Giovanni Cesone

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La personalità delineata dagli scritti

Anche gli articoli pubblicati sul bollettino dell'Unione sono ricchi di spunti e riflessioni tratti da una visione soprannaturale della realtà quotidiana, che trova nelle confidenze rilasciate a Cesone da Fra Leopoldo e Fr. Teodoreto conferme e spiegazioni preziose per il progresso sulla via della virtù.

Nel 1928, ad esempio, ricordando le ultime ore di vita del Segretario del Crocifisso, il Catechista riporta un'interessante riflessione del francescano su Paolo Pio Perazzo, il "santo ferroviere" pioniere del moderno apostolato laico: « Era un'anima bella! … non era compreso da tutti : … si capisce del resto il motivo, egli quando parlava diceva cose spirituali! » ( gen.-mar.1928 ).

Le relazioni col mondo ispirate ad ima visione della vita integralmente spirituale, provocano sovente l'esclusione o l'emarginazione dal consesso sociale.

Questa amara verità era anche un avvertimento rivolto a tutti i Catechisti che si trovavano a dover operare in contesti professionali spesso ostili ad una scelta di vita che poteva persino precludere carriera e successi, come era avvenuto appunto nel caso di Paolo Pio Perazzo.

Nell'estate del 1934 Cesone dedica qualche pagina di approfondimento al tema della riparazione, che insieme alla lotta contro "l'ignoranza religiosa", rappresenta una delle vocazioni fondamentali dei Catechisti.

L'articolo è introdotto, come spesso accade negli scritti di Cesone, da un passo del Diario leopoldino: « Dammi, o mio Dio, lo spirito di Penitenza che per tutto il tempo della mia vita non mi lasci sfuggire occasione senza ricavarne copiosi frutti, per la misericordia del Signore » ( mag.-ag. 1934 ).

Cesone, molto acutamente, accosta l'invito penitenziale del francescano alle esortazioni che il profeta Giona rivolgeva alla città di Ninive, minacciata dalla collera divina.

In quel caso i niniviti dopo molte esitazioni accettarono i consigli del profeta e la penitenza li salvò da un tremendo destino.

Il confronto con la situazione italiana del primo dopoguerra è molto più impietosa: a causa del conflitto l'Unione Catechisti ha perso un prezioso membro, Savino Castello, mentre l'Italia ha dovuto contare centinaia di migliaia di vittime ed un numero impressionante di orfani e di mutilati.

Cesone si chiede il senso di questo immane dispendio di lacrime e sangue e nel menzionare la giustizia universale tra i popoli, richiamata a suo tempo come causa scatenante della guerra, molto mestamente confronta le due giustizie: quella rivendicata presso i tavoli di pace dei vincitori e quella amministrata dal divino tribunale.

« Noi sentimmo e sentiamo la passione della giustizia, ma di fronte a Tè, o Signore, siamo noi giusti?

Possiamo noi erigerei a giudici degli altri popoli che Tu, Padre nostro, vuoi che chiamiamo fratelli? » ( mag.-ag. 1934 ).

La questione è assai delicata in quanto riguarda il fragile equilibrio che sussiste tra le ragioni fondanti il diritto politico internazionale, che spesso sotto il manto dell'ipocrisia nasconda il livore dei potenti, e la giustizia intima, profonda, genuina che deve abitare nel cuore di ciascun uomo.

L'analisi prosegue con interessanti considerazioni sulle intenzioni che devono animare le scelte politiche adottate dai cristiani: anche nei confronti delle politiche assistenziali attuate dal governo a favore dell'istituto familiare, il credente deve domandarsi dove arriva l'interesse grettamente economico ( maggiore peso demografico, maggior numero di contribuenti ) e dove inizia l'autentica difesa della famiglia naturale.

