Summa Teologica - II-II

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Articolo 3 - Se sia lecito a una persona privata uccidere i colpevoli

Infra, q. 65, a. 1, ad 2; In 2 Sent., d. 44, q. 2, a. 2, ad 5; In 4 Sent., d. 37, q. 2, a. 1

Pare che una persona privata abbia la facoltà di uccidere i colpevoli.

Infatti:

1. La legge di Dio non può comandare nulla di illecito.

Ma per il peccato del vitello d'oro Mosè [ Es 32,27 ] diede questo comandamento: « Uccida ognuno il proprio fratello, ognuno il proprio amico ».

Quindi anche alle persone private è lecito uccidere i colpevoli.

2. Col peccato, come si è detto [ a. prec., ad 3 ], un uomo si rende simile alle bestie.

Ma qualsiasi persona privata può uccidere un animale selvatico, specialmente se nocivo.

Quindi, per lo stesso motivo, potrà uccidere un uomo colpevole.

3. È cosa degna di lode che uno, pur essendo uno persona privata, compia le azioni che sono utili al bene comune.

Ma l'uccisione dei malfattori, come si è già dimostrato [ a. prec. ], è utile al bene comune.

Quindi è cosa lodevole che anche una persona privata uccida i malfattori.

In contrario:

S. Agostino [ cf. Graz., Decr. 2,23, 8,33 ] insegna: « Chi uccide un malfattore senza alcun pubblico mandato sarà condannato come omicida; e tanto più gravemente in quanto si è arrogato un potere che Dio non gli aveva concesso ».

Dimostrazione:

Come si è già dimostrato [ a. prec. ], è lecito uccidere un malfattore in quanto la sua uccisione è ordinata alla salvezza di tutta la collettività.

Ciò quindi spetta soltanto a colui al quale è affidata la cura della sicurezza collettiva: come spetta al medico, a cui è stata affidata la cura di tutto l'organismo, il procedere al taglio di un membro malato.

Ma la cura del bene comune è affidata ai principi investiti della pubblica autorità.

Perciò ad essi soltanto è lecito uccidere i malfattori, non già alle persone private.

Analisi delle obiezioni:

1. Come nota Dionigi [ De cael. hier. 13,4 ], il vero responsabile di un'azione è colui sotto la cui autorità essa viene compiuta.

Quindi, secondo S. Agostino [ De civ. Dei 1,21 ], « propriamente non uccide colui che è tenuto a prestare la sua opera a colui che comanda, come la spada nelle mani di colui che se ne serve ».

Perciò coloro che uccisero i parenti e gli amici per comando di Dio non vanno considerati loro stessi come gli autori del fatto, ma piuttosto lo è colui del quale essi rispettarono l'autorità: come anche il soldato uccide il nemico per l'autorità del principe, e il boia uccide il brigante per l'autorità del giudice.

2. Una bestia differisce dall'uomo per natura.

Quindi non si richiede per ucciderla alcun giudizio, se è selvatica.

Se invece è una bestia domestica si va incontro a un giudizio, non per l'animale in se stesso, ma per il danno arrecato al suo padrone.

Il colpevole invece non differisce per natura dagli uomini onesti.

Quindi si richiede un processo per decidere se vada ucciso per il bene della società.

3. Qualsiasi persona privata ha la facoltà di compiere cose utili al bene comune che non danneggiano nessuno.

Se però danneggiano qualcuno, allora non possono essere fatte se non secondo il giudizio di coloro a cui spetta di determinare il sacrificio da imporre alle parti per la salvezza del tutto.

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