Gesù, maestro di vita

Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia ( Mt 5,6-7 )

Nel complesso delle beatitudini ( Mt 5,3-12 ), quelle prese qui in considerazione sono la quarta e la quinta.

Una struttura del testo comunemente accettata divide le Beatitudini in due parti: vv.3-6 ( atteggiamento verso Dio ) e vv.7-10 ( comportamento verso il prossimo ).

I vv.11-12 sono un commento all'ottava beatitudine.

Le beatitudini che ci interessano, pertanto, sono l'ultima del primo gruppo ( v.6 ) e la prima del secondo gruppo ( v.7 ).

Questo ci permette di tener presente il contesto completo delle beatitudini.

Ogni beatitudine consta di tre parti: innanzitutto è enunciata la beatitudine ( beati … ), poi sono precisati i destinatari, ed infine l'intervento di Dio che motiva la beatitudine ( perché … ).

Infatti nel cosiddetto "passivo teologico" va scorto l'intervento di Dio ( saranno saziati, saranno oggetto di misericordia, come vuole il verbo greco alla forma passiva ): ogni beatitudine ha il solido fondamento in Dio!

I destinatari della quarta beatitudine sono, dunque "quelli che hanno fame e sete di giustizia": il testo parallelo di Lc 6,21 si riferisce alla fame di cibo materiale ( "Beati voi che adesso avete fame, perché sarete saziati" ).

Matteo, assegnando come oggetto a fame e sete la "giustizia", offre una formulazione "spirituale": ma attenzione a non considerarla spiritualistica!

Matteo e Luca, con accentuazioni diverse, offrono il medesimo messaggio incisivo.

Fame e sete indicano un bisogno naturale, elementare, forte, che proviene dall'interno dell'uomo; il loro contrario sono l'indifferenza e il disinteresse.

Il binomio "fame e sete" annunzia la sollecitudine di Dio per gli esiliati in Babilonia ( cf Is 49,10; Is 65,13 ), ma più spesso, nei testi profetici e sapienziali, esprime metaforicamente l'intenso desiderio della parola di Dio e della sapienza ( cf Am 8,11-12; Is 55,1-3; Sir 24,18-21 ).

Qui oggetto di intenso desiderio è la variante della giustizia, che sarà il tema principale del "discorso della Montagna" ( Mt 5-7 ), del quale le Beatitudini sono il solenne portale d'ingresso.

È sufficiente ricordare l'assioma centrale di questi capitoli: " Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in sovrappiù" ( Mt 6,33 ).

Giustizia allora non è una disposizione positiva fra le altre: è l'atteggiamento globale e basilare dei poveri di Jahvè, quello che Maria ha espresso quando si è proclamata "povera" ( cf Lc 1,48 ); è dunque l'attesa degli umili nei confronti del Regno di Dio che Gesù va realizzando.

In questa formulazione della quarta beatitudine possiamo raccogliere alcune linee-guida fondamentali che valgono per tutti, ma specialmente per i discepoli di Cristo.

Tutti abbiamo "fame e sete" di un mondo più giusto e più sano; i giovani che hanno avanti a sé tutta la vita ne avvertono un desiderio acuto.

Una prima impressione di astrattezza della formulazione matteana è sfatata anche dalle seguenti considerazioni.

Perché solo Dio sazierà la nostra fame e sete?

Il verbo "saziare", che in alcuni testi ha connotazioni escatologiche, cioè rimanda alla manifestazione piena del Regno ( cf Sal 22,27; Sal 107,9 ), ma soprattutto il tema della "giustizia", suggeriscono la risposta.

Prima di tutto è bene togliersi delle illusioni: la "piena" giustizia non è di questo mondo.

Perché "giustizia" secondo la Beatitudine non è sinonimo di uguaglianza sociale.

O meglio: lo è anche di questo, ma solo come conseguenza del giusto rapporto con Dio.

Mai raggiungeremo il perfetto rapporto con Dio, e tale incapacità è il primo ostacolo alla giustizia sulla terra.

La Bibbia non si accontenta di una giustizia "sociale", bensì vuole una giustizia "teologale" che metta al primo posto il giusto rapporto con Dio, dal quale deriva ogni altra forma di giustizia, e in primo luogo l'eliminazione delle ingiustizie sociali.

Il vangelo, cioè, invita a partire col piede giusto, ovverosia da Dio.

