Convegno ecclesiale di Verona

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Attuare la speranza con uno stile di vita santo

Riflessione spirituale di Dom Franco Mosconi su 1 Pt 1,13-21

17 ottobre 2006

Fratelli, tenendovi pronti nello spirito e restando sobri, ponete tutta la vostra speranza in quella grazia che vi sarà data quando Gesù Cristo si manifesterà.

Come figli obbedienti, non conformatevi ai desideri di un tempo, quando eravate nell'ignoranza, ma, come il Santo che vi ha chiamati, diventate santi anche voi in tutta la vostra condotta.

Poiché sta scritto: Sarete santi, perché io sono santo.

E se chiamate Padre colui che, senza fare preferenze, giudica ciascuno secondo le proprie opere, comportatevi con timore di Dio nel tempo in cui vivete quaggiù come stranieri.

Voi sapete che non a prezzo di cose effimere, come argento e oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta, ereditata dai padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, agnello senza difetti e senza macchia, gli fu predestinato già prima della fondazione del mondo, ma negli ultimi tempi si è manifestato per voi; e voi per opera sua credete in Dio, che lo ha risuscitato dai morti e gli ha dato gloria, in modo che la vostra fede e la vostra speranza siano rivolte a Dio.

Credo che per molti di noi qui presenti questo brano sia già stato motivo di meditazione e assimilazione in vista proprio di questa assise della Chiesa italiana qui a Verona.

Questa lettera di Pietro è probabilmente un'antica omelia battesimale che prevedeva, dopo l'annuncio della Parola, l'immersione nel fonte battesimale, quasi a dire: un'immersione nella Parola per poi uscirne rigenerati.

Per l'autore di questa lettera, l'esistenza cristiana è contrassegnata dalla speranza.

Ma « sperare » non significa solo e semplicemente attendere dal futuro il compimento di una salvezza non ancora posseduta, ma vivere già ora secondo uno stile di vita che anticipi il futuro.

La speranza cristiana è dunque una vita nuova motivata dall'esperienza e dalla scelta battesimale.

Il testo che abbiamo davanti ci presenta la novità della vita cristiana: la speranza cristiana è la chiave dell'esistenza, perché apre alla pienezza che ci sarà data e di cui abbiamo la caparra ( Rm 8; 2 Cor 1,22 ).

Spesso la comunità cristiana manca di un orizzonte escatologico.

L'aldilà è sostituito con l'aldiquà.

E una comunità cristiana che non spera più è morta, annuncia forse ancora il Vangelo, ma con un tono stanco, rassegnato, già con la convinzione che tanto non serve a niente!

Una comunità cristiana che non spera, piano piano arriva a convincersi che la via tracciata dal Vangelo non è più percorribile oggi, che bisogna trovare dunque altre strade; arriva piano piano ad ammettere che i valori essenziali del Vangelo quali la gratuità, l'amore, la povertà, la piccolezza sono cose d'altri tempi: oggi conta la potenza, il successo, la ricchezza, la forza dei numeri e dei mezzi.

Il primo appello ( 1 Pt 1,13 ) che fa l'autore della lettera è: continuate a sperare fino a quando sarà esaurita ogni possibilità di speranza; il compimento definitivo non va mai messo in discussione.

Questa capacità di speranza è un'arte, perché chiede di saper orientare tutte le attese della vita nella « grande speranza »: « Ponete completamente la vostra speranza sul compimento che è la manifestazione di Gesù, ossia la salvezza » ( 1 Pt 1,13 ).

Puntate sempre di più le vostre energie sul Cristo che vi è dato e sta crescendo in voi.

« Perciò dopo aver preparato la vostra mente all'azione, siate vigilanti … »; il testo greco addirittura dice: « Cingendovi i fianchi della vostra intelligenza, siate sobri e ponete ogni speranza ».

