Convegno ecclesiale di Verona

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Omelia di S.E. Mons. Flavio Roberto Carraro nella Celebrazione di apertura del Convegno

16 ottobre 2006

Carissimi « eletti », provenienti dalle Chiese che sono in Italia,

vi saluto parafrasando le stesse parole che Pietro ha rivolto alle comunità cristiane « disperse del Ponto, della Galazia, della Cappadocia, dell'Asia e della Bitinia » ( 1 Pt 1,1 ).

Anche noi siamo convocati da diverse comunità e questo saluto ci introduce immediatamente a riflettere sul dono « della divina elezione »: anzi la nostra presenza qui, ora, è già « un'elezione » che non ci impedisce di essere partecipi delle gioie e delle speranze di chi oggi non può essere presente, di chi non si lascia ancora interpellare dalla nostalgia di Dio e di chi, animato da una ricerca di eternità sincera, ma inquieta, non ha ancora trovato, nelle nostre deboli parole e nelle nostre pallide testimonianze di vita, quella trasparenza dell'amore di Cristo che non smetterà mai di sciogliere e disarmare il cuore di ogni uomo: anche costoro ci stanno a cuore!

Siamo qui perché - per grazia - riteniamo di essere ancora in grado di sperare per tutti.

Desideriamo rendere visibile e accessibile questo sentimento di speranza, perché non esiste angolo della terra e del cuore che, in qualche modo, non sia toccato dalla grazia divina ( 1 Pt 3,18-20; Gaudium et spes 22 ).

Questo mistero nutre la speranza di una salvezza per tutti.

La forza della Parola di Dio

Siamo stati avvolti dalla voce inarrestabile e irresistibile della Parola di Dio.

I brani scelti della Lettera di Pietro e le incalzanti litanie dei santi si sono infatti alternati in un gioco coinvolgente in un effluvio di suoni, voci, echi e riverberi dello Spirito.

Si tratta ancora della forza della Parola di Dio.

Questa è una parola che ha sedotto uomini e donne di tutti i tempi.

La propagazione del Vangelo non avviene solo attraverso il semplice passaparola di informazioni e neppure attraverso il trionfo dei nostri mezzi di comunicazione: il Vangelo lo si può riscoprire sempre dietro il nome e il volto di qualcuno il cui cuore ne è rimasto positivamente trafitto.

Un fiume di nomi, di santi, ma anche un fiume di sangue, di martiri: i testimoni.

È il fiume sgorgato dal costato di Cristo, navigando il quale siamo stati condotti qui, non solo per non dimenticarli, ma soprattutto per invocarli; non solo per saziare la nostra curiosità storica, ma soprattutto per ascoltarli; per inserirci esistenzialmente nel loro gruppo!

Quanta profezia nel nostro passato, quanta Parola vissuta e da vivere ancora, quanta acqua viva con cui dissetare il nostro desiderio di pace interiore, di eternità: il nostro desiderio di Dio!

Le parole di Pietro sono suggestive: da almeno un anno le abbiamo assaporate, studiate, lasciate risuonare nelle nostre Chiese, nelle nostre aule di catechismo, nelle sale da conferenza, nei ritiri e nel silenzio delle nostre lectio divine.

Per prepararci, ma soprattutto perché « non di solo pane vive l'uomo ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio » ( Dt 8,3 ).

Ed è proprio una «parola» speciale quella su cui desidero fraternamente offrire una riflessione.

È il verbo che ci è stato rivolto nel saluto iniziale: « eleggere » ( in greco ek-kaleo ).

La parola chiave « eleggere, elezione », e tutti i suoi derivati, risulta determinante perché scandisce alcuni passi decisivi della Prima lettera di Pietro.

Vorrei farla vibrare di nuovo, come se, dopo aver ascoltato questi armoniosi brani musicali, tentassimo di evocare le semplici note che tratteggiano uno dei temi principali.

I destinatari

La lettera è rivolta a cristiani di comunità lontane da Roma, piccole e, come dice il saluto della lettera, « disperse » ( 1 Pt 1,1 ).

Queste comunità cristiane scoprono di vivere in una dimensione che si potrebbe definire « fuori dal mondo » - quante volte ce lo sentiamo dire! - perché le rende diverse e deboli agli occhi del loro mondo.

In molti casi erano addirittura perseguitate; e lo sono oggi come ieri.

Questa situazione paradossale non è rassicurante ma suscita delle provocazioni.

Cosa vuol dire essere « eletti » se poi il mondo ci rifiuta o più semplicemente ci considera « fuori »?

È questo il frutto dell'elezione di cui parla Pietro?

Perché essere « eletti » se poi ci sembra di essere trattati da nemici?

La percezione è che la benedizione diventi una maledizione, come per Israele schiavo del sistema faraonico d'Egitto: erano benedetti, proprio secondo la promessa del Signore, ma per lo stesso motivo il faraone li temeva e maltrattava, li percepiva come una minaccia.

