Convegno ecclesiale di Verona

Indice

Ambito 3: fragilità

Introduzione del dott. Augusto Sabatini

17 ottobre 2006

1. Premessa

Desidero ringraziare i Vescovi italiani per l'invito ricevuto1 a partecipare ai lavori di questo Convegno, in cui mi è stato affidato il compito di introdurre al tema delle fragilità.

Nella riflessione che illustrerò non v'è la pretesa di un contributo scientifico originale,2 ma piuttosto l'eco di esperienze di studio, di discussione impegnata,3 di amore autentico, di generoso servizio di tanti cui ho creduto di poter dare voce, in questa sede, da fedele ( laico e coniugato )4 desideroso, nell'attenzione alle cose della civitas hominis, di contribuire con tutti voi a una migliore società in cui vivere.

Sono persuaso che questa è un'occasione assai propizia di matura e condivisa partecipazione ecclesiale.5

Non mi spetta, ne d'altra parte saprei, formulare tesi o enunciati su cui dibattere.

Vorrei sollecitare il nostro dialogo e il confronto, segnalando prospettive, suggerendo approfondimenti, ponendo interrogativi, ricercando percorsi; senza pretesa di dover o saper essere esaustivo, porgerò stimoli e incoraggiamenti allo sforzo di un'attenta riflessione comunitaria, perché sento una passione autentica per le straordinarie opportunità di questa stagione storica e ne vorrei tutti contagiare.6

Dunque, soltanto un'introduzione al nostro tema, per orientare il lavoro dei gruppi a orizzonti ampi: ecco l'itinerario che credo di potervi proporre, per la discussione nell'ambito che ci riunisce, a fondamento d'una testimonianza di più ragionevole speranza per le generazioni future in questo paese.

2. Per un comune vocabolario

2.1. « La » fragilità e « le » fragilità

« Fragilità », dunque: come definirla e percepirla?

Nella locuzione emerge una radice di contenuto chiaro: frangere, ossia spezzare, ridurre in frammenti.

Fragile è dunque ciò che può spezzarsi.

In questo generalissimo livello,7 fragilità è qualcosa che di per sé non si caratterizza né come problema né come risorsa, ma, più semplicemente, come uno stato8 o un limite9 della materia e degli organismi viventi; potremmo poi distinguere al riguardo tra fragilità10 nel creato11 e nelle creature.12

Molti termini tuttavia circolano nell'uso corrente come sinonimi od omologhi per connotare nel segno « delle fragilità » ( al plurale, in luogo del singolare ) condizioni e situazioni problematiche tipicamente umane ( individuali ma anche collettive ), percepite sempre più diffusamente e, per così dire, in espansione, tanto da apparire ( per il loro rilievo assai coinvolgente ) quasi la « cifra » definitoria dei tempi che viviamo.

Proviamo a rammentarne alcuni.13

In ambito economico, politologico e giuridico sovente parliamo di marginalità14 ( o sottoprotezione ), di precarietà ( o provvisorietà ) e anche di « nuove povertà »,15 ovvero di criticità ( micro e macrosociale ).16

Si tratta, in genere, di casi di deficit di rilevanza o rischio d'insignificanza, che riguardano: gli appartenenti a taluni gruppi sociali svantaggiati;17 coloro che versano in una cittadinanza incompiuta o « minore » o non sono in grado di esercitare neppure i diritti fondamentali ( per situazioni personali di limitata capacità o anche soltanto d'interinale « minorità » );18 alcune istituzioni rappresentative di comunità in forte crisi di legittimazione sebbene siano luoghi tipici, anzi eminenti, di partecipazione democratica alla vita civile ( purtroppo ormai molto scaduta ).19

In ambito sanitario, ma non solo, si sono poi diffuse20 locuzioni quali: soggetti a rischio,21 disagio ( o difficoltà )22 e, con priorità, prevenzione23 ( in usi semantici densi, indicativi d'incertezza, di carenza o di bisogno insoddisfatto di sicurezza, altrettanti sinonimi di fragilità ).24

Ancora, in ambito culturale ( e filosofico ), nell'esperienza attuale di stagnazione della secolarizzazione, di concomitante risveglio religioso ( promettente, sebbene assai dispersivo ) e di complessità crescente all'insegna della cd. pluralità totale,25 si impiegano termini quali crisi ( della speranza e della ragione ) e identità aperta ( o fluida )26 e si pone l'accento sulla rilevanza del disagio dell'alterità.

La soggettività odierna, in questo senso assai « fragile », fa esperienza del proprio disagio soprattutto nella relazione io/tu: quando s'atteggia come esperienza di male ( inferto o subito ), sofferenza, lacerazione, privazione dell'esercizio di libertà ( che nell'altro trova un limite « naturale » ); quando lo svelamento di sé rende più vulnerabile la propria interiorità all'altro ( che ne potrebbe approfittare );27 quando l'altro è ciò di cui si avrebbe bisogno e non c'è;28 quando sembra che l'alterità deprivi di valore l'individuo e ridimensioni il primato che la sua dignità pretenderebbe di meritare ( come accade sempre più nelle esperienze di famiglia, verso cui oggi si soffre come se fossero un costrutto ingabbiante29 ma da cui si pretende al contempo la soddisfazione dei propri bisogni d'affettività, quasi che questi potessero o dovessero, nel legame, saturare ogni altra domanda esistenziale ).

2.2. Le fragilità « problema »

Già questo primo approccio consente di concepire la fragilità come un concetto - contenitore, che, concernendo essenzialmente la sfera della vita umana, attinge questioni d'identità, di ruolo e di equilibrio in genere e si propone con una qualificazione sostanzialmente negativa: si parla allora di fragilità come « problema ».

