Il paradosso delle Beatitudini

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Il problema della radicalità nel quotidiano

di Teresa Legrottaglie

Per parlare del problema della radicalità nel quotidiano è opportuno innanzitutto analizzare i termini in questione, per cogliere il loro significato autentico, tenendo conto anche del contesto in cui ci muoviamo.

Secondo il vocabolario italiano Zingarelli, il termine « radicalismo » indica l'atteggiamento intellettuale di chi affronta le questioni risolutamente ed è portato a riformare dalle fondamenta.

Radicale risulta quindi ciò che è attinente alla radice, che apporta mutamenti e trasformazioni sostanziali, dalla radice.

Quali valori assumono allora questi termini quando il loro contesto è quello evangelico?

Che vuoi dire per il Vangelo trasformare dalla radice?

E inoltre, è possibile assumere un tale atteggiamento totale, energico, efficace nelle situazioni di vita che ci toccano ogni giorno?

Le radici della vita secondo il Vangelo

Cominciamo col dire che manifesto del radicalismo cristiano può essere considerato proprio il Discorso della Montagna: ad esso dobbiamo perciò guardare per recuperare le radici del vivere secondo il Vangelo.

« Il messaggio ivi proposto appare di una sublimità davvero sconcertante: la risposta alla violenza con la mitezza, la proibizione della vendetta, la proposta della povertà evangelica, l'amore universale che abbraccia anche nemici e persecutori, esigono autentico eroismo.

Chi legge queste pagine si sente interpellato a un impegno serio per vivere secondo una logica che può cambiare l'esistenza degli individui e trasformare la nostra società, rendendola meno ingiusta e violenta, anzi può « far spuntare sulla terra il fiore dell'amore, della pace e dell'autentica libertà ».1

Se questo è vero, quanto è grande la responsabilità di noi cristiani: abbiamo in mano la chiave della convivenza pacifica tra i popoli, e forse della stessa felicità degli uomini, e ce la lasciamo sfuggire!

Il fatto è che a livello intellettuale tutti siamo convinti e affascinati dalla portata esistenziale e universale di questo messaggio, probabilmente in molti siamo disposti ad annunciarlo, perché altri si lascino attrarre dall'itinerario di vita in esso proposto, ma quanto siamo disponibili a lasciarci mettere in discussione dall'incontro con Gesù e con la sua Parola?

Quanto spazio gli lasciamo nella nostra giornata?

Quanto le nostre scelte quotidiane sono motivate e sostenute dalla logica del Vangelo?

Eppure l'invito è chiaro: « Siate di quelli che mettono in pratica la parola e non soltanto ascoltatori, illudendo voi stessi » ( Gc 1,22 ).

Infatti: « si può udire la parola di Dio senza ascoltarla, la si può ascoltare senza accoglierla, la si può accogliere senza incarnarla nella vita ».2

E invece: « mia madre e i miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica ».

« Ascoltano … mettono in pratica … » tutti verbi usati al presente, forse perché è proprio nell'oggi che si gioca la nostra credibilità.

Verrebbe da chiedersi: quale valore ha l'oggi per noi?

È il tempo della rivelazione di Dio, dell'azione dello Spirito Santo, dell'invito a rispondere all'Amore con l'amore?

La nostra giornata, ogni nostra giornata è solo una data indicata dal calendario, oppure ogni ora della nostra esistenza racchiude in sé il mistero dell'amore che si dona e che chiede di essere ascoltato e donato a sua volta?

Imparate da me …

Abbiamo mai provato a mettere in pratica parole come queste: « Venite a me … imparate da me che sono mite e umile di cuore e troverete il riposo per le vostre anime » ( Mt 11,28-30 ).

E ancora: « Vi esorto a camminare in maniera degna della vocazione che avete ricevuto, con ogni umiltà e mitezza, con pazienza … » ( Ef 4,1-2 )

Infine: « Rivestitevi di sentimenti di tenera compassione, di bontà, di umiltà, di mitezza … sopportandovi a vicenda e perdonandovi scambievolmente … » ( Col 3,12-13 ).

Se lo abbiamo fatto, certamente abbiamo avvertito dentro di noi un profondo senso di libertà, di serenità, di gioia, oltre alla chiara percezione che è possibile disinnescare quelle bombe che esplodono in famiglia, nell'ambiente di lavoro, nel mondo ecclesiale, nella vita sociale e politica, quando assolutizziamo idee e posizioni, vedendole come le uniche possibili, precludendo così la via al dialogo, un dialogo sincero, sereno, costruttivo.