Cesone poi recupera il tema cardinale del secolarismo: « Ora, poi, le altre scienze in misura più o meno grande hanno soffocato quei germogli e oggi il nostro corano è il giornale politico, economico, commerciale, letterario … bisogna formare l'italiano integrale cioè convinto e praticante… una vita veramente sublime di riparazione … sarà quella che colla preghiera e col sacrificio costituisca attorno a noi un magnanimo drappello di generosi e di forti, di vittime, se occorre, affinché i castighi del Signore siano allontanati dalla Patria e dal mondo» ( mag-ag. 34 ).

In effetti, con l'affermarsi del progresso scientifico, il ruolo dell'insegnamento della religione è stato progressivamente trascurato, quasi si volesse fame materia per bambinetti immaturi e superstiziosi.

La preminenza così assunta da materie quantitative, ha condotto ad un costante e preoccupante scoordinamento delle conoscenze umane ormai escluse da ogni relazione col divino, originando una vera e propria mutilazione delle facoltà spirituali.

Quest'uomo dimezzato, che è stato privato delle sue aspirazioni più sublimi, non può che assistere inerte al "soffocamento dei germogli" di vita cristiana.

Di conseguenza, anche in vista di una sana educazione civica del cittadino italiano, dice Cesone, urge un ritorno all'uomo "integrale" che sappia, col sacrificio e la preghiera, diventare "vittima" di quella purificazione a cui tutte le nazioni devono sottoporsi per allontanare i flagelli divini.

In questo modo la giustizia dell'uomo torna a sottomettersi alla giustizia divina e la scienza umana al superiore discernimento del Bene e del Male che solo la religione può assicurare.

Un altro argomento che affascina Cesone riguarda modi, luoghi e tempi coi quali "ricaricare" le pile esauste dello spirito.

Questa esigenza, santitissima da parte del Catechista, trova un felice anche se momentaneo sviluppo presso la famosa villa Nicolas, dove Cesone credeva di aver finalmente individuato il suo "piccolo romitaggio".

L'Unione verrebbe così a trovare, secondo le parole del Catechista, la sua "unione" con Dio nel raccoglimento di un luogo elevato, significativamente situato in una posizione dominante rispetto a quella città, da cui bisogna imparare a distaccarsi.

Questo spiega il grande attaccamento di Cesone per Villa Nicolas che riteneva essere il porto da cui sarebbe salpata alla volta del mondo l'azione "vivificatrice" preannunciata da Fra Leopoldo.

Cesone torna sul concetto dell'isolamento, parlando di giovani "eremiti": non è un caso.

Anche San Francesco insegna che prima di adempiere qualsiasi missione in nome di Gesù e meglio raccogliere le proprie forze nel silenzio della meditazione.

Per riaffermare il valore quasi mistico attribuito al complesso di Villa Nicolas, Cesone evoca l'immagine evangelica del monte Tabor, dove di fronte alla Trasfigurazione del Cristo, gli Apostoli vennero invasi da un sentimento di soprannaturale appagamento che li fece sentire come avvolti e protetti da una sorta di agiata familiarità col divino: « Luogo di pace e di quiete che ben si addice alla contemplazione delle cose più alte e che fa ripetere ai catechisti alla fine di ogni ritiro: "Signore, buona cosa è per noi lo stare qui" »  ( sett. ott. 34 ).

In un articolo intitolato "Catechisti Associati", invece, si sottolinea la necessità di collaborare col clero per favorire l'avvento del Regno di Dio nella dimensione sociale, attraverso l'insegnamento della Religione.

Viene sottolineato con forza il legame che unisce i Catechisti associati all'Azione Cattolica, il movimento che Papa Pio XI aveva sostenuto con tanta determinazione.

Gli associati vengono detti i "fanti" dell'apostolato cattolico, intendendo così enfatizzare il sentimento di santa riconquista che doveva animarli, ben oltre il semplice dovere dell'insegnamento religioso.

Il vivaio di questi Catechisti viene individuato nelle scuole dei Fratelli cristiani dove già a suo tempo Fr. Teodoreto aveva avuto modo di selezionare le prime leve dell'Unione.