Soffermiamoci ora sulle fragilità esistenziali, ponendo però per un momento da parte quelle originate da iniquità e ingiustizie30 per occuparci di quelle, per così dire, « ontologiche »:31 esse sono vissute come « emergenze » ( da fronteggiare risolutivamente o rimuovere, pena lo scadimento della qualità della vita collettiva e individuale fin qui raggiunta ) o come « condizioni » limitanti ( da cui, se possibile, affrancarsi o, al più, da « oscurare », non da assumere e attraversare ).

In ogni stagione della vita l'uomo è « umano », cioè « fragile », e in tutte le generazioni si è fatta esperienza di fragilità ( anche solo contingenti ed eventuali ).32

Eppure, soltanto in questi tempi esse appaiono un problema culturale, nel senso cioè che incidono in modo e grado decisivi sulla concezione che ogni individuo ha della vita e dell'uomo.33

Sia che ci tocchino direttamente sia che ne siamo protagonisti indiretti o soltanto spettatori, c'è, in queste tensioni, tutta intera un'esperienza di disagio, ingravescente fino al rifiuto, verso le caratteristiche di particolare penosità che la realtà dell'esistenza di ogni uomo può presentare ( e da cui nessuno è escluso ),34 che tuttavia soltanto da poco abbiamo imparato, in un tempo peraltro assai breve,35 a non gradire e quindi a rimuovere.

Come fattori di povertà contingente, da cui liberarsi ( in un'epoca di rilevante benessere e tenore di vita ); o come autentici disvalori ( cioè condizioni culturalmente non più accettabili, nel senso che prima si accennava ).

Soffriamo insomma troppo le nostre fragilità ( anche quelle « ordinarie » ) e non sappiamo più accettarne le implicazioni, sia quando è « l'altro » a esserne protagonista, sia quando riguardano noi stessi, quasi che in tali casi o circostanze la vita sia divenuta poco meritevole d'essere vissuta perché disumanizzata, mentre è il nostro mutamento di concezione del valore della dignità umana36 che ha in realtà disumanizzato, meglio, impoverito ognuno37 ( e ci ha reso problematico il responsabile e corretto intenderle e viverle ).

Per quel volto dell'occidente opulento ed evoluto38 quale anche noi italiani siamo, il nostro, insomma, è un tempo strano.

Un tempo in cui s'affermano grandi capacità ed entusiasmi, come quelli dischiusi dalla fiducia nelle potenzialità della ricerca scientifica e delle applicazioni tecnologiche:39 percorsi, questi, da esercitare con elevata responsabilità, riguardando strumenti ad altissimo tasso d'incisività sulla vita comune, forme moderne di un decisivo potere sulla natura e sugli uomini; ma in cui risaltano pure incapacità inaudite40 ( come quella, peraltro universale, del saper soffrire, non più però solo di « cose grosse » ma anche di « cose piccole » ).

Un tempo in cui siamo in grado di vedere di più e meglio, ma la nostra sensibilità, fattasi in tutti i sensi « ipersensibile »,41 si scopre anche troppo vulnerabile ( e perciò non possiamo o non sappiamo o, peggio, fingiamo di non vedere alcune dimensioni particolari della nostra identità, creando oscurità nell'intimo e soprattutto nel foro dell'autocoscienza, in guisa d'inganno, per non affrontare temute cocenti delusioni ).

Un tempo in cui la frequente rinuncia a mete ideali d'alto profilo e l'accomodante appagamento nell'effimero, l'esasperata ricerca del benessere ( costruito tra l'altro sulla misura individuale ) e la minimizzazione del costo spirituale che implica un siffatto vivere, comportano il fiorire di idealtipi umani singolari: l'individuo efficiente fisicamente e psicologicamente roccioso, esteticamente incline al perfetto ( o quasi ),42 rampante in cerca di successo ( cioè, d'affermazione del proprio potere sull'altro ), moralmente ed eticamente norma a se stesso, proteso a vivere oltre i propri limiti, determinato alla difesa del proprio privato ( che non tollera intrusioni di sorta ), in ultima istanza pronto al disprezzo dei bisogni altrui; ma, dietro la facciata di tanta forza e sicurezza, quanti drammi di inferiorità43 ( fisica e psichica ), dipendenza e solitudine, grettezza ed egoismo, sterilità!

Un tempo in cui proviamo come l'illusione di possedere le chiavi della vita e della sua manipolabilità ( quasi demiurghi della sua origine e, nel contempo, protagonisti finalmente « operativi » del rinnovato sogno faustiano dell'immortalità a portata di mano );44 eppure non ci sentiamo mai felici autenticamente, anzi come in perenne precarietà, tanto che la vita non solo siamo disposti a non viverla o ad abbreviarla,45 ma neppure la desideriamo offrire a chi vi potrebbe accedere, ne la permettiamo a chi ne dovrebbe fruire, fino alle incredibili piaghe sociali ( che mai a sufficienza si stigmatizzeranno ) della crisi della natalità,46 delle pratiche abortive - non solo eugenetiche - e dell'inaccettabile manipolazione o impiego dell'uomo ( sia a scopi di ricerca sia di commercializzazione ), perfino nella forma creaturale più fragile che ne sia conoscibile, cioè l'embrione.

Un tempo in cui il nostro orgoglio di esseri pensanti47 non sta implicando anche un salutare incremento del pensare48 ossia dello studio attento e serio sul perché di questa crisi ( collettiva, e non solo individuale ) di energia vitale e di speranza ( nell'uomo e nel futuro ).

Sta accadendo così qualcosa di singolare.

