Vita di Mosé

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Al di là delle passioni

I danni dell'invidia

Dopo questi fatti, i suoi fratelli ebbero invidia di lui.

L'invidia è una passione violenta, fonte di morte, prima apparizione del peccato, radice del male, generatrice di dolore, madre di ogni disgrazia, causa di disobbedienza, inizio di vergogna.

Fu l'invidia che ci scacciò dal paradiso, trasformandosi in serpente ai danni di Eva.

Essa ci allontanò dall'albero della vita e, dopo averci spogliati delle sacre vesti, ci ridusse alla vergogna delle foglie di fico.75

L'invidia, violentando la natura, armò la mano di Caino.

Fu essa a suggerire di uccidere sette persone per vendicare la morte di una sola.

L'invidia fece Giuseppe schiavo.

Essa è pungolo mortale, arma nascosta, malattia della natura, dardo avvelenato, distruzione volontaria, dolorosa ferita, chiodo dell'anima,76 fuoco interiore, fiamma che arde nelle viscere.

Per essa costituisce disgrazia non il proprio male, ma il bene altrui, costituisce successo non il proprio bene, ma il male degli altri.

È invidia rattristarci delle prosperità altrui e macchinare contro la loro fortuna.

Dicono che gli avvoltoi siano uccisi dal lezzo dei cadaveri di cui si cibano e si trovino a loro agio nel marciume.

Anche chi è posseduto da questa malattia si sente nauseato del benessere dei suoi vicini come per un cattivo odore e quando s'accorge che, per qualche disgrazia, essi sono nella sofferenza, si precipita a volo sopra di essa, per frugare col becco fin nel suo fondo

Molti, anche prima di Mosè, furono vittime dell'invidia, ma quando essa volle gettarsi contro questo grande, si infranse come vaso di terracotta scagliato contro una pietra.

In lui soprattutto si riconobbe quanto è grande il vantaggio di chi sta dietro al Signore, conduce la corsa nel luogo divino eppure sta fermo sulla roccia, trovandosi così difeso e protetto dalla mano di Dio.

Mosè, venendo dietro ai passi della sua guida, ne vede il dorso non la faccia.

Se il dardo dell'invidia non riesce a raggiungerlo,77 ciò significa che egli ha raggiunto la felicità, andando dietro al Signore.

Anche se l'invidia lancia contro di lui le sue frecce, egli si trova troppo in alto perché esse possano colpirlo.

La malignità altrui fu come la corda di un arco, ma troppo sottile e debole per giungere a contaminare anche lui della medesima malattia.

Aronne e Maria subirono invece le ferite dell'invidia e si misero a scagliare contro di lui parole ostili, ma egli rimase tanto immune da quella malattia che poté curarne le vittime.

Poiché non si lasciò impressionare dall'animosità dei suoi avversari, ma supplicò il Signore in loro favore, egli ci mostra che l'uomo difeso dallo scudo della virtù, non può più essere ferito da colpi di lance.

La punta della lancia finisce per piegarsi quando viene a incontrare questo scudo resistente, che è Dio stesso.

Di esso si riveste il combattente della virtù e da esso è difeso contro i colpi delle lance.

Dice la Scrittura: « Rivestitevi del Signore Gesù Cristo » ( Rm 13,14 ), ossia di quella forte armatura di cui si cinse Mosè per rendere impotente l'arciere malvagio.

Quelli che volevano farlo soffrire con gli assalti dell'invidia neppure riuscirono a sfiorano.

Ma egli non fu dimentico dei doveri di giustizia impostigli dai legami di natura e supplicò Dio in favore dei suoi fratelli, che già erano stati giustamente condannati.

Ciò non avrebbe potuto fare, se non si fosse messo dietro a Dio, che gli mostrava il suo dorso per guidano con sicurezza nella via della virtù.

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75 A queste vesti sacre di cui erano rivestiti Adamo ed Eva si fa cenno anche nel commento sul Cantico ( PG 35,1005 B ) e nelle omelie De Oratione dominica ( PG 35,1143 B ).
Ad esse si contrappongono non le tuniche di pelle di Gen 4,21, ma le foglie di fico di Gen 3,7.
76 L'immagine del chiodo viene dal Fedone di Platone ( Fedone 83 B ).
77 Mosè ha raggiunto la perfetta impassibilità, che rappresentava l'ideale più perfetto del sapiente secondo la filosofia stoica.