Summa Teologica - I

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Il soggetto della teologia

Quando vuole esprimere da specialista il ruolo che gioca la realtà divina nell'elaborazione del suo sapere, Tommaso parla di Dio come « soggetto » della teologia.

Nella enumerazione successiva delle principali qualità della teologia, fin dalle prime pagine della Somma, egli si chiede come essa si distingua da tutte le altre branche del sapere, cioè quale sia la sua differenza specifica.

Una parola gli basta, ma occorre comprenderla bene: Dio è il « soggetto » di questa scienza: « Nella sacra doctrina - scrive -, tutte le cose sono considerate dal punto di vista di Dio: o si prende in considerazione Dio stesso, oppure le cose in quanto sono riferite a Dio come a loro principio o loro fine.

Risulta che Dio è davvero il soggetto di questa scienza ».22

Con questa risposta apparentemente semplice ed evidente, Tommaso prendeva una posizione del tutto originale tra i suoi contemporanei.

Mentre Pietro Lombardo, seguendo sant'Agostino, vedeva nell'opposizione tra la lettera della Scrittura e la realtà da essa significata ( res e signa ) la materia della teologia, mentre Ugo di San Vittore la situava nell'opera della redenzione, e mentre i maestri francescani, tra cui Bonaventura, la indicavano piuttosto in Cristo e nella Chiesa, Tommaso ammette senza difficoltà che in teologia si parla di tutto ciò, ma si rifiuta di individuare in ciò il suo soggetto proprio.

Questi diversi punti di vista descrivono soltanto la realtà; egli la vuole invece spiegare.

E molto più ambizioso, ma è proprio quanto si propone di realizzare facendo di Dio stesso il soggetto di questa scienza così singolare.

I suoi discepoli non si sono ingannati, e già a partire dalla prima generazione ne faranno una delle loro tesi favorite.

Noi incontriamo delle difficoltà nel capire perché questo punto sia così importante, dato che i linguaggi filosofici di oggi impiegano piuttosto la parola « oggetto » là dove Tommaso parla di « soggetto ».

Anche se ci addentriamo in una spiegazione un po' difficile, non possiamo qui accontentarci di questa equivalenza approssimativa se non vogliamo cadere in una confusione del tutto dannosa.

Per capirlo basta precisare quel che significa la nozione di soggetto nella prospettiva aristotelica di Tommaso e ricordare a cosa conduce il suo oblio.

Il « soggetto » è la realtà extramentale che la scienza cerca di conoscere; tutto sommato essa non ha altri scopi che quello di conoscere il suo soggetto.

Ma questa realtà esterna non sarà conosciuta se non nella misura in cui il conoscente potrà appropriarsene interiormente e farla esistere nella sua intelligenza.

Ciò è reso possibile tramite le idee, che formiamo a partire dalla realtà e che chiamiamo « concetti ».

Essi costituiscono tante prese di intelligenza sulla realtà esterna e sono essi che formano « l'oggetto » della scienza.

Tommaso definisce così l'oggetto della scienza come insieme delle conclusioni che giunge a stabilire circa il suo soggetto.

Molto semplice da cogliere, questa prima distinzione tra soggetto e oggetto non è meno fondamentale.

Essa ha il merito di ricordare che la prima realtà conosciuta, l'oggetto, non costituisce il soggetto e dunque non può essere il fine perseguito dal sapere; in rapporto a questo fine non ha che un valore strumentale.

L'oggetto non esprime nemmeno il tutto del soggetto e, di fatto, bisogna moltiplicare i concetti e rapportarli tra di loro con un giudizio di esistenza affinché l'intelligenza sia in grado di esprimere qualcosa del soggetto.

E infine, il conoscente deve spesso constatare una perpetua inadeguatezza tra l'oggetto conosciuto e la realtà da conoscere.

Quando si tratta del sapere di cui Dio è il soggetto, le cose sono ancora più chiare.

Un vero teologo non può mai dimenticare che il soggetto del suo sapere, il fine che persegue, è la conoscenza del Dio vivente della storia della salvezza.

Ed è qui che si può, senza giocare troppo sul senso della parola « soggetto », ritrovare l'accezione del linguaggio contemporaneo.

Parlare di Dio come « soggetto », vuol dire anche che egli non si riduce ad un « oggetto » - nemmeno all'oggetto mentale puro che il teologo può conoscere.

Un soggetto è una persona che si conosce e che si ama ( dato che si è fatta conoscere e amare ), che si invoca e che si incontra nella preghiera.

La teologia conoscerà una svolta drammatica il giorno in cui, ingannati dalla definizione della scienza come « abito delle conclusioni » e dimentichi della distinzione tra soggetto e oggetto e della sua reale portata, i teologi a partire dal XVI secolo giungeranno ad assegnare come fine al loro sapere non più la conoscenza del suo soggetto, ma quella del suo oggetto: dedurre il maggior numero possibile di conclusioni dalle verità contenute nel deposito della rivelazione.

Questo errore è stato denunciato molto spesso e non è qui il nostro scopo;23 ci basta comprendere che la posizione di Tommaso è completamente diversa.

Certo, egli definisce la teologia come scienza delle conclusioni ( per opposizione ai principi di cui essa non può avere scienza, ma soltanto fede ),24 ma non è questo il fine che le attribuisce; esso consiste senza alcun dubbio nella conoscenza del suo soggetto.25

È innanzitutto questo dunque che san Tommaso vuole dire quando asserisce che Dio stesso è soggetto della teologia.