In modo indiretto, quindi, si ribadisce la centralità della collaborazione tra Fratelli e Catechisti, una collaborazione i cui ingranaggi andavano oliati senza tregua, al fine di produrre gli agognati frutti delle vocazioni.

Nella mente di Cesone si profila un percorso molto lineare, in cui distinguiamo dapprima il lavoro propedeutico svolto a scuola dai Fratelli, quindi la scelta degli elementi più promettenti e, infine, la loro opera di catechesi, condotta in simbiosi col clero delle parrocchie.

In questo sistema di reciproca assistenza, è essenziale evitare incomprensioni o rotture, che possano inceppare il meccanismo di conversione sociale messo in atto ( mar. apr.1935 ).

Nel 1936 Cesone affronta uno dei fondamenti della vita .associativa: l'unità di fine e di mezzi che deve animare l'Unione Catechisti.

Questa volta l'articolo prende l'avvio da un passo del Vangelo di San Giovanni nel quale Gesù rivolge un accorato appello al Padre celeste affinché "tutti siano una cosa sola; come tu sei in Me, Padre, ed io in Tè, così anch'essi siano una cosa sola in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato" ( Gv 17,20-21 ).

Il testo prosegue identificando in quella accorata preghiera il vincolo che unisce i credenti a Santa Madre Chiesa e questa alla perfetta unità della Trinità.

Il riferimento non è fuori luogo, in quanto chiunque abbia avuto esperienza di vita associativa conosce le difficoltà che minacciano la coesione interna dei gruppi: ostilità repressa, umiliazioni, torti subiti e restituiti, ripicche di vario genere si sommano ad una litigiosità che spesso, purtroppo, rappresenta la nota dolente e congenita dei popoli latini.

Si avverte la mancanza di uniformità e conformità ai disegni dei Fondatori e in genere anche un'indolenza mascherata nei modi più diversi.

Questo indica la mancanza del "fuoco" irradiante e santificante che deve animare le associazioni cattoliche e forse anche una scarsa consapevolezza sui fini particolari e generali che ogni associazione è chiamata a svolgere.

Cesone richiama questi obiettivi citando il Regolamento che individua "nell'insegnamento della religione nelle Parrocchie e nelle Scuole" l'attività principe dell'Unione Catechisti, ma aggiunge anche un'osservazione che colpisce al cuore un'altra tendenza congenita a molte associazioni cattoliche, le quali spesso, col pretesto dell'adeguazione ai tempi, manipolano e deformano le stesse finalità per cui sono state fondate sfuggendo così a quella disciplina dei carismi che permette alla Chiesa cattolica di unire tante realtà diverse nell'unico Corpo Mistico: « … la Chiesa, pur conservando la sua perfetta unità, ha dato vita a molti organismi detti Ordini e Congregazioni religiose ai quali comunicò gli stessi suoi caratteri come le madri nostre ci diedero i lineamenti naturali » ( luglio-agosto 1936 ).

« Questa ( l'insegnamento della religione ) è la nostra bandiera ed il nostro ideale che se varierà nell'attuazione e nell'estensione non dovrà mai cambiare nella sostanza » ( luglio-agosto 1936 ).

Qualsiasi entità amministrativa, economica o statale annienta il suo futuro ogni volta che rinnega il proprio passato: lo stesso impero romano perdendo di vista la sua missione di civiltà ha condannato a morte se stesso.

Analogamente, se la "substantia" operativa e soprannaturale che fonda l'Unione viene meno, svanisce anche il senso di una grande missione: questa al contrario può restare viva solo se si è in grado di puntare oltre le piccole sicurezze della vita.

"Tutti insieme poi tendiamo alla perfezione": solo così si può aderire "all'anima" dell'Unione.

La capacità di coesione è la premessa indispensabile all'azione missionaria vera e propria, che consiste nell' "impermeare la società dello … Spirito", il quale, a sua volta, discende a noi, per l'appunto, dalle Piaghe di Cristo.

Ecco spiegata l'apprensione di Giovanni Cesone: quanto più i Catechisti operano uniti come fratelli, tanto più i loro propositi prenderanno forma.

