Summa Teologica - II-II

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Articolo 4 - Se la paura scusi dal peccato

In 3 Ethic., lect. 2

Pare che la paura non scusi dal peccato.

Infatti:

1. La paura, come si è visto [ aa. 1,3 ], è un peccato.

Ora, un peccato non scusa da un altro peccato, ma piuttosto lo aggrava.

Quindi la paura non scusa dal peccato.

2. Se un timore deve scusare dal peccato, lo deve fare soprattutto il timore della morte, il quale scuote anche un uomo coraggioso.

E invece questo timore non pare scusare: poiché la morte, incombendo necessariamente su tutti, non va temuta.

Quindi il timore non scusa dal peccato.

3. La paura ha per oggetto un male o temporale o spirituale.

Ma la paura di un male spirituale non induce al peccato, bensì ritrae da esso.

La paura poi di un male temporale non scusa dal peccato: poiché, come dice il Filosofo [ Ethic. 3,6 ], « non si deve temere né la povertà né qualunque altra cosa che non deriva dalla propria malizia ».

Quindi la paura in nessun caso scusa dal peccato.

In contrario:

Nel Decreto [ di Graz. 2,1,1,111 ] si legge: « Chi contro il suo volere e costretto dalla violenza è stato ordinato dagli eretici, ha una parvenza di scusa ».

Dimostrazione:

Come si è già detto [ aa. 1,3 ], il timore in tanto ha natura di peccato in quanto è contro l'ordine della ragione.

Ora, la ragione giudica che alcuni mali vanno fuggiti più di altri.

Se quindi uno, per sfuggire un male che secondo la ragione merita di essere fuggito maggiormente, non si sottrae a mali meno gravi, non commette peccato.

Così la morte corporale deve essere fuggita più che la perdita delle ricchezze: per cui se uno, per timore della morte, promettesse o consegnasse del danaro a dei briganti, sarebbe scusato dal peccato, nel quale invece incorrerebbe elargendolo a dei peccatori anziché a dei giusti senza una causa legittima.

Se uno invece, per fuggire vilmente dei mali che secondo la ragione sono meno gravi, incorre in mali più intollerabili, non può essere scusato totalmente dal peccato: poiché la sua paura è disordinata.

Ora, sono più da temere i mali dell'anima che quelli del corpo; e i mali del corpo più della perdita dei beni esterni.

Se quindi uno incorresse nei mali dell'anima, cioè nei peccati, per fuggire dei mali corporali, p. es. i flagelli o la morte, oppure la perdita dei beni esterni, p. es. del danaro; ovvero se preferisse il danno del corpo per evitare la perdita del danaro, non sarebbe scusato totalmente dal peccato.

Tuttavia la sua colpa è minore: infatti ciò che è compiuto per paura è meno volontario; e l'uomo è sottomesso a una certa necessità quando agisce per paura.

Per questo il Filosofo [ Ethic. 3,1 ] afferma che quanto si è compiuto per timore non è del tutto volontario, ma è un misto di volontario e di involontario.

Analisi delle obiezioni:

1. La paura scusa non in quanto è un peccato, ma in quanto è involontaria.

2. Sebbene la morte incomba su tutti per necessità, tuttavia l'accorciamento della vita è un male, e quindi è oggetto di timore.

3. Secondo gli Stoici, i quali ritenevano che i beni temporali non fossero dei beni umani, si doveva concludere che i mali temporali non erano dei mali per l'uomo, e quindi in nessun modo erano da temersi.

Invece per S. Agostino [ De lib. arb. 2,19.51 ] i beni temporali sono dei beni di poco valore.

E così pensavano anche i Peripatetici.

Perciò i mali contrari a tali beni vanno temuti; non molto però, cioè mai fino al punto di abbandonare per essi il bene della virtù.

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