Vengono in mente le parole della Lettera a Diogneto, che agli inizi del II secolo d.C. descriveva così i cristiani: Amano tutti, eppure da tutti sono perseguitati.

Non sono conosciuti, eppure sono condannati [ … ].

Sono poveri, eppure rendono ricchi molti; sono privi di tutto, eppure abbondano in tutto, sono disprezzati, eppure nel disprezzo sono glorificati; sono calunniati, eppure sono giustificati.

Insultati, benedicono; offesi, rendono onore.

Fanno il bene, e sono castigati come malfattori; castigati, si rallegrano come se rivedessero la vita ( A Diogneto 5,11-16 ).

Come per gli ebrei in Egitto, così per i cristiani a cui si rivolge Pietro, e quelli della Lettera a Diogneto, « l'elezione » comporta inevitabilmente una « nuova posizione » nel proprio mondo e nel proprio tempo.

Possiamo affermare che ci si scopre stranieri proprio dove viviamo.

Perché nati e legittimamente iscritti all'anagrafe di un popolo, in seguito al battesimo veniamo automaticamente iscritti all'anagrafe della nuova patria: il cielo.

Siamo stati proprio eletti!

Il cammino dell'elezione

L'elezione inizia con Abramo: la promessa del Signore è stata l'inizio e l'accompagnamento del suo esodo nella terra di Israele, dove ha camminato da straniero.

Nei suoi pellegrinaggi, nei suoi spostamenti da pastore, nei suoi drammi consumati piantando e spiantando la tenda, ha imparato ad alzare sempre più gli occhi, prima verso la terra promessa ( Gen 13,14 ) e poi verso le stelle del cielo ( Gen 15,5 ).

Abramo ha scoperto che non le può contare, che qualcosa, anzi Qualcuno di più grande guida la storia ed è Signore del creato.

Si è reso conto che la potenza della Parola e della promessa che lo ha chiamato gli ha permesso di vivere in terra straniera, gli ha suggerito uno « stile di vita » assolutamente nuovo, perché « l'elezione » lo ha reso cittadino del cielo.

Iniziata con Abramo, l'elezione trova compimento in Cristo e i cristiani di ogni tempo che sanno di essere « eletti », dono grande di Dio che comporta una forte « coscienza battesimale »: una chiara, nuova identità personale.

Essa non dipende dal numero, non dipende dai risultati, non dipende dai criteri sociali di appartenenza, nemmeno da un comportamento retto, il quale potrà, casomai, esserne un frutto.

È l'iniziativa del Cristo risorto che attesta incessantemente questa nuova cittadinanza celeste: « Voi siete concittadini dei santi », scriverà San Paolo.

Mentre Abramo ha guardato il cielo dalla terra senza riuscire a contare le stelle.

Cristo ha guardato la terra dal cielo toccando in modo indelebile il cuore di ogni uomo: Gesù è sceso, si è trasferito a Nazaret, e senza fermarsi a Nazaret ha camminato, si è lasciato coinvolgere con la gente del suo tempo.

Poi, ha conosciuto la passione, è risorto e salendo al Padre da uomo nuovo ha portato con sé quella terra sulla quale ha peregrinato.

Possiamo affermare che anche la « terra », cioè il mondo tutto con la sua storia, nella carne del Cristo risorto, trovano un posto nel banchetto trinitario.

Abramo ci insegna ad alzare gli occhi per scoprire che il cielo è più grande della terra e che la terra senza il cielo smette di essere bella!

Cristo ci insegna a prendere sul serio il mondo, lui che sapeva parlare delle cose di Dio con il linguaggio degli uomini, ci insegna come camminare su questa terra.

In poche parole: Cristo ci libera dalla « tentazione della disincarnazione », una disincarnazione che, talvolta, si insinua nei nostri percorsi spirituali, nei nostri progetti pastorali, nel nostro sguardo sull'uomo, sulla società, e tinge di paure il nostro presente.

L'elezione operata da Cristo ci libera dall'appartenere a qualsiasi realtà terrena che pretenda di essere eterna e nello stesso tempo ci spinge a non temere di affrontare il nostro secolo, di sentirlo nostro, di rendere sistematico un dialogo appassionato e creativo con esso, edi nutrire simpatia con tutto ciò che sa di umano.

Effetti dell'elezione

L'elezione, allora, non è una maledizione, non è un privilegio escludente e nemmeno ha lo scopo di costruire muri di separazione tra il partito dei buoni e dei cattivi, facendo dei buoni gli eletti e dei cattivi i maledetti.

