Gli Istituti secolari

Indice

1. Origine ed evoluzione degli Istituti Secolari

Gli istituti secolari hanno ottenuto con il Codice il loro posto nella vita della Chiesa, così come nel 1917 le congregazioni di voti semplici, approvate nel 1900 da Leone XIII, lo ottenevano con il Codice precedente.

Questi istituti hanno ricevuto lentamente il loro riconoscimento ufficiale.

Questo ritardo nell'approvazione fu per essi benefico: ha permesso di comprendere sempre meglio questa forma nuova di vita consacrata, cosi diversa dalla vita religiosa, dalla quale doveva distanziarsi per essere se stessa, per definirsi con chiarezza.

Pio XII li approvò infine nel 1947 con la costituzione Provida Mater Ecclesia; ma fu solo nel 1948, con il motu proprio Primo feliciter, che fu pienamente riconosciuta la loro identità, cioè la loro secolarità consacrata.

Queste difficoltà sono dovute in gran pane a una teologia rigida che esigette dapprima i voti solenni come essenziali alla consacrazione a Dio, e, partendo da Pio V, impose la clausura alle donne consacrate nella vita religiosa, sola forma di vita consacrata ufficialmente riconosciuta per esse fino al 1900.

Fu necessario dimostrare che la vita consacrata non è legata ai voti - chi fa voto non è necessariamente religioso; che è possibile impegnarsi con altri vincoli sacri, e che l'essenziale è la consacrazione di vita, atto di amore.

Pio XII dirà nel 1948 che si tratta di una consacrazione a Dio e agli uomini, associata alla consacrazione di Cristo e tale da esprimere i due precetti della carità in un unico dono di sé.

È vero che la vita consacrata in pieno mondo non era una novità.

Esperimenti di essa hanno luogo partendo dalle vergini consacrate, ma i veri istituti secolari datano dall'inizio del secolo.

Tra gli iniziatori più noti, ricordiamo E. Busnelli S.I., A. Gemelli O.F.M. e J.M. Perrin O.P.

L'amicizia che legava Pio XI a padre Gemelli, fondatore dell'Università Cattolica di Milano, fu provvidenziale; il suo 'Promemoria' ( 1936 ), inizialmente condannato dal Santo Uffizio, fu riesaminato dal Pontefice nel 1942 e le sue formule furono riprese nel 1948 nel motu proprio Primo feliciter, per definire la presenza di
questi istituti nel mondo e determinare il loro apostolato proprio nell'ambiente di vita dei loro membri.

Importante è stata all'inizio la posizione degli istituti secolari in rapporto alla vita religiosa, per lungo tempo riconosciuta come la sola forma di vita consacrata.

Da questo derivò, per lunghi anni, la necessità di definirli in riferimento alla vita religiosa.

Nel Concilio Vaticano II si voleva ancora includerli nel capitolo VI « De Religiosis »; un intervento di Paolo VI all'ultima ora salvò la situazione, facendo in modo che nel decreto PC, che trattava del rinnovamento della vita religiosa, si affermasse che questi istituti non sono istituti religiosi, in formale contraddizione con il titolo del documento, e con la mentalità che l'aveva ispirato.

La riflessione degli istituti secolari obbligò anche gli istituti religiosi a definire meglio la loro identità; ciò fu per essi di grande utilità.

La vita religiosa, come dimostra la sua storia, ha le sue origini nel deserto, dove gli eremiti si ritirano allo scopo di vivere per Dio solo, nel silenzio della solitudine.

Parecchi, tuttavia, alla ricerca di un maestro spirituale che potesse insegnare loro le vie dello Spirito, dell'orazione e della rinuncia, e il silenzio interiore nella separazione dal mondo, si radunano attorno a lui, vivono nei dintorni, fino a fondare dei monasteri in cui tutti seguono la stessa regola sotto la guida di un abbas.

Parecchi di questi valori restano fondamentali per la vita religiosa; essi sono d'altra parte un dono dello Spirito.

Questi elementi comuni sono: la ricerca di Dio, il desiderio di vivere per lui solo, l'attrattiva della contemplazione in una separazione dal mondo che favorisca il riposo dell'orazione nel silenzio di solitudine, nella preghiera comune e nella lode divina con il canto degli inni, dei salmi e delle preghiere litaniche.