Gli uomini, da che mondo è mondo, soffrono, si ammalano, muoiono; per molti anni della propria vita, l'esistenza di tanti è una scommessa, esposta a rilevanti precarietà,49 senza sicurezze di benessere e di sopravvivenza.50

Molti, troppi individui e comunità continuano a lottare, spesso soltanto per sopravvivere; eppure, anche i ricchi hanno perso speranza nel futuro.51

Si è mantenuta, anzi aggravata, la forbice tra primo mondo opulento e terzo ( e quarto ) mondo con reddito prò capite infimo, che dipendono nella propria sopravvivenza dalle briciole della tavola dei potenti;52 ma solo l'esperienza di una guerra insensata ( sebbene in qualche senso assai prevedibile ) ha fatto capire, appena un decennio fa, ai giovani di Belgrado, Lubiana e Sarajevo - « occidentali » come i nostri figli, adusi al lusso dei pc, dei telefonini e delle tecnologie elettroniche - il valore dell'acqua potabile ( divenuta bene così fondamentale, da andare ad attingerne alla fontana sotto il tiro dei cecchini, a rischio della vita, pur di procurarsene un po' ) e dell'energia elettrica ( dimenticata per mesi ma tanto agognata, spesso per attenuare la paura, anzi il terrore, del buio notturno ), che troppi loro coetanei asiatici e africani ancora attendono, e dalla nascita, di fruire.

Gli eventi naturali, quelli catastrofici s'intende, nel loro ricorrere hanno mantenuto chiara la dimensione « eterna » di assoluta fragilità dell'umanità e del creato.

Abbiamo la presunzione, per averli scientificamente analizzati e decifrati nelle loro dinamiche e trasformati in modelli di studio e di simulazione, di poterli preconizzare o conoscere in anticipo?

O quanto meno « controllarli » per impedirne, ridurne o limitarne l'impatto distruttivo ( in beni e risorse umane )?

Un'eruzione, un'alluvione, un uragano, un terremoto o un più drammatico e sconvolgente tsunami sono ancora sufficienti a metterci desolantemente in ginocchio ( magari per scelte umane dissennate o soltanto poco lungimiranti in tema di protezione civile ) e mentre la macchina dei soccorsi, troppo spesso tra grettezze e indifferenze, s'avvia al salvataggio e alla ricostruzione, piangiamo e ci lamentiamo, disquisendo sull'assenza di Dio!

« Assenza o silenzio? », bisognerebbe prima interrogarsi!53

Anche in questo inizio di millennio, queste leggi di natura si confermano attuali.

Il terrorismo globale e la proliferazione d'un clima planetario d'incertezza, nel quadro fosco ( purtroppo non solo ipotetico ) dell'allargamento a macchia d'olio dei conflitti regionali e del possibile innesco in tempi ravvicinati di drammatiche escalation fino allo scontro nucleare,54 di certo hanno accentuato insicurezze e paure di molti; Troppe barbarie poi testimoniano una capacità di male inaudita, che si credeva avesse raggiunto l'apice nel genocidio della shoah e invece si è come ulteriormente evoluta, quasi raffinatamente.55

Nulla di nuovo sotto il sole, però!

In materia di rischio nucleare, nel passato secolo già abbiamo conosciuto, noi occidentali in genere, sia culturalmente sia materialmente, le esperienze della crisi di Cuba e degli anni interminabili della guerra fredda, pur senza annientamento e cosificazione umana.56

La morte « di tutto » sembra però come sullo fondo.

La morte, è vero, è qualcosa che sembra negarci integralmente come uomini; ma non è stata risparmiata ad alcuno, neppure a Gesù fatto uomo.

Da sempre, come il concepimento e la nascita, è l'unica cosa certa della vita; e se la vita è davvero un grande mistero, pure, di fronte alla paura della morte, in qualche misura può dare conforto ( se non certezze ) il primo titolo che s'addice a Dio ( come un carissimo amico in agonia in un letto d'ospedale mi ha insegnato ): non quello di Creatore onnipotente, ma di Padre, di padre buono, che ci è sempre vicino e prossimo.57

Dunque, che ci sta accadendo?

Perché le nostre vulnerabilità costituiscono tanto problema?

Forse, abbiamo trasformato tanti sogni in bisogni?

Cosa ci ha reso tanto più fragili di appena poco addietro, quasi a smarrire la fortezza ( ossia la fermezza, la saldezza, la perseveranza )?58

Lo scenario, per certi aspetti, è veramente sconcertante, sebbene non manchino echi di speranza autentica, ma soprattutto pone interrogativi59 cui ogni risposta è ancora da meditare.60

2.3. Le fragilità « risorsa »

Nel primo discernimento, i lavori preparatori di questo Convegno, accogliendo questa particolare dimensione - che abbiamo appena delineato - delle fragilità umane come « problema », l'hanno identificata come una delle « grandi aree dell'esperienza personale e sociale » verso cui siamo chiamati, da cristiani, « singolarmente e come comunità »,61 a essere oggi e in Italia particolarmente sensibili.62

Se rilevanti fragilità sono presenti anche nel creato,63 ci devono interpellare primariamente quelle che costituiscono tratto emblematico dell'identità umana.

Sottolineando come sempre più stia emergendo il bisogno di comprenderne l'ampiezza d'estensione e la scaturigine, ma soprattutto di viverne con coscienza matura e solidamente fondata tutta l'effettiva densità, le Chiese italiane sono state invitate ad affrontarne senza più differimenti o infingimenti l'attuale rilevanza.

Per condurci a nuovi approdi sul senso globale dell'esistenza umana e anche per seminare, secondo la dimensione specifica e propria dell'agire della Chiesa,64 il fermento indispensabile a rinnovare il patto su cui si fondano le nostre comunità civili, con coraggiose e chiare istanze circa gli interventi normativi e d'indirizzo politico prioritari a tutela del valore dell'uomo in quanto tale.65

Così ci è proposto66 di guardare alle fragilità umane - soprattutto quelle che più temiamo - come risorsa, ossia come « ragione » e « motore » di un particolare impegno.

