Summa Teologica - II-II

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Articolo 1 - Se sia lecito desiderare l'episcopato

Quodl., 2, q. 6, a. 1; 3, q. 4, a. 1; 5, q. 11, a. 2; 12, q. 11, a. 3; De perf. vitae spir., c. 19; In 1 Tim., c. 3, lect. 1

Pare che sia lecito desiderare l'episcopato.

Infatti:

1. S. Paolo [ 1 Tm 3,1 ] ha scritto: « Se uno aspira all'episcopato, desidera un nobile lavoro ».

Ma desiderare un nobile lavoro è lecito e lodevole.

Quindi è lodevole desiderare l'episcopato.

2. Lo stato dei vescovi è più perfetto dello stato religioso, come sopra [ q. 184, a. 7 ] si è visto.

Ora, desiderare lo stato religioso è una cosa lodevole.

Quindi è lodevole anche il desiderio di essere promossi all'episcopato.

3. Nei Proverbi [ Pr 11,26 ] si legge: « Chi accaparra il grano è maledetto dal popolo; la benedizione è invocata sul capo di chi lo vende ».

Ma chi per virtù e scienza è idoneo all'episcopato, se ad esso si sottrae nasconde il grano spirituale, mentre accettando l'episcopato si mette in grado di distribuirlo.

Perciò pare lodevole desiderare l'episcopato, e riprovevole il ricusarlo.

4. I fatti dei Santi raccontati dalla Scrittura ci vengono proposti come esempi, stando alle parole di S. Paolo [ Rm 15,4 ]: « Tutto ciò che è stato scritto, è stato scritto per nostro ammaestramento ».

Ora, nella Scrittura [ Is 6,8 ] si legge che Isaia si offrì per predicare, che è l'ufficio più attinente ai vescovi.

Quindi desiderare l'episcopato è una cosa lodevole.

In contrario:

S. Agostino [ De civ. Dei 19,19 ] ha scritto: « Questa preminenza, che è indispensabile per il governo del popolo, anche se viene esercitata come conviene, tuttavia non è lodevolmente desiderata ».

Dimostrazione:

Nell'episcopato si possono distinguere tre cose.

La prima, che è principale e ha valore di fine, è il ministero proprio del vescovo, che mira all'utilità del prossimo, secondo il comando evangelico [ Gv 21,17 ]: « Pasci le mie pecorelle ».

- La seconda è l'altezza della dignità, essendo il vescovo superiore agli altri, secondo le parole del Vangelo [ Mt 24,45 ]: « Il servo fidato e prudente, che il padrone ha preposto ai suoi domestici ».

- La terza cosa poi deriva dalle due precedenti, ed è il rispetto e l'onore, con l'abbondanza dei beni terreni, secondo le parole di S. Paolo [ 1 Tm 5,17 ]: « I presbiteri che esercitano bene la presidenza siano trattati con doppio onore ».

Desiderare quindi l'episcopato per questi ultimi beni accessori è chiaramente illecito, ed è effetto della cupidigia e dell'ambizione.

Da cui le parole del Signore [ Mt 23,6s ] contro i Farisei: « Amano i posti d'onore nei conviti, i primi seggi nelle sinagoghe e i saluti nelle piazze, come anche sentirsi chiamare Rabbì dalla gente ».

Desiderarlo poi per la seconda cosa, cioè per l'eccellenza del grado, è un atto di presunzione.

Così infatti il Signore [ Mt 20,25 ] rimprovera i discepoli che cercavano i primi posti: « Voi sapete che i capi delle nazioni dominano su di esse »; e il Crisostomo [ In Mt hom. 65 ] spiega: « Egli vuole mostrare che bramare i primi posti è da pagani; e così paragonandoli ai pagani volge altrove gli ardori della loro anima ».

Desiderare invece di giovare al prossimo, di per sé è una cosa lodevole e virtuosa.

Siccome però il ministero episcopale implica l'eccellenza del grado, pare un atto di presunzione desiderare il superiorato al fine di giovare ai sudditi senza esservi costretti da un'evidente necessità: per cui S. Gregorio [ Past. 1,8 ] scrive che « era una cosa lodevole desiderare l'episcopato quando con esso si dovevano senza dubbio affrontare i più gravi supplizi », e quindi non era facile trovare chi si assumesse quel peso; [ il che è lodevole ] soprattutto quando non si è mossi se non dallo zelo della carità infusa da Dio, come nel caso di Isaia, « il quale desiderò lodevolmente l'ufficio di predicare allo scopo di giovare al prossimo » [ ib., c. 7 ].

- Tuttavia si può desiderare senza presunzione di compiere tali opere qualora capitasse di essere in quel dato ufficio, oppure desiderare di essere degni di eseguire tali opere, in modo cioè da desiderare non la preminenza della dignità, ma l'opera buona.

Da cui le parole del Crisostomo [ Op. imp. in Mt hom. 35 ]: « Desiderare le opere buone è una cosa buona, ma bramare un primato di onore è vanità.

