Summa Teologica - I-II

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Articolo 2 - Se la tristezza si identifichi con il dolore

III, q. 15, a. 6; In 3 Sent., d. 15, q. 2, a. 3, sol. 1, 2; De Verit., q. 26, a. 3, ad 9; a. 4, ad 4

Pare che la tristezza non sia un dolore.

Infatti:

1. S. Agostino [ De civ. Dei 14,7 ] afferma che « si parla di dolore in riferimento ai corpi ».

La tristezza invece è piuttosto nell'anima.

Quindi la tristezza non è un dolore.

2. Il dolore è soltanto di un male presente.

Invece la tristezza può essere di un male passato e futuro: come la penitenza è la tristezza per il passato, e l'ansietà per il futuro.

Quindi la tristezza è del tutto differente dal dolore.

3. Il dolore sembra derivare soltanto dal senso del tatto.

La tristezza invece può derivare da tutti i sensi.

Quindi la tristezza non è il dolore, essendo più estesa di esso.

In contrario:

L'Apostolo [ Rm 9,2 ] scrive usando nello stesso senso tristezza e dolore: « Io provo una grande tristezza, e un continuo dolore è nel mio cuore ».

Dimostrazione:

Il piacere e il dolore possono essere prodotti da due diverse conoscenze: dalla percezione dei sensi esterni e dalla conoscenza interna, sia dell'intelletto che dell'immaginativa.

Ora, la conoscenza interna si estende più di quella esterna: poiché tutto ciò che cade sotto la percezione esterna cade anche sotto quella interna, ma non viceversa.

Dunque solo il piacere prodotto dalla conoscenza interna viene denominato gioia, come si è visto sopra [ q. 31, a. 3 ].

E allo stesso modo solo il dolore derivante dalla conoscenza interna viene denominato tristezza.

E come il piacere prodotto dalla percezione esterna viene denominato piacere, ma non gioia, così il dolore prodotto dalla percezione esterna viene denominato dolore, ma non tristezza.

Così dunque la tristezza è una specie del dolore, come la gioia è una specie del piacere.

Analisi delle obiezioni:

1. S. Agostino intende parlare dell'uso del termine: poiché dolore viene usato più per i dolori corporali, che sono meglio conosciuti, che non per i dolori spirituali.

2. I sensi esterni percepiscono solo il presente, mentre le facoltà conoscitive interne possono conoscere il presente, il passato e il futuro.

Quindi la tristezza può essere del presente, del passato e del futuro, mentre il dolore fisico, che accompagna la percezione dei sensi esterni, è solo del presente.

3. Gli oggetti del tatto possono essere dolorosi non solo perché sproporzionati alla facoltà conoscitiva, ma anche perché contrari alla natura.

Invece gli oggetti degli altri sensi possono essere sproporzionati alla facoltà conoscitiva, ma non possono essere contrari alla natura se non in ordine agli oggetti del tatto.

Quindi soltanto l'uomo, che è un animale dalla conoscenza perfetta, prova piacere direttamente per l'oggetto degli altri sensi, mentre gli altri animali provano piacere per esso solo in vista dell'oggetto del tatto, come osserva Aristotele [ Ethic. 3,10 ].

Quindi per gli altri sensi non si parla di dolore, inteso come contrapposto al piacere naturale, ma piuttosto di tristezza, che è il contrario della gioia propria dell'anima.

Se quindi per dolore si intende il dolore fisico, ed è questo il senso più usato, il dolore si contrappone alla tristezza, in base alla distinzione tra conoscenza interna e conoscenza esterna; si noti però che il piacere naturale si estende a un numero maggiore di oggetti che il dolore naturale.

Se invece si prende il dolore come termine generico, allora il dolore è il genere a cui appartiene la tristezza, come si è già notato [ nel corpo ].

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