Supplemento alla III parte

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Articolo 5 - Se i suffragi giovino ai dannati dell'inferno

Pare che i suffragi giovino ai dannati dell'inferno.

Infatti:

1. Si legge nel secondo libro dei Maccabei [ 2 Mac 12,40 ] che « sotto le vesti degli uccisi furono trovati degli oggetti idolatrici, proibiti dalla legge giudaica »; e tuttavia si aggiunge [ 2 Mac 12,43 ] che « Giuda mandò a Gerusalemme dodicimila dramme d'argento come offerta per i loro peccati ».

Ora, è chiaro che quelli, avendo peccato gravemente contro la legge, morirono in peccato mortale, e quindi andarono all'inferno.

Perciò i suffragi giovano anche ai dannati dell'inferno.

2. Si legge in S. Agostino [ Enchir. 110 ] che i suffragi, per quelli per cui sono validi, o ottengono « la remissione completa della pena, oppure fanno sì che la condanna sia più sopportabile ».

Ma solo quelli che sono all'inferno possono dirsi condannati.

Quindi i suffragi giovano anche ai dannati dell'inferno.

3. « Se già in questa vita », scrive Dionigi [ De eccl. hier. 7,3,6 ], « le preghiere dei giusti hanno valore, quanto più ne avranno dopo la morte per quelli che ne sono degni ».

Dalle quali parole si può concludere che i suffragi valgono più per i morti che per i vivi.

Ma ai vivi giovano anche se essi sono in peccato mortale: infatti la Chiesa prega sempre per la conversione dei peccatori, perché si convertano.

Quindi giovano anche ai morti che sono in peccato mortale.

4. Si legge nelle Vite dei Padri [ 3,172 ], e lo riferisce anche S. Giovanni Damasceno [ De his qui in fide dorm. 10 ], che S. Macario, lungo la strada, trovò un teschio, e pregando domandava di chi fosse.

Il teschio rispose che era di un sacerdote pagano condannato all'inferno.

Tuttavia confessò che tanto lui quanto gli altri dannati traevano giovamento dalla preghiera di S. Macario.

Quindi le preghiere della Chiesa giovano anche ai dannati.

5. Lo stesso Damasceno [ ib. 16 ] racconta che S. Gregorio, pregando per l'imperatore Traiano, sentì che una voce celeste gli diceva: « Esaudisco la tua preghiera, e perdono a Traiano ».

E di questo fatto, dice il Damasceno, « è testimone l'oriente e l'occidente ».

Ma Traiano era certamente all'inferno, « avendo fatto uccidere crudelmente molti martiri », come afferma sempre il Damasceno [ ib. ].

Quindi i suffragi della Chiesa valgano anche per i dannati dell'inferno.

In contrario:

1. Dionigi [ De eccl. hier. 7,3,7 ] afferma: « Il sommo sacerdote non prega per gli immondi, perché altrimenti sovvertirebbe l'ordine divino ».

E il suo commentatore [ S. Massimo, ib. ] aggiunge che « egli non implora la remissione per i peccatori: poiché non sarebbe esaudito ».

Quindi i suffragi non valgono per chi si trova nell'inferno.

2. « Per lo stesso motivo », dice S. Gregorio [ Mor. 34,19 ], « non si pregherà più allora », cioè dopo il Giudizio, « per gli uomini condannati al fuoco eterno, come non si prega adesso per il diavolo e per i suoi angeli condannati all'eterno supplizio.

E per lo stesso motivo i santi non pregano ora per i defunti infedeli o empi, che già sanno condannati all'eterno supplizio, non volendo perdere il merito della loro preghiera davanti al giudice divino ».

Perciò i suffragi non valgono per i dannati dell'inferno.

3. S. Agostino [ Serm. 172 ] afferma: « Per coloro che partono da questo mondo senza la fede operante per mezzo della carità, e senza i sacramenti della fede, sono inutili i servizi religiosi fatti dai loro parenti ».

Ma i dannati si trovano tutti in queste condizioni.

Quindi i suffragi non giovano ad essi.

Dimostrazione:

Intorno a questo argomento ci furono due opinioni.

Alcuni applicavano al caso due distinzioni.

La prima in rapporto al tempo: dicendo che dopo il giudizio finale nessun dannato sarà aiutato dai suffragi della Chiesa, ma prima non si esclude che qualcuno di essi ne possa usufruire.

