Articolo 5
Summa Teologica - I

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Articolo 5 - Se gli ordini angelici siano ben denominati

In 2 Sent., d. 9, q. 1, aa. 3, 4; C. G., III, c. 80; Comp. Theol., c. 126; In Col., c. 1, lect. 4

Pare che gli ordini angelici non siano ben denominati.

Infatti:

1. Tutti gli spiriti celesti sono Angeli e Virtù celesti.

Ma non è giusto assegnare, come propri ad alcuni, dei nomi che sono comuni a tutti.

Quindi non è giusto dare il nome di Angeli e di Virtù a due ordini particolari.

2. Essere Dominus [ Signore ] è prerogativa di Dio, secondo quelle parole [ Sal 100,3 ]: « Riconoscete che il Signore è Dio ».

Non è quindi conveniente chiamare Dominazioni uno degli ordini angelici.

3. Il nome Dominazione si riferisce indubbiamente al governo.

E altrettanto si dica dei nomi Principato e Potestà.

Non è dunque cosa ragionevole assegnare queste tre denominazioni a tre ordini distinti.

4. Gli Arcangeli sono così chiamati perché sono quasi Angeli Principi.

Un tale nome perciò non dovrebbe essere imposto ad alcun altro ordine se non a quello dei Principati.

4. Il nome di Serafini è desunto dall'ardore proveniente dalla carità, e il nome di Cherubini è desunto dalla scienza.

Ma la carità e la scienza sono doni comuni a tutti gli angeli.

Quindi quei nomi non dovrebbero essere riservati a due soli ordini.

5. Dire troni o seggi è la stessa cosa.

Ma si suol dire che Dio ha sede nella creatura razionale in quanto questa lo conosce e lo ama.

Non dovrebbe dunque esserci distinzione tra l'ordine dei Troni e quello dei Cherubini e dei Serafini.

- Così dunque gli ordini angelici non risultano ben denominati.

In contrario:

Abbiamo l'autorità della Sacra Scrittura che così li denomina.

Infatti troviamo i Serafini in Isaia [ Is 6,2 ]; i Cherubini in Ezechiele [ Ez 1; Ez 10,15.20 ]; i Troni nella Lettera ai Colossesi [ Col 1,16 ]; le Dominazioni, le Virtù, le Potestà e i Principati nella Lettera agli Efesini [ Ef 1,21 ]; gli Arcangeli nella Lettera Canonica di Giuda [ Gd 9 ] e gli Angeli in moltissimi luoghi della Scrittura.

Dimostrazione:

Nella denominazione degli ordini angelici bisogna tener presente ciò che afferma Dionigi [ De cael. hier. 7,1 ], e cioè che « i nomi propri dei singoli ordini designano le loro proprietà ».

Per discernere poi quale sia la proprietà di ciascun ordine è necessario riflettere che negli esseri disposti gerarchicamente una perfezione si può trovare in tre modi, cioè in modo proprio, in modo eccedente e in modo partecipato.

Una perfezione si trova in modo proprio in un soggetto quando essa è adeguata e proporzionata alla natura del soggetto.

Vi si trova invece in modo eccedente quando la perfezione è al disotto del soggetto a cui viene attribuita, e conviene ad esso in grado sovraeminente; come si disse [ q. 13, a. 2 ] di tutti i nomi attribuiti a Dio.

Vi si trova infine in modo partecipato quando la perfezione suddetta non raggiunge nel soggetto tutta la sua pienezza: come i santi sono chiamati dèi per partecipazione.

- Quando dunque a un dato essere si voglia imporre un nome che ne denoti una proprietà intrinseca, questo nome non va desunto né da ciò che esso partecipa imperfettamente, né da ciò che possiede in grado eccedente, ma da ciò che è ad esso commisurato.

Come volendo denominare con un nome proprio l'uomo lo si dovrà chiamare sostanza razionale, e non sostanza intellettuale, che è il nome proprio dell'angelo: poiché, mentre la semplice intelligenza conviene all'angelo come proprietà, all'uomo conviene solo per partecipazione; né lo si potrà chiamare sostanza sensitiva, che è il nome proprio del bruto, poiché la sensitività è qualcosa di meno di ciò che è proprio dell'uomo ed essa, in confronto agli altri animali, conviene all'uomo in grado eccedente.

Venendo ora agli ordini angelici, bisogna considerare che le perfezioni spirituali sono comuni a tutti gli angeli, e negli angeli superiori si trovano in misura più abbondante che negli inferiori.

Essendoci tuttavia una graduatoria nelle perfezioni stesse, la perfezione superiore viene attribuita in modo proprio all'ordine superiore e in modo partecipato a quello inferiore; viceversa la perfezione inferiore viene attribuita in modo proprio all'ordine inferiore e in modo sovraeminente a quello superiore.

