Patris instar

B156-A2

S. Giovanni Battista De La Salle ( 1651-1719 ) e Fratel Teodoreto delle Scuole cristiane ( 1871-1954 )

- Due epoche

1. Due secoli separano S. Giovanni Battista de La Salle ( n. a Reims il 30 aprile 1651 ) e il ven.to Fratel Teodoreto delle Scuole cristiane ( n. a Vinchio d'Asti il 9 febbraio 1871 ): l'uno di nobili natali, che gli avi suoi risalivano al leggendario Juan Salla ( + 818 ) capo degli eserciti di Alfonso il Casto, re di Oviedo, annoveravano un Vescovo già sugli altari, S. Ermengaudo di Urgel ( + 1035 ) e parentadi con i Visconti di Milano, i Duchi di Orléans, di Wurtenberg, d'Austria; l'altro, un umile figlio dei campi, la cui famiglia non ha storia, che con Lui, anche se con tenacia tutta piemontese, da generazioni e generazioni, di padre in figlio, tramandava e casa e campo, e in paese, i Garberoglio potevano dirsi qualcuno.

2. Ma i tempi, - l'« Ancien regime » di Francia, per il De La Salle ( lo splendore di Versailles con l'inimmaginabile miseria delle plebi, e nel gran corpo della Chiesa, le eresie superbe del Gallicanesimo, con quelle agghiaccianti del Giansenismo ) e, per il ven.to Fr. Teodoreto, gli anni « post-risorgimentali » ( il « liberalismo politico », da noi, con la separazione tra Stato e Chiesa e lo sforzo settario di tutto laicizzare in un Paese cattolico, la conseguente scristianizzazione del popolo, mentre il « modernismo » affetta anche parte del Clero ) anni mal definibili, se non volessimo dirli, per antonomasia, « quelli del Sillabo » ( 8 dicembre 1864 ), che vedono le folle penetrarsi, attraversa il socialismo rivoluzionario, d'una dottrina di odio e di distruzione, - si richiamano in modo singolare.

3. Allora, il « pauperismo », frutto del capitalismo di teorizzazione e di iniziativa protestantica, abbrutiva ed esasperava il popolo minuto e colpiva soprattutto i ragazzi, con l'abbandono della miseria ed il vagabondaggio del vizio: per poco, l'avite virtù dei maggiori, - ed erano state grandi, - avrebbero rotto ancora nelle traballanti strutture sociale, poi, con la nuova generazione ( il fanciullo di ieri, mortificato nell'abiezione dell'ignoranza, della fame, dell'irreligione ) tutto sarebbe crollato nel gran rogo sanguinoso della Rivoluzione francese, giusto settant'anni dopo la morte di S. Giovanni Battista de La Salle.

Vanamente fu scritto che l'« opera sua, ben compresa e non osteggiata, sarebbe forse stata la sola capace di evitare alla Nazione simile flagello ».

Del senno di poi, dicevano i nostri nonni, sono piene le fosse: ma è inoppugnabile che le « idee di Dio » non si svolgano, tra noi, che fra le contraddizioni.

4. Per fortuna, ma è quasi irriverenza notarlo, la « rupe di Pietro » è ben altra cosa che la « stele di Diocleziano » e la sua albagiosa iattanza: Deleto nomine Christiano.

Ne le opposizioni, - il de La Salle muore, dopo aver veduto pressoché distrutto il proprio Istituto, ( salvo, quest'ultimo, solo per l'eroica fedeltà dei Discepoli, anche sotto il dominio di imposti superiori ecclesiastici ); ne gli « autocratismi politici », - la soppressione, ad es., delle Congregazioni insegnanti, « tei quel l'Institut des Frères des écoles chrétiennes » ( 18 agosto 1792 ) da parte dell'Assemblea rivoluzionaria, poi imitata da vari governi « costituzionali », laici o atei, fino ai nostri dì, con le loro persecuzioni latenti ( leggi scolastiche, ad es., un po' ovunque, e purtroppo, anche da noi, dal 1848 ad oggi ) o neroniane ( dai Cannes di Parigi e i Pontons di Rochefort, alla cortina di ferro e di bambù ); ne l'evolversi stesso degli uomini e delle cose nel cammino, or lento or rapido, della umanità, che postula nuove strutture a bisogni nuovi, riescono ad obliterare queste « idee », che Dio incarna in santi Fondatori, nel campo della sua Chiesa.