- La seconda distinzione si riferisce invece alle persone che sono all'inferno.

ra le quali ce ne sarebbero di pessime, morte senza fede e senza sacramenti, per le quali i suffragi non giovano, non avendo esse fatto parte della Chiesa né « per merito », né « per numero ».

Ce ne sarebbero però altre meno cattive, che essendo appartenute numericamente alla Chiesa, avendo avuto la fede e avendo frequentato i sacramenti, hanno anche fatto qualche opera buona.

A questi, dicono, i suffragi della Chiesa dovrebbero giovare.

Ma c'era un dubbio che li turbava, poiché da ciò sembrava dovesse seguire che, essendo la pena dell'inferno infinita in durata ma finita in intensità, si potesse arrivare a togliere completamente la pena col moltiplicarsi dei suffragi, cadendo così nell'errore di Origene [ Peri arch. 1,6 ].

Perciò cercarono in diversi modi di sfuggire a questo inconveniente.

Il Prepositino disse che i suffragi per i dannati si possono moltiplicare fino a togliere completamente la pena, ma non in senso assoluto, come pensava Origene, bensì solo per un dato tempo, cioè fino al giorno del giudizio: allora infatti le anime, rivestite di nuovo dei loro corpi, saranno condannate alle pene eterne definitivamente e senza speranza di perdono.

Ma questa opinione sembra ripugnare alla divina provvidenza, che non ammette alcun disordine nelle cose.

Ora, la colpa non può rientrare nell'ordine che mediante la pena.

Quindi non si può togliere la pena senza che prima sia stata espiata la colpa.

Siccome dunque nei dannati la colpa perdura di continuo, ne viene che non può essere interrotta neppure la loro pena.

Perciò i discepoli di Gilberto Porretano trovarono un'altra via di uscita, affermando che la diminuzione delle pene attraverso i suffragi avviene come nella divisione della linea, che pur essendo finita può tuttavia essere divisa all'infinito senza mai esaurirsi, se si sottrae successivamente non la stessa quantità, ma una quantità proporzionale: come quando si toglie prima la quarta parte di tutta la linea, poi la quarta parte della quarta parte, e poi ancora la quarta parte di questa quarta parte, e così all'infinito.

E in tal modo essi affermano che con il primo suffragio si diminuisce una certa quantità di tutta la pena, poi in seguito una quantità proporzionale di quella che rimane.

Ma una simile spiegazione presenta molte incongruenze.

Primo, poiché la divisione all'infinito, che è valida per la quantità materiale, non sembra applicabile a una quantità spirituale.

- Secondo, poiché non si capisce come mai il secondo suffragio, pur avendo lo stesso valore del primo, tolga solo una pena minore.

- Terzo, poiché la pena non può essere attenuata senza che si attenui la colpa: come non si può togliere quella se non togliendo questa.

Quarto, poiché nella suddivisione di una linea si arriva a una quantità minima che non è più sensibile, dato che il corpo sensibile non può essere diviso indefinitamente.

E così seguirebbe che molti suffragi diminuirebbero la pena fino a renderla non più sensibile, per cui non sarebbe più una pena.

Perciò altri escogitarono un'altra Analisi.

Guglielmo d'Auxerre infatti disse che i suffragi gioverebbero ai dannati non diminuendo o interrompendo la pena, ma solo dando sollievo al dannato: come una spruzzata di acqua fresca dà refrigerio a chi porta un grave peso, senza peraltro diminuirglielo.

Ma neppure questa Analisi regge.

Poiché, come dice S. Gregorio [ Mor. 9,65 ], ciascuno è più o meno molestato dal fuoco eterno in proporzione alla propria colpa.

Dal che deriva che per lo stesso fuoco uno soffre di più e un altro di meno.

Siccome dunque la colpa del dannato non cambia, neppure la pena può essere mitigata.

E questa opinione è per di più presuntuosa, in quanto contraria alle affermazioni dei Santi Padri; è poi inconsistente, non appoggiandosi su alcuna autorità, ed è anche irragionevole.

Sia perché i dannati sono fuori del vincolo della carità, mediante la quale i defunti partecipano alle opere dei vivi.

Sia perché essi sono giunti al termine dello stato di via, e hanno ricevuto la retribuzione finale per quello che hanno meritato, come i santi che sono nella patria celeste.

Il fatto poi che manchi ancora qualcosa alla gloria o alla pena del corpo non li pone nello stato di via: poiché tanto la gloria dei santi quanto le pene dei dannati sono essenzialmente e radicalmente nell'anima.