E così gli ordini più alti vengono denominati dalle perfezioni più alte.

Con tale criterio dunque, in base cioè alla disposizione degli angeli alle perfezioni spirituali, Dionigi spiega i nomi dei vari ordini [ De cael. hier. 7ss. ] - S. Gregorio invece nella spiegazione di tali nomi si fonda sui ministeri esterni.

Dice infatti [ In Evang. hom. 34 ] che « vengono chiamati Angeli quelli deputati alle piccole ambasciate; Arcangeli quelli deputati alle grandi; Virtù quelli incaricati di compiere i miracoli; Potestà quelli chiamati a respingere le forze avverse; Principati quelli che presiedono agli stessi spiriti buoni ».

Analisi delle obiezioni:

1. Angelo vuol dire messaggero.

Perciò tutti gli spiriti celesti, in quanto sono latori dei messaggi di Dio, sono chiamati angeli.

Senonché gli angeli superiori godono, in questa manifestazione delle cose divine, di una certa eccellenza, dalla quale gli ordini superiori traggono il loro nome.

Invece l'infimo ordine angelico non aggiunge alcuna eccellenza al comune ufficio di messaggero, e quindi viene denominato da esso.

E così il nome comune diventa quasi proprio dell'ordine infimo, come dice Dionigi [ De cael. hier. 5 ].

- Si potrebbe però anche pensare che l'infimo ordine è chiamato per antonomasia ordine degli Angeli perché questi ultimi trasmettono a noi direttamente i messaggi divini.

Quanto poi al termine Virtù, esso può avere due accezioni.

La prima generica, e allora significa la potenza che è intermedia tra l'essenza e l'operazione: e in tal senso tutti gli spiriti celesti sono chiamati virtù celesti, come sono chiamati « essenze celesti ».

- La seconda in quanto sta a indicare un grado eminente di fortezza: e così essa è il nome proprio di un ordine.

Per questo Dionigi [ De cael. hier. 8,1 ] afferma che « il nome "Virtù" denota una fortezza virile e incrollabile », ordinata a compiere prima di tutto le operazioni divine ad esse convenienti, e in secondo luogo ad accogliere quanto viene da Dio.

E così tale nome sta a significare che tali spiriti affrontano senza timore i compiti divini loro affidati: ciò che indubbiamente appartiene alla fortezza d'animo.

2. Scrive Dionigi [ De div. nom. 12 ] che « si deve celebrare in Dio la Dominazione in modo del tutto singolare e trascendente; ma le sante Scritture conferiscono per partecipazione il titolo di Signori [ Domini ] anche agli ordini principali, da cui gli esseri inferiori ricevono parte dei doni divini ».

Quindi, come afferma sempre lo stesso Autore [ De cael. hier. 8,1 ], il nome Dominazioni significa prima di tutto « libertà dalla condizione servile e da una soggezione avvilente », quale è propria della plebe, « e da un'oppressione tirannica », quale patiscono a volte anche i magnati.

Significa, poi, « una rigida e inflessibile disciplina di governo, che non si piega a compiere alcun atto servile, né di quelli propri a chi è schiavo, né di quelli propri a chi è oppresso da tiranni ».

Significa, da ultimo, « brama e partecipazione del vero dominio che è in Dio ».

- E in modo analogo il nome di ciascun ordine significa sempre la partecipazione di ciò che è in Dio, come p. es. il nome Virtù significa la partecipazione della virtù divina; e così per gli altri nomi.

3. I termini Dominazione, Potestà e Principato si riferiscono al governo, ma sotto aspetti diversi.

Infatti compito proprio di chi è signore [ dominus ] è solo quello di impartire gli ordini sul da farsi.

Per cui S. Gregorio [ l. cit. ] dice che « alcune schiere angeliche sono chiamate Dominazioni perché le altre devono sottostare, obbedendo, ad esse ».

- Potestà invece indica un certo ordinamento, secondo il detto dell'Apostolo [ Rm 13,2 ]: « Chi si oppone alla potestà si oppone all'ordinamento stabilito da Dio ».

Giustamente perciò Dionigi [ De cael. hier. 8,1 ] osserva che il termine Potestà designa un ordinamento relativo sia alla ricezione dei comandi divini, sia al compimento di quelle azioni che gli angeli superiori esercitano su quelli inferiori, per condurli in alto.

Quindi all'ordine delle Potestà spetta coordinare le cose che devono essere compiute dai subalterni.

- Esercitare invece un principato vuol dire, secondo S. Gregorio [ l. cit. ], « essere primi tra gli altri », essere cioè quasi i primi nell'eseguire quanto è stato comandato.

