquità sì gravi, che non avrebbero voluto neppure far penitenza e tornare a Dio per essere guariti.

Di costoro anche in un altro passo è detto: Poiché sono carne, un soffio che passa e non ritorna. ( Sal 78,39 )

La frase: peccarono non per lui si può intendere anche nel senso che con il loro peccato non recarono danno a lui ma a se stessi.

56. ( Dt 33,1-5 ) La benedizione con cui Mosè benedisse i figli di Israele

Ed ecco la benedizione con cui Mosè, uomo di Dio, benedisse i figli di Israele prima della sua morte.

Ed egli disse: Dio è venuto dal Sinai e rifulse per noi da Seir; e si è affrettato da Paran con molte migliaia di Cades, alla sua destra degli angeli con lui.

Ed ebbe pietà del suo popolo e tutti i consacrati sono sotto le sue mani e tutti questi sono sotto di te.

E ricevette dalle sue parole la legge che Mosè ci diede come comandamento, eredità per le assemblee di Giacobbe.

E ci sarà presso il beneamato un capo, una volta riuniti i capi dei popoli con le tribù d'Israele.

Non bisogna passare sopra con indifferenza a questa profezia, poiché questa benedizione riguarda il popolo nuovo, santificato da Cristo nostro Signore in persona del quale queste cose sono dette da Mosè, ma non nella persona dello stesso Mosè, come appare evidente da quanto si dice in seguito.

Se infatti è detto: Il Signore è venuto dal Sinai per il fatto che la legge fu data sul monte Sinai, che cosa vuol dire ciò che segue: e risplendette a noi da Seir essendo un monte dell'Idumea, ove era stato re Esaù?

D'altra parte, siccome con queste parole Mosè benedice i figli d'Israele, come la Scrittura aveva predetto, come mai lo stesso Mosè dice: e ricevette dalle sue parole la legge che Mosè ci ha dato in comandamento?

Si tratta dunque senza dubbio - come abbiamo detto - di una profezia, che prediceva il popolo nuovo santificato dalla grazia denotato con il nome di " figli d'Israele ", poiché esso è discendente di Abramo, sono cioè figli della promessa ( Rm 9,8 ) e significa: [ Lo spirito ] " che vede Dio ".7

Di conseguenza come Signore, che venne dal Sinai, dobbiamo intendere Cristo, poiché Sinai vuol dire " prova ".8

Cristo venne dalla prova della Passione, della Croce e della morte e rifulse per noi da Seir. Seir significa " villoso ",9 che simboleggia il peccatore; così infatti era nato Esaù, ( Gen 25,25 ) l'" odiato ". ( Ml 1,3; Rm 9,13 )

Ma poiché a coloro che abitavano nelle tenebre e nell'ombra della morte sorse un grande splendore, ( Is 9,2 ) perciò rifulse da Seir.

Allo stesso tempo non è irragionevole intendere anche che fu predetto che la grazia di Cristo sarebbe venuta al popolo israelitico dai pagani che sono simboleggiati nel nome Seir, poiché è un monte appartenente a Esaù.

L'Apostolo perciò dice: Così anch'essi adesso sono increduli per la misericordia usata [da Dio] verso di voi affinché ottengano misericordia anch'essi. ( Rm 11,31 )

Essi dunque dicono: [ Il Signore ] ci è apparso nel suo fulgore da Seir.

E si è affrettato dal monte Faran - cioè dal monte abbondante di frutti, poiché questo è il significato di Faran, che è il simbolo della Chiesa - con molte migliaia di Cades.

Cades poi significa: " mutata " e " santità ".

Molte migliaia di persone si sono quindi cambiate e si sono santificate mediante la grazia: con esse venne Cristo per riunire poi gli Israeliti.

Il testo continua dicendo: alla sua destra gli angeli con lui; questa espressione non ha bisogno d'essere spiegata.

E concesse il perdono al suo popolo, dice la Scrittura, accordandogli la remissione dei peccati.

Il testo sacro rivolge quindi la parola al popolo e dice: E tutti i santificati sono sotto le tue mani e sono sotto di te, naturalmente senza montare in superbia e senza volere stabilire una loro propria giustizia, ma riconoscendo la grazia per sottomettersi alla giustizia di Dio. ( Rm 10,3 )

E dalle sue parole - dice il testo sacro - ricevette la legge; la ricevette naturalmente il popolo, del quale la Scrittura dice: e concesse il perdono al suo popolo.

Dalle sue parole ricevette dunque la legge, che - dice il testo - Mosè ci ordinò [ di osservare ]; vale a dire: il suo popolo ricevette dalle sue parole la legge in quanto dal suo insegnamento intese la legge che Mosè ci prescrisse.

Poiché lo stesso Cristo disse nel Vangelo: Se credereste a Mosè credereste anche a me, poiché egli scrisse di me. ( Gv 5,46 )

Il popolo ebraico non ricevette una legge che non capì, ma la ricevette quando, rimosso [ dal loro cuore ] il velo antico e convertitosi al Signore, la intese dalle parole di Cristo.

La Scrittura dice che questa legge è l'eredità per le assemblee di Giacobbe e deve intendersi come legge non terrena, ma celeste, non temporanea, ma eterna.

E presso il beneamato ci sarà - dice il testo sacro - un capo; naturalmente il capo che sarà nel popolo amato è Gesù, nostro Signore, una volta che saranno riuniti i capi dei popoli - cioè dei pagani - insieme con le tribù d'Israele, affinché si adempia ciò che più sopra la Scrittura dice: Rallegratevi, o pagani insieme con il suo popolo, poiché una parte d'Israele è avvolta nella sua cecità fino a quando non sarà entrato [ nella salvezza ] tutto il resto dei pagani e così tutto Israele sarà salvato. ( Rm 15,10; Rm 11,25-26 )

57. ( Dt 33,17 ) La benedizione di Giuseppe

Mosè nel benedire Giuseppe, tra l'altro disse: primogenito del toro la sua bellezza.

Questa espressione non si deve leggere come se fosse detto: primogenito del toro, ma: essendo il primogenito la sua bellezza è quella del toro; l'espressione, a causa dei due corni della croce, va intesa come una prefigurazione del Signore.

Indice

5 Quest. 2,71,4
6 De Cons. Ev. 2,3
7 Girolamo, Lib. interpr. hebr. nom.: CC 72, p. 75
8 Girolamo, ibid. p. 88
9 Girolamo, ibid. p. 72