« Unitevi! Unitevi! - pare gridi a noi colle sue Piaghe il Divin Salvatore - cercatemi anime, impermeate la società del mio spirito, portate il mio verbo dappertutto …» ( luglio-agosto 1936 ).

Pochi mesi dopo la stesura di quest'articolo intitolato "la forza dell'unità", ne viene pubblicato uno analogo dal titolo "la forza della santità" che prende le mosse sempre dal medesimo passo del quarto Vangelo ( Gv 17,20-21 ): questa sequenza di "forze" ci fornisce un'idea del meccanismo mistico intravisto da Cesone.

La santità trova nell'unità reciproca tra associati e nell'attaccamento di questi alla Croce di Cristo la condizione necessaria alla sua affermazione e diffusione.

L'unità crea quel clima psicologico ( si pensi al cosiddetto "spirito di corpo" e all' "esercito … fervente e unito come i cori dei Beati e degli Angeli" cui accenna Cesone ) che permette all'aspirante Catechista di concentrarsi sulla propria santificazione, senza farsi distrarre da forme sterili di competizione interna.

L'ideale proposto - santificare gli altri santificando se stessi - trasforma così l'Unione in una fucina di santi, in una "cosa sacra" secondo le precise indicazioni fomite da Fra Leopoldo nel suo Diario.

Ogni altro interesse incepperebbe quella particolare dinamica di eventi che, legando i Catechisti fra loro per poi "incatenarli" alla Croce di Cristo, produce attraverso una mistica "irradiazione" la santificazione delle anime: « Solo la santità può produrre la santità.

Lo compresero gli apostoli e tutti si conservarono fedeli nel nome di Cristo alla Verità e comunicarono la loro vita intima alle anime che avvicinarono » ( sett.-dic.1936 ).

Nell'estate del 1940 ( stagione tragica vista l'entrata in guerra dell'Italia ) Cesone, quasi intravedendo l'immane sciagura che si stava abbattendo sulla Nazione, scrive un pezzo dal titolo sintomatico "Farce Domine" ( Risparmiaci, o Signore ) in cui affronta un tema scottante, oggi molto trascurato: quello dei "flagelli" divini, rispetto ai quali Fra Leopoldo incoraggiava la recita della Devozione a Gesù Crocifisso.

La tesi di fondo dell'articolo insiste sulla modestia degli atti penitenziali richiesti a quanti vogliano scansare le maledizioni del Cielo: in fondo basta un segno reale e concreto di pentimento per rientrare nella grazia del Signore.

« Sappiamo che basta una parola di vivo pentimento uscita da un cuore amante e penitente per ottenere un generoso perdono e per sentirsi ripetere come alla Maddalena: "Molto ti è stato perdonato perché molto hai amato ".

Ora non ci stupiremo se, ai giorni nostri, così pieni di serie preoccupazioni, ci si invita alla recita della Devozione a Gesù Crocifisso, ricordandoci una solenne promessa che trascriviamo dagli scritti di Fra Leopoldo: "La devozione a Gesù Crocifisso fermerà i flagelli » ( mag.-giu. 1940 ).

Segue un'esposizione ragionata in sette punti dell'Adorazione al Crocifisso nell'ambito della quale ogni paragrafo è preceduto dall'invocazione "Parce Domine" che, considerando la drammatica fase storica attraversata dal Paese, rappresenta un preambolo doveroso e diretto a trasformare la preghiera in una sorta di pubblico "esorcismo" in grado di allontanare le calamità della guerra che incombono come un'affilata mannaia sul destino del Paese.

Per la verità l'Italia negli anni a venire subirà tremendi flagelli, ma un destino peggiore toccherà a tante nazioni vicine ( pensiamo all'Albania ) che subiranno per anni il peso di una dittatura fanaticamente atea e materialista.

