Summa Teologica - I

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Come un'impronta della scienza divina

Al seguito di san Tommaso, è necessario ancora spiegare un'altra tesi, in apparenza molto tecnica, ma di una portata spirituale incontestabile: in teologia la fede gioca il ruolo che l'habitus dei primi principi ha nella nostra conoscenza naturale.

Per capire questo bisogna evidentemente sapere che cos'è un habitus e che cosa sono i « principi » della teologia.

Nella lingua di san Tommaso, habitus ( dal greco hexis ) è una nozione capitale, che non è affatto traducibile con la parola « abitudine », la quale suggerisce piuttosto il contrario.

Mentre l'abitudine è un meccanismo fisso, una « routine », l'habitus costituisce al contrario una capacità inventiva, perfettiva della facoltà in cui esso si radica e a cui conferisce una perfetta libertà nell'esercizio.

L'abilità di un artigiano è un habitus, come l'arte di un dottore o il sapere di uno scienziato.

A metà strada tra la natura e il suo agire, l'habitus costituisce il segno e l'espressione della piena realizzazione di essa.

Dono divino del tutto gratuito, la fede risiede in noi sotto forma di habitus, quindi di uno speciale perfezionamento che sopraeleva la nostra naturale capacità di conoscere all'altezza di un oggetto nuovo, Dio stesso e il mondo delle cose divine.

Forma precisa che la grazia assume nella nostra intelligenza, la fede è anch'essa una partecipazione alla vita di Dio e realizza tra lui e noi una specie di connaturalità che ci rende capaci dì cogliere spontaneamente ciò che risale a Dio.

Quello che chiamiamo il sensus fidei è precisamente questa capacità di comprendere - per così dire - « naturalmente » le cose soprannaturali, come un amico capisce l'amico - senza discorsi.27

È questo che ci spiega la formula di san Tommaso secondo cui la fede è in qualche modo l'habitus che permette di cogliere i principi della teologia;28 e i principi sono le verità prime a partire dalle quali essa sviluppa la sua elaborazione scientifica.

Con il senso dell'essenziale che lo caratterizza, egli identifica questi principi della teologia con gli articoli stesso del Credo e, con il gioco di relazioni tra principi e conclusioni in cui risiede il procedimento scientifico, li riconduce, in ultima analisi, a due verità assolutamente prime: Dio esiste e ci ama.

Non è questa una ricostruzione arbitraria; Tommaso la trova espressa nel versetto della lettera agli Ebrei ( Eb 11,6 ): « Colui che si accosta a Dio deve credere che egli esiste e che egli ricompensa coloro che lo cercano ».

Questi due primi credibilia contengono in sintesi tutto l'insieme della fede: « Nell'essere di Dio è incluso tutto ciò che crediamo esistere eternamente in lui: è la nostra beatitudine; nella fede nella sua provvidenza è incluso tutto ciò che egli ha compiuto nel tempo per la nostra salvezza: è la via alla beatitudine ».29

Si riconosce qui senza esitazione l'antica distinzione dei Padri greci tra la theologia, la parte della teologia che si interessa direttamente della vita intima di Dio, la Trinità delle persone, e l'oikonomia, ciò che Dio ha compiuto nel tempo per salvarci, la storia della salvezza.

Tommaso ne offre, nel testo che segue, una formulazione un po' più tecnica ( il fine e i mezzi ), ma molto vicina alla lettera del Nuovo Testamento: « Appartengono di per sé alla fede quelle cose della cui visione godremo nella vita eterna e per mezzo delle quali ivi siamo condotti.

Due cose saranno allora offerte alla nostra contemplazione: il segreto divino, la cui visione ci rende beati e il mistero dell'umanità di Cristo, per mezzo del quale abbiamo accesso alla gloria dei figli di Dio ( Em 5,2 ).

Come dice infatti san Giovanni ( Gv 17,3 ): « Questa è la vita eterna, che conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo. ».30

Il legame qui stabilito tra la nozione di articolo di fede e la beatitudine finale è sicuramente sorprendente, e Tommaso lo sottolinea volentieri: « Ciò che di per sé appartiene all'oggetto della fede è ciò per cui l'uomo è reso beato ».31

La nozione di principio richiama irresistibilmente quella di fine ed è qui che si rivela compiutamente l'interesse ermeneutico della nozione di articolo di fede-principio della teologia.

Alla luce dei testi richiamati e di numerosi altri, appare chiaramente che l'intelligibilità interna del contenuto della rivelazione è legata alla sua valenza salvifica.

Certo, tutte le verità rivelate hanno valore di salvezza, ma il legame e in fondo la gerarchia che possiamo stabilire tra di esse si ricavano dal loro rapporto con Dio, colto come primo autore e fine sovranamente beatificante della sua creatura.

È dunque la loro identificazione pura e semplice a questo fine o la loro prossimità ad esso più o meno grande che giocano qui un ruolo assolutamente decisivo.32

Così può essere completato ciò che resta da dire a proposito del discorso della scienza.

L'entrare in relazione di una verità-principio con una verità-conclusione non avviene in modo isolato.

La mira del procedimento scientifico è molto più ambiziosa; è l'insieme delle verità rivelate che occorre mettere reciprocamente in relazione in modo tale da ricostruire l'intelligibilità interna del dato rivelato.33

Infine, è intorno ai primi due credibilia che deve organizzarsi il lavoro di spiegazione teologica se esso vuole avere qualche opportunità di cogliere la coerenza interna del piano salvifico di Dio.