Non per emarginarle o « anestetizzarle » ( con le tecniche appropriate ), ignorandone la dignità, nascondendone la profondità di significato o rimuovendone più che possibile la penosità.

Bensì, al contrario, per approfittare, in un certo senso, della loro presente « invasività » nel nostro immaginario, per vincerne la paura e attuarne pienamente l'accoglienza, nel segno dell'amore a esse, della chiarezza e della concretezza.

Per viverle radicalmente, con convinta adesione all'intima disposizione della Chiesa a proporsi « come comunità che ama il Cristo in coloro che lui più ha amato » ( cioè nei sofferenti e deboli, negli insignificanti, in quelli di cui nessuno s'accorge o vuol prendersi cura ) e che, alla sua sequela, attraverso esperienze di autentica comunione d'amore - sociale e personale - vuole, ardentemente, la santità di ognuno, sia il fragile sia il forte.67

Innescando virtuosamente una nuova esperienza collettiva di ricerca del vero valore della vita umana, che le restituisca ricchezza e pienezza e ne metta in chiara luce l'essenziale suo contenuto, si vorrebbe dunque che la testimonianza68 dei cristiani di questo primo avvio del millennio agisse in Italia fruttuosamente, con rinnovato alimento e maggior efficacia, con coraggio e fedele perseveranza, ma soprattutto con profonda e sincera umiltà: sia verso le manifestazioni presenti delle odierne nuove povertà e marginalità ( che interpellano le coscienze a conseguire una più vera e seria giustizia umana ); sia verso quelle situazioni estreme che costituiscono i « quadri della passione » di tante vite anonime, di credenti e non, dalle quali ( come icone del Cristo che continua a essere sofferente nei loro corpi e nelle loro anime ) ogni cristiano ha molto più da imparare e meno da insegnare, e che sono da avere a cuore e da non abbandonare nei deserti della loro troppa solitudine.69

A noi, nei gruppi, spetterà il compito di darne una prima concretizzazione.70

Ma v'è di più!

Negli incontri preparatori,71 si è ampiamente avvertito che quello delle fragilità è un tema cd. trasversale, che interpella un po' tutte le principali questioni antropologiche: le problematiche dell'identità di genere e di ruolo ( e, con esse, del senso e valore del corpo e della sessualità );72 il precario equilibrio della vita ( nel fluire di tutte le sue stagioni ) tra lavoro e tempo familiare e personale, tra salute e malattia, tra benessere e sofferenza; il rapporto educativo e di trasmissione culturale tra le generazioni;73 il fondamento della speranza di fronte alle forme di più acuto peccato ( individuale e sociale ) oggi diffuse.74

Un tema di fronte al quale parrebbe75 quindi assai utile proporre alcuni modelli di fragilità come punti di forza76 del rimodellamento di nuovi, più accettabili stili di vita, all'insegna di un magistero di umanità autentica, di condivisione ( e non di solitudine ) che, purtroppo, pure nella Chiesa ( scandalosamente ) difetta o risulta solo residuale.77

Si è percepito, ancora, che esistono alcuni macrosettori della vita sociale in cui le problematiche delle fragilità presenti divengono ormai sempre più questioni non soltanto di carattere assiologico, ma anche organizzativo78 e si è osservato che i tempi attuali esigono uno sforzo supplementare d'acume e lucidità e interpellano vieppiù le responsabilità civili ( anche delle professioni ):79 nell'invito a cogliere e denunciare nei sistemi di riferimento le inadeguatezze più evidenti e non ulteriormente tollerabili ( perché lesive dei diritti fondamentali ) e a incidere propositivamente sull'esistente ( per ampliare - come si è detto - l'area della vera giustizia ); in particolare, nel garantire comunque anche in tali casi l'accompagnamento personale ( che non dovrebbe mai mancare a coloro che ne sono protagonisti ): ovunque, si ribadisce, nello stile di una piena condivisione, della delicatezza e del rispetto ma anche ( e soprattutto ) della vera passione.

A quest'ultimo proposito, cioè quello della « vera passione per una piena condivisione », la questione non è quella del « fragile - maneggiare con cura », ma, piuttosto, quella del « fragile - maneggiare con amore ».

In questo diverso, più eminente senso, le fragilità divengono qualcosa di più di una risorsa, anche soltanto per i protagonisti attivi di tanto volontariato ( sia autentico, sia meno profetico ).

Per vie in un certo senso misteriose agli uomini ma ben chiare nella pedagogia divina, e che in paradiso verranno certamente a piena luce, a esse si può e si deve guardare nel loro atteggiarsi come una sorta di dono di Dio agli uomini, una provvidenziale opportunità, piuttosto che problema,80 per riconoscere in che risiede ai suoi occhi la vera nostra grandezza:81 la capacità cioè di accogliere e dare amore.

Concepire però l'accoglienza delle fragilità - a cominciare dalle proprie - come esercizio di autentica umanità ( o, in altri termini, di santità )82 e di ringraziamento ( non come equivoca via ascetica o penitenziale ),83 non è certamente agevole,84 neppure per un credente.

Esistono, infatti, forme di sofferenza che appaiono umanamente irrimediabili ( cioè senza possibilità di riscatto ), o più semplicemente prive di speranza redentrice:85 di esse, nessuno direbbe di poter essere lieto o d'averne bisogno.

Eppure talvolta soltanto esperienze del genere permettono di scoprire che si può mostrare il volto migliore di sé proprio nella massima fragilità ( propria o altrui )!