In questa prospettiva, possiamo dire, che lo scudo della preghiera ( come accadde al tempo dell'invasione unna ), ha contribuito a salvare l'Italia da un abisso di tragedie e misfatti che anche il regnante Pontefice, nella sua travagliata gioventù, ha ben conosciuto.

« Farce domine … Conforta o Signore, gli afflitti, illumina gli erranti, da pensieri di pace ai Reggitori di popoli e a tutti fa che risplenda l'idea della fratellanza umana che tu proclami con mistico silenzio dall'alto della croce.

Il mondo è sconvolto, non vorrai abbandonarlo alla deriva dei suoi delitti giacché la tua Divozione è il tuo nuovo mezzo di Redenzione » ( 1940 ).

Nel 1942, nel pieno della sciagurata vicenda bellica, sul bollettino appare uno scritto dedicato all'incontro di Fratel Teodoreto con Papa Pio XI.

Accompagnato dal teologo Michele Peyron, il Fratello illustra al Pontefice i tre capisaldi dell'azione condotta dai Catechisti - Casa di Carità, Devozione e Messa del Povero - per poi menzionare, alla fine del suo promemoria, la figura di Fra Leopoldo, il ruolo importante avuto dai suoi consigli, dalle sue preghiere ed il processo di beatificazione che lo riguardava.

La risposta del Pontefice è concisa, ma molto incoraggiante: « Non vi è apostolato migliore di quello del catechismo, in questi tempi di ignoranza religiosa » ( nov. - dic. 1942 ).

Cesone commenta le due sezioni della frase soffermandosi sul concetto di catechismo e ignoranza religiosa.

Il primo è il libro della sapienza eterna che va vissuto, più che discusso, nella sua integrità, la seconda è la malattia che affligge la società moderna "gonfia di scienza", ma sempre più digiuna di Religione.

Il Papa poi individua due classi privilegiate cui indirizzare il lavoro, la preghiera e il sacrificio dei Catechisti: sono i "piccoli e i poveri", ovvero le categorie più indifese e quindi più esposte al morbo dell'indifferentismo religioso.

L'insegnamento del Catechismo viene giudicato il mezzo più efficace per allontanare una volta per sempre le influenze nefaste di una guerra che ha fatto uscire interi popoli dalla grazia di Dio, a causa delle "nostre negazioni ed apostasie" contrarie alle verità della Fede.

Anche in questo consiste la missione dei "crociati del Catechismo": riportare l'Italia ed il mondo sotto il manto protettivo della grazia celeste.

Come si può notare Cesone usa argomentazioni "forti" che denunciano un criterio di giudizio squisitamente soprannaturale e che spiccano, visti i controlli del regime fascista sulla stampa, per la condanna netta di negazioni e apostasie che, a giudicare da quel "nostre", sicuramente fanno riferimento, senza distinzioni di sorta, a tutte le ideologie totalitarie che in quegli anni agitavano gli animi degli italiani.

La riparazione pro-pace diventa il tema centrale di un altro articolo apparso nel medesimo anno ( 1942 ); anche qui emerge con forza la consapevolezza di un dovere "mistico" che cade sulle spalle dei Catechisti, ogni qual volta la collettività cade vittima di grandi sciagure storielle, morali o naturali.

« Iniziativa di preghiere riparatrici solennemente propugnata dai membri dell'Unione il Venerdì santo 1941.

La cosa … potrà lasciare indifferenti gli scettici, i pavidi ed i superficiali, ma non gli amanti di Gesù Crocifisso.

Per essi, e solo per essi trascriviamo dal diario spirituale di fra Leopoldo le seguenti poche parole …

Era il 30 aprile 1915 … la bufera della guerra infuriava ovunque e vi faceva pesare sulla nostra diletta Patria un'ora tremendamente grave …

Quante famiglie si erano rivolte a lui! Quante madri! Quante spose e quanti soldati!

A lui povero cuoco perché pregasse … Gesù Crocifisso a lui affidava la grande missione "Dirai ai Torinesi che io voglio loro bene; ed essi vogliono essere per me? » ( gen. - apr. 1942 ).

