Summa Teologica - I

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Conoscenza e non conoscenza di Dio

Nel momento in cui fra Tommaso ne tratta, la questione ha già una lunga storia, il cui periodo più recente non è il meno movimentato.

Nel 1241, ossia poco più di dieci anni prima che l'Aquinate cominciasse a insegnare, Guglielmo d'Auvergne, allora vescovo di Parigi, su consiglio dei teologi dell'Università aveva dovuto condannare una tendenza diffusa, che si era affermata fin dall'inizio del secolo, secondo la quale era impossibile, sia per gli angeli che per gli uomini, conoscere Dio nella sua essenza.53

Il vescovo, al contrario, ricordava fermamente che « Dio è veduto nella sua essenza o sostanza dagli angeli e da tutti i santi, e sarà veduto dalle anime glorificate ».54

Di fatto, il pensiero cristiano aveva ereditato dalla Bibbia due affermazioni apparentemente contraddittorie.

San Paolo aveva affermato con forza che Dio « abita una luce inaccessibile [e] che nessuno fra gli uomini lo ha mai visto né può vederlo ».

San Giovanni da parte sua non era stato meno categorico: « Dio, nessuno l'ha mai visto ».55

E tuttavia è lui che ci assicura: « Noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è ».56

Seguendo la loro propria originalità e i diversi contesti in cui si sono sviluppate, le due tradizioni cristiane, d'Oriente e d'Occidente, hanno messo l'accento su l'una o l'altra di queste due affermazioni.

Sotto la spinta di sant'Agostino, in connessione con quella di Gregorio Magno, l'Occidente considera naturale sperare la visione di Dio in patria come il prolungamento di una vita in grazia.

Dio è senza dubbio invisibile per sua natura ai nostri occhi carnali, ma poiché Gesù ha solennemente dichiarato: « Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio » ( Mt 5,8 ), bisogna credere che ciò sia possibile.

Se Dio è detto invisibile, è per significare che non è un corpo, non per interdire ai cuori puri la visione della sua sostanza.57

Per Agostino, l'intera speranza cristiana è polarizzata dalla visione di Dio che si avrà nella patria celeste; e noi abbiamo visto come sulla sua scia Tommaso concepisca lo sforzo teologico nella luce pervasa d'amore di una fede che progredisce verso l'intelligenza.

In questa linea agostiniana i teologi concedono senza difficoltà ai santi, perfino sulla terra, una certa conoscenza dell'essenza divina, del quid est di Dio.58

Viceversa, alle prese con diversi errori di origine più o meno gnostica, in modo particolare con il razionalismo di Eunomio che sottomette Dio alla ragione umana, i Padri greci tendono piuttosto a sottolineare l'invisibilità di Dio e la sua ineffabilità, facendo attenzione a non metterla in pericolo quando commentano la visione faccia a faccia di cui parla il Nuovo Testamento.

Questa tradizione greca penetra in Occidente tramite due vie privilegiate: lo Pseudo-Dionigi da una parte, san Giovanni Damasceno dall'altra.59

Senza entrare nei dettagli, è sufficiente sapere che Giovanni Scoto Eriugena fu all'origine di una spiegazione che tentava di conservare simultaneamente l'eredità di sant'Agostino e quella di Dionigi: Dio sarà visto nella visione beatifica non nella sua essenza, ma tramite le sue manifestazioni, in teofanie.

Questa soluzione non poteva non provocare delle proteste.

Quella di Ugo di San Vittore, già alla fine del XII secolo, è la più lucida e la più ferma: se Dio non è visto che in immagine, allora non si tratta più di beatitudine.60

Tuttavia altri teologi - soprattutto tra i domenicani di Saint-Jacques61 - saranno più sensibili alla profonda religiosità che scaturisce dalla tradizione greca, ed è così che la tesi dell'inconoscibilità di Dio doveva finire per smuovere i garanti dell'ortodossia teologica occidentale fino a provocare, nel 1241, la reazione, in verità un po' pesante, del vescovo di Parigi.62

Preparata da quella del suo maestro sant'Alberto, la soluzione di san Tommaso consisterà nel distinguere accuratamente ciò che appartiene alla conoscenza terrena di Dio e ciò che non può che appartenere alla conoscenza che avremo in patria.