Infatti « la mitezza è il volto delicatamente umile, paziente, benevolo, della carità evangelica ».3

È l'atteggiamento di chi, profondamente toccato dall'amore del Signore, si pone con delicatezza e attenzione nei confronti degli altri, fino a comprenderne limiti e debolezze.

« Siate misericordiosi … »

Come rispondere concretamente a questo invito?

Cominciando col leggere la propria vita sotto il profilo della misericordia con cui Dio ci ha amati, lasciandoci toccare dalla gratuità del suo amore infinito, vivendo nel profondo la gratitudine per il perdono tante volte ricevuto.

Di qui il bisogno di accoglienza verso ogni persona, una accoglienza che nasce dentro, prima di esprimersi in gesti e parole.

« Siamo stati cementati nella carità - scrive san Paolino da Nola - perché mediante la rivelazione dello Spirito, ci conoscessimo a vicenda ancor prima di vederci ».4

E al momento dell'incontro, l'accoglienza si fa ascolto rispettoso della « vita » per coglierne i bisogni più profondi e far venire fuori « la verità », al di là di ogni apparenza.

Un ascolto che si fa dialogo, aiuto reciproco, condivisione, impegno, amicizia.

Ci vengono in mente a questo punto i nostri incontri anonimi e frettolosi, fatti di parole vuote che guardano all'esterno delle cose e delle persone e non creano relazioni vere e significative, capaci di sostenere nelle difficoltà, di far sentire la gioia di amare e di essere amati.

In una pubblicazione riguardante Annida Barelli leggiamo che ella « amava le creature con tutti i doni che Dio le aveva dato: con la sua viva intelligenza, la sua forte volontà, il suo grande cuore pieno di comprensione e tenerezza.

Le amava personalmente, non con il rigido amore della volontà che considera il prossimo come una folla senza volto (una massa verso cui tutti i doveri si esauriscono in una qualsiasi attività di apostolato collettivo o in una preghiera convenzionale ) ma amava ciascuno individualmente con i suoi pregi e i suoi difetti, con i suoi bisogni spirituali e temporali, le sue difficoltà, i suoi dolori, i suoi pericoli ».5

Così vive chi prende sul serio la Parola di Dio: « Ho avuto fame, ho avuto sete … ero ignudo … malato … carcerato … » ( Mt 25,35-44 ).

E noi come ci poniamo di fronte a questi bisogni?

Dimentichiamo la fame dei poveri quando organizziamo le nostre feste intorno ai molteplici piatti colmi di cibi prelibati che mandiamo indietro per metà, non potendoli consumare in così grande quantità?

Perché non viviamo con sobrietà e diamo alle nostre feste il senso del vivere insieme per condividere ciò che siamo, oltre ciò che abbiamo, per volerci bene al punto da andare incontro a chi è povero e solo?

« Due indù, due giorni dopo la loro festa di nozze consegnarono a Madre Teresa di Calcutta una grande quantità di denaro, dicendo: abbiamo rinunciato al pranzo di nozze e ai vestiti sfarzosi … ci amiamo tanto che abbiamo voluto condividere la gioia dell'amore con quelli che voi servite ».

« Oggi, - dice Madre Teresa - non c'è solo fame di un pezzo di pane. C'è fame di amore.

Non c'è solo nudità di vestiti. Nudità è anche la perdita della dignità umana, della stima degli altri.

Lo sfratto non è solo essere cacciato da una casa di mattoni.

Lo sfratto è sentirsi rifiutati, non amati, indesiderati.

Sono molte le persone che chiamiamo emarginate, che non si sentono amate, che sono soffocate dalla paura, che si trovano totalmente isolate ».6

Se cominciassimo ad amarci veramente non ci sarebbero più feti abbandonati nel cassonetto della spazzatura, o ragazze violentate sotto gli sguardi indifferenti dei passanti, né bambini usati per i facili guadagni degli adulti, né giovani che decidono di togliersi la vita.

Ma come diventeremo capaci di amare, senza una intensa vita di preghiera?

Infatti: « La preghiera genera un cuore puro. E un cuore puro è in grado di vedere Dio.

E se siamo capaci di vedere Dio gli uni negli altri, ci ameremo reciprocamente nello stesso modo in cui Dio ama ognuno di noi.

Poiché frutto della preghiera è una profonda vita di fede, frutto della fede è l'amore, frutto dell'amore è il servizio, frutto del servizio è la pace, e i gesti d'amore sono gesti di pace ».7

« La pace non è utopia … »8

La pace è il bisognò più profondo dell'umanità e chi vuol vivere secondo il Vangelo non può fare a meno di impegnarsi, di pregare, di agire perché questo « sogno » si realizzi.

