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Vita di Mosé |
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Nei fatti successivi la legge ci insegna che il sacerdozio è cosa divina, non umana.
Mosè fa mettere delle verghe davanti all'altare e incide su ciascuna il nome delle rispettive tribù.
Una delle verghe, per intervento miracoloso, dimostrò che era stato Dio a scegliere il Sommo Sacerdote.
Le altre infatti rimasero quali erano ma quella del Sommo Sacerdote miracolosamente mise da sé radici e sbocciò in rami e frutti, non già per effetto di rugiada scesa dall'alto ma per una forza divina, che portò il frutto a maturazione.
Messi davanti a questo portento, i sudditi appresero a vivere in buon ordine.
Il frutto prodotto dalla verga di Aronne ci fa pensare ai caratteri che deve avere la vita del sacerdote.
Essa deve apparire austera, dura e scabra all'esterno ma possedere internamente, nel segreto e nell'oscurità, un cibo saporoso.
Questo cibo viene portato alla luce quando ha raggiunto, col tempo, la maturazione e allora si rompe l'involucro legnoso che lo racchiude.
Se tu venissi a sapere di qualche sacerdote che conduce una vita agiata, usa profumi, ha una carnagione rosea, come quella delle persone che vestono di lino e di porpora, ingrassa in continui banchetti, beve vino di qualità, si unge con unguenti finissimi e si circonda di tutte le comodità care ai gaudenti, a buon diritto potrai ripetere nei suoi riguardi le parole del Vangelo: « Se guardo il frutto, non riconosco l'albero sacerdotale ».
Il frutto del sacerdozio è l'austerità, non la spensieratezza e il frutto dell'austerità non giunge a maturazione in virtù dell'umidità naturale del terreno.
Le soddisfazioni del sacerdote dalla vita spensierata scorrono in lui come ruscelli, che un giorno tingeranno di rosso il raccolto della sua vita.
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