Segue una preghiera direttamente rivolta a fra Leopoldo, affinché ottenga per i Catechisti i segni di un "bene" prezioso, duraturo, autentico.

È un tema questo dello scontro tra bene effimero e bene evangelico che abbiamo già esaminato in altra sede e che qui emerge in maniera chiarissima alla mente di Cesone: « Rispondi Fra Leopoldo; tu dal cielo vedi i nostri cuori, il nostro ardente desiderio di vedere il trionfo della croce, non un trionfo effimero, ma un trionfo fatto di opere di penitenza … indizio di un bene duraturo … tu vedi, o fra Leopoldo, i Catechisti del tuo Gesù Crocifisso come si prodigano.

Ma son pochi, son deboli … Ottieni loro una Fede sempre più viva, uno spirito di rinuncia e di povertà sempre più grande, perché anche le loro anime diventino plastiche, docili strumenti in mano all'Onnipotente.

Rispondi o Fra Leopoldo per i nostri Zelatori e Zelatrici … che non contano ormai più i sacrifici, le donazioni, gli atti di dedizione al Signore » ( gen. - apr. 1942 ).

Qui oltre a sottolineare il valore speciale del "bene" di origine soprannaturale che rappresenta, in un certo senso, il prodotto finale di tutta l'attività catechistica, si insiste su altri temi familiari alla spiritualità di Fr. Teodoreto: la povertà di spirito, l'umiltà della rinuncia, la docilità allo Spirito di Dio, e soprattutto la "donazione" del sé al Signore, argomento che aveva ispirato al Fratello un fondamentale articolo apparso sul bollettino nel 1939: « Dio vuole che il cristiano, appena giunto all'età della ragione, si dia e si consacri a Lui con tutto il cuore …

Ma purtroppo sono pochi i cristiani che giunti al momento in cui cominciano a conoscersi e a riflettere, fanno a Dio una donazione completa di se stessi…

Fra Leopoldo invece "si è dato a Dio completamente, senza riserve " mentre molti cristiani "si credono in diritto di disporre di sé stessi e ritengono che Dio non esiga una dipendenza completa" » ( lug.- ag. 1939 ).

Nel 1946 all'indomani di un conflitto disastroso, le cui conseguenze pesano ancora come un macigno sulla coscienza storica della nazione italiana, viene indetta a Torino, in modo ufficiale, la prima Giornata del Crocifisso che forse meglio di tante altre iniziative esprimeva la volontà di espiazione e rinascita di un popolo che era stato tanto offeso nei suoi sentimenti più profondi.

« Troppe ragioni ci inducono a tornare alla sorgente del cristianesimo, a Gesù morente sulla Croce, per fronteggiare il marasma dell'ateismo che sta sferrando attacchi su attacchi alla nostra fede che deve mostrarsi all'altezza dei bisogni dell'ora che volge …

O il mondo ritornerà a Gesù Crocifisso o l'ateismo più feroce farà strage di ogni residuo di civiltà cristiana … senza il Crocifisso non vi può essere che il materialismo, il libertinaggio e la disonestà » ( gen. apr. 46 ).

Queste parole non hanno bisogno di commento, poiché esprimono una tale chiarezza d'intenti che si possono definire quasi programmatiche.

Da dove veniamo, dove andiamo? Cesone sembra voler applicare questo interrogativo ai Catechisti.

E la risposta è spudoratamente poco diplomatica: ritornare alla Croce, per marciare contro il materialismo.

Dopo la sfida lanciata ai primi del secolo dal modernismo, è il materialismo, nelle sue molteplici sfaccettature comuniste, consumistiche e libertarie ad alimentare l'odio per la Chiesa, i Sacramenti ed in genere la visione soprannaturale delle vicende umane. Nella contemplazione del Crocifisso, Cesone attende l'illuminazione e la fortificazione delle anime che sono chiamate a contrastare lo sfilacciamento dell'ordine morale, in simili iniziative, quindi, l'Unione spera di attestare alla città di Torino e al mondo, il radicale bisogno di nutrimento spirituale che ogni società, per quanto avanzata possa essere, deve poter assicurare alle nuove generazioni se non vuole cadere in pericolosi e irreversibili processi di decadenza etica e civile.