Misteriosamente grande è il discernimento che il Signore, nei sentieri della vita, sa dare al riguardo.86

Esistono, in particolare, casi di persone latrici di fragilità inaudite, capaci tuttavia ugualmente di cura di deboli; si tratta di persone che hanno sperimentato - in esperienze di crescita o cammino non tanto « assistiti », quanto « condivisi » - forme di attenzione viva ed efficace che ne hanno acuito la sensibilità, o semplicemente « risvegliato » potenzialità in un primo momento neppure intuibili,87 fino a gesti tanto concreti quanto semplici e genuini di vero amore, per i quali non si finirebbe di poter dire: « Grazie! », perché ci ricordano che « l'amore del prossimo non può essere soltanto un comandamento imposto, per così dire, dall'esterno »,88 ma una ragione di vita, un obiettivo da perseguire con determinazione, una passione che proviene dal riconoscimento di essere stati creati per amore e per amare.

E se questo è vero in chiave personale, cosa significa sul piano comunitario?

Condivisione, profezia, impegno, fantasia della carità.89

Infine, è giusto dar conto del fatto che, nei documenti pervenuti dalle diocesi e nei contributi preparatori provenienti da associazioni e movimenti,90 sono state espresse rilevanti aspettative sul presente nostro Convegno, ma pure rilevanti incertezze su alcune delicate questioni - a valenza non del tutto solo endoecclesiale - circa le limitate potenzialità attuali sul piano formativo e culturale e su quello della presenza sociale ( verrebbe di dire, le presenti « fragilità » ) delle Chiese particolari in Italia, cui è bene quanto meno accennare, che si possono richiamare per grandi linee nei termini seguenti:

- il voler porre l'uomo, la persona al centro dell'azione della Chiesa;91

- la scelta della povertà come via eletta;92

- il ruolo e contenuto della carità spirituale e culturale del cristiano ( intuita come ministero di amicizia e di fraternità con gli intellettuali non credenti o credenti di altre religioni per il dialogo nei « moderni areopaghi » ) nell'approccio al futuro;93

- gli orientamenti degli studi e della ricerca teologica ( in particolare sulla questione escatologica );

- la « riqualificazione » della formazione culturale e l'impegno delle istituzioni di ricerca ( o d'altri « luoghi permanenti » di studio ) per il conseguimento di una visione più organica dei problemi attuali e per una più efficace incidenza su di essi;94

- il sostegno alla formazione delle vocazioni personali ( con il rischio, sempre latente, della riduzione a fatto d'organizzazione della visibilità e dell'efficacia della Chiesa );95

- la desiderabile, ma ancora poco udibile, « sinfonia »96 delle voci cristiane tutte ( non solo cattoliche ) e dei ministeri ( ordinato97 e laicale ), nell'affrontare la presente stagione come tempo così ricco, insieme, di complessità e di grazia;

- le rilevanti difficoltà del « bussare al cuore dei lontani »98 ( dei quali, assai probabilmente, tanti già ci sopravanzano nel cammino verso il regno dei cieli ), in tempi di sazietà materiale, diffusa indifferenza spirituale e cospicuo pluralismo religioso;

- la questione del sostegno alla convivenza interetnica e all'interculturalità;99

- le serie problematiche ( antiche e recenti ) del rilievo che deve assumere, per l'impegno politico dei laici in Italia, lo « stare al fianco e prendersi cura ».

A queste sia permesso d'aggiungere il tema ( del tutto aperto ) dell'incremento delle collaborazioni e delle relazioni stabili tra le Chiese sorelle in Italia e tra queste e quelle del Mediterraneo ( in particolare quelle che vivono in territori in cui i cristiani sono minoranza e non godono delle medesime opportunità di esercizio dei loro diritti fondamentali )100 per fini di comune impegno formativo e pastorale e per l'instaurazione di solidi legami d'amicizia, all'insegna di vicendevole solidarietà.

3. Come vivere le fragilità?

Fragilità, ancora: come « viverle »?

Alla luce di quanto finora detto, è chiaro che ci troviamo di fronte a un'opportunità grande per verificare se e in quale misura siamo capaci di servire Dio nell'uomo e che la via elettiva in proposito è appunto l'ascolto, l'accoglienza dell'uomo fragile, e la condivisione delle fragilità non soltanto come risorsa, ma come dono.

Al di là delle pur legittime aspirazioni di buona volontà a offrire soluzioni alle tante povertà ( vecchie e nuove ) che dobbiamo imparare a riconoscere e comunque a condividere, « quando si incontra una sofferenza, il primo101 atteggiamento che un uomo, una donna dovrebbero avere è quello di fermarsi, per ascoltare, guardare, per vedere e capire, come fece il samaritano. Potrà non toccare a noi la risposta necessaria, ma tocca sempre a noi l'ascolto, la vicinanza, il voler andare a vedere cosa possiamo fare »,102 cioè offrire speranza a chi la chiede.103

Sembra, in un certo senso, cosa ovvia,104 eppure non lo è mai abbastanza!

Sarà soltanto un frammento di una vita, quello attingibile, ma non deve far temere inconcludenza; è bene invece averne cura, importa che ci sia il risveglio del cuore, perché « l'immagine di Dio scolpita in ogni uomo è assolutamente più forte di ogni male che l'uomo possa compiere »105 o di ogni sofferenza o peccato che la possa sfigurare: essa, insomma, nostro malgrado, ci viene incontro e non possiamo, non dobbiamo permetterci il lusso di non incontrarla e lasciarcene trasformare, perché è questa la nostra maggior virtù.106

Questo è vero, innanzitutto, nella storia individuale di ognuno di noi.107

Ma ci riguarda anche come Chiesa,108 come porzione di umanità che ha a cuore Dio e l'uomo e vuole saper vivere « con » e « come » Gesù, rivelando per così dire lo stile di Dio, che è quello di un amore gratuito, totale e fedele, anche quando non ricambiato!109

Seguendo la proposta iniziale dell'indice, un po' provocatoria, proviamo allora a verificare, nei riferimenti della tripartizione individuata, fondamenti, forme e luoghi di una testimonianza possibile, desiderabile, esigente ed esigibile,110 di vicendevole cura amorevole di chi è nella necessità, chiunque egli sia, e di chi gli vuole essere prossimo.