Per la loro attiva sopravvivenza, per il loro medesimo ampliarsi ed approfondirsi d'opere e di valori costruttivi, Dio non richiede che una cosa, ma questa in modo essenziale, la « fedeltà » allo spirito che le dettava, quale risulta inoppugnabilmente dalla vita e dagli scritti dei loro iniziatori.

5. Fratel Teodoreto, per la sua intima ed intrinseca compenetrazione dello spirito del suo Istituto, reincarna la missione del suo Fondatore, e noi siamo sorpresi dalla lasallianità del suo messaggio e dalle sue attuazioni, così da vedere in Lui e per Lui, quasi come un provvidenziale ritorno alle origini della Congregazione dei Fratelli delle Scuole cristiane, ed una prima filiazione « piena e paradigmatica », « dinamica e terminale », d'un Corpo religioso, che in due secoli di fedeltà, raggiunge la finalizzazione del tempo adulto: non come apporto complementare e sussidiario, ma come azione necessaria ed unitaria, che non si limita alla scuola, ma investe tutta la vita di chi è stato a cristianamente educato ed istruito ».

Il de La Salle non ha « fondato » le sue « scuole cristiane » solo per sottrarre alla strada dei vagabondi e metterli in grado, da un lato, di sopportare cristianamente la loro condizione, dall'altro, offrir loro i mezzi per migliorarla; ma, - scandalo di tutti gli improvvisati sociologisti e psicologisti, - perchè « amassero la loro povertà » ( Med. CCII,2 ) e, - primo nella storia dell'educazione, con, mirabile intuito sociale, - perché « congiungendo, i maestri, nel loro impiego, lo zelo per il bene della Chiesa a quello dello Stato » potessero i loro alunni collaborare un dì, a questo bene ( Med. CLX,3 ) costruendo una società cristiana, che non può essere contrassegnata che dai caratteri della santità, per cui, - altro scandalo, nuovo e più grande anche per i benpensanti, - chiede per gli allievi la stessa santità che per i maestri: dice infatti a questi ultimi: Voi dovete comunicar loro la vostra santità e una santità eminente, poiché a questa siete chiamati, voi ed i vostri discepoli ( Med. XXXIX,2 ).

6. La società cosidetta moderna, non ha solo degli a empi », come al tempo di S. Giovanni Battista de La Salle; ma, veri e propri « atei ».

Essa è piena della tristezza delle « cose perdute » ( la certezza della fede, il valore d'una morale aggettiva, il senso del pudore … ); è scossa da sussulti frenetici, non solo nel godimento di effimeri beni materiali, che Inoperosità umana sconta con ineffabili torture di smarrimenti, d'insoddisfazioni, di dubbi sulla stessa sua finale ( ed attuale ) validità, ma con la « nausea » di tutto, perché ognuno s'avvede, o sente confusamente, che la « tecnica » se fatta inesorata liquidazione dell'uomo …

Tentativo di sfuggirle, è l'aberrante conclamata « libertà fine a se stessa », irrazionale, illusoria, ribelle, tanto che le corrispondono, nell'attuazione, mostruose forme di totalitarismo despotico ed opprimente …

E bisogna ricominciare da capo.

« Le peu de Christiianisme, qui est dans le monde … », notava il De La Salle, nel lontano 1684, d'una società che amava dirsi « très chrétienne »: « una vita, che di cristiano ha poco più che il nome, fatta di mediocrità, di accidia, di acquiescenza al male », nota Fratel Teodoreto a proposito dei a buoni », e non condanna, ma, si domanda perché mai slanci anche generosi s'intorpidiscano, ed in pratica risultino sterili, nonostante il successo esterno …

Vede che, in fondo, anche i cristiani hanno « velato » il Cristo crocifisso, per non vederlo che debellatore di morbi, moltiplicatore di pani, facile perdonatore di adultere e sponsore del Cielo a « buoni ladroni »: si ha paura, e più che paura, « vergogna » della Croce, del mistero cruciale del dolore, della povertà, della penitenza.