Una Parola che genera speranza

La prima cosa che fa la Parola in noi è quella di donarci speranza ( « Ora, tutto ciò che è stato scritto prima di noi, è stato scritto per nostra istruzione, perché in virtù della perseveranza e della consolazione che ci vengono dalle Scritture teniamo viva la nostra speranza », Rm 15,4 ).

Che cosa fa il Vangelo? Ci presenta la nostra verità profonda, ciò che siamo secondo il disegno di Dio, ciò che tutti vorremmo essere e non riusciamo a essere.

La prima cosa che dovrebbe avvenire, leggendo il Vangelo, è questa: un'apertura del cuore alla speranza; il testo greco dice: cingendovi i fianchi della vostra intelligenza!

Sappiamo cosa vuol dire cingere i fianchi: anticamente gli uomini portavano lunghe vesti e allora, per camminare spediti, si cingevano i fianchi.

Noi spesso siamo bloccati dai paludamenti delle nostre menti che sono le nostre paure, le nostre angosce, i nostri sospetti; siamo spesso impacciati nelle decisioni da assumere, siamo legati da tanti condizionamenti.

La prima cosa che fa la Parola è cingerci i fianchi della mente, renderci più agili, più aperti, più disponibili al nuovo, appunto pieni di speranza, perché se l'uomo non spera non vive, soffoca.

È la conversione della nostra mente ( Rm 12,1-2 ).

È il superamento dei nostri vani ragionamenti ( Fil 4,7 ).

Dunque, la prima azione della Parola è generarci alla speranza.

Quella speranza che poi diventerà completa alla fine, quella speranza che suscita la nostra operatività, che fa sì che non ci conformiamo ai desideri disperati che avevamo prima, quando eravamo nell'ignoranza.

Quando si è nell'ignoranza delle cose positive, che cosa si fa? Si vive nella paura.

Che cosa fa uno quando vive nella paura? Realizza le sue paure!

Ecco allora che la speranza cambia il nostro comportamento: non realizziamo più quegli schemi di paura che avevamo dentro, ma diventiamo capaci di attuare dei progetti nuovi, positivi, emersi attraverso il racconto del Vangelo, che abbiamo constatato corrispondere ai nostri bisogni profondi fino a farci dire: guarda che bello così!

Quindi questa è la prima cosa che ci dona la Parola: ci genera alla speranza.

Ravvivate sempre esistenzialmente la meta; non vivete di rendita, lottate per approfondire, per incidere dentro di voi l'affascinante immagine della meta sperata.

È un lavoro sapienziale; è la libertà dai sogni consumistici e inutili che ci consente di cogliere il fascino della karis, offertaci con la rivelazione di Gesù; sperare non è un valore marginale; occorre essere documentati e conoscere e dire che cosa attendiamo: un'eredità che non tramonta.

Come Dio ha risuscitato Gesù, così sappiamo che avverrà in noi questa vita nuova ( 1 Pt 1,21 ).

Per Paolo ( Rm 8 ), è lo Spirito Santo il legame fra ciò che è germinale, o caparra, e il compimento.

Il cristiano non è tale se non è uomo di speranza e così diventa grazie all'opera dello Spirito che abita in lui che, prima ancora di renderlo capace di compiere un gesto di speranza, lo fa speranza, depositando nel suo cuore un germe di vita nuova che, secondo il progetto di Dio, riceverà un compimento.

Diventato speranza, il cristiano vive e testimonia nella sua vita la speranza.

Ed egli non spera soltanto per sé ma anche per il mondo, affermando che anche nelle situazioni più disperate c'è una via d'uscita, c'è un riferimento che porta a una meta che è al di là dell'apparente vuoto e del non senso.

Il cristiano spera per sé e per il mondo anche quando la realtà che lo circonda sembra opporre tutto il contrario.

Ma tale speranza è possibile soltanto se si rimane uniti a Cristo e si riceve il suo Spirito capace di ribaltare le nostre tombe, nelle quali ci siamo rifugiati pieni di paura e di sospetti.

Per questo si può sperare.