3.1. Fragilità nel creato

Nell'espressione, chiaramente metaforica, risuonano plurime eco di un'unica inquietudine: quella di chi ( purtroppo fondatamente ) teme le limitate prospettive di futuro pronosticabili per l'umanità.111

Vi è incluso il problema dell'estrema vulnerabilità degli ecosistemi, sia di fronte agli eventi naturali di tipo catastrofico - distruttivo112 ( di cui tragici accadimenti recenti hanno reso palese l'intensità ), sia in conseguenza dell'agire umano che ne attua la trasformazione.

Di fronte all'elevata probabilità che il pianeta subisca, in senso fisico, un degrado tale da non consentire un po' dovunque113 la sopravvivenza, il presente sviluppo tecnologico non sembra da solo poter condurre ad approdi tranquillizzanti, e ciò non soltanto per ragioni d'intrinseca efficienza,114 quanto per la complessità delle questioni legate alle scelte d'indirizzo politico « globale » in tema di mantenimento dell'equilibrio degli ecosistemi stessi.115

Vi è poi il problema ineludibile ( ma non nuovo ), dell'uso consapevole e responsabile delle risorse naturali sia riproducibili sia non riproducibili ( divenute in pochi decenni sempre più scarse ), quale componente determinante di uno sviluppo sostenibile in condizioni di garanzia effettiva della ulteriore vivibilità della Terra.116

E infine, last but not least, la questione della redistribuzione su scala globale117 delle utilità dei bona communio omnium tra cui, in particolare, l'aria da respirare e l'acqua dolce, detta ormai « oro blu ».

Anche nel caso dell'Italia, urgono - e non da poco - situazioni ambientali all'apparenza forse meno apocalittiche o ancora poco visibili118 ma del pari emergenziali ( non regionalmente caratterizzate, anzi diffuse ), in un panorama a luci e ombre, dall'equilibrio spesso precario e facilmente « collassabile ».119

Un generale spreco del patrimonio territoriale ( urbanizzato e non ), anche in impieghi socialmente poco giovevoli, se non consapevolmente dannosi,120 con difficoltà di fruizione delle fonti naturali ( soprattutto idriche ).

Città degradate sia fisicamente ( nei luoghi della loro memoria, incautamente o ciecamente deprivati del necessario risanamento e restauro ) sia eticamente ( nelle periferie - nate o divenute ghetti - in cui la vita consiste nell'esercizio di una cittadinanza « minore » ), inospitali, non vivibili ai più ( segnatamente, piccoli e anziani ).

Sistemi di comunicazione e reti di trasporto ad andamento altalenante o in sviluppo « a singhiozzo » e a elevatissimo impatto ecologico e sulla qualità della vita ( di cui il pendolarismo è forse l'aspetto più appariscente ).121

Livelli di consumo eccessivi, sicuramente riducibili; capacità di gestione a fini produttivi del territorio, soprattutto in agricoltura, poco valorizzate e meritevoli di maggior impegno;122 saperi professionali al riguardo di tutto ciò critici, o marginali o peggio cinici ( secondo l'occasione ).

Problemi che diverranno più acuti nel corso della vita dei giovani adulti di oggi; ma quanti genitori, che considerano la garanzia di un futuro sicuro per i propri figli come la priorità principale e investono la propria ricchezza quale eredità per loro,123 possono dirsi ancora certi di un futuro per loro?124

Ve poi da dire anche della fragilità delle istituzioni,125 soprattutto quelle pubbliche, ossia dei sistemi di esercizio del potere sociale e giuridico sulla natura e sugli uomini, che in atto versano in delicata crisi, sia nella dimensione statuale sia in quella superstatuale.

È giusto che se ne accenni qui perché la mondializzazione, compiutasi in tutto il pianeta negli ultimi venti anni ( di cui la cd. globalizzazione è soltanto uno degli esiti ), ha, per così dire, mutato la fisionomia della dimensione « territorio » e quindi l'identità della collettività che ci vive.

Ed è bene anche avvisare che, pur a fronte di un quadro fenomenologicamente troppo complesso126 e in un contesto di grave incertezza per la pace mondiale,127 le istituzioni del primo mondo devono fronteggiare tre problemi particolari in questo inizio di millennio:

1) confini spaziali incerti e fluidi;128

2) aggregati umani meno compatti e coesi ( non più « popoli », bensì « popolazioni » );129

3) relativismo valoriale generalizzato e localismi riduzionisti o intolleranti.130

Si tratta, come è intuibile, di fragilità i cui riflessi ( nella presente stagione di difficile inquadramento delle appartenenze ) emergono anche nello specifico della situazione italiana, soprattutto nelle due dimensioni problematiche:

a) del rinnovamento del patto valoriale a fondamento della costituzione interna ( la messa in discussione della quale è tuttora di piena attualità ) e della costruzione di quello su cui poggiare la cittadinanza europea;131

b) del futuro della democrazia partecipativa ( la crisi della quale, nelle forme della disaffezione o del rifiuto, è evidente ).

3.2. Fragilità nelle creature

Si è, in un certo senso, già detto molto delle fragilità delle creature umane in generale.

Pare utile, tuttavia, suggerire alcuni spunti ancora in proposito, circa il rapporto tra creaturalità e fragilità e il suo rilievo per la vita morale.

