Summa Teologica - I

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Articolo 6 - Se la conoscenza intellettiva derivi dalle realtà sensibili

De Verit., q. 10, a. 6; q. 10, a. 1; De anima, a. 15; Quodl. 8, q. 2, a. 1; Comp. Theol., cc. 81 sqq.

Pare che la conoscenza intellettiva non derivi dalle realtà sensibili.

Infatti:

1. S. Agostino [ Lib. LXXXIII quaest. 9 ] insegna che « non bisogna aspettarsi una sincera verità dai sensi del corpo ».

E lo prova in due modi.

Primo, dal fatto che « quanto è oggetto dei sensi si trasforma ininterrottamente; e ciò che è instabile non può essere percepito ».

Secondo, dal fatto che « possiamo avere l'impressione delle immagini di tutto ciò che sentiamo mediante il corpo anche quando le cose sono assenti dai sensi, p. es. nel sonno o nei momenti di alienazione; inoltre con i sensi non siamo capaci di discernere se effettivamente sentiamo le realtà sensibili, o le loro immagini fallaci.

Ora, nulla può dirsi percepito se non viene distinto da ciò che è falso ».

Quindi S. Agostino conclude che non si deve aspettare la verità dai sensi.

Ma la conoscenza intellettiva include la percezione della verità.

Quindi non dobbiamo aspettare dai sensi la conoscenza intellettiva.

2. S. Agostino [ De Gen. ad litt. 12,16.32 ] scrive: « Non si creda che il corpo possa agire sullo spirito, mettendo lo spirito di fronte all'azione del corpo in condizione di materia: poiché chi agisce è sotto tutti gli aspetti superiore a chi subisce l'azione ».

E conclude che « non il corpo produce l'immagine del corpo nello spirito, ma lo spirito la produce in se stesso ».

Quindi la conoscenza intellettiva non deriva dalle realtà sensibili.

3. Gli effetti non possono oltrepassare la virtù della loro causa.

Ma la conoscenza intellettiva si estende al di là delle realtà sensibili: abbiamo infatti l'intellezione di cose non percepibili dai sensi.

Quindi la conoscenza intellettiva non deriva dalle realtà sensibili. In contrario: Il Filosofo [ Met. 1,1; Anal. post. 2,15 ] dimostra che i sensi sono il principio di tutta la nostra conoscenza.

Dimostrazione:

Sulla presente questione tre furono le opinioni dei filosofi.

Democrito insegna, come riferisce S. Agostino [ Epist. 118,4.23 ], che « l'unica causa di ogni nostra conoscenza consiste nel fatto che dai corpi, sui quali si volge il nostro pensiero, partono le immagini ed entrano nelle nostre anime ».

E anche Aristotele [ De somno et vig. 2 ] ricorda che Democrito spiegava la conoscenza « mediante immagini e deflussi ».

E la ragione di questa teoria sta nel fatto che tanto Democrito quanto gli antichi naturalisti ritenevano che l'intelletto non differisse dal senso, come attesta Aristotele [ De anima 3,3 ].

Siccome dunque il senso viene alterato dall'oggetto sensibile, ritenevano che ogni nostra conoscenza avvenisse solo mediante l'alterazione prodotta dalle realtà sensibili, alterazione che Democrito sosteneva prodursi mediante emanazioni di immagini.

Platone, al contrario, stabilì che l'intelletto è distinto dal senso, e che esso è una potenza immateriale, la quale nei suoi atti non si serve di un organo corporeo.

E poiché ciò che è incorporeo non può essere alterato dalle realtà corporee, pensò che la conoscenza intellettiva non avvenisse mediante un'alterazione dell'intelletto dovuta alle realtà sensibili, ma per la partecipazione di forme intelligibili separate, come si è spiegato [ aa. 4,5 ].

Pensava poi che anche il senso fosse una facoltà capace di agire per se stessa.

E così neppure il senso, ridotto a essere una potenza immateriale, sarebbe trasmutato dalle realtà sensibili, ma sarebbero alterati soltanto gli organi della sensibilità, e da questa alterazione l'anima sarebbe sollecitata a formare in se stessa le specie delle realtà sensibili.

E pare che a una tale opinione voglia accennare S. Agostino quando scrive [ De Gen. ad litt. 12,24.50 ]: « Non è il corpo che sente, ma l'anima per mezzo del corpo, del quale si serve come di messaggero, per formare in se stessa quanto le viene annunziato dal di fuori ».