Ma ciò significa anche che bisogna risalire fino a lui per trovare la chiave che spiega tutte le altre prospettive troppo spesso unicamente descrittive.

Come la creazione, la redenzione non può essere spiegata al livello dell'opera compiuta; bisogna ricorrere al soggetto che ne ha avuto l'iniziativa, Dio stesso nel suo amore misericordioso.

Ancor meno la Chiesa può spiegarsi da se stessa; occorre « risalire » a Colui che ne è il Capo, il Cristo, ed egli stesso, quanto alla sua umanità, non è che l'inviato del Padre e della Trinità.

In tutto ciò di cui si occupa, il teologo è rinviato incessantemente alla primitiva origine che è l'Amore nella sua fonte trinitaria.

Concretamente, e Tommaso impara la lezione, questo vuol dire che in teologia tutto, assolutamente tutto, deve essere considerato in rapporto a Dio: è da lui che provengono tutte le cose, è verso di lui che si dirigono tutte le creature.

Puramente teorica di primo acchito, questa presa di posizione costituisce quindi una radicale esigenza di ricentrare non soltanto tutto il sapere teologico ma l'intero sforzo dell'uomo, provocato così a rimettere Dio al centro di tutto ciò che può fare, dire e pensare.

Mai nessun mistico ha detto né potrà dire qualcosa di più forte.

Poiché è fin troppo chiaro che se la teologia è così teologalmente centrata, la spiritualità che ne fluisce lo sarà altrettanto.

In secondo luogo, ma non accessoriamente, questa tesi centrale spiega anche alcune qualità della stessa teologia.

Così, il fatto che la teologia sia contemplativa è una conseguenza di questa prima tesi su Dio soggetto della teologia.

Tommaso ci ritorna quando si chiede se la teologia sia una scienza « pratica ».

Formulata in questo modo, la questione potrebbe far sorridere, ma si tratta in effetti di sapere se la teologia può estendersi fino a trattare delle regole dell'agire umano.

Là non ammette dubbi: se, come abbiamo detto, la teologia è effettivamente una partecipazione al sapere che Dio ha di se stesso, allora sarà certamente una scienza pratica, poiché: « è con il medesimo sapere che Dio conosce se stesso e realizza tutto ciò che fa ( ma la teologia, aggiunge Tommaso ) è tuttavia più speculativa ( = contemplativa ) che pratica, perché si occupa più delle realtà divine che degli atti umani.

Essa non tratta degli atti umani se non nella misura in cui è tramite essi che l'uomo si orienta verso la perfetta conoscenza di Dio in cui consiste la beatitudine ».26

Questa è una risposta che colloca Tommaso a parte nella serie dei teorici della scienza teologica: fino a lui se ne parlava certo come di un sapere anche contemplativo, ma in primo luogo essenzialmente ordinato alla realizzazione perfetta della carità.

« Questo sapere è ordinato all'agire », diceva il suo contemporaneo Roberto Kilwardby.

Tommaso, per primo, e già dal suo commento alle Sentenze, lo vede al contrario orientato verso la contemplazione, poiché se è polarizzato da Dio, come abbiamo appena visto, questo orientamento prevale su tutti gli altri e non si tratta evidentemente di una realtà che l'azione umana potrebbe porre in essere.

Dio non è una costruzione dell'uomo, che di lui non può disporre; egli, da noi, non può che essere conosciuto e amato.

È di questo che Tommaso vuol tener conto quando afferma che la teologia deve essere principalmente speculativa.

Questa risposta contiene un altro elemento capitale per il seguito che ci proponiamo.

Essa permette di constatare che Tommaso non conosce la distinzione a noi familiare tra teologia morale e teologia dogmatica - come ignora anche la grande ripartizione del lavoro teologico in teologia positiva e teologia speculativa.

È la medesima e unica sacra doctrina che ingloba tutto questo, come essa ricopre ugualmente, l'abbiamo veduto, i concetti più tardivi di « spiritualità » o « teologia spirituale ».

Se senza esitazione bisogna riconoscere i benefici procurati dalla crescente specializzazione dei differenti campi del sapere teologico, è anche permesso auspicare che coloro che lo praticano abbiano una coscienza sempre più profonda della sua unità fontale.

Per Tommaso la cosa andava da sé ed è proprio questo ciò che riscopriremo presto nella sua grande sintesi del sapere teologico.

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22 I, q. 1, a. 7.
23 Si potrà vedere qui M.-J. CONGAR, Théologie, DTC 15 (1946) 398 e 418-419;
E. SCHILLEBEECKX, Approches théologiques, I. Révélation et théologie, BruxelIes-Paris 1965, pp. 114-118;
C. DUMONT, La reflexion sur la méthode théologique, NRT 83 (1961) 1034-1050 e 84 (1962) 17-35; cf. pp. 1037-1038.
24 Si può vedere per esempio Sent. I, Prol., a. 3, sol. 2 ad 2: «In hac doctrina non acquiritur habitus fidei qui est quasi habitus principiorum; sed acquiritur habitus eorum quae ex eis deducuntur».
25 Sent I, Prol., a. 4: «Subiecti cognitio principaliter intenditur in scientia».
26 I, q. 1, a. 4.