Essere Chiesa - scriveva un mio confratello che non è più tra noi, padre Calati - significa immergersi nella Parola, lasciandosi compenetrare dallo Spirito.

La crescita nella carità del singolo fedele si sviluppa in proporzione all'approfondimento della Parola di Dio, grazie all'identico Spirito che anima le Scritture e che dirige ogni credente verso la pienezza dell'amore.1

Ho appreso con grande gioia l'annuncio di Papa Benedetto XVI sull'indizione della XII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi sul tema: La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa ( 5-26 ottobre 2008 ).

Una speranza che apre alla santità

La seconda caratteristica della Parola la troviamo al versetto 15: qui ci viene aperta una via: « Diventate santi ».

Proprio così! Santo è solo Dio ed è un attributo senza analogie perché solo lui è santo.

Ma è proprio lui che ci dice: Sii come me! Perché sei mio figlio!

Siamo tutti chiamati alla santità, perché lì è la realizzazione piena dell'uomo: poter arrivare a dire: mi sento così realizzato nelle mie aspirazioni più profonde da non desiderare altro.

Questa Parola ci propone di diventare ciò che ora potenzialmente già siamo: come Dio!

Un invito a vivere come lui perché abbiamo la sua stessa vita; essa circola in noi, donata da lui; possiamo appunto essere santi, separati da schemi mondani, perché siamo come lui.

E la nostra santità non è qualcosa di strano, anche se attorno a noi troviamo spesso immagini di santi poco appetibili! …

La santità è quel comportamento perfettamente umano che è divino; è la pienezza di vita, di gioia e d'amore che c'è in Dio: siamo chiamati a viverla! Nella quotidianità!

Il diventate santi, penso proprio che implichi un certo dinamismo, una certa crescita graduale e costante, non a strappi, così come avviene per la maturazione di un frutto.

Accogliendo il Vangelo, giorno dopo giorno, aiutati dallo Spirito Santo, noi rendiamo concreta, nel comportamento personale e sociale, la vita di Cristo e la manifestiamo nel vissuto più feriale.

Vivere la santità significa costruire la propria maturità umana come Dio la sogna, guardando il suo Figlio.

E poi, santo non vuoi dire perfetto, perché abbiamo le nostre miserie, i nostri peccati, se non altro i nostri limiti.

La santità allora in cosa consiste?

Nel vivere il limite e il peccato in modo diverso: come luogo di perdono invece che luogo di colpa e di espiazione, come luogo di comunione e non di divisione.

Si può vivere la realtà quotidiana o in modo divino o in modo diabolico.

Se i nostri limiti diventano luogo di conflitto con tutti e con noi stessi, e i nostri peccati luoghi di autoflagellazione, tutto è finito.

Invece la Parola ci chiama alla santità, alla santità di Dio che è amore, tenerezza, misericordia, comunione, dono di sé, anche se il mio limite e i miei difetti quotidiani mi diranno che ho sempre bisogno di misericordia e di perdono.

Questa è la santità cristiana.

D'altra parte, in continuità con l'insegnamento di Pietro, il concilio ecumenico Vaticano II, nella costituzione Lumen gentium, ci ha ricordato che la vocazione alla santità appartiene di diritto a tutti i battezzati.

Non solo alcuni cristiani, ma « tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado, sono chiamati alla pienezza della vita cristiana » ( n. 40 ).

Giovanni Paolo II attualizza l'imperativo in questi termini: Se il battesimo è un vero ingresso nella santità di Dio attraverso l'inserimento in Cristo e l'inabitazione del suo Spirito, sarebbe un controsenso accontentarsi di una vita mediocre, vissuta all'insegna di un'etica minimalista e di una religiosità superficiale.

Chiedere a un battezzando: « Vuoi ricevere il battesimo? » significa al tempo stesso dirgli: « Vuoi diventare santo? » ( Novo millennio ineunte 31 ).

Quale posto per la Parola nella nostra vita?

Ora sarebbe il caso di domandarci a quarant'anni dalla Dei verbum: che cosa ne abbiamo fatto della Parola?