L'umanità che si arrovella per l'uguaglianza sociale si fissa soltanto su questo o quell' ostacolo: difficilmente giunge a rendersi conto che il guaio consiste in un rapporto con Dio sfasato o addirittura negato.

Soltanto se Dio ritorna al centro ( e dipende da noi! ), la "giustizia" non è una chimera.

Rimane però un realistico dato di fatto: se almeno i credenti partono dalla prospettiva del giusto rapporto con Dio per attuare la giustizia sulla terra, essi si accorgeranno che questo rapporto con Lui non è mai perfetto, e pertanto la giustizia quaggiù è imperfetta, come già detto.

Ma non per questo possiamo pensare a un Dio crudele, né dobbiamo alzare le braccia in segno di resa.

È proprio la giustizia vissuta in primis come rapporto con Dio che fa ardere di "fame e sete" noi suoi figli.

In poche parole: la fame e sete di giustizia non è avvertita dai credenti solo perché sperano nella ricompensa eterna.

Ma proprio perché hanno questa ferma speranza ( cioè di giungere ad un rapporto perfetto con Dio nella Patria ), proprio per questo patiscono fame e sete che li spinge a consumarsi concretamente per un mondo più giusto che rispecchi quaggiù la giustizia di Dio, il rapporto profondo che Egli vuole stabilire con i suoi figli.

La quinta Beatitudine passa, come dicevamo, più direttamente al rapporto con il prossimo, anche se quella precedente ha già dimostrato che l'autentica "giustizia" è retta relazione con Dio e con i fratelli.

Questa comunque è la prima di quattro beatitudini che pongono in risalto l'atteggiamento pratico e attivo che debbono avere i figli del Regno.

Nel contesto dell'alleanza biblica Dio si presenta come "Dio misericordioso e pietoso" ( Es 34,6 ): "il Signore tuo Dio è un Dio misericordioso" ( Dt 4,3 ).

Le manifestazioni della misericordia divina percorrono tutta la storia della salvezza; per dire che Dio perdona sempre la Bibbia si esprime così: "il Signore usa misericordia fino a 1000 generazioni" ( Dt 5,10 ), dove il 1000 sta per l'infinità del tempo di Dio.

Duplice è la manifestazione della sua misericordia: Dio perdona i peccati del suo popolo e soccorre e protegge i bisognosi, e chi sa veramente leggere gli interventi di Dio nella storia, come il pio israelita, rende incessantemente grazie "per la tua misericordia" ( Sal 138,2 ).

A questo grazie fa eco l'acclamazione corale "Eterna è la sua misericordia" che apre alcuni Salmi ( cf Sal 106; Sal 107; Sal 118 ) ed in particolare scandisce, per ben ventisei volte, il Sal 136, definito per questo come "il grande Hallel"e posto in bocca alla comunità radunata nel tempio a prestare il solenne culto al suo Dio.

Accanto a questa comunità veterotestamentaria che canta la misericordia di Dio poniamo un'altra comunità, quella dell'Apocalisse.

Il gruppo liturgico, destinatario della "profezia" giovannea, ben caratterizzato dal dialogo iniziale della rivelazione ( cf Ap1,1-8 ), palesa il proprio coinvolgimento lungo tutta la vicenda drammatica contemplata con l'associarsi a tutti i canti di lode e di ringraziamento che si levano in cielo per le ripetute vittorie dell'Agnello.

Non ricorre mai, in questi canti, il termine "misericordia" e affini, ma che altro celebra questa comunità se non gli interventi misericordiosi, i cosiddetti mirabilia Dei a favore dei suoi eletti?

D'altra parte è intercorsa tra questi due estremi la vicenda storica di Gesù di Nazaret che "ancor oggi come buon samaritano viene accanto ad ogni uomo piagato nel corpo e nello spirito e versa sulle sue ferite l'olio della consolazione e il vino della speranza" ( Prefazio comune VIII ).

La comunità cristiana pertanto è come "fasciata" dalla misericordia e dalla tenerezza del suo Dio.

Ed allora prorompe lo scambio intenso: infatti là dove si sperimenta misericordia, si dona misericordia: è la ferrea legge del Vangelo!