Così, nel 1257, quando nella preparazione del De veritate incontra le autorità maggiori della tradizione greca, Dionigi e Giovanni Damasceno, secondo i quali non si può conoscere il quid est di Dio, egli risponde tranquillamente: « Le parole di Dionigi e del Damasceno vanno intese della visione mediante la quale l'intelletto del viatore vede Dio mediante qualche forma [ intelligibile ].

Dato che questa forma non può che essere inadeguata alla rappresentazione dell'essenza divina, non si può vedere tramite essa l'essenza divina; si sa soltanto che Dio è al di sopra di ciò che di lui viene rappresentato all'intelletto e quindi « ciò che egli è » resta occulto: e questo è il più nobile modo di conoscenza al quale possiamo giungere in questa vita.

E così di lui non conosciamo « ciò che è » ma « ciò che non è ».

[ Tuttavia sarà differente nella patria poiché, secondo la soluzione di sant'Alberto che Tommaso prende e perfeziona, noi non avremo allora nessun bisogno di una forma creata per vedere Dio, è lui che si unirà direttamente all'intelligenza del vedente per essere la sua beatitudine ].

L'essenza divina, in effetti, rappresenta se stessa sufficientemente, per cui quando Dio sarà egli stesso la forma dell'intelletto non si vedrà di lui soltanto « ciò che non è », ma anche « ciò che è ».63

Come è stato bene scritto, « questa trascrizione in categorie aristoteliche del sicuti est ( così come è ) e del videre per speciem ( vedere tramite una forma ) della Scrittura diverrà classica presso i discepoli di san Tommaso; ma nel 1257 essa comportava per il giovane maestro una decisione rilevante, la cui importanza non appare se non dal confronto con i suoi massimi contemporanei ».64

Meno aristotelico, Bonaventura non vedeva inconvenienti nell'affermare che una certa visione del « quid est » sarebbe possibile su questa terra; Alberto, da parte sua, pensava di poter concedere una certa conoscenza confusa dell'essenza o dell'essere di Dio « così come esso è » ( ut est ) senza che ciò costituisse allo stesso tempo una conoscenza del suo « quid est ».65

Cosa a cui Tommaso facilmente replicava nel testo del De veritate appena citato: conoscere l'essenza di una cosa significa conoscere il suo « quid est ».

Il dilemma consisteva dunque nell'accogliere in pieno l'orientamento della tradizione latina ribadito dalla condanna del 1241 e ammettere una certa conoscenza dell'essenza divina, senza cadere nell'ingenua illusione di una conoscenza esaustiva; e nel contempo si trattava di ricevere l'eredità della tradizione greca portatrice di una così profonda attitudine religiosa di rispetto del mistero e della sua trascendenza, senza rinunciare alla speranza nutrita dalla Scrittura di una visione davvero faccia a faccia.

Da una parte è il rischio di una pretesa blasfematoria di sottomettere il segreto di Dio alle prese dell'uomo; dall'altra, quello di cedere allo gnosticismo di fronte a una impersonale trascendenza irraggiungibile e di eliminare dall'esistenza cristiana lo stimolo dell'Incontro finale, in cui la speranza troverà il compimento del suo desiderio infinito.