L'elezione, fratelli, comporta una nuova posizione sul mondo: sulle cose, sugli affetti, sulla gestione del tempo, sul lavoro, sul disagio, sulla festa, sulle relazioni sociali, sull'impegno politico, sul corpo, sul male, sul bene comune, sulla storia e sul passato, sui giovani, sulla famiglia, sull'anziano, sulla vita nascente, sul futuro, sulla morte, sul dopo morte.

Ogni dimensione della vita ha sete del Vangelo, lo reclama; nulla rimane inesplorato dalla grazia!

E la proposta martellante che proviene da tante voci di sbarazzarsi della fede, di umiliare la Chiesa, è - e lo si vede - solo preludio di morte.

Ma la Lettera di Pietro ci conforta.

Infatti, non manca di esprimersi sulle diverse dimensioni della vita, evidenziando così la forza « persuasiva e pervasiva » del Vangelo, gocciolante speranza.

Esso ci coinvolge in tutto, ci stravolge tutto: dopo aver incontrato Cristo non posso mantenere lo stesso « stile di vita » di prima!

Che cosa ci dice San Francesco d'Assisi, patrono d'Italia?

Dopo aver incontrato Cristo, dopo essere stato diseredato dal padre terreno egli può esclamare: « Ora posso dire in tutta verità: Padre mio che sei nei cieli ».

Noi veneriamo qui a Verona il beato Carlo Steeb, ugualmente diseredato dalla famiglia per aver scelto di seguire Gesù Cristo a servizio dei poveri.

Vangelo totale

Il Vangelo è sempre inedito, e questo vale anche per noi - per così dire - addetti ai lavori.

Il Vangelo ci interpella anche sui dettagli, ci inquieta e ci scuote ogni volta che ci adagiamo, ci appassiona e ci seduce.

In poche parole: ci salva, ci salva oggi, qui!

Questa nuova posizione sul mondo non significa fuga dal mondo: « Aiutaci Signore a vivere in questo secolo », afferma la Lettera a Tito ( Tt 2,12 ).

Con questa invocazione riceviamo il senso della nostra elezione, proprio qui, in questa celebrazione, in questa settimana di ascolto, di preghiera, di laboratori, di celebrazioni, di incontri e confronti.

Questa nostra elezione ha la sua radice in Cristo: abbiamo ascoltato come Cristo è pietra viva ed « eletta » ( 1 Pt 2,4.6 ).

La vita di Cristo, fattosi « straniero », è per noi rivelazione di una « elezione » che è « predilezione ».

Il figlio Gesù è l'« eletto », il « prediletto » del Padre ( Mc 1,11-12 ).

L'elezione non lo ha allontanato dall'essere pellegrino e straniero sulle strade di Galilea, sui territori pagani da lui toccati, fino a Gerusalemme.

Maestro itinerante, ha fatto della sua elezione il segno tangibile e reale della paternità di Dio.

Padre che ha fatto del suo figlio la pietra angolare.

Solo da questo fatto, da questa storia che non smetterà mai di scandalizzare, stupire e generare santi, possiamo comprendere le parole che Pietro dirà ai cristiani dispersi: « Siete stati chiamati ( " eletti " ) poiché Cristo patì per noi lasciandoci un esempio » ( 1 Pt 2,21 ).

E noi possiamo di nuovo aderire, possiamo sempre ricominciare, perché la speranza di cui desideriamo essere segno non si fonda sulla vaga promessa che « le cose andranno meglio », ma sulle « orme » indelebili lasciate dalle mani, dai piedi e dal costato sanguinanti del Signore Gesù.

Possiamo portare speranza nella misura in cui abbiamo una « storia da raccontare » a chiunque, consciamente o inconsciamente, nella sua inquietudine la cerchi.

In mezzo a un'inflazione di notizie, in Cristo - come profetizzava Isaia - ascoltiamo « un fatto mai raccontato » ( Is 52,15 ).

Carissimi fratelli, desideriamo essere « compagni di viaggio » e di raccontare una « storia » che è diventata anche nostra, quella di « Gesù che patì per noi ».

E possiamo raccontarla in mille modi, sia attraverso coloro che l'hanno scritta con il proprio sangue, sia attraverso tutta la debolezza e il limite che condividiamo con l'umanità.

Non c'è tempo, non c'è spazio, non c'è epoca, non c'è durezza di cuore che possa impedire questo racconto perché è vero.

Ce lo ha promesso il Signore: « Voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di lui che vi ha chiamati dalle tenebre alla sua ammirabile luce » ( 1 Pt 2,9 ).

Proclamare le opere meravigliose con lo stesso amore e la stessa speranza che la Vergine Maria aveva nel cuore, quando rispose al Padre: « Si compia in me la tua parola», e quando nella quiete di Ain-Karin cantò la sua esultanza in Dio suo e nostro Salvatore.

Quel Salvatore, Parola che si è fatta carne ed è venuta ad abitare in mezzo a noi: Cristo Gesù speranza del mondo.

Amen. Amen.

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