In conclusione, nella teoria platonica la conoscenza intellettiva non deriva dalla realtà sensibile; anzi, neppure quella sensitiva procede totalmente dalle realtà sensibili, ma queste stimolerebbero l'anima sensitiva a sentire, mentre i sensi stimolerebbero l'anima intellettiva a intendere.

Aristotele [ De anima 3,3 ] prese una via intermedia.

Ammise con Platone che l'intelletto è distinto dal senso, ma negò che il senso possa avere la propria operazione indipendentemente dal corpo: cosicché la sensazione non è un atto della sola anima, bensì del composto.

E affermò la stessa cosa di tutte le operazioni della parte sensitiva.

Non essendoci poi alcuna incongruenza nell'ammettere che le realtà sensibili, esistenti fuori dell'anima, producano un effetto su tutto il composto [ umano ], Aristotele venne a concordare con Democrito nel ritenere che le operazioni della parte sensitiva sono causate dalle impressioni delle realtà sensibili sui sensi, però non a modo di deflusso, come pensava Democrito, ma mediante un certo tipo di attività.

Infatti anche Democrito supponeva che ogni azione fosse prodotta da un influsso degli atomi, come si rileva da Aristotele [ De Gen. et corr. 1,8 ].

- Tuttavia Aristotele [ De anima 3,4 ] stabilì che l'intelletto ha una sua operazione indipendentemente dal corpo.

Ora, nessuna realtà corporea può agire su di un essere incorporeo.

Stando perciò ad Aristotele, non basta l'azione dei corpi sensibili a causare l'intellezione, ma si richiede qualcosa di più nobile, poiché « l'agente è sempre superiore al paziente », come egli dice [ De anima 3,5 ].

Non però nel senso che l'attività intellettiva sia in noi causata dal solo influsso di certi esseri superiori, come voleva Platone, ma nel senso che l'agente superiore e più nobile, che Aristotele denomina intelletto agente e di cui abbiamo già parlato [ q. 79, aa. 3, 4 ], mediante l'astrazione rende intelligibili in atto i fantasmi avuti per mezzo dei sensi.

Perciò dalla parte dei fantasmi l'operazione intellettiva è causata dai sensi.

Siccome però i fantasmi non hanno la capacità di agire sull'intelletto possibile, ma devono diventare intelligibili in atto in forza dell'intelletto agente, non si può affermare che la conoscenza sensitiva sia la causa totale e perfetta della conoscenza intellettiva; piuttosto, in un certo senso, essa è la materia su cui la causa agisce.

Analisi delle obiezioni:

1. S. Agostino con quelle parole vuol far capire che la verità non dobbiamo aspettarla totalmente dai sensi.

E infatti si richiede il lume dell'intelletto agente per conoscere l'immutabile verità nelle realtà mutevoli, e per distinguere la realtà delle cose dalle loro immagini.

2. In quel passo S. Agostino non parla della conoscenza intellettiva, ma di quella immaginaria.

Poiché infatti, secondo la teoria platonica, l'immaginativa ha un'operazione che appartiene alla sola anima, S. Agostino, per dimostrare che i corpi non imprimono le loro immagini su quella facoltà, e che è l'anima stessa a fare questo, si servì dello stesso argomento che usa Aristotele [ l. cit. ] per provare che l'intelletto agente è un'entità separata [ dalla materia ]: cioè che « l'agente è sempre superiore al paziente »

E non vi è dubbio che, stando a questa teoria, bisognerebbe ammettere nell'immaginativa non solo una potenza passiva, ma anche una potenza attiva.

Se però ammettiamo con Aristotele che l'atto dell'immaginativa appartiene al composto, non troviamo più obiezioni di sorta: un corpo sensibile infatti è al disopra degli organi sensitivi dell'animale per il fatto che rispetto ad essi si trova come un ente in atto di fronte a un ente in potenza: esattamente come l'oggetto colorato in atto sta alla pupilla, che è colorata solo potenzialmente.

- Si potrebbe tuttavia anche rispondere diversamente.

Sebbene infatti la prima alterazione dell'immaginativa provenga dall'azione degli oggetti sensibili, essendo appunto «la fantasia un moto che ha origine dal senso », come dice Aristotele [ De anima 3,3 ], esiste tuttavia nell'uomo un'attività psichica la quale, dividendo e componendo, forma varie immagini di cose non sempre percepite dai sensi.

Ora, le parole di S. Agostino potrebbero riferirsi a questa attività.

3. La conoscenza sensitiva non è la causa totale dell'intellettiva.

Non fa quindi meraviglia che questa oltrepassi la sfera della sensitiva.

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