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53 Tommaso fa più volte allusione a questa condanna; cf. per esempio De veritate q. 8, a. 1; Summa theologiae I, q. 12, a. 1; In Ioannem I, 18, lect. 11, n. 212.
54 Chartularium Universitatis Parisiensis I, n. 128, p. 170: «Deus in sua essentia vel substantia videbitur ab angelis et omnibus sanctis et videtur ab animabus glorificatis»; il documento è del 13 gennaio 1241.
55 1 Tm 6,16; Gv 1,18.
56 1 Gv 3,2; cf. anche Gv 17,3: « Questa è la vita eterna: che conoscano te … ».
57 Agostino, Lettera 147,37 e 48 (a Paolino sulla visione di Dio): PL 33, 613 e 618.
58 Si può vedere a proposito H. -F. DONDAINE, Cognoscere de Deo quid est, RTAM 22 (1955) 72-78, che cita alcuni testi di san Bonaventura, tra cui il seguente che individua nella conoscenza del quid est di Dio come «un genere diversamente realizzato presso tutti gli uomini»: «Il quid est di Dio può essere conosciuto pienamente e perfettamente in modo esaustivo; in questo modo Dio solo può conoscersi.
Esso può anche essere conosciuto in maniera chiara e netta dai beati; o ancora può essere conosciuto in maniera parziale e oscura in quanto Dio è il sovrano e primo Principio di tutto il creato; in questa maniera, per quanto dipende da lui, è conoscibile da tutti», De mysterio Trinitatis, q. 1, a. 1 ad 13 (Opera omnia, t. 5, p. 51 b; tr. it. V/1, p. 249).
59 Questo movimento di penetrazione in Occidente della «luce venuta da Oriente» è stato molto ben descritto da M.-D. CHENU., La théologie au douzième siècle, «Etudes de philosophie médiévale 45», Paris 1957, pp. 274-322: cap. 12: «L.entrée de la théologie grecque», e 13: «Orientale lumen».
60 «Se non si vede sempre che la sola immagine, allora non si vede mai la verità. Poiché l.immagine non è la verità, anche se vi si riferisce.
Che essi ci liberino dunque da queste fantasie tramite le quali si sforzano di offuscare la luce delle nostre intelligenze e che non interpongano più tra Dio e noi gli idoli delle loro invenzioni. Per noi, niente ci può saziare se non Lui e non possiamo fermarci che a Lui» (PL 175, 955A); Tommaso tratta il problema in I, q. 12, a. 2: «Dire che Dio è veduto mediante qualche immagine, equivale a dire che l'essenza di Dio non è veduta affatto» (dicere Deum per similitudinem uideri, est dicere diuinam essentiam non uideri). Si vedrà a tal proposito il nostro studio La vision de Dieu per essentiam selon saint Thomas d’Aquin, «Micrologus» (1997).
61 Sembra sia il caso, tra altri, di Ugo di San Caro, uno dei primi maestri domenicani di Parigi (1230-1235), cf. H.-F. DONDAINE, Hugues de Saint-Cher et la condamnation de 1241, RSPT 33 (1949) 170-174, e del suo confratello Guerrico di San Quintino (1233-1242), predecessore immediato di Alberto, cf. H.-F. DONDAINE - B.-G. GUYOT, Guerric de Saint-Quentin et la condamnation de 1241, RSPT 44 (1960) 225-242;
C. TROTTMANN, Psychosomatique de la vision béatifique selon Guerric de Saint-Quentin, RSPT 78 (1994) 203 -226.
62 Questa storia è stata descritta in modo magistrale da H. -F. DONDAINE, L’objet et le «medium» de la vision béatifique chez les théologiens du XIIIe siècle, RTAIvI 19 (1952) 60-130. Si può vedere anche S. TUGWELL, Albert & Thomas Selected Writings, New York-Mahwah 1988, pp. 39-95, e il riassunto dello stesso autore: La crisi della teologia negativa nel sec. XIII, «Studi» n.s. 1 (1994) 241-242.
63 De veritate, q. 8, a. 1 ad 8.
64 H.F. DONDAINE, Cognoscere de Deo quid est, p. 72.
65 Cf. H.-F. Dondaine, ibid., pp. 72-75; ecco uno dei passaggi di Alberto al quale poteva pensare Tommaso: «Bisogna distinguere tra vedere Dio "così come è" (ut est) e vedere il quid est di Dio, così come si distingue tra vedere una cosa "così com.essa è" (ui. est) e vedere il quid est di questa cosa.
Vedere una cosa "così com.essa è", significa vedere l.essere o l'essenza di questa cosa, vederne il quid est di questa cosa significa vederne la sua propria definizione includente tutti i suoi dati (Rem enim videre, ut est, est enim videre esse rei sive essentiam rei; videre autem, quid est res, est videre propriam diffinitionem includentem omnes terminos rei; De resurrectione, tract. 4, q. 1, a. 9, ed. Col., t. 26, 1958, p. 328 b).