L'interazione con la parrocchia è invece il fulcro di uno scritto del 1947, nel quale, parlando delle "Giornate del Crocifisso", vengono ripresi due concetti già cari alla spiritualità di Fr. Teodoreto.

Ovvero, il Crocifisso inteso come "sorgente" del cristianesimo e la tensione ad "irradiare e permeare" le parrocchie con lo strumento dell'Unione.

Nel secondo caso Cesone ricorre ad un termine piuttosto sintomatico: "movimento".

Lungi da una visione statica e burocratica della missione catechistica, egli sottolinea la necessità di smuovere quasi fisicamente l'inerzia dell'indifferentismo religioso "avvicinando" con l'attività parrocchiale e varie iniziative, quali ad esempio, le "Giornate del Crocifisso", "il popolo alla Passione di Gesù da cui è venuta al mondo la salvezza ed ogni civiltà" ( gen-giu. 47 ).

Da notare, che, ancora una volta Cesone collega il momento spirituale della devozione a quello dello sviluppo civile e sociale.

Si sottintende, insomma, un effetto a cascata che porta gli uomini dalla purificazione morale al progresso civile.

Questa visione della storia è quanto di più scandaloso si possa opporre al progressismo illuminista, secondo il quale, al contrario, ogni progresso nascerebbe grazie all'emancipazione dalle superstizioni religiose.

Vengono in mente i libri dei Re dell'antico Israele, dove di ogni monarca viene discusso il maggiore o minore attaccamento alla legge di Dio e se ne fa discendere la salvezza morale e temporale del Regno.

Questa prospettiva storica oggi verrebbe sprezzantemente definita come primitiva e tribale: in verità, dall'editto di Teodosio del 380 anche l'Italia, attraverso la comunità ecclesiale, fa parte del nuovo regno di Davide e stando così le cose sarebbe davvero ora di pensare che prima di avviare le riforme statali è necessario procedere alla riforma ulteriore dell'uomo.

La legislazione umana è, infatti, inetta a trasformare il carattere dell'individuo.

Per Cesone quest'azione di rinnovamento morale e civile può essere innescata dai Catechisti a partire dalle parrocchie.

In occasione della posa della prima pietra della Casa di Carità Arti e Mestieri, emerge invece un'altra esigenza fondamentale che viene formalmente convalidata dalle parole pronunciate in quell'occasione dal cardinale Maurilio Fossati, il quale: « Ricorda d'aver letto un accorato messaggio di un vescovo missionario che invoca con insistenza l'aiuto dei catechisti nella sua missione per … attuare un'efficace opera di penetrazione nelle famiglie » ( 26 giugno 1947 ).

Stupisce che sia proprio un esterno, per di più un vescovo, a suggerire ai Catechisti un'azione su scala mondiale.

Più di 50 anni fa veniva così ventilata una stretta collaborazione tra laici Catechisti e sacerdoti missionari: l'attualità del progetto vista e considerata l'esplosione di sette di ogni genere in Africa e Sudamerica non può non passare inosservata, anche se sul momento, nel 1947, le priorità erano altre: «… molti siano gli operai che, formati dai Catechisti, sappiano portare la loro fede negli stabilimenti … questa è la vera opera di ricostruzione, più necessaria di quella delle nostre case distrutte, perché senza fondamento morale la società non può vivere … ».

Nel clima emergenziale del secondo dopoguerra la rifondazione morale della Nazione ha il sopravvento su tutto, persino sulla pressante necessità di ricostruire materialmente case ed abitazioni.

Il tono profondamente "soprannaturalizzato" di questi discorsi ci da il polso di un clima spiritualmente "forte", che paradossalmente, era emerso dalle macerie di uno degli eventi più devastanti che l'Italia avesse mai dovuto affrontare.

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