A proposito di questa beatitudine si constata con chiarezza quanto sia più importante in essa, ma anche in tutte le altre, l'intervento di Dio ( perché … ): perché "saranno oggetto di misericordia" ( è impossibile rendere letteralmente il verbo greco, ma non ci si deve dimenticare che a questo punto c'è il passivo, cioè Dio è in azione! ), per questo sono "misericordiosi"( eleêmones ), cioè buoni samaritani come lo è stato sempre Dio fino alla massima espressione nel suo figlio Gesù, del quale espressamente si dice che "ebbe compassione" ( cf Mc 6,34; Mt 9,36; Mt 14,14; Mt 15,32; Lc 7,13 ).

Si noti che è sottinteso il presente ( "sono" ), non il futuro ( "saranno" ) nell'enunciazione: "Beati i misericordiosi".

Soltanto coloro che effettivamente, ora, vivono l'atteggiamento misericordioso di Gesù, solo questi troveranno misericordia.

Ancora una volta il vangelo è dirompente: trattando di misericordia e di tenerezza del nostro Dio, saremmo indotti a sentimenti languidi o romantici …

Niente di tutto questo nel messaggio di Gesù: bando ad ogni inerzia e a sentimenti sterili che si camuffano di religiosità.

Dio ci vuole effettivamente chini su ogni necessità dei fratelli; Egli ci vuole benevoli, positivi, suscitatori di speranza, non duri nei giudizi, benevoli con chi vive accanto a noi gomito a gomito ( è facile essere misericordioso con chi vive in Australia! … ).

La nostra revisione di vita quotidiana deve essere stringente: se io sono un'istrice per coloro che incontro, debbo essere persuaso che non vivo immerso nella misericordia di Dio, il mio rapporto con Lui è ampiamente falsato …

Mi incombe una vera conversione, perché mai, come a proposito della beatitudine della misericordia, entra, nella mia vita quotidiana, il pungolo salutare della Parola di Dio tagliente come "spada a doppio taglio" ( cf Eb 4,12-13 ).

La misericordia, anche offerta con fatica, è un bel gradino della scala che conduce alla "perfezione" ( "Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste": v.48; cf Lc 6,36: "Siate misericordiosi … ).

Nota:

Il Sal 136 è di composizione postesilica, ( secoli IV-III a.C. ): di un tempo del quale molte fonti ( prima fra tutte il Salterio ) testimoniano l'alto grado di spiritualità raggiunto dalla comunità israelitica e che si esprime primariamente nel culto liturgico del tempio.

La comunità scioglie un canto di azione di grazie collettivo nello stile della litania: il solista e il coro si alternano nel magnificare il Signore per il suo amore fedele che si manifesta nelle sue azioni di salvezza.

Ne sono elencate ventidue ( quante sono le lettere dell'alfabeto ebraico ) cominciando dalla creazione ( vv.5-9 ) ed espandendosi agli interventi salvifici dell'esodo ( vv.10-25 ).

Non possiamo analizzare ora il Salmo: sottolineiamo soltanto due elementi che aiutano a inquadrare la ricerca che avviamo.

Il primo è quello di una comunità orante in un momento molto intenso della propria esistenza, qual è la celebrazione della pasqua o della festa dei Tabernacoli ( si legga Sir 50 per valutare una liturgia ebraica ).

Secondo elemento è il dato di fatto che questa comunità esprime entusiasticamente la sua partecipazione con un ritornello: "Eterna ( è ) la sua misericordia!".

Una comunità partecipe, impegnata nel proclamare i mirabilia Dei, non sa ( e non può ) far di meglio che erompere nella corale acclamazione di questo tipo che racchiude e sintetizza tutta la propria fede.

É allora logico concludere che l'esame di tutte le variazioni che il termine "misericordia" include è la porta d'ingresso per entrare nel mondo della genuina spiritualità biblica.

Di fronte a questa comunità veterotestamentaria che canta la misericordia di Dio poniamo un'altra comunità, quella dell'Apocalisse.

Il gruppo liturgico, destinatario della "profezia" giovannea, ben caratterizzato già dal dialogo iniziale della rivelazione ( cf Ap1,1-8 ), palesa il proprio coinvolgimento lungo tutta la vicenda drammatica contemplata con l'associarsi a tutti i canti di lode e di ringraziamento che si levano in cielo per le ripetute vittorie dell'Agnello.

Non ricorre mai, in questi canti, il termine "misericordia" e affini, ma che altro celebra questa comunità se non gli interventi misericordiosi di Dio a favore dei suoi eletti?

Don Gino Fattorini