Messa del Povero

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Opera di Redenzione dei Mendicanti

Per essi la miseria è la casa; non hanno un desco, un letto da dormire, un focolare, quattro mura da starci dentro.

Battono il mattino la porta dei conventi e delle parrocchie per avere un pane; lerci come i cani randagi si raggruppano a mezzogiorno davanti alle caserme, tenendo una vecchia latta svuotata di conserva, qualcuno un cucchiaio rotto, a prendere l'avanzo del rancio; ogni momento è un passo di più da pellegrinare di strada in strada, di porta in porta, per vivere, proprio soltanto per trovare da mangiare.

La miseria li circonda, li avvolge, li avvinghia, li soffoca, più che una casa sarebbe una tomba, se non ci fosse Iddio, se non avessero da imitare Gesù, il Figlio dell'Uomo che non aveva un sasso dove posare il capo.

A questa gente - scrisse Daniel Rops - è difficilissimo parlare di spirito, di doveri morali, di grazia, di salvezza.

Non per colpa loro, per colpa di noi, di tutti noi, che permettiamo che alcuni nostri fratelli tocchino il limite della possibilità della vita o lo avvicinino, alla ricerca ossessionante di qualche cosa da mettere sotto i denti.

In questo gruppo ( solennemente terribile alla nostra coscienza ) per il quale in ogni festa cristiana la Messa è celebrata qui all'Opera Pia Lotteri, raccolto dalla fede sensibile e spigliata delle Figlie della Carità e dei Catechisti dell'Unione del Crocifisso, puoi anche distinguere nel tuo egoismo il mendicante « professionista » e il pover'uomo travolto.

Ma se ti fissi più a lungo in loro, in tutti loro, se osservi l'atteggiamento di chi, laico o suora, li assiste, scompare ogni misura di distinzione.

Sono essi in questo luogo, un « fatto » della Redenzione, una pragmatizzazione che tu il più delle volte hai rifiutato, della dottrina della Chiesa che professi e credi.

Sono tutti « senza fissa dimora » ed anche se certi gesti di chi li assiste spiritualmente possono urtare la tua ipercritica mentalità e il tuo troppo sospettoso giudizio, tu sei forzato a superare la tabe della tua raffinatezza, per stabilire un interrogativo: « Come fanno costoro a parlare di spirito, di salvezza e di Grazia, di Dio infine, alla miseria? ».

Il sacerdote che celebra la Messa si volge a commentare il Vangelo, il Vangelo che è il codice di vita più perfetto per il povero, è l'annunzio di un Povero alla miseria.

Già parlammo nei giorni scorsi di questa Settimana Santa, di un mirabile uditorio: quello degli operai che ascoltarono prima della Comunione pasquale.

Sua Em.za il Cardinale Arcivescovo nella cappella delle Piccole Suore dell'Assunzione.

Questo della Messa del povero, meno numeroso, è ancora più impressionante.

Il sacerdote spiega in semplicissimi termini il Vangelo, ne applica la pagina meditata alla povertà.

Questa gente che non legge quasi mai nulla, che non ascolta quasi mai discorsi o conferenze, che sopratutto non vede e non ode nulla che le si « attagli », nulla di « suo », plasma la parte interiore non distrutta dalla miseria su quelle poche parole di Vangelo.

E le beve, come chi ha una grande sete e gli occhi immobili paiono cupidi di un desiderio illimitato.

Al contatto della carità di Cristo si fondono le barriere della miseria e si stabilisce un contatto tra le cose dello spirito e chi lo spirito personale ha veduto, opprimersi in una unica delirante preoccupazione fisica: non patire oltre il limite, mangiare, non lasciarsi morire.

Molti si comunicano, vicino a Pasqua si comunicano tutti, e in quelli più vicini a Gesù, - una sola cosa con lui, - ti accorgi che la miseria, è stata stroncata.

Sotto le vesti sporche e sgualcite, più toppe che panno, sotto la carne tirata e le ossa appuntite, dal volto trasparisce, può ancora trasparire serena una gioia intima, profondissima, quiete di pace, mare dolce di riposo.

Io, e tu, ricchi pur senza possedere altre se non cose di poco valore, ma ricchi perché siamo disperatamente attaccati ad esse, dobbiamo invidiare.

Dopo la Messa, l'amore delle Figlie della Carità e dei Catechisti si mette in azione; alcuni fan da barbiere per i poveri, altri ne ascoltano le richieste e si interessano delle loro pratiche: di lavoro, di malattie, di sistemazioni in varia specie.

I poveri fanno colazione, ricevono quel po' di vestiario che è stato trovato per i loro bisogni, sbrigano un mucchio di faccende, si riassettano un poco per la intiera settimana.

Ma tuttavia riesci subito a capire che non sono venuti alla Messa per la colazione per i poveri, per farsi far la barba o per le pratiche.

Il tono non suona falso, non è una illusione.

Davvero suore e catechisti hanno saputo parlare di Dio alla miseria.

Ci vuole, è necessaria, insostituibile questa integrazione di carità attiva; altrimenti siamo al solito nostro peccato: gran discorsi …

Tutti gli elementi posti in azione compongono la sinfonia la quale può anche illuminarsi di miracolo.

I poveri della Messa del povero, non ricevono doni da una altissima, lontanissima beneficenza.

Sono ripagati in parte di una ingiustizia.

Diventano uomini come tutti gli altri e danno una prova di valori evangelici.

Generano in chi li assiste un adorabile incontro con Cristo, che dalla loro addolorata povertà traluce; sono riconosciuti nostri fratelli finalmente, i nostri fratelli migliori per questa imitazione tremenda che li immedesima con Gesù.

« L'Italia » 21 - 3 - 1940.

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