La volontà salvifica di Dio non ha certo altra causa all'infuori del suo amore totalmente libero e disinteressato e non si tratta qui di imporle le strutture intelligibili della nostra intelligenza.

Ma, nella convinzione che Dio ha fatto tutto « con misura, calcolo e peso » ( Sap 11,20 ) e che dirige tutte le cose « con ogni sapienza e intelligenza », il teologo si applica a scoprire il rapporto organico che esiste tra le varie opere di Dio: « Dio vuole che una cosa esista in vista di un'altra, ma non per questo la vuole ».34

È la scoperta di queste reciproche relazioni e la loro riconsiderazione in una sintesi il più possibile completa, dove queste saranno situate secondo la loro importanza relativa, che condurrà ad una migliore intelligenza dell'opera e del suo autore, Dio stesso, unico soggetto della sacra doctrina.

È questo ideale che Tommaso esprime con una formula presa dalla tradizione avicenniana e che fa pienamente sua: la scienza non è nient'altro che una « riproduzione nell'anima della realtà conosciuta », poiché la scienza è detta essere l'assimilazione del conoscente al conosciuto.35

Oppure, secondo un'altra formula anch'essa molto eloquente, la struttura del reale è riprodotta nell'intelligenza secondo una organizzazione ragionata ( ordinata aggregatio ) dei concetti delle cose esistenti.36

Il docente che insegna avendo già elaborato per sé questa ricostruzione, è in grado, per questo, di imprimere nell'intelligenza dell'ascoltatore una visione sintetica della realtà che gli vuole comunicare.

Così deve essere spiegata la celebre formula di Tommaso a volte fraintesa: in quanto tale la sacra doctrina è « come un'impronta della scienza divina ».37

Lungi dal reclamare per la teologia un privilegio esorbitante ( dato che ogni scienza umana è in qualche modo partecipazione della scienza divina ), questa formula non è altro che l'espressione esatta della situazione di dipendenza della scienza del teologo rispetto a quella di Dio.

Il privilegio non riguarda la teologia, ma la fede, poiché essa permette di ricevere la rivelazione che Dio offre di se stesso.38

Mettendo così in continuità il nostro sapere con quello che Dio ha di se stesso, la fede rende possibile la nascita e lo sviluppo del sapere teologico.

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27 Cf. III, q. 1, a. 6 ad 3, riguardo ai due modi di giudicare le cose divine.
28 Super Boetium De Trin,, q. 5, a. 4 ad 8: «…fides, quae est quasi habitus principiorum theologi»; cf. ibid, q. 3, a. 1 ad 4, dove è sviluppato più ampiamente il parallelo tra l.intuizione dei principi alla luce della ragione e l.apprensione per fede delle verità soprannaturali; all.obiezione che la teologia non sarebbe una scienza perché priva della certezza più elementare, Tommaso replica che l’habitus che costituisce la luce di fede è più certo non soltanto di qualsivoglia dimostrazione, ma addirittura più dello stesso habitus dei primi principi, il cui funzionamento può essere impedito da infermità del corpo.
29 II-II, q. 1, a.7.
30 II-II, q. 1, a. 8; per il ruolo che il versetto 17, 3 di Giovanni svolge nella costruzione della Summa, vedi I, q. 2 Prol. e III, q. 1 Prol.
31 II-II, q. 2, a. 5: «fidei obiectum per se est id per quod bomo beatus efficitur».
32 Senza dilungarci possiamo segnalare che questo modo di vedere le cose aiuta a capire la raccomandazione del Vaticano TI sulla necessità di tener conto della «gerarchia delle verità della dottrina cattolica nella pratica dell'ecumenismo», cf. Unitatis redintegratio, n. 11; si può vedere a tal proposito Y. CONGAR, On the hierarchia veritatum, «Orientalia christiana analecta» 195 (1973), pp. 409-420;
W. HENN, The Hierarchy of Truths according to Yves Congar O.P., «Anal. Greg. 246», Roma 1987.
33 I redattori del cap. III della Dei Filius al Vaticano I si sono certamente ricordati di queste vedute quando hanno così definito il compito della teologia speculativa: «Quando la ragione illuminata dalla fede ricerca con cura, pietà e moderazione, essa giunge, mediante il dono di Dio, a una certa intelligenza molto fruttuosa dei misteri, sia grazie all'analogia con le cose che conosce naturalmente, sia grazie ai legami che collegano i misteri tra di loro e con il fine ultimo dell'uomo».
34 I, q. 19, a. 3: «Vult ergo [Deus] hoc esse propter hoc, sed non propter hoc vult hoc».
35 De ueritate, q. 11, a. 1 arg. 11: «Scientia nihil aliud est quam descriptio rerum in anima, cum scientia esse dicatur assimilatio scientis ad scitum».
36 SCG I 56 (n. 470): «Habitus [scientiae]… est ordinata aggregatio ipsarum specierum existentium in intellectu non secundum completum actum, sed medio modo inter potentiam et actum».
37 I q. 1, a. 3 ad 2: «Velut quaedam impressio divinae scientiae»
38 D'altronde è a proposito della fede che Tommaso impiega un.espressione molto simile, Super Boetium De Trin., q. 3, a. 1 ad 4: «Lumen… fidei… est quasi quedam sigillatio primae ueritatis in mente , sigillatio è anche usato come equivalente di impressio nel campo del sapere naturale, cf. De ver., q. 2, a. 1 arg. 6 e ad 6 con rinvio ad Algazel.