Questi elementi propri del monachesimo saranno conservati dagli ordini conventuali, dai mendicanti, dai canonici regolari, e anche dagli istituti religiosi di fondazione più recente.

Il Codice li ha ripresi nei cc. 607-608, 663 e 667.

La "professione religiosa" in queste forme di vita abbastanza varie, è un atto pubblico, e si fa in un primo tempo con l'assunzione dell'abito.

Dapprima tacita, questa professione in seguito si esplicita, è pronunciata pubblicamente secondo una formula propria di ciascun istituto, e finalmente è scritta, firmata e conservata negli archivi del monastero o degli ordini più centralizzati.

A poco a poco vengono esplicitati i tre consigli evangelici: povertà, castità, obbedienza, e a questi impegni si aggiungono altri obblighi, come quello della stabilità monastica, dell'obbedienza al Sommo Pontefice, o quello che esprime la finalità dell'istituto e le sue opere proprie: predicazione, servizio dei poveri, catechesi, opere di carità e di misericordia corporale o spirituale, insegnamento, cura dei malati; finalità che bisognerà rispettare come appartenenti al carisma dell'istituto e corrispondenti alle intenzioni del fondatore.

Tuttavia, senza rinnegare questi elementi primari, una evoluzione verso una vita più apostolica si delinea, e favorisce il sorgere di forme di vita consacrata nuova: i "chierici regolari" ebbero un grande influsso.

Altri istituti raggrupparono i loro membri in vista dell'apostolato, senza voler essere religiosi: è il caso di san Filippo Neri, di san Vincenzo de Paul, di san Vincenzo Pallotti e di alcuni altri grandi fondatori di istituti apostolici.

L'apparizione di queste nuove forme di vita consacrata ha preparato a poco a poco lo sboccio degli istituti di presenza al mondo.

Tale fu la Compagnia di Sant'Orsola, fondata a Brescia da Angela Merici e approvata da Paolo III nel 1546.

Era nata come alternativa alla vita monastica per quelle donne che, pur sentendosi attratte alla sequela Christi, non potevano o non volevano abbracciare la vita claustrale.

Restavano nel mondo, sull'esempio delle vergini consacrate dei primi tempi della Chiesa, ma formando gruppo, secondo le norme di vita definite dalla Regola dettata dalla Fondatrice.

In tal modo la verginità consacrata veniva istituzionalizzata, senza tuttavia impegnare i membri in una attività comune né toglierli dal loro ambiente di vita e di lavoro.

Ma in quei secoli turbati, l'autorità ecclesiastica in Francia impose, alle compagnie impiantatesi in quel regno, la clausura, dando origine all'ordine di S. Orsola.

In Italia, invece, le compagnie perdurarono come diocesane e secolari.

Federate ora in istituto secolare sotto la Regola primitiva attualizzata dalle costituzioni, si sono diffuse anche all'estero.

Tre Compagnie ottennero da Paolo VI di vivere secondo la forma canonica in vigore prima del 1958.

Ora sono associazione laicale di diritto diocesano, sotto la Regola della Merici riformata già da Carlo Borromeo e adattata nel 1866 dal vescovo di Brescia mons. Verzeri e dalle sorelle Girelli.

La vita consacrata nel mondo conobbe un secondo periodo di fondazioni: fu l'epoca della rivoluzione francese.

Tra i fondatori si distingue la figura imponente del padre P. de Clorivière, fondatore delle Figlie di Maria e dei Sacerdoti del Cuore di Gesù.

Se la sua prima intenzione fu quella di continuare la vita religiosa nel segreto che gli imponevano la rivoluzione e la situazione penosa di lotta contro la Chiesa, Clorivière prese coscienza che una nuova forma di vita consacrata era possibile e auspicabile: così intravide ciò che presto saranno gli istituti secolari.

Un terzo periodo si apre con l'organizzazione dell'Azione cattolica.

Tra questi laici votati all'apostolato si fa luce il desiderio di rimanere in quei movimenti, e di dedicarsi ad essi totalmente, formando in essi come dei focolai di vita cristiana più intensa, e consacrando in essi la loro vita a Dio mediante i consigli evangelici.