Per questo Dionigi [ De cael. hier. 9,1 ] afferma che il nome Principati sta a indicare « coloro che fanno da guida nell'ordinamento sacro ».

Infatti vengono chiamati propriamente prìncipi coloro che, primi tra gli altri, fanno loro da guida, come dice il Salmista [ Sal 68,26 Vg ]: « Precedono i prìncipi uniti ai citaredi ».

4. Secondo il pensiero di Dionigi [ De cael. hier. 9,1 ], gli Arcangeli stanno tra i Principati e gli Angeli.

Ora una realtà intermedia, paragonata a uno degli estremi, appare diversa, in quanto partecipa anche la natura dell'altro estremo: come un corpo tiepido è freddo se viene paragonato a un corpo caldo, mentre è caldo se viene paragonato a un corpo freddo.

Analogamente gli Arcangeli sono come Angeli Principi in rapporto agli Angeli; in rapporto invece ai Principati sono angeli.

- Per S. Gregorio invece [ l. cit. ] essi si chiamano Arcangeli perché esercitano un principato solo sull'ordine degli Angeli, in quanto compiono le grandi ambasciate.

I Principati invece sono così chiamati perché esercitano un principato su tutte le virtù celesti che eseguono i comandi divini.

5. Il nome di Serafini non viene desunto dalla carità come tale, ma da una sovrabbondanza di carità, come indica la parola ardore o incendio.

Perciò Dionigi [ De cael. hier. 7,1 ] lo interpreta in base alle proprietà del fuoco, in cui il calore è in grado eccedente.

Ora, nel fuoco possiamo considerare tre cose.

Primo, il suo movimento che tende verso l'alto e che è continuo.

E ciò sta a indicare che i Serafini si muovono invariabilmente verso Dio.

- Secondo, la sua virtù attiva che è il calore.

E questo si trova nel fuoco non in un modo qualsiasi, ma in un grado acuto, giacché esso è sommamente penetrativo nel suo agire, giungendo sino alle intime fibre; ed è inoltre accompagnato da un incontenibile fervore.

E ciò serve a indicare l'azione potente esercitata da questi angeli sui loro sottoposti, per eccitarli a un fervore consimile e per purificarli con il loro incendio.

- Terzo, nel fuoco va considerato lo splendore.

E ciò sta a indicare che questi angeli possiedono in se stessi una luce inestinguibile, e che illuminano perfettamente gli altri.

Parimenti anche il nome di Cherubini è desunto da una sovrabbondanza di scienza: perciò si fa corrispondere a « pienezza di scienza ».

Pienezza che Dionigi [ ib. ] riscontra in quattro cose:

primo, nella perfetta visione di Dio;

secondo, nella piena ricezione del lume divino;

terzo, nel fatto che essi contemplano la bellezza dell'ordine dell'universo in Dio stesso;

quarto, nel fatto che, essendo essi ripieni di tale scienza, la effondono copiosamente sugli altri.

6. L'eccellenza dell'ordine dei Troni, in rapporto agli ordini inferiori, consiste in questo, che essi possono conoscere in Dio immediatamente le ragioni delle opere divine.

I Cherubini invece possiedono l'eccellenza della scienza e i Serafini l'eccellenza dell'ardore.

E sebbene in queste due ultime cose sia inclusa la prima, tuttavia in questa, che è propria dei Troni, non sono incluse le altre due.

Quindi l'ordine dei Troni si distingue dall'ordine dei Cherubini e dei Serafini.

In tutte le cose infatti vige il principio che l'eccellenza dei gradi inferiori è contenuta nell'eccellenza dei gradi superiori, e non viceversa.

Dionigi inoltre [ ib. ] spiega il nome dei Troni per analogia con i troni materiali.

Ora, in questi vanno considerate quattro cose.

Primo, la posizione: i troni sono elevati sopra la terra.

E così gli angeli chiamati Troni sono elevati sino a conoscere immediatamente in Dio le ragioni delle cose.

- Secondo, nei troni materiali si considera la loro stabilità: su di essi infatti uno siede acquistando fermezza.

Nel caso nostro però si verifica il contrario, poiché questi angeli acquistano la loro stabilità in Dio.

- Terzo, il trono accoglie la persona che vi siede e questa può anche essere trasportata.

E così questi angeli accolgono in se stessi Dio, e in certo qual modo lo portano agli angeli inferiori.

- Quarto, la forma esterna: il trono è aperto davanti per ricevere chi vi deve sedere.

E nello stesso modo anche questi angeli sono aperti, con la loro prontezza, ad accogliere Dio e a prestargli servizio.

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