Presentazione del centro di vita spirituale

Motivi dell'opera

L'umanità, pur tra notevoli conquiste scientifiche, tecniche e a conclamati progressi economici e sociali, continua a vivere travagliata dalle discordie e dalle lotte spesso crudeli e sanguinose, sempre sotto la minaccia di un terrificante avvenire di distruzione e di morte.

Il contrasto, la contrapposizione, la contraddizione sembrano diventare le caratteristiche dell'umanità di oggi.

Infatti, all'aumentato benessere di molti fanno contrasto la fame di moltissimi altri e le moltitudini dei bisognosi e degli oppressi;

La verità è che l'egoismo, il nostro antico male, continua a insidiare e a corrompere i rapporti tra i singoli, tra i gruppi e tra i popoli, continua a ottenebrare le menti e a isterilire i cuori, nonostante che, oggi, appaia più chiaramente come lo sviluppo integrale di ogni uomo possa trovarsi soltanto nell'unione concorde e operosa di tutto il genere umano.

Così che la fede s'è fatta più incerta e vacillante e anche s'è spenta, soffocata da mostruose ideologie e abitudini di vita propugnanti l'ateismo.

Con siffatti prodotti della superbia e dell'egoismo si vorrebbe ad ogni costo rinserrare l'uomo nell'orizzonte della vita presente.

Ma, senza Dio tale orizzonte diventa ogni giorno più angusto e tormentoso.

Senza Dio, infatti, si cade nel "non senso" e nel "non valore" della vita terrena, la qual cosa gli uni scatena a farsi più violenti e rapaci e gli altri opprime ed avvilisce soffocando in essi ogni speranza e slancio di vita.

L'amore, soprattutto, appare sempre più scarso e raro, anche dove, come nelle famiglie, dovrebbe trovare custodia e alimento.

La nostra Torino, poi, pur viva di fermenti e di possibilità, non ha ancora trovato l'accordo armonioso, la sintesi vitalizzante tra le molteplici sue energie e i suoi multiformi talenti.

La nostra città si presenta come divisa in tante "città" più o meno coesistenti:

Torino, come delusa e scettica, più non ricerca il suo compito a servizio del Piemonte, dell'Italia, dell'Europa e del mondo.

Eppure la vera prosperità di questa città, più che per tante altre, non potrà essere conseguita senza che, raccolte e coordinate tutte le energie e i talenti, Torino si orienti e si sviluppi per rapporto a una vocazione che oltrepassi i confini regionali e nazionali.

Ma non ci sarà vittoria sull'egoismo, né certezza di verità, né fondamento di speranza, né unione concorde di sforzi e affratellamento di concittadini e di popoli se non nella luce e nell'amore di Colui che ha espiato in se stesso le nostre colpe, le nostre divisioni e contraddizioni.

Uno solo - Gesù Cristo e Gesù Cristo crocifisso - ci è stato dato affinché fosse « luce del mondo » e nostra « via, verità e vita»; non altri che Lui dobbiamo ricevere come nostro « maestro » e « pastore », come nostra « pace » e « risurrezione »: Lui che è « il primo e l'ultimo », « il principio e la fine » di tutto e di tutti.

Dobbiamo perciò, con la massima urgenza, ritornare a guardare rapiti e fiduciosi a Gesù che dall'alto della croce ci invita e ci attrae per riscattarci dalla nostra condizione di peccato e di morte, per fare di noi tutti, vivificati della sua stessa vita, una cosa sola con Lui nella gloria del Padre.

Occorre che ritorniamo a imparare da Gesù Crocifisso l'infinito e meraviglioso amore che è Dio, occorre che riscopriamo in Lui l'autentico valore di ognuno di noi, ognuno per il quale Egli si è immolato.

Occorre che ritorniamo ad attingere alle sue piaghe sanguinanti e gloriose la vita piena e perfetta, la vita eterna che è la vita della nostra vita.

Ma chi più dei Torinesi è chiamato ad approfondire il mistero della Passione e Morte del Signore e a manifestare al mondo la sublime realtà proclamata dal profeta: « Per le sue piaghe siamo stati santi », e a ripetere a tutti gli uomini l'annuncio dell'Apostolo Giovanni che « Dio ha talmente amato il mondo da dare il Figlio suo unigenito affinché chiunque crede in Lui non perisca, ma abbia la vita eterna »?

Non è forse Torino la custode della più insigne reliquia dell'Amore crocifisso per noi, vale a dire della Sindone nella quale fu avvolto Gesù per la sepoltura?

Su questo lino sono le impronte dei tormenti e delle piaghe del Signore, rese più manifeste ed eloquenti per mezzo della fotografia: uno dei ritrovati della tecnica moderna, una delle fondamentali realizzazioni del nostro lavoro.

Ciò quasi a dimostrarci la vocazione della tecnica e del lavoro ad essere strumenti ed espressioni del nostro conformarci a Cristo, della ricapitolazione di tutte le cose in Lui.

Chi dunque più dei Torinesi dovrebbe, studiando  e contemplando quanto è impresso sulla Sindone, conseguire la più devota e profonda comprensione dell'umanità di Cristo, mediante la quale abbiamo accesso a Dio e si stabilisce la nostra comunione con Lui?

Chi più dei Torinesi dovrebbe ricavare da questa umanità del Verbo crocifisso il senso profondo di ogni uomo e del valore di ogni vita; chi più di essi dovrebbe comprendere il mistero di morte che è il peccato nel mistero d'amore e di risurrezione che scaturisce dalla passione, dal sangue e dalla morte di Cristo?+

Chi più dei Torinesi dovrebbe manifestare al mondo, dopo averlo letto nella virile solennità del volto del Redentore martoriato e nelle impronte della sua tangibile e perfetta umanità fatta di carne e di sangue come la nostra, il destino di gloria che ci attende con la rinnovazione di tutto il creato, attraverso la nostra partecipazione a Lui Redentore crocifisso?

Gesù ha promesso che quando sarebbe stato innalzato da terra avrebbe attratto tutto a sé.

Ma gli uomini sono come dimentichi dell'opera e delle parole del Cristo e non guardano a Lui come all'unica sorgente di redenzione e di salvezza.

Eppure, se gli uomini conoscessero l'amore che si irradia sul mondo e sulla storia dall'alto della croce, se gli uomini accettassero la sovranità di tale amore e, compenetrati da esso, con esso si amassero, allora soltanto diventerebbero davvero un cuore solo e un'anima sola, e conoscerebbero finalmente la gioia e la pace, sia pure tra le tribolazioni della vita presente.

Perciò, non è forse giusto e doveroso concorrere a ripresentare agli uomini il Redentore crocifisso affinché attingano la luce e l'amore, la forza e la vita che attraverso la sue piaghe sempre promanano?

Non è forse quanto mai indispensabile per lo stesso rinnovamento della vita liturgica aiutare gli uomini a comprendere la santissima Eucarestia e a prepararvisi, offrendo loro vie e modi tra i più efficaci per conoscere, affinché lo amino e lo ritrovino in essa, « tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo, nostra Pasqua e pane vivo che, mediante la sua carne vivificata dallo Spirito Santo e vivificante, dà vita agli uomini, i quali sono in tal modo invitati e indotti a offrire assieme a Lui se stessi, il proprio lavoro e tutte le cose create »? ( Conc. Ecum Vat. II, Presbyterorum ordinis, 5 ).

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