Summa Teologica - I

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Articolo 3 - Se sia necessario ammettere un intelletto agente

Supra, q. 54, a. 4; C. G., II, c. 77; De Spir. Creat., a. 9; Comp. Theol., c. 83; De anima, a. 4; In 3 De anima, lect. 10

Pare che non sia necessario ammettere un intelletto agente.

Infatti:

1. Il nostro intelletto sta agli intelligibili come il senso ai sensibili.

Ora, per il fatto che il senso è in potenza agli oggetti sensibili noi non ammettiamo un senso agente, ma basta quello passivo.

Per il fatto quindi che il nostro intelletto è in potenza all'oggetto intelligibile non pare necessario ammettere un intelletto agente, ma basta quello possibile.

2. Se poi uno rispondesse che anche per il senso esiste un agente, p. es. la luce, replichiamo: La luce è richiesta alla visione per rendere attualmente trasparente il mezzo [ p. es. l'aria ], dato che di per sé il colore è già capace di trasmutare un mezzo trasparente.

Ma nell'intellezione non esiste un mezzo che richieda di essere posto in atto.

Non è dunque necessario ammettere un intelletto agente.

3. L'immagine dell'agente è ricevuta nel paziente in modo conforme al paziente stesso.

Ora, l'intelletto possibile è una facoltà immateriale.

Quindi la sua immaterialità basta a far sì che le forme siano ricevute in esso immaterialmente.

Ma una forma è intelligibile in atto proprio perché è immateriale.

Non vi è perciò necessità alcuna di supporre un intelletto agente per rendere intelligibili in atto le specie [ delle cose ].

In contrario:

Dice il Filosofo [ De anima 3,5 ] che « come nella natura, così anche nell'anima vi è un principio per cui essa è in potenza a diventare tutte le cose e un principio per cui essa rende tutto attuale ».

Si deve dunque ammettere un intelletto agente.

Dimostrazione:

Ammessa l'opinione di Platone non vi è necessità di porre un intelletto agente per rendere intelligibile in atto gli oggetti, ma forse soltanto per offrire a colui che intende una luce intellettuale, come diremo in seguito [ a. 4; q. 84, a. 6 ].

Pensava infatti Platone che le forme degli esseri fisici sussistessero senza materia, e che per conseguenza esse fossero intelligibili: appunto perché un'entità è attualmente intelligibile per il fatto che è immateriale.

Ed egli chiamò specie o idee queste forme; e diceva che dalla partecipazione di esse acquistano le loro forme sia la materia corporea, allo scopo di costituire così gli individui nei loro generi e nelle loro specie fisiche, sia il nostro intelletto, per acquistare così la scienza dei generi e delle specie delle cose.

Ma dato che Aristotele [ Met. 3,4; 8,3 ] ha escluso che le forme degli esseri fisici sussistano senza la materia, e poiché d'altra parte le forme esistenti nella materia non sono intelligibili in atto, ne segue che le nature o forme delle realtà sensibili che noi intendiamo non sono intelligibili in atto.

Ora, nulla può passare dalla potenza all'atto se non per mezzo di un ente già in atto: come il senso diviene senziente in atto a causa dell'oggetto già attualmente sensibile.

Bisognava dunque ammettere nell'intelletto una potenza capace di rendere intelligibili in atto gli oggetti mediante l'astrazione delle forme dalle loro condizioni materiali.

E questa è la necessità di porre l'intelletto agente.

Analisi delle obiezioni:

1. Gli oggetti sensibili si trovano già in atto fuori dell'anima: perciò non è necessario porre un senso agente.

- E così risulta che nella parte nutritiva tutte le potenze sono attive, nella parte sensitiva invece sono tutte passive, nell'intellettiva infine vi è un principio attivo e un principio passivo.

2. Sono due le opinioni sull'effetto della luce.

Per alcuni la luce è richiesta alla visione per rendere i colori visibili in atto.

E in tal caso, analogamente e per lo stesso scopo, si richiederebbe l'intelletto agente per intendere come si richiede la luce per vedere.

- Altri invece pensano che la luce non sia necessaria alla vista per rendere attualmente visibili i colori, ma perché sia il mezzo a divenire attualmente luminoso, come dice il Commentatore [ De anima 2, comm. 67 ].

E in questo caso la somiglianza stabilita da Aristotele [ De anima 3,5 ] tra l'intelletto agente e la luce va così concepita: come l'una è necessaria per vedere, così l'altro è necessario per intendere; ma non per la medesima ragione.

3. Supposta la presenza di un agente, può avvenire che la sua immagine venga ricevuta in modo diverso in soggetti diversi, a causa della loro diversa disposizione.

Ma se l'agente non preesiste, non può giovare la disposizione del ricevente.

Ora, l'intelligibile in atto non esiste come tale nella realtà, almeno per le realtà sensibili, che non sussistono fuori della materia.

Quindi l'immaterialità dell'intelletto possibile non basterebbe per intendere se non ci fosse l'intelletto agente a rendere intelligibili in atto gli oggetti mediante il processo di astrazione.

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