Summa Teologica - I-II

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Articolo 3 - Se la tristezza, o dolore, sia il contrario del piacere

Supra, q. 31, a. 8, ad 2; III, q. 84, a. 9, ad 2; In 4 Sent., d. 49, q. 3, a. 3, sol. 1

Pare che il dolore non sia contrario al piacere.

Infatti:

1. Una cosa non può essere causa del suo contrario.

Ma la tristezza può essere causa del piacere, poiché sta scritto [ Mt 5,5 ]: « Beati coloro che piangono, perché saranno consolati ».

Quindi non sono contrari.

2. Tra due contrari l'uno non può qualificare l'altro.

Ora, in certi casi il dolore stesso, o la tristezza, è piacevole: poiché, come nota S. Agostino [ Conf. 3,2 ], negli spettacoli il dolore piace.

E aggiunge [ Conf. 4,5 ] che « il pianto è una cosa amara, che però qualche volta riesce gradita ».

Quindi il dolore non è il contrario del piacere.

3. Uno dei contrari non è materia dell'altro: poiché i contrari non possono stare insieme.

Ma il dolore può essere materia del piacere; infatti S. Agostino [ De Poenit. 13 ] scrive: « Il penitente si dolga sempre, e goda del suo dolore ».

E il Filosofo [ Ethic. 9,4 ] afferma che, al contrario, « chi ha fatto del male si rattrista di ciò che ha goduto ».

Quindi il piacere e il dolore non sono contrari.

In contrario:

S. Agostino [ De civ. Dei 14,6 ] scrive che « la gioia è la volontà in accordo con ciò che vogliamo, mentre la tristezza è la volontà in disaccordo con ciò che non vogliamo ».

Ora, l'accordo e il disaccordo sono realtà contrarie.

Quindi la gioia e la tristezza sono contrarie.

Dimostrazione:

Come insegna il Filosofo [ Met. 10,4 ], la contrarietà è una differenza formale.

Ma la forma o la specie delle passioni e del moto viene desunta dal loro oggetto o termine.

Per cui, essendo gli oggetti del piacere e della tristezza o dolore, cioè il bene presente e il male presente, contrari fra di loro, ne segue che il dolore e il piacere sono contrari.

Analisi delle obiezioni:

1. Nulla impedisce che uno dei contrari sia accidentalmente causa dell'altro.

E la tristezza può causare il piacere in questo modo.

Prima di tutto perché la tristezza dovuta alla mancanza di una cosa, o alla presenza del suo contrario, fa cercare con più impegno l'oggetto che piace: come chi soffre la sete cerca con più impegno il godimento del bere, come rimedio alla tristezza che lo affligge.

In secondo luogo poiché per il grande desiderio di un dato piacere uno non rifiuta di sopportare dei dolori, per raggiungere tale piacere.

E in tutti e due i modi la tristezza presente conduce alla consolazione della vita futura.

Poiché per il fatto stesso che l'uomo piange a motivo dei peccati e del ritardo della gloria, merita la consolazione della vita eterna.

E così pure la merita chi non rifugge travagli e amarezze per poterla raggiungere.

2. Il dolore stesso può essere piacevole accidentalmente: cioè in quanto è accompagnato dalla meraviglia, come negli spettacoli, oppure perché implica il ricordo di una cosa amata, facendone sentire l'amore mediante la pena per la sua mancanza.

E poiché l'amore è piacevole, fa sì che siano piacevoli sia il dolore che tutte le altre cose che dall'amore derivano, in quanto servono a far sentire l'amore.

E anche per questo motivo può essere piacevole il dolore negli spettacoli: poiché in esso si fa sentire l'amore che uno ha concepito verso i personaggi rappresentati.

3. La volontà e la ragione possono riflettere sui loro atti, considerando gli atti stessi della volontà e della ragione sotto l'aspetto della bontà o della malizia.

E in questo modo non direttamente, ma accidentalmente, la tristezza può essere materia del godimento, e viceversa: in quanto cioè l'una e l'altro vengono considerati sotto l'aspetto di bene o di male.

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