Ma come fare per essere « operatori di pace » oggi, quando sembra che ad ogni tentativo di pace riuscito, corrispondano mille propositi di guerra attuati?

Oggi quando ci si sente impotenti di fronte ai conflitti che affliggono e distruggono intere popolazioni?

Stiamo parlando dell'impegno di « promuovere la pace », e non solo di essere « pacifici », che è pure un imperativo evangelico.

« Infatti gli operatori di pace non sono semplicemente coloro che vivono in pace con tutti, non provocano liti e divisioni, ma persone che amano la pace a tal punto che non temono di compromettere la loro tranquillità personale, intervenendo attivamente nei conflitti, pagando di persona, in vista di fare la pace, laddove questo valore è assente o minacciato » .9

Non ha fatto così Giorgio La Pira, « il sindaco di Firenze », il « venditore di speranza », come amava definirsi, quando ha incontrato Maometto v, Hassan II, Hussein, Golda Meir, il Soviet supremo, Ho Chi-Minh per trovare con loro strategie che parlassero al « realismo della pace »?

O quando ha invitato a Firenze capi di Stato e di Governo per approfondire studi e ricerche volte ad « abbattere i muri e costruire i ponti »?

O infine quando ha scritto lettere ai Papi, ha inviato messaggi e telegrammi, ha chiesto ai monasteri di clausura di pregare « per stendere un ponte tra storia e preghiera »?

E noi? Se per noi amare è perdonare, non giudicare, essere benevoli e pronti ad andare incontro a chi è in difficoltà, non è ugualmente importante aiutare a riconciliarsi coloro che sono divisi da conflitti e rancori ( magari per motivi di poco conto ), cercando tutti i modi possibili ( e talvolta anche quelli impossibili ) perché ritrovino la gioia di amarsi e sentirsi fratelli?

L'abbiamo fatta questa esperienza? Sentiamo la portata universale di ogni gesto di riconciliazione?

Naturalmente siamo consapevoli che non con le belle parole si può costruire la pace.

Gesù Cristo che è venuto essenzialmente per operare la riconciliazione dell'uomo con Dio, con se stesso, con gli altri e col cosmo intero questa pace l'ha ottenuta per mezzo della croce, non ricambiando male per male, ma benedicendo, amando, fino al dono totale di sé. ( Ef 2,14-16 )

Per noi la strada è la stessa: è quella del perdono, dell'amore totale e disinteressato, anche se questo chiede di liberare il proprio io dal possesso, di non lasciarsi guidare dall'orgoglio, di mettere da parte le proprie ragioni affinché la verità e il bene trionfino.

Francesco d'Assisi nella Lettera ad un ministro scrive: « In questo voglio conoscere se tu ami il Signore: … non ci sia alcun frate al mondo, che abbia peccato quanto è possibile peccare, che, dopo aver visto i tuoi occhi, non se ne torni via senza il tuo perdono, se egli lo chiedesse, e se non chiedesse perdono, chiedi tu a lui se vuol essere perdonato ».10

Che grande liberazione a vivere un progetto di vita così!

Caduti tutti i muri, dentro e fuori, si è liberi di abbracciare il mondo intero!

Allora la nostra partecipazione alla « grande preghiera » della Chiesa per la pace, cui Giovanni Paolo il ha invitato tutti i cristiani, diventa sincera, profonda e incessante.

Ci sembra di capire a questo punto, che il progetto di vita che ci pone alla sequela di Cristo in modo radicale, comprende tutti gli atteggiamenti indicati nel « Discorso della Montagna », ma che forse, basterebbe viverne uno fino in fondo, per viverli tutti insieme.

Infatti come potremmo essere operatori di pace senza perdonare, come essere giusti senza soccorrere chi è nel bisogno, come soccorrere se non accogliendo gratuitamente chiunque, e soprattutto coloro che « non ci hanno fatto del bene »?

Siate sinceri!

Nella stessa logica è l'invito ad essere « puri di cuore », ad essere cioè coloro che cercano in sincerità e autenticità il volto di Dio.

È evidente che l'autenticità si oppone all'ipocrisia, alla doppiezza, alla falsità.

Dio non accetta il culto di chi pretende onorarlo con le labbra mentre il suo cuore è lontano da lui, né condivide le nostre ambiguità: « Sia il vostro linguaggio: sì, sì, no, no … ».

A volte invece noi diciamo delle parole che manifestano il contrario di quello che pensiamo, a volte agiamo diversamente da quello che diciamo, e non ci rendiamo conto di quanto questo nostro modo di essere sia lontano dalla linea del Vangelo, e comprometta l'accoglienza stessa della fede in coloro che sono alla ricerca della « Verità ».