3.2.1. Creaturalità e fragilità

La creatura uomo è stata concepita da Dio « a sua immagine e somiglianza » e posta nel mondo creato per esercitarne il dominio e la valorizzazione, custodendolo e coltivandolo,132 secondo un disegno di bene in virtù del quale è chiamata in qualche modo a essere colui che ne completa ( o continua ) l'opera creatrice.

La creaturalità, però, in quanto limitatezza e dipendenza,133 è, in un certo senso, anche la radice di tutte le fragilità umane che tanto ci angustiano; e questa condizione può dirsi voluta134 dal nostro Creatore, per tutti gli uomini e per ogni tempo. Perché?

Forse perché135 soltanto chi è ( in quanto creatura ) « fragile » può realmente e autenticamente percepire quei bisogni che lo spingono a mettersi in relazione con un'altra persona e, tra questi, il bisogno ( assolutamente interiore ) di qualcuno che gli venga incontro, lo accolga, lo sostenga e lo incoraggi, lo abbia a cuore e, in una parola, desiderandone il vero bene, lo ami e si spenda per lui, colmandone la pochezza e facendogli avvertire o conseguire quella pienezza che lo rassicura e appaga e diventa come il motore per tutta la sua esistenza.136

E perché soltanto chi è fragile, quando sperimenta nel suo impellente bisogno ( pur solo soggettivamente tale ) l'altrui amore per sé, scopre la gioia di avere valore, è liberato non dalla sua debolezza ma dalla zavorra della « inutilità » della sua debolezza.

In certo senso, si fa « nuovo », coglie d'avere un rilievo, diventa così capace, a sua volta, di apertura di cuore e d'orizzonte, fino a sprigionare quella tensione interiore ( che anche in lui è ) in virtù della quale il sogno di chiunque ( di essere forte, potente, « vittorioso », insostituibile ) si concretizza.137

E Dio, che è Amore, evidentemente ha desiderato così intensamente che l'uomo lo ami volontariamente e autenticamente - uomo che ha creato, per così dire, proprio per questo in tale sua dimensione - da renderlo pienamente libero di esserne o non esserne protagonista attivo e ha accettato il rischio di non essere amato, mantenendo tuttavia fedeltà per sempre ( per parte sua ) alla propria promessa d'amore.

È vero che un legame di dipendenza spesso si colorisce di significati negativi, quali la percezione della propria inferiorità e conseguentemente la paura dell'altro ( come colui che ha potere su di te e ne potrebbe esercitare non pro ma contro ), e come tale è fonte di timore e sofferenza o d'inquietudine e insicurezza, non anche, neppure prima facie, di gioia.138

Gesù, però, ha detto molto chiaramente:139 « Non vi ho chiamati servi [ … ] ma vi ho chiamati amici »; e ancora: « Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi ».

Qui, il senso e il messaggio esperienziale di questa « confessione » sono assolutamente straordinari: Cristo ci ribadisce che Dio ama per primo e che ha come il « bisogno » di ricevere dall'essere amato, a propria volta, un libero e vero contraccambio d'amore, e nel contempo ci chiarisce che ciò che preme a Dio è il vero bene di ogni uomo e che solo in questo abbraccio d'amore tale bene può avere compimento.

È così che il riconoscimento da parte della creatura del proprio legame di dipendenza verso il Creatore si può trasformare in una condizione di autentica gioia,140 anzi, si trasfigura del tutto.141

La via e la vita di Cristo ci testimoniano, d'altra parte, che così è stato voluto proprio per un disegno d'amore, in cui le esperienze di drammaticità o tragicità che il male ( fisico e interiore ) reca con sé possono anche spezzare del tutto, privando di speranza o rompendo un legame di fiducia,142 ma non sono mai caratterizzate dalla solitudine, perché Dio, anche se tace, non smette di amare, mai.

E poi, guardando al Crocifisso, ma seriamente,143 cosa può far provare paura di Dio?

Viene invece da affermare, con il Salmo 23,4: « Se dovessi camminare per una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me ».

3.2.2. Fragilità e vita morale

Ciò detto, in un altro senso ancora, che si riferisce elettivamente alla vita morale,144 fragilità si può identificare come « deficit di fortezza ».

Su questo piano occorre però una certa attenzione.

La forza d'animo che chiamiamo fortezza, per quanto addestrata dalla scuola della vita e resa robusta in un allenamento severo, se cristianamente orientata,145 non procede con l'altezzosità superba del self made man, bensì con umiltà e riconoscenza;146 è una virtù, che ( nei suoi connotati tipici della fermezza e costanza nella ricerca del bene )147 assicura l'energia necessaria per superare gli ostacoli che nella vita materiale traggono origine dalla paura dell'affrontamento delle prove esistenziali148 e costituisce, per così dire, la forma eminente della consapevole risposta di cooperazione alla grazia ricevuta da Dio.

Essa è addirittura detta virtù « cardinale », cioè « fondamentale ».

Della fragilità umana possono allora, in senso morale, offrirsi due distinte chiavi di lettura.

Essa può atteggiarsi, in primo luogo, come dimensione d'inattitudine alla prova.149

In questo tipo si esprime spesso una forma di autosvalutazione, talora solo soggettivamente avvertita ( ma non anche oggettivamente tale ), che funge quasi da limite preclusivo alla possibilità della padronanza piena di sé.

Ora, conoscere, guardare in faccia ciò che si è, indubbiamente è essenziale, per la crescita della propria personalità, ma non è sufficiente nella vita morale; per una vita autentica, « vera », occorre infatti anche « amare » ciò che si è, e questo è possibile, perché Cristo, che ama per primo, non ha messo condizioni a tale suo amore.

Amarsi come si è non è però anche stare fermi!