Da molti penitenti che ancora si confessano, se provate a chiedere quale primato abbia l'ascolto della Parola nella loro vita, sentireste, purtroppo, una risposta desolante!

Ma non abbiamo detto che la speranza è frutto dell'ascolto del Vangelo?

Uno diventa la Parola che ascolta.

Uno si assimila alla Parola che medita quotidianamente, e diventa narratore di speranza.

Il mondo e la nostra vita nascono dal Dio della luce e della bellezza: spesso ci sorprendono le tenebre e i drammi; ma essi non possono cancellare la bellezza del mondo e l'armoniosa crescita che Dio, onnipotente nell'amore, va costruendo in noi, grazie a Cristo Gesù e allo Spirito Santo.

Ricordiamo tutti il n. 39 della Nova millennio ineunte di Giovanni Paolo II: Non c'è dubbio che questo primato della santità e della preghiera non è concepibile che a partire da un rinnovato ascolto della Parola di Dio.

Occorre - continua il Papa - consolidare e approfondire questa linea [ … ].

In particolare è necessario che l'ascolto della Parola diventi un incontro vitale, nell'antica e sempre valida tradizione della lectio divina, che fa cogliere nel testo biblico la parola viva che interpella, orienta, plasma l'esistenza.

E, all'inizio del numero seguente, aggiungeva: « Nutrirci della Parola, per essere servi della Parola nell'impegno dell'evangelizzazione: questa è sicuramente una priorità per la Chiesa all'inizio del nuovo millennio » ( n. 40 ).

Conclusione: è la Parola assimilata che traccia il nostro stile di vita

Quale conclusione vorrei proporre una breve pagina di un fratello presbitero che ci ha lasciato alcuni mesi fa e che sintetizza molto bene, almeno per me, i frutti dell'ascolto e della Parola assimilata come latte.

È una pagina di don Divo Barsotti, unanimemente riconosciuto come mistico e come uno degli scrittori di spiritualità più importanti del secolo appena trascorso.

Egli commenta quel versetto degli Atti di quando Paolo, a Corinto, si trova in difficoltà nel suo ministero di evangelizzatore.

A Paolo, scoraggiato e deluso, il Signore dice: « Non avere paura, ma continua a parlare e non tacere, perché io sono con te [ … ] io ho un popolo numeroso in questa città » ( At 18,9-10 ).

Sentite come commenta don Barsotti: Queste parole ci suggeriscono che il Cristo vive con Paolo.

L'esperienza spirituale di Paolo è di una grande ricchezza e profondità.

Il suo rapporto col Cristo è un rapporto vivo, concreto.

Egli vive una dipendenza continua dal Signore.

La vita di Paolo, così piena di opere e di travagli, così ricca di rapporti umani, è ben poco in confronto al suo rapporto col Cristo.

La realtà più vera nella vita di Paolo è la presenza di Cristo Gesù.

Essere a Corinto o ad Atene è secondario; quello che conta per lui e determina ogni suo atto è la sua unione col Cristo.

La sua vera vita non è in quello che fa, nei suoi viaggi continui, nelle tribolazioni è persecuzioni che soffre; la vita di Paolo ha il suo contenuto più vero nel suo rapporto vivo col Cristo; in questo rapporto possiede una stabilità, una unità mirabili.

Gli avvenimenti esteriori possono manifestare qualcosa soltanto di quella vita profonda che Paolo vive nella sua comunione personale col Cristo.

Questa è la vita vera di Paolo.2

Così conclude Barsotti.

Non aggiungo altro.

Lo Spirito Santo, che guida la Chiesa, la renda più attenta all'ascolto della Parola di Gesù, l'assimili a lui per essere, nella nostra storia, vivo strumento di speranza e di pace.

Indice

1 B. Calati, S. Gregario Magno, maestro di formazione spirituale, 256
2 D. Barsotti, Meditazioni su gli Atti degli Apostoli, Queriniana, Bresda 1992,393