E invece come sono disarmanti i gesti e le parole di coloro che si abbandonano fiduciosi nelle mani di Dio, che pongono nel suo cuore ogni loro preoccupazione!

Chi ha avuto la possibilità di conoscere l'esperienza umana e spirituale di Benedetta Bianchi Porro, per esempio, ha avvertito la forza irresistibile del suo messaggio, e si è sentito attratto dall'Amore di Dio che in essa palpitava.

Sorda, totalmente paralizzata, priva di ogni facoltà sensitiva, infine cieca, ha vissuto il dolore come mistero d'amore e di speranza.

Scrive ad un'amica: « Non so abituarmi, come vorrei, a vivere felicemente nel buio, nell'attesa di una Luce più viva e più calda del sole! Ma Dio mi aiuterà, perché sa che io esisto! ».11 e ad un giovane che soffriva per una grave malformazione parla di sé e lo invita a non sentirsi solo e a fidarsi di Dio: « … anch'io come te sono inferma da tempo … però so che in fondo alla via Gesù mi aspetta.

Prima nella poltrona, ora nel letto, che è la mia dimora, ho trovato una sapienza più grande di quella degli uomini.

Ho trovato che Dio esiste ed è amore, felicità, gioia, certezza, fino alla consumazione dei secoli ».12

Chi vive di fede, evangelizza con la vita prima ancora che con la parola.

Quale itinerario formativo?

Ci siamo resi conto cammin facendo che l'attuazione di un tale progetto di vita chiede un esigente itinerario formativo volto alla conversione del cuore, per una testimonianza d'amore ed un annuncio credibile da dare oggi, nei vari « areopaghi » moderni.

Un itinerario che parte dall'« incontro » con la Parola, la « Parola fatta carne » in Gesù, e quella « detta » dalla vita degli uomini da Lui amati; passa attraverso l'esperienza del sacramento della riconciliazione e si fa perdono ricevuto e donato; diventa preghiera intensa con la Chiesa, col creato, con tutta l'umanità in cammino verso « cieli nuovi e terre nuove »; celebra l'Amore nel « pane spezzato e nel sangue versato » e si fa pane e tenerezza da donare a tutti e soprattutto ai più « poveri ».

Allora diventa vero anche per noi quello che Giovanni ci dice nella prima lettera: « … ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita … noi lo annunziamo anche a voi perché anche voi siate in comunione con noi » ( 1 Gv 1-3 ).

A queste condizioni, la radicalità da vivere negli avvenimenti e nelle situazioni di ogni giorno, non è un problema, ma una esigenza, un bisogno profondo, una testimonianza doverosa da rendere ai nostri fratelli che a volte fanno fatica a credere all'Amore.

All'inizio di questo nostro cammino ci siamo posti una domanda: è possibile vivere in modo radicale il Vangelo nelle situazioni di vita di ogni giorno?

Nel corso della riflessione le testimonianze di alcuni uomini e donne, come Armida Barelli, Giorgio La Pira, Madre Teresa di Calcutta, Benedetta Bianchi Porro ci hanno mostrato che è possibile lasciarsi afferrare totalmente dall'amore di Dio ed amare appassionatamente il mondo, gli uomini, ogni creatura, esprimendo con semplicità e gioia la propria fede.

Anche in noi perciò appare chiaro che vivere il Vangelo è possibile, anzi è l'unico modo per vivere in « novità e pienezza » la nostra esistenza, e dare compimento all'invito del Signore: « Risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli » ( Mt 5,16 ).

Indice

1 S. A. Panimolle, Il Discorso della Montagna, p. 5
2 Dal « Calendario del Patrono d'Italia 1994 », domenica 28 agosto
3 Dizionario di Spiritualità dei Laici, p. 71
4 Dalle Lettere di san Paolino da Nola, vescovo
5 Causa dell'Archidiocesi di Milano. Beatificazione e canonizzazione della serva di Dio A. Barelli, art. 164 in A. Barelli, Una proposta di impegno e di santità, Roma 1993
6 J. Louis Gonzales-Balado, I Fioretti di Madre Teresa di Calcutta. Ed. Paoline, p. 172
7 J. Louis Gonzales-Balado, I Fioretti di Madre Teresa di Calcutta. Ed. Paoline, p. 172
8 Giovanni Paolo II, Zagabria 11.9.1994
9 Dizionario di Spiritualità del Laici, Edizioni O.R., p. 73
10 Fonti Francescane, 235
11 Il Volto della Speranza, Ed. Massimo, p. 139
12 Ibid., p.236