L'umanesimo nuovo

B278-A5

Da "Il giorno e la parola", ed. ElleDiCi, per gentile concessione dell'Autore - Giuseppe Pollano

Il "Padre nostro".

"Padre, sia santificato il tuo nome;
venga il tuo regno;
dacci oggi il nostro pane quotidiano,
e rimetti a noi i nostri peccati,
perché anche noi rimettiamo ad ogni nostro debitore;
e non ci indurre in tentazione". ( Lc 11,1-4 )

"Un mattino - racconta di sé dodicenne Sartre - decisi di pensare all'Onnipotente.

Sull'istante egli fece capitombolo nell'azzurro, e sparì senza dare spiegazioni; non esiste - mi dissi - e credetti l'affare concluso".

Inizio d'un'orfanità che ha segnato culturalmente il nostro secolo.

Alla stessa età Gesù aveva detto nel tempio a Giuseppe e Maria:

"Perché mi cercavate? Non sapevate che devo occuparmi delle cose del Padre mio?".

Il Gesù del Tempio, fatto adulto e decisamente entrato nel compimento del disegno paterno, comincia con il mettere sulla bocca dei suoi discepoli la sua stessa orazione, la sua scienza di pregare.

La "formula" che egli inventa, al di là delle differenze redazionali, è unica, e fonda non una devozione, ma un vero umanesimo nuovo: dal "Padre nostro" detto, creduto e vissuto, nascerà una schiatta nuova, quella dei "figli adottivi" di Dio.

Noi siamo di quelli.

Come ci configura dunque il dialogo con il Padre che Gesù esprime per noi e per la nostra autenticità?

In primo luogo come figli del cuore di Dio.

Figli della sua affettuosità, visto che siamo stati autorizzati a chiamarlo in modo tenero e accattivante, non da adulti ma da bimbi.

"Non è forse Efraim un figlio caro per me?", dice il Signore; e così rivelandosi egli mostra il suo evidente desiderio di essere creduto il Dio dell'affetto e della fedeltà benigna.

Bisogna molto spesso riflettere contemplativamente sul nome "Padre" che diciamo a Dio con troppa noncuranza.

Un tale Padre con la sua paternità ci configura, ci fa essere non all'onor del mondo, come diciamo, ma all'onor di se stesso che è Dio; e vivere all'onor di Dio è aprire la nostra umanità, ossia ciò che siamo, al suo regno: il regno del Padre in ciò che è umano si chiama Gesù, nel quale intende "ricapitolare tutte le cose", perché solo in lui il Padre può compiere la sua totale progettualità d'amore.

Da tale condizione, che supera le nostre più "trascendenti" immaginazioni, nasce l'umanesimo nuovo, la cui misura concreta sta nel grado, di "conformità", e quindi di conformazione, che raggiungiamo nei riguardi di Gesù Signore.

Il Padre ci vuole tutti assimilati a Gesù.

Come si vede non si tratta di un umanesimo in primo luogo ecologico, o scientifico nel senso di Faure: "Comprendere il mondo, disporre di tecniche, arricchire il mondo con oggetti: tre elementi che rendono l'uomo potenzialmente padrone del proprio destino", e neppure di un umanesimo estetico o poetico o sociale che si radichi comunque nella "misura" uomo.

Si tratta piuttosto d'un umanesimo che, riconosciuta l'incompiutezza sua propria, si volge nell'uomo che compie l'uomo, Gesù, e vi entra a vivere.

Di qui viene che le categorie caratterizzanti di tale umanesimo siano la consapevolezza della bontà provvidente di Dio, e, come immediata conseguenza e coerenza, l'assunzione del perdono come rapporto, che fonda le relazioni umane.

L'umanesimo del "Padre nostro", che riconosce anche la presenza del male oscuro e spirituale nella storia del mondo, si realizza così come elevazione e impegno nel mondo, lievitazione umana nel dialogo con Dio, inizio della vita dalla Vita.

Quando Gesù insegnò il "Padre nostro" lo fece perché richiesto di "insegnare a pregare".

L'ha fatto. E noi, abbiamo imparato?

Sii benedetto in eterno, Figlio generoso del Padre, perché ci hai collocato, con la forza della parola che prega, nel cuore della Vita eterna.

Sii benedetto perché ci hai rivelato con una preghiera tutti i significati dell'esistenza.

Sii benedetto perché ripetendo l'orazione che ci hai rivelata noi entreremo in ciò che dice fino a viverla, ormai tutta compiuta, nel dialogo che è eternità.

Amen.