Perciò né può essere mitigata la pena dei dannati, né può essere aumentata la gloria dei santi riguardo al premio essenziale.

Tuttavia l'opinione sostenuta da alcuni, secondo i quali i suffragi giovano ai dannati, potrebbe anche essere accettata in un certo senso: dicendo ad es. che i suffragi non mitigano né interrompono la pena, ma soltanto risparmiano ai dannati un'altra fonte di sofferenze, che potrebbe loro derivare dal vedersi disprezzati dai vivi, qualora nessuno si ricordasse di loro; questa fonte di sofferenza verrebbe infatti loro risparmiata in seguito ai suffragi fatti per essi.

Anche questo però non può essere ammesso secondo la legge comune.

Poiché specialmente per i dannati è vero quanto afferma S. Agostino [ De cura pro mortuis 13 ]: « Le anime dei defunti si trovano in un luogo dove non vedono ciò che accade tra i mortali ».

Perciò essi non sanno quando si offrono per loro dei suffragi: a meno che, in via eccezionale, ad alcuni Dio non conceda questo sollievo.

Ma la cosa è molto dubbia.

È più sicuro quindi affermare puramente e semplicemente che i suffragi non giovano ai dannati, e che la Chiesa non intende pregare per loro, come risulta chiaro dai testi sopra ricordati.

Analisi delle obiezioni:

1. Dagli oggetti idolatrici trovati addosso ai morti non si può senz'altro concludere che quei soldati li portassero per motivi superstiziosi: forse li avevano presi come vincitori, e se ne erano impossessati per diritto di guerra.

Tuttavia avevano commesso un peccato veniale di avarizia.

Essi perciò non erano stati condannati all'inferno, per cui i suffragi potevano loro giovare.

Oppure, secondo altri interpreti, si può pensare che di fronte al pericolo si siano pentiti del loro peccato: cioè, secondo l'espressione del Salmo [ Sal 78,34 ], « quando Dio li faceva perire, lo cercavano ».

Il che può ritenersi probabile, e rende più logica l'oblazione fatta per loro.

2. La parola dannazione è qui presa in senso lato, per una punizione qualunque.

Quindi può includere anche la pena del purgatorio, che attraverso i suffragi può essere condonata in tutto o in parte.

3. I suffragi sono accettati per i morti più che per i vivi poiché essi ne hanno più bisogno non potendo, come i vivi, provvedere a se stessi.

D'altra parte però i vivi si trovano in una condizione più vantaggiosa, dato che possono riacquistare lo stato di grazia perduto col peccato mortale, mentre ciò non è possibile ai morti.

Perciò i motivi per cui si prega per i morti sono diversi da quelli per cui si prega per i vivi.

4. Quell'aiuto non consisteva in una diminuzione della pena ma, come dice il racconto, soltanto nel fatto che, per mezzo dell'orazione di S. Macario, quei dannati potevano vedersi reciprocamente, e per questo provavano una certa gioia, non vera ma immaginaria, mentre si compiva questo loro desiderio.

E in questo senso diciamo che i demoni godono quando riescono a indurre gli uomini al peccato, quantunque per questo la loro pena non diminuisca in nulla; come non diminuisce la gioia degli angeli quando si dice che essi commiserano i nostri mali.

5. Probabilmente il fatto di Traiano può essere spiegato nel senso che egli, per le preghiere di S. Gregorio, fu richiamato in vita, e quindi ottenne la remissione dei peccati e la grazia.

Per cui fu liberato dalla pena; come appare anche in tutti quelli che furono risuscitati da morte miracolosamente, molti dei quali erano idolatri, e quindi dannati.

Di tutti costoro dunque si deve dire che non erano condannati all'inferno definitivamente, ma secondo quanto esigeva la giustizia presente in considerazione dei loro meriti.

Invece secondo un piano provvidenziale più alto, che prevedeva la loro risurrezione, erano predestinati a una sorte diversa.

Oppure, secondo alcuni, si deve ritenere che l'anima di Traiano non fu liberata dalla pena eterna definitivamente, ma solo per un certo tempo, cioè fino al giorno del giudizio.

Non bisogna però credere che i suffragi producano normalmente tale effetto: poiché oltre alle cose che avvengono per legge generale ve ne sono altre che sono concesse soltanto ad alcuni in via eccezionale: infatti, come dice S. Agostino [ De cura pro mortuis 16 ], « altri sono i limiti delle forze naturali, altri i prodigi della potenza divina ».

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