Poiché il primato suddetto cerca coloro che lo fuggono, e fugge coloro che lo cercano ».

Analisi delle obiezioni:

1. Come dice S. Gregorio [ Past. 1,8 ], « nel tempo in cui l'Apostolo faceva quell'affermazione colui che era a capo di una chiesa era il primo a essere condotto al martirio »: e così nell'episcopato non c'era da desiderare altro all'infuori delle opere buone da compiere.

Per cui S. Agostino [ De civ. Dei 19,19 ] scrive che l'Apostolo, nel dire: « Chi aspira all'episcopato desidera un nobile lavoro », « volle chiarire che cosa è l'episcopato: poiché è un termine che dice incarico e non onore.

Infatti scopos significa attenzione.

Quindi episcopein equivale al latino superintendere [ cioè sopraintendere ]: cosicché è vescovo non chi vuole stare sopra gli altri, ma chi vuole giovare ad essi ».

« Infatti », come aveva scritto poco sopra, « nell'agire in questa vita non si deve cercare l'onore o la potenza, essendo vane tutte le cose che sono sotto il sole, ma il ministero stesso che viene esercitato con tale onore o con tale potenza ».

Tuttavia, come nota S. Gregorio [ l. prox. cit. ], l'Apostolo, « dopo aver lodato il desiderio di quell'opera buona, subito lo fa oggetto di timore, aggiungendo: "È necessario che il vescovo sia irreprensibile"; come se dicesse: "Lodo il vostro desiderio, ma considerate bene quanto cercate" ».

2. Desiderare lo stato episcopale non è come desiderare lo stato religioso, per due motivi.

Primo, perché l'episcopato presuppone la perfezione: come risulta evidente dal fatto che il Signore [ Gv 21,15ss ], prima di affidare a Pietro l'ufficio di pastore, gli chiese se lo amava più degli altri.

Invece lo stato religioso non presuppone la perfezione, ma è la via che ad essa conduce.

Il Signore [ Mt 19,21 ] infatti non disse: « Se sei perfetto, va' e vendi quello che possiedi »; ma: « Se vuoi essere perfetto ».

E questo perché, come dice Dionigi [ De eccl. hier. 6 ], al vescovo la perfezione appartiene all'attivo in quanto « perfezionatore »; al monaco invece appartiene al passivo, in quanto « perfezionato ».

Ora, perché uno possa condurre a perfezione gli altri si richiede che sia egli stesso perfetto, il che invece non è richiesto per chi deve essere condotto alla perfezione.

E mentre è da presuntuosi il considerarsi perfetti, non è presunzione il tendere alla perfezione.

Secondo, perché chi abbraccia lo stato religioso si sottomette spiritualmente ad altri: e questo è lecito a chiunque.

Da cui le parole di S. Agostino [ De civ. Dei 19,19 ]: « A nessuno è proibito di attendere alla conoscenza della verità, che costituisce un'opera lodevole.

Chi invece è assunto allo stato episcopale è innalzato perché possa provvedere agli altri.

Ora, nessuno deve arrogarsi questo compito, secondo le parole di S. Paolo [ Eb 5,4 ]: « Nessuno può attribuire a se stesso questo onore, se non chi è chiamato da Dio ».

E il Crisostomo [ Op. imp. in Mt hom. 35 ] scrive: « Non è né giusto né utile desiderare la preminenza nella Chiesa.

Chi è infatti quel sapiente che voglia esporsi alla schiavitù e al pericolo di dover rendere conto di tutta la Chiesa?

A meno forse che egli non sfidi il giudizio di Dio abusando della dignità ecclesiastica in modo secolaresco, cioè trasformandola in un potere secolare ».

3. La distribuzione del grano spirituale non è da farsi ad arbitrio di chiunque, ma principalmente secondo la volontà di Dio, e secondariamente secondo la volontà dei prelati maggiori, a cui si riferiscono quelle parole [ 1 Cor 4,1 ]: « Ognuno ci consideri come ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio ».

Perciò non si può dire che nasconda il grano spirituale colui che non attende a correggere e a governare gli altri non essendovi obbligato per ufficio, o per un incarico dei superiori, ma solo nel caso in cui uno trascura di farlo quando vi è tenuto per ufficio, oppure se ricusa con pertinacia di accettare l'ufficio quando gli è imposto.

Da cui le parole di S. Agostino [ De civ. Dei 19,19 ]: « L'amore della verità aspira a un santo riposo, ma la necessità della carità accetta un incarico giusto.

Se nessuno impone questo peso si deve attendere a contemplare la verità.

Se però esso viene imposto, allora bisogna portarlo per la necessità della carità ».

4. Come spiega S. Gregorio [ Past. 1,7 ], « Isaia, prima di desiderare la sua missione, era stato purificato dal fuoco dell'altare: perché nessuno osi accedere ai sacri ministeri senza essere stato purificato.

Essendo dunque molto difficile avere la certezza di essere purificati, è più sicuro rifiutare l'ufficio della predicazione ».

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