Summa Teologica - II-II

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Articolo 2 - Se la prudenza appartenga alla vita attiva

In 3 Sent., d. 35, q. 1, a. 3, sol. 2; In 10 Ethic., lect. 12

Pare che la prudenza non appartenga alla vita attiva.

Infatti:

1. Come la vita contemplativa riguarda le facoltà conoscitive, così la vita attiva riguarda le appetitive.

Ora, la prudenza non appartiene alle facoltà appetitive, ma alle conoscitive.

Quindi la prudenza non appartiene alla vita attiva.

2. S. Gregorio [ In Ez hom. 14 ] afferma che « la vita attiva, nell'attendere alle varie occupazioni, vede di meno »: per cui viene prefigurata da Lia, che aveva gli occhi cisposi.

Invece la prudenza richiede occhi acuti, perché l'uomo possa ben giudicare il da farsi.

Perciò la prudenza non appartiene alla vita attiva.

3. La prudenza sta fra le virtù morali e le intellettuali.

Ora come le virtù morali, stando alle spiegazioni date [ a. prec. ], appartengono alla vita attiva, così le intellettuali appartengono alla contemplativa.

Quindi la prudenza non appartiene né alla vita attiva né a quella contemplativa, ma a quel genere di vita intermedio di cui parla S. Agostino [ De civ. Dei 19, cc. 2,3,19 ].

In contrario:

Il Filosofo [ Ethic. 10,8 ] afferma che la prudenza appartiene alla felicità attiva, a cui appartengono le virtù morali.

Dimostrazione:

Abbiamo già detto [ a. 1, ad 3; I-II, q. 18, a. 6 ] che, soprattutto in morale, ciò che è ordinato a un'altra cosa come al suo fine rientra nella specie di ciò a cui è ordinato: come secondo il Filosofo [ Ethic. 5,2 ] « chi commette adulterio per rubare è più ladro che adultero ».

Ora, è evidente che il sapere della prudenza è ordinato agli atti delle virtù morali: la prudenza infatti, come insegna Aristotele [ Ethic. 6,5 ], è « la retta ragione dell'agire ».

Per cui i fini delle virtù morali sono « i princìpi della prudenza » [ ib. 10,8 ].

Come dunque le virtù morali in colui che le ordina alla quiete della contemplazione appartengono alla vita contemplativa, secondo le spiegazioni date [ a. 1, ad 3 ], così il sapere della prudenza, che per sua natura è ordinato agli atti delle virtù morali, appartiene direttamente alla vita attiva.

Se però si prende la prudenza in senso proprio, nel senso cioè in cui ne parla il Filosofo.

- Se invece la si prende in senso generico, per qualsiasi tipo di conoscenza umana, allora la prudenza rientra in parte nella vita contemplativa: e in questo senso Cicerone [ De off. 1,5 ] può dire che « si suole giustamente ritenere prudentissimo e sapientissimo colui che con la massima acutezza e celerità è in grado di percepire la verità e di spiegarla ».

Analisi delle obiezioni:

1. Gli atti morali, come sopra si è visto [ I-II, q. 18, aa. 4,6 ], sono specificati dal fine.

Quindi appartiene alla vita contemplativa quel sapere che ha di mira la conoscenza della verità; invece il sapere della prudenza, che ha il suo fine principalmente negli atti delle facoltà appetitive, appartiene alla vita attiva.

2. Le occupazioni esterne fanno sì che l'uomo veda di meno nelle realtà di ordine intellettivo, che trascendono quelle sensibili a cui si applicano le opere della vita attiva.

Però l'occupazione esterna della vita attiva fa sì che l'uomo veda più chiaramente nel giudizio sulle cose da compiere, il che appartiene alla prudenza.

E ciò sia per l'esperienza, sia per l'attenzione della mente: poiché, come dice Sallustio [ Bell. Catilin. 51 ], « dove ti applichi, là si rafforza l'ingegno ».

3. Si dice che la prudenza si colloca tra le virtù intellettuali e quelle morali in questo senso: che è intellettiva per il soggetto, e morale per l'oggetto.

Invece quel terzo genere di vita sta fra la vita attiva e la vita contemplativa rispetto alle cose di cui si occupa: poiché talora attende alla contemplazione della verità e talora alle occupazioni esterne.

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