Nessuna fragilità, per quanto cospicua, di per sé è un fato avverso o una vis maior cui resisti non potest, tale da impedire il progresso nella vita morale.

Non volere questo progresso, non lottare per incamminarsi in esso, nella convinzione che non ne valga la pena, è una forma di povertà assai diffusa, che va contrastata, in un certo senso « facendo la guerra » ai propri difetti.150

E allo stesso modo va contrastata quella tentazione ( forse ancora più grave )151 del crogiolarsi in tale persuasione, o assestarsi in un equilibrio accomodante ( di basso profilo ) o in stagnazione.

In secondo luogo, ogni fragilità, che non è da sé sola fonte di peccato, può però costituire una condizione di serio rischio per la vita morale, quando in essa s'innestano le esperienze, tutte assai problematiche, della difficoltà del bene; del male agito per omissione; o, ancor peggio, della volontà di male.

Se dunque l'esperienza della fragilità è tale da mettere in luce soprattutto limiti e precarietà, questa presa di coscienza può essere salutare a patto che non si smarrisca mai ( anzi, sia sostenuta ) la grandezza della vocazione umana, che non si coglie soltanto nel successo, ma anche nella caduta e nella sconfitta.

Troppo è il valore di ogni uomo agli occhi di Dio per rinunciare a riscattarne la condizione ed è allora che può veramente comprendersi il compito precipuo della Chiesa verso i moralmente fragili: vivere la debolezza umana come luogo in cui la grazia di Dio dives in misericordia desidera penetrare, per compatire, riconciliare, correggere, e far percepire il valore della sfida educativa per il bene; facendo aprire gli occhi su ciò che è bene o male, sostenendo, incoraggiando, soffrendo e amando, pregando.

Nella loro acuta nevralgicità, sarebbero da esplorare poi qui alcune ulteriori e delicate questioni, connesse ai profili sia della vita morale sia ( soprattutto ) dell'etica sociale: ci si riferisce alle dimensioni dell'anomia diffusa e dell'illegalità, come manifestazioni eclatanti della presente fragilità valoriale collettiva, a fronte delle quali in questa aula è possibile un accenno soltanto, ma con determinazione, per richiamarci al valore che nel nostro tempo hanno e devono rivestire, soprattutto per le comunità dei cristiani, i temi della legalità e della giustizia.152

Ai gruppi di lavoro dunque il più caldo invito a dibatterne le implicazioni e a riconoscerne la centralità per il riorientamento153 della vita civile dell'Italia di questo inizio di millennio.

Per ora, mi sembra che debba essere affermato, con chiarezza, che questi nostri tempi, in relazione in particolare alle colpe penali, esprimono il bisogno di una normazione chiara e condivisa nei principi e di una giurisdizione assai rigorosa ed efficace, ma anche esigono il dovere di un « perdono responsabilizzante »154 quale dimensione non solo di auspiciò profetico, bensì di autentica giustizia sociale ( e non di dismissione della stessa ).

3.3. Fragilità nel Cristo

Nelle fragilità umane, per quanto abbiamo proposto, è dunque possibile riconoscere una via di apertura al mistero dell'amore di Dio.

Ora, il tema teologico della debolezza ( o dell'umiltà )155 di Dio è stato sempre molto studiato.

Ha appassionato, in ogni generazione, soprattutto l'insegnamento paolino sulla paradossalità della pedagogia divina nell'eloquenza della croce,156 non come apologià della debolezza in sé, bensì come affermazione della verità dell'onnipotenza di Dio che si fa debolezza, anzi estrema fragilità, per il bene dell'uomo.

Al grido d'abbandono emesso da Gesù prima di morire, è stato detto, sta il culmine della rivelazione sulla vita intima di Dio,157 che per amore soffre158 fino all'offerta suprema159 del sacrificio della vita del Figlio.

Di questa dimensione, vorrei qui sottolineare soltanto un profilo, quello della compassione del Padre verso la particolare fragilità di Gesù nelle tragiche sequenze della sua passione.160

In essa, il Cristo in un certo modo non è solo: oltre a un angelo161 ( che piace intendere appunto come il riflesso del volto paterno di Dio prossimo al Figlio, durante la preghiera notturna nel monte degli Ulivi ), nelle ore dell'agonia sul legno della croce162 gli starà vicina Maria.

E veramente la « Madre del Signore »163 durante l'intera passione ci appare, nella sua identità di « donna forte »,164 come il volto materno165 di Dio misericordioso vicino a Gesù, « giusto sofferente », addirittura denudato.166

Nella contemplazione della croce e del figlio crocifisso, il suo dolore è massimo, ma non riesce a spegnere in lei la forza interiore dell'amore di Dio, e con esso della speranza, come se già Cristo le si mostrasse nella gloria del Risorto.

In tutta la sua esistenza terrena,167 d'altra parte.

Maria - che nella sua vita ha partecipato di tanti dolori - è stata presente dove si è manifestata la necessità umana e dove la sofferenza in particolari ed emblematiche sue forme ha in qualche modo attinto il senso della vita per l'uomo;168 sicché, per più aspetti,169 veramente può essere proposta, nel titolo di « madre dell'accoglienza », come « nuovo paradigma antropologico per l'uomo del terzo millennio », soprattutto per l'ascolto e la condivisione - nella speranza autentica - delle sue fragilità.170

Fin dalla discesa agli inferi,171 prima ancora che si renda manifesta la sua risurrezione ( che è come in germe ), un Dio fragile salva dunque l'uomo.

È davvero così? I santi, soprattutto martiri, in particolare quelli ( numerosissimi ) del XX secolo,172 ci dicono, in proposi
to,173 che è possibile e fecondo essere accanto a Gesù in agonia per il suo « conforto »,174 e