7. La povertà non impaura lui, figlio di duri contadini, e la penitenza è virtù autentica della saggezza di chi non vuoi che sugli altri ricadano i propri falli, dei quali anzi s'addossa una responsabilità, che a noi pare eroica, ed è invece nel debito comune, perché siamo tutti colpevoli e solidali nel male di un nostro fratello.

Il de La Salle aveva dovuto a romperla » con la tradizione d'una nobiltà ipostatizzata d'eccellenze ( confessa, lui stesso, la a propria ripugnanza ad unirsi con i suoi maestri » laici e plebei ): la società del tempo, ecclesiastica e civile, glie ne farà colpa.

Ma l'uno e l'altro, ormai, sono « sedotti » dal Cristo; l'uno e l'altro trovano nella pratica austera della penitente mortificazione, nella devozione alla croce ( v. la a Profession du pénitent » del De La Salle ), lo strumento d'una redenzione « nuova », che li fa « idonei » al riscatto dei loro simili; a quell'apostolato che non è costituito né dalla scienza con i suoi tecnici apparati di penetrazione e di conquista, né dall'eccellenza e dal fascino personale, ( l'uno e l'altro inebetito di compiacenza e quasi dissolto con l'applauso stesso del suo successo contingente ) ; ma materiato di configurata rassomiglianza al Cristo crocifisso, con l'annichilamento dell'uomo, delle sue opacità e presunzioni.

Nessuno dei due, né il De La Salle né Fr. Teodoreto, disprezzano quel che è « vero » nei dati della psicologia, della « realtà umana »; ma nessuno dei due pone il fidato umano » avanti a quello divino; e questo, non a parole, ma sinceramente e concretamente, nei fatti, com'è nella persuasione.

8. È per questo lato, ch'essi sono condotti a « fondare » l'uno la Congregazione dei Fratelli delle Scuole cristiane, l'altro, l'Istituto Secolare dei Catechisti di Gesù Crocifisso e di Maria SS. Immacolata.

Non è l'architettura sapiente d'un meditato disegno di saggezza umana.

Il De La Salle manco s'avvede, agli inizi, dell'opera che Dio gli ha posto tra mano, e per gran pezza, non solo rifiuta di riconoscersene il fondatore, ma vede in « sé solo », come l'ostacolo principe se non unico, d'ogni remora e d'ogni insuccesso della nascente Congregazione, che si attua, prende una sua forma consistente, s'espande « al cenno di Dio » senza che mai il Santo, che pure non s'impaura delle difficoltà, muova il primo passo: « Essa è di Dio ».

Non diversamente Fratel Teodoreto, il quale non pensa che a compiere tutt'intero il suo dovere educativo, che gli si rivela esiguo nelle pur dure ( e per lui forse anche più pesanti di quello che non lo siano ai più ) ore di scuola, perché la vita, troppo presto, prèda o inaridisce i pur promettenti semi della scuola cristiana, è condotto all'opera sua da una preghiera, una semplice « devozione », che gli si rivela « valida » perché sprovvista di tutto ciò che è accorgimento, mezzo, progetto umano.

Sprovvista di tutto, ma non dell'intima coerenza che il Crocifisso non può essere, con le migliori intenzioni del mondo, un puro simbolo devozionale, per cui dalle sue piaghe sgorga la realtà cristiana del « ritorno crocifìggente » a Cristo.

Come « pregare » per la Chiesa, se per me è il tempio « vuoto » di Dio, d'un simulacro di religione, con riti che non sono più, per me, sacramenti? se me ne vivo « nel mio peccato » perché non so più attingere alle fonti misericordiose della Confessione, né mi « nutro » con frequenza del pane di Dio?

