Giovanni Cesone

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Gioie ed amarezze alla luce dei colloqui con Fr. Teodoreto

La qualità speciale dell'amicizia intercorsa tra Cesone e Fr. Teodoreto emerge in maniera chiara dai cosiddetti "colloqui" che Giovanni anno dopo anno aveva trascritto a futura memoria.

In genere si tratta di dubbi e contrarietà ( mai pubblicamente espressi ) che vengono sottoposti al giudizio equanime di Fr. Teodoreto.

Le risposte a questi quesiti sono sempre improntati al massimo equilibrio, nell'intento di non incrinare l'unità dell'Istituto: secondo la visione soprannaturale del Fratello infatti le sofferenze andavano donate a Cristo e l'adozione di ogni altra misura, specie se disciplinare, doveva servire più a ammaestrare che a reprimere.

A Giovanni, sopra ogni cosa, premeva la compattezza e l'integrità dell'Unione: delusioni e dispiaceri trovavano sfogo nella cella di Fr. Teodoreto, la camera di decompressione delle sue frustrazioni, ma all'esterno il Catechista faceva ogni sforzo per dare un'impressione di cordialità e buon umore, due sentimenti che tra l'altro erano abbastanza consoni al suo carattere bonario ed estroverso.

Sembra che Giovanni avesse una spiccata vocazione per l'opera di propaganda e le relazioni coi benefattori.

La sua umiltà gli permetteva di non urtare la suscettibilità dei grandi signori e d'altro canto gli attirava la benevolenza dei ragazzi, che lo consideravano quasi uno di loro.

Le sue giornate spesso trascorrevano passando di porta in porta per contattare vecchi e nuovi sostenitori, presentare nuove esigenze, confermare vecchi impegni, coltivare antiche conoscenze.

Girava per la città sempre a piedi, munito di un pesante borsone in cuoio e sovente rincasava tardi a casa senza aver concluso niente.

Soleva dire che era afflitto da continui alti e bassi d'umore: a tratti gli sembrava di aver il mondo in tasca, in altri momenti gli pareva di perdere tempo.

I motivi per scoraggiarsi certo non mancavano, specie quando i progetti a lungo coltivati naufragavano miseramente.

Uno di questi riguardava l'edificio di Villa Nicolas e l'attiguo ma incompiuto tempio ottagonale.

Intorno al 1872 vi si sarebbe dovuto insediare un misterioso Istituto per le missioni che non vide mai la luce; poco dopo il complesso ( residenza più tempio ) venne acquistato dai Fratelli Cristiani che lo cedettero in affitto ai Catechisti.

Sembravano avverarsi i detti di Fra Leopoldo circa l'erezione di un tempio dedicato a Gesù Crocifisso sulla collina torinese; non solo, la stessa Unione pareva ormai aver trovato, negli edifici attigui, una sede adeguata alle sue funzioni.

Ma così non fu, in quanto i Fratelli, in un periodo di emergenza bellica, ordinarono lo sgombero dei locali che vennero affittati da un Ente Statale addetto alla distribuzione dell'energia elettrica, mentre i Catechisti restarono, come si suoi dire, a bocca asciutta, nonostante che nei mesi precedenti fossero state impiegate risorse ingenti nel restauro dei locali.

Cesone rimase molto scosso dall'inconveniente, arrivando a parlare senza mezzi termini di un "affronto" portato ai danni dell'Istituto.

Come già detto altrove questa fu una delle prove d'obbedienza a cui il buon Dio sottopose Fr. Teodoreto e l'intero suo Istituto, ma non si può certo dire che l'effetto di questa umiliazione abbia influito positivamente sul morale dei Congregati, che da troppo tempo erano costretti a mendicare locali adatti all'insegnamento ed ai ritiri spirituali.

Cesone consumò la sua pia vendetta quando individuò nei pressi di Corso Brin un terreno adatto a questi scopi e non lesinò sforzi per trasformare quel terreno nel baricentro di un apostolato che lui avrebbe voluto di respiro internazionale.

L'anonimo estensore del ricordo del 1965, sintetizza questa sua potente aspirazione con un'espressione lapidaria: "trapiantare l'Istituto in tutti i paesi".

Purtroppo, gli sforzi messi in campo all'epoca del suo mandato di Presidente erano destinati all'insuccesso, in quanto la Struttura dell'associazione non era ancora abbastanza solida.

Tuttavia questa tensione all'espansione mondiale dell'Istituto ci riporta alla spiritualità presente nel Diario di Fra Leopoldo Maria Musso: « L'opera che verrà sarà mondiale » ( III, 1336,4 ).

La premessa indispensabile alla realizzazione di questo grande sogno consisteva nella diffusione della Devozione alle Cinque Piaghe che ebbe in Cesone un attivissimo promotore, se non il maggiore, tanto che ancora oggi qualcuno ricorda come in quegli anni le sedi dell'Unione fossero stracolme di foglietti con la redazione multilingue della nota preghiera.

In tanti riconobbero a Cesone la capacità di ravvivare la propaganda e rinsaldare i rapporti tra Catechisti e zelatori.

Non si rintanava certo nel suo ufficio ( ammesso che lo avesse ) a rifinire relazioni o comunicati associativi: al contrario era sempre in giro, sempre sulla strada, in compagnia del fedele borsone ed in sintonia col detto evangelico "Bussate e vi sarà aperto".

Quando gli fu affidato l'incarico di Economo, ebbe a patire non poche angustie, dovute alle ristrettezze economiche che travagliavano i Catechisti.

Di fronte a bilanci costantemente ridotti all'osso, privi com'erano di quelle rendite che fanno la gioia di quanti preferiscono affidarsi al conto in banca piuttosto che alla Provvidenza, Cesone doveva lottare e soffrire ogni giorno per mantenere entrate ed uscite nei limiti della decenza.

Da un colloquio col Fratel Teodoreto, del resto, emerge la diffidenza per i virtuosismi finanziari legati ai prestiti bancari, che avrebbero pericolosamente vincolato il senso ed il futuro di un Istituito che doveva staccarsi, il più possibile dai gioghi umani, proprio per incatenarsi in tutto e per tutto al cuore di Cristo.

Questa scarsa vocazione per le manovre affaristiche attirò su Cesone molte critiche, lo si accusò di essere poco energico nell'amministrazione finanziaria, di mancare di faccia tosta e spregiudicatezza, qualità indispensabili nella gestione economica di grandi iniziative private.

Ma se questo è il cristianesimo allora tanto vale dedicarsi alle speculazioni in Borsa.

La rinuncia a certi sistemi di accumulo è invece il labile, ma significativo sintomo di una mentalità disinteressata ispirata al più autentico spirito evangelico e del resto abbondantemente suffragata dalle esortazioni di Fr. Teodoreto, il quale ammoniva spesso i Catechisti con queste parole: « Se fate calcoli il Signore si ritira »1

I colloqui con Fratel Teodoreto non sono trascrizioni casuali: evidentemente Cesone ha trattenuto per sé le cose che riteneva più significative, in modo tale che oggi, rileggendo quegli appunti, noi intuiamo di riflesso quelli che erano i temi più cari al suo cuore.

Cesone appare innanzitutto preoccupato per quelle false attrattive che a lungo andare distraggono l'attenzione dei Catechisti da compiti più essenziali, quali ad esempio la "vita di preghiera" o la promozione dell'Adorazione.

« Tutti si rivolgono a voi per le preghiere perché vi considerano uomini di grande preghiera.

Se effettuerete questo ideale il Signore vi manderà nuove vocazioni.

Sfrondate le vostre attività dalle opere troppo esteriori, mirate alla vita intima » ( Colloqui, pag. 3 ).

Si dedicava alle pratiche devozionali col massimo scrupolo e puntiglio: spesso guidava personalmente, con voce stentorea e decisa, le varie fasi degli incontri di preghiera, controllando che ogni momento dedicato alla meditazione venisse preso sul serio.

La costanza nella preghiera era giudicato un metodo essenziale per mantenere viva e ardente la "fiamma" dell'Istituto.

« … tenere la fiamma accesa che a suo tempo divamperà e si svilupperà » ( Colloqui, pag. 4 ).

Viene alla mente il tempio della dea Vesta, nell'antica Roma, presso il quale le sacerdotesse addette al culto dovevano mantenere accesa la fiamma divina anche a costo della vita.

Ne possiamo trarre una valida metafora di quello che era l'impegno morale e spirituale osservato nel tempo dal Catechista, al fine di non spezzare quel continuum di grazie e divine illuminazioni che da Fra Leopoldo in poi aveva tenuto in piedi l' "Ordine del Crocifisso".

Si percepisce negli articoli e negli scritti redatti da Cesone un'ansia profonda - che è anche tipicamente teodoretiana - per tutto ciò che potrebbe incrinare il legame che unisce Dio e l'Unione, vanificando, così, i sacrifici di un'intera generazione di Catechisti.

Cesone si sentiva, grazie alla paternità spirituale di Fr. Teodoreto, carne e sangue di quel prodigioso progresso morale e materiale che aveva portato alcuni giovani torinesi ad organizzarsi per lottare contro le perversioni del pensiero dominante.

Tutti andavano in una direzione, quella facile e promettente del modernismo, dell'edonismo, della fuga dalla Croce.

Cesone no: Gioanin, come veniva chiamato ai tempi della scuola il piccolo ragazzino sempre vispo e sorridente, guidato dall'altro Gioanin venuto da Vinchio d'Asti, aveva imparato a remare contro le illusioni della modernità, guidato dalla fede incrollabile in una vittoria lontana ma certa.

L'esasperante lentezza del cammino aveva fatto molte vittime tra i "tiepidi".

Tanti chiacchieroni erano entrati nell'Istituto, avevano zelato per qualche anno ma poi, alla prima occasione erano spariti dalla circolazione: in pochi, da quel lontano 1913, anno del primo ritiro spirituale, erano rimasti, come dice il profeta Elia, a "struggersi di zelo" per la causa del Signore.

E tra quei pochi spiccava senz'altro Giovanni Cesone.

La sua è stata una risalita alla "sorgente" - come diceva sovente - della fede a dispetto di mode, tendenze e ideologie: come i salmoni che per poter trasmettere i propri geni alle nuove generazioni sono spinti a nuotare controcorrente scontrandosi con i flutti, gli scogli affioranti e le fauci di belve affamate, così i Catechisti della prima ora hanno dovuto penare decine di anni prima di toccare con mano i frutti tangibili del loro apostolato.

Molti non hanno resistito a questa attesa esasperante e si sono perduti lungo la via.

Chi ha tenuto accesa la fiamma è riuscito però anche a mantenere viva la santa "irradiazione" sui giovani, in modo tale che, al di là di singoli e transeunti successi o insuccessi materiali, restasse operante quella santificazione che Dio, più di ogni altra cosa, pretende da coloro che si riuniscono in suo nome.

« Più sarete invasi dal divino e più sarete raggianti e conquisterete » ( Colloqui, pag. 5 ).

Parole magnifiche queste, che dicono tutto o quasi dell'apostolato catechistico nutrito di preghiera e amplificato dal divino profumo delle virtù.

La preminenza assoluta assunta da questo imperativo morale - "essere invasi" dal divino - non poteva che porre in secondo piano i calcoli dell'economato, in cui peraltro consisteva la Croce di Cesone, mettendo nella giusta luce i problemi finanziari e le carenze di denaro liquido.

Nei colloqui con Fr. Teodoreto ritroviamo una situazione comune alle antiche comunità monastiche, quando cioè il discepolo oppresso da dubbi e paure, temendo di perdere di vista le coordinate della missione, cerca di ritrovare il lume del discernimento nell'ascolto del Maestro.

Nel caso specifico di Cesone, sono anche in gioco gli affetti personali.

Il cuore dell'uomo ha bisogno in un modo o nell'altro di essere riscaldato nell'abbraccio della comprensione, della consolazione, della confidenza, altrimenti rischia di avvilirsi.

L'uomo disincantato, inutilmente e gratuitamente avvilito, non porta frutto, ma affonda lentamente nella propria mediocrità; ecco perché l'amicizia con Fr. Teodoreto è così essenziale al prosieguo della missione di Cesone.

Durante i colloqui col Fratello egli ricaricava le batterie dello spirito, sfogava i propri livori, purgava l'anima dalle eccessive contrarietà evitando così di cadere nella spirale della sfiducia e dello sconforto.

Se infatti i santi come Fra Leopoldo trovano le consolazioni dell'amicizia direttamente in Cristo, gli altri comuni mortali vivono la solitudine, con profonda prostrazione, percependo intorno a sé un pauroso vuoto affettivo.

Non meraviglia dunque che Cesone dedichi un articolo del bollettino alla vicenda di abbandono e solitudine vissuta da una zelatrice dell'Unione, in quanto molto verosimilmente si sentiva molto coinvolto da certe problematiche ( specie dopo la morte della cugina, la sua seconda madre ).

« Si era rivolta a lui ( a Fra Leopoldo ) per consiglio la zelatrice Vincenza Sisone, rimasta sola per la morte della mamma e fra Leopoldo dopo aver pregato le fece rispondere: "Abbiamo una mammina in cielo si faccia coraggio non sarà mai sola!

Il Signore ha una cura speciale delle persone sole" ( 2-2-1918. )

Dopo circa trent'anni di serena solitudine … moriva felice come lei stessa ebbe a dichiarare » ( Bollettino sett-dic. 1961 ).

Non si può dire che Cesone potesse contare su molti amici personali ( Padre Giobergia ).

Pur coltivando miriadi di relazioni amichevoli con benefattori e zelatori, Giovanni non aveva mai avuto occasione di incontrare - a parte Fratel Teodoreto ovviamente - un amico vero e disinteressato capace di apprezzarlo a prescindere dalle cariche istituzionali che ricopriva.

Il tema della solitudine, del resto, come abbiamo osservato anche a proposito di Fra Leopoldo è, attualmente, dopo la crisi della famiglia "tradizionale", uno dei grandi drammi della modernità, e si accompagna in genere a quello della morte, che viene sistematicamente rimosso dall'immaginario collettivo.

La morte in solitudine è ormai un esito scontato per molte persone costrette a consumare la vecchiaia nell'isolamento totale, come poveri naufraghi abbandonati al marasma della moderna città.

Sempre più spesso i giornali riferiscono di vecchi deceduti, nell'indifferenza generale, in squallidi appartamenti dove i loro poveri resti vengono scoperti a giorni di distanza dalla morte.

È l'indizio di uno stile di vita improntato all'individualismo, che se in gioventù assicura molta libertà, nella maturità porta progressivamente ad un paradossale isolamento nella folla.

A questa "cattiva solitudine" si contrappone la comunione delle anime consacrate all'adorazione del Dio vivente, del Dio-persona che attraverso la preghiera e i sacramenti fa sentire la sua presenza viva e reale vicino a noi.

L'esperienza della signorina Sisone oltre ad illuminare, in maniera indiretta, un aspetto della personalità di Cesone, ci consente di apprezzare meglio le finalità della preghiera praticata nell'Unione.

La fede proposta dal Catechista, per usare un'espressione di La Salle ripresa dalla celebre circolare 328, è "sanguigna", ossia nutre e sostenta l'anima affranta più che solleticare i palati raffinati dei grandi pensatori.

Quando Cesone è preoccupato Fr. Teodoreto gli suggerisce una terapia che per molti aspetti racchiude il senso dell'Adorazione alle Cinque Piaghe e la soprannaturale utilità della sua pratica quotidiana: « Ricordati dei detti di Fra Leopoldo: "tu pensa a Me, Io ( Gesù Crocifisso ndr. ) penso a tè"» ( Colloqui, pag. 13/863 ).

Inquadrata nel contesto del male di vivere, questa indicazione focalizza in maniera efficacissima il senso di un detto che senza gli appunti di Cesone probabilmente sarebbe passato inosservato.

Concentrando mente e cuore su Cristo, sulle sofferenze da lui patite per scongiurare l'effetto ultimo e definitivo dell'inesorabile giustizia divina, attiriamo l'attenzione di Gesù sui nostri crucci.

Il nostro sguardo attira il suo sguardo.

Lo dimostra anche il Vangelo: chiunque si sforza di fissare gli occhi su di Lui, chiunque si fa largo nella folla dei pensieri per "toccare" il Suo mantello viene immancabilmente a contatto con la forza sanante della Croce: con l'Adorazione, Cristo pensa a noi, condivide le nostre amarezze e così facendo le stempera nel fuoco dell'Amore.

Ecco perché attraverso Fra Leopoldo e grazie all'esegesi di Fr. Teodoreto possiamo meditare, non senza rinnovato compiacimento, questa breve quanto meravigliosa promessa "tu pensa a Me, Io penso a tè - cioè mi preoccupo di tè": parole che dovettero influire non poco sul desiderio di preghiera che così spesso infiammava Giovanni Cesone.

Anche nel giudizio sulle persone Cesone manifesta un criterio profondamente cristiano, che prende le mosse dalla qualità delle intenzioni.

Nell'età moderna i pregi dell'uomo sono stati spesso valutati con criteri biologici o economici, ma dai colloqui con Fr. Teodoreto emerge invece la precedenza di un altro metro, basato sull'introspezione del cuore, per la quale, secondo l'antica tradizione monastica, va privilegiato il punto di vista divino, l'attaccamento o meno alla Causa della Croce.

Per il resto, in quest'ottica, lo stato esistenziale conta assai poco; il fatto che si sia sposati o meno, congregati o zelatori, è relativo, ciò che importa soprattutto è la l'affinità con le vocazioni e i carismi dell'Unione « Per esempio Serra Mario è molto vicino allo spirito dell'Unione anche se sposato … noi facciamo delle distinzioni: congregati, anziani, ma il Signore guarda ai cuori, vede i cuori » ( Colloqui, pag. 14 ).

Il cristianesimo ribalta tutti i comuni metri di giudizio: intelligenza, bellezza, successo vengono sostituiti da umiltà, carità, donazione.

Oggi più che mai non si può barare sugli aspetti scomodi e apparentemente "asociali" della dottrina cristiana: stare vicini allo spirito dell'Unione significa anche imparare a remare contro gli pseudovalori laicisti che insegnano falsi amori, falsi sogni, false libertà.

Nell'Unione, insomma, la visione del mondo risulta rovesciata: quest'inversione di giudizio può determinare la "controrivoluzione" dei cuori puri decisi a convertire quelli di pietra.

È, dunque, la riforma del mondo annunciata da Fra Leopoldo.

Da altre riflessioni desunte dai colloqui con Fra Teodoreto si può trarre anche qualche spunto di riflessione sull'origine divina dell'ispirazione e dell'attività catechistica.

Nel 1946, durante una malattia che lo costringeva a letto, Fr. Teodoreto confida a Cesone il contenuto di una sua illuminazione mistica: « mediante una luce speciale ho capito che tutto parte dal Cuore Sacratissimo di Gesù … tutto parte dal Cuore Sacratissimo di Gesù » ( Colloqui, pag. 16 ).

Riferendosi poi ad un anniversario salesiano aggiunge "Anche voi fate bene, se non con grandi mezzi, almeno con grandi ideali".

Siamo ormai nel 1946, l'epoca di don Bosco e del teologo Murialdo è passata da un pezzo, eppure il molo attribuito all'interpretazione mistica dell'agire cristiano è ancora assolutamente centrale: la fornace che forgia buoni catechisti è la stessa di sempre, è il cuore ardente di Gesù.

Cesone annota questi appelli e queste esortazioni quasi a non voler dimenticare l'origine e la finalità del suo cammino, che poi peraltro coincidono.

Nell'Unione, l'Alfa e l'Omega dell'apostolato convergono nella dimensione soprannaturale: la Casa di Carità, le donazioni, i terreni, i progetti sono solo un mezzo per traghettare le vittime dell' "indifferentismo" religioso verso "cieli nuovi" e "terre nuove", in questo modo le disavventure temporali passano in secondo piano, o meglio vengono inquadrate nella loro giusta prospettiva.

Riguardo alla spiacevole vicenda di Villa Nicolas, prima ceduta in affitto ai Catechisti e poi fatta sgombrare, Fr. Teodoreto trae una curiosa lezione di antiburocrazia: « Ciò dimostra … che coi Fratelli sarà meglio trattare alla buona senza contratti.

Il contratto della Villa non ci ha dato che dispiaceri e noia » ( Colloqui, pag. 18 ).

L'approccio burocratico ai problemi dell'Apostolato può ingenerare spiacevoli equivoci, rischia di raffreddare il modo di porsi rispetto ai doveri della missione, spinge i Catechisti a sottovalutare il comando della carità, privilegiando la giustizia cartacea.

Se il Fratello scarica le colpe sulla cattiva qualità umana dei rapporti basati sugli incartamenti e i moduli notarili, Cesone, dal canto suo, scalpita non poco per "l'affronto dello sfratto" e insiste nel rilevare la posizione di spiacevole disagio in cui è stata posta suo malgrado l'Unione.

Di fronte al perentorio ordine di trasloco Fr. Teodoreto, tralasciando ogni possibile intervento presso il direttore del Collegio, consiglia a Cesone l'infallibile scelta dell'obbedienza: « L'ubbidienza è la via più sicura » ( pag. 18 ).

I colloqui ci rivelano anche il grande scrupolo col quale Giovanni Cesone conduceva i suoi affari: ad esempio, dopo la rinuncia al tempio di Villa Nicolas, egli riceve un'offerta di 700 lire destinate, guarda a caso, proprio alla Chiesa del Crocifisso: viste le circostanze, potrebbe convogliare quel denaro su altri fondi, ma preferisce consultare in via preventiva il Fratello.

In queste pagine si palesa pure quella che Fr. Teodoreto definisce senza mezzi termini una "tentazione del demonio", ossia il desiderio a lungo represso di acquisire una totale indipendenza dai Fratelli, in modo da evitare quella sorta di sottomissione ufficiosa che i Catechisti dovevano tributare ai figli del La Salle.

Molti giudicavano intollerabile questa specie di tutela operativa, a motivo della quale troppo spesso bisognava ridursi a chiedere il beneplacito dei Fratelli per intraprendere questa o quella attività.

Fr. Teodoreto reagisce con durezza a simili intolleranze, arrivando ad evocare le insidie del demonio e a paventare, in caso di divorzio dai Fratelli, la dissoluzione dell'Unione.

Qual'è il pensiero di Cesone in materia? Difficile affermarlo con certezza: da una parte manifesta per i Fratelli il massimo rispetto e una grande considerazione, dall'altra non si nasconde che le "molteplici incomprensioni" come diceva lui « fanno pensare a più di uno che le due istituzioni siano fatte per vivere separatamente » ( Colloqui, pag. 26/607 ).

Alle incomprensioni in ambito organizzativo, si assommano quelle di carattere finanziario, in quanto si verificano "errate interpretazioni delle deliberazioni" e una scarsa coordinazione tra i vari gruppi dell'Unione.

Verrà così mensilmente convocata una riunione dove si discuteranno le proposte di carattere economico di tutti i consiglieri ed il cui fine sarà appunto quello di "unire i cuori e affiatare i vari gruppi dell'Unione" ( pag. 28 ).

Ad un certo punto sorgono problemi anche sulle cosiddette "risorse umane": nel 1928 ad esempio il Direttore del "La Salle" chiede con forza di riavere a disposizione il Catechista Ughetto che evidentemente ricopriva già da tempo nell'Unione un molo piuttosto importante.

Si parla della cessione del Catechista come di cosa da farsi "in via eccezionale".

Dunque, le difficoltà non mancano, tuttavia Cesone e Fr. Teodoreto si impegnano sempre a smorzare i contrasti in modo da evitare che i saltuari problemi potessero diventare motivo di gravi disillusioni o peggio ancora di devastanti diserzioni.

Bisogna anche far fronte a pericolose infiltrazioni che minacciano la purezza morale dell'Opera: in un sogno, risalente al maggio 1918, Cesone riceve da G.B. La Salle l'ispirazione a liberarsi della zizzania che infesta l'Unione.

Di lì a poco si confida con Fr. Teodoreto, il quale gli fa un nome ben preciso, sostenendo che la tal persona non è quel che dice di essere e bisogna pregare per lui.

Il Fratello prenderà carta e penna per scrivere all'anima provata dalla tentazione, esortandola a non "attaccarsi al cuore" degli altri.

I modi misteriosi di questa introspezione psicologica non sono nuovi al Fratello: anche nella biografia curata da Fr. Leone emergono episodi simili, relativi alla cattiva condotta di alcuni novizi che, con loro grande sorpresa, vengono redarguiti da Fr. Teodoreto circa comportamenti e mancanze di cui nessuno, salvo i diretti interessati, era a conoscenza.

I colloqui delineano dunque la figura di un Catechista sempre molto attento ai consigli dei suoi maestri, specie quando questi travalicano il comune buon senso e si richiamano a carismi e illuminazioni particolari.

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1 Fr. Leone di Maria, "Fr. Teodoreto", Casa Editrice A & C, Torino, 1956, pag. 253.