La parola del Papa

B186-A1

Il programma della vita cristiana non tollera mediocrità; è tremenda, a questo riguardo la parola dell'Apocalisse, che dice: « Io conosco le tue opere, e so che tu non sei né freddo, né fervente; … ma poiché sei troppo tiepido … io sto per vomitarti dalla mia bocca » ( Ap 3,15-16 ).

Santi di nome erano qualificati i primi cristiani, ammessi alla comunione ecclesiale di fede e di grazia, e sapevano che come tali dovevano comportarsi.

Ancor oggi nelle nuove comunità missionarie è coltivata questa mentalità, che obbliga a conformare il modo di vivere alle esigenze assunte dal nuovo stile di vita, lo stile cristiano.

Viene spontanea la domanda: come si può imporre un dovere così grave a gente di questo mondo, della quale conosciamo la pigrizia, anzi l'inettitudine verso i grandi ideali, verso quelli morali specialmente, che non vagano nelle speculazioni utopistiche, ma esigono applicazioni pratiche e concrete nella vita vissuta, e conosciamo parimente la fragilità nella coerenza operativa e l'illusoria felicità di assecondare le proprie passioni e gli stimoli dell'interesse e del piacere?

È esatta un'interpretazione della vita cristiana così severa?

Non è la legge evangelica condiscendente con la debolezza umana?

Liberatrice dai pesi del giuridismo e del moralismo?

Quale lunga risposta esigerebbe una così complessa e radicale questione!

Rispondiamo per ora molto sommariamente.

La vita cristiana, sì, è liberatrice dal peso di norme superflue alla perfezione, che sostanzialmente consiste nella carità ( Col 3,14 ), e che denuncia nel fariseismo un'ipocrisia intollerabile ( Mt 23 ); ma non è lassista, anzi è moralmente seria e severa: si legga il discorso della montagna.

Essa è tutta tendente ad una perfezione, che comincia dall'interno dell'uomo e che perciò impegna l'orientamento della libertà fino dalle sue prime radici, dal cuore ( Mt 15 ).

Ma dobbiamo tener conto, innanzi tutto, che l'azione umana del cristiano gode di un sussidio interiore meraviglioso e incalcolabile, la grazia; non dice il Maestro per confortare i discepoli, impauriti delle esigenze della morale evangelica: « Questo è impossibile presso gli uomini, ma presso Dio ogni cosa è possibile »? ( Mt 19,26 ).

Questo è un punto capitale per il seguace di Cristo e per tutta la dottrina e la pratica della vita e della perfezione cristiana, cioè per la conquista della santità.

La grazia rende lieve e soave il giogo di Cristo ( Mt 11,30 ).

La grazia operante nello spirito umano ne moltiplica le forze, fino a rendere amabile il sacrificio di sé, la povertà, la castità, l'obbedienza, la croce.

E poi possiamo aggiungere che la santità a noi richiesta non è quella dei « miracoli », cioè dei fenomeni straordinari, ma quella della volontà buona e ferma che in ogni vicenda ordinaria del vivere comune cerca la dirittura logica della ricerca della volontà divina.

Ed è di questa dirittura che vorremmo parlare, contentandoci di affermare ch'essa è la « testimonianza cristiana », di cui tanto si scrive e si discorre.

È di questa santità che ha bisogno oggi la Chiesa: l'apologià dei fatti, degli esempi, della virtù trasparente, alla quale anche quelli che ci circondano danno riconoscimento e lo riferiscono a Dio ( Mt 5,16 ).

Ed è questa santità, questa integrità di carattere cristiano, che rende, anche nel nostro mondo, profano e spesso ostile e corrotto, attendibile, come oggi si dice, il messaggio della Chiesa.

( da Oss. Rom. 5-11-72 )