9. E così, di piaga in piaga: se non m'importa che la « redenzione » ristagni e che « peccatori e moribondi » ( peccatore, anch'io; moribondo, anche io ) vadano incontro a Dio con l'ostinatezza del cinico, l'insipienza dell'illuso; se non sento che la società ha urgente bisogno di santi, dovunque, ma almeno in quelle serre divine, che sono gli ordini, le congregazioni religiose, le opere dell'apostolato cristiano; se non comprendo che la « chiamata » di Dio, sia pure attraverso l'invito d'una « devozione » è un titolo di carità, che mi lega d'un amore elettivo con chi quel medesimo invito ha ricevuto, così che, ignoto, non è per me un estraneo ree ire questa ne nell'altra vita ( e ciò coro perfetta reciprocità nei miei confronti ); se infine, rifiuto, perché ignoro, quel compenso che la preghiera del Cristo, - i meriti della Passione, - può offrire se impetrata, per coloro cui ho fatto del male, defraudato del bene ch'io loro dovevo, della gratitudine, dell'amore …: a che tenere in mano il Crocifisso? perché scrutare piaghe ch'io esaspero? che serve un litaniare di parole?

Per questo, la « Devozione » portò allo studio del s. Vangelo e questo richiese il Catechismo.

Per lo studio della religione s'impone la coerenza della vita cristiana, che in un mondo « per metà ateo e per metà laicista ». non può più effettuarsi che piantando saldamente la croce nel cuore; crocifiggendo le nostre concupiscenze; disprezzando soprattutto l'egoismo comodo ed ignaro di chi crede basti « scandalizzarsi » e non espiare; la codardia della propria debolezza che non sa sperare, perché forse crede, ma non ama, o non comprende che Dio va amato sopra ogni cosa, e soprattutto più di noi stessi, che « chi vorrà risparmiare la propria vita, la perderà ».

10. Sono i temi dal lasallianesimo che lievitano l'Unione del SS. Crocifisso e di Maria SS. Immacolata, prima, poi le regole « lasalliane » dell'Istituto secolare, le quali allo « spirito di fede » ( per cui^ anche i « Catechisti » si regoleranno e condurranno in ogni cosa con l'attenzione rivolta a Dio, lasciandosi docilmente guidare dal suo spirito ), oltre allo « spirito di zelo » ( che li porterà a spendersi totalmente nel campo loro assegnato ch'è la « riabilitazione del povero » configurata nelle « Case di carità per arti e mestieri » per gli operai ed in un'ardita penetrazione nel mondo del lavoro anche impreditoriate ), accentuano lo a spirito di riparazione » che il lasallianesimo codifica come ineliminabile coscienza del proprio peccato, posta come fondamento di tutte le nostre relazioni con Dio ( non solo la radicale umiltà del nulla della creatura, ma il nulla positivo del peccato, ch'è confusione per la colpa, vergogna di trovarsi tuttavia tra i servi di Dio, detestazione d'ogni movimento del proprio io che tenti una giustificazione, accolga una soddisfazione, riecheggi un compiacenza, postuli una qualche eccellenza … ).

Quell'espiazione che il de La Salle intima di rigore ai suoi maestri per ogni fallo commesso dagli scolari in classe ( e c'è anche un « contropasso » per la punizione inflitta ) o di cui s'abbia notizia, Fratel Teodoreto estende per i suoi Catechisti ad uno « stato » durevole e non esauribile riguardante tutta la « civiltà del peccato », ch'è principalmente denunciata nel campo del lavoro ( volto ormai alla « sazietà » d'un bene di consumo, un godimento immediato, di ricchezza strumento di piacere e la conseguente crudeltà del « fatto » concluso nel dramma terreno, un bramito di fiera, che non ha parola ne per la gioia, né per il pianto, e nel campo della tecnica ( che pone sempre più in dubbio la validità dell'uomo interiore, dello stesso pensiero, vorremmo dire, per non far posto che all'azione, crogiolo che consuma, dissolve, ma non affina, poiché l'attivismo moderno spaziando nell'orbite dei pianeti, non dubita meno di sé, ed ogni suo balzo nella precaria conquista dell'universo, è in pari tempo l'angoscia ( vanamente mascherata di trionfo ) per il nostro domani.

( Continua )

F. Emiliano