Queste fondazioni saranno alla ricerca di un migliore inserimento nel mondo, pur adattando ad esso la vita consacrata mediante i consigli evangelici.

Certamente la tradizione degli istituti religiosi non era loro sconosciuta; tuttavia, le esigenze stesse della vita in pieno mondo favoriscono una evoluzione dottrinale e un adattamento sempre più flessibile alle circostanze della vita del mondo.

Essa permetterà un giorno di riconoscere tra gli istituti secolari un giusto pluralismo, che conobbe però deviazioni, fino ad assumere forme di vita religiosa non adatte a una vera secolarità consacrata.

Una quarta tappa permetterà agli istituti secolari di comprendere meglio e di affermare più nettamente la loro secolarità: la secolarizzazione della vita civile imporrà una presenza più discreta e più adattata ai bisogni degli, uomini in preda a una crisi di fede e presi nelle difficoltà e nelle tensioni sociali del nostro tempo.

Ne derivò, tra i veri istituti secolari, una attenzione sempre più intensa alle esigenze di una presenza di vita consacrata in un mondo invaso dal secolarismo e sempre meno sensibile ai valori spirituali e alle verità rivelate.

Rimane infine un fatto nuovo da segnalare, che certamente avrà il suo influsso sull'evoluzione degli istituti secolari e sulla loro fedeltà al loro carisma proprio.

Questo fatto nuovo è l'avvento dei "movimenti ecclesiali", che raggruppano in una sola istituzione tutte le categorie di persone: chierici e laici, uomini e donne, famiglie, giovani uomini e donne.

Questi movimenti vivono secondo un carisma proprio di tutte le vocazioni cristiane: includono anche forme di vita consacrata che sono assai simili a quelle degli istituti secolari, o tendono anche a vivere una vita solitària e monastica in questo insieme di vita cristiana fervente, attiva e irradiante.

Alcuni istituti secolari saranno tentati di avvicinarsi a questi movimenti; essi allora vi perdono la loro secolarità ben marcata, o si allargano a ciò che fu previsto fin dal 1948, all'associazione di «membri in senso largo»: persone sposate o celibi, che non hanno l'intenzione o la possibilità di vivere tutte le esigenze della consacrazione a Dio mediante i consigli evangelici.

Considerando queste tendenze nuove, vi sono da notare due punti: un istituto secolare che accetta membri in senso largo perde facilmente la sua secolarità, e si dirige verso la forma di un "movimento ecclesiale" senza tuttavia possederne l'ardore e l'irradiazione.

Ma, ed è l'ultimo punto da segnalare, tutto questo fa riflettere su situazioni concrete che purtroppo non sono state rispettate.

Certi istituti secolari sono sorti tra associazioni pie, nelle quali alcune persone si sono consacrate a Dio per formarvi un gruppo spirituale più impegnato e votato all'insieme.

Questa posizione era veramente un inserimento secolare, e permetteva una vera consacrazione per mezzo dei consigli; ma l'esigenza che fu loro imposta di dichiararsi istituto secolare e di affermarsi in esso come vita consacrata, significò la rovina sia del gruppo di vita consacrata, sia del gruppo maggiore che formava l'associazione di fedeli, fervente e numerosa.

Si comprende dunque, oggi, che un gruppo di membri in senso largo può essere nocivo alla secolarità, e che si dovrà forse tornare a un gruppo ristretto ma veramente secolare, se si vorrà mantenere il carisma dell'istituto e restare fedeli alle intenzioni del fondatore.

I veri istituti secolari sono poco numerosi, e raggruppano relativamente pochi membri; un allargamento del gruppo e una maggiore pubblicità non possono che nuocere alla loro autenticità.

D'altra pane, l'importanza di questo genere di vita non è per nulla diminuita; essa risponde a un bisogno della Chiesa e costituisce una forza apostolica vigorosa.

Poco conosciuti, essi hanno un reclutamento difficile, anche dopo l'approvazione ufficiale da parte di Pio XII; restano sconosciuti al clero, e trovano difficilmente l'aiuto spirituale di cui hanno bisogno.

Forse la loro posizione nel nuovo Codice li farà conoscere meglio e susciterà un'attenzione vocazionale meglio informata e più aperta ai doni che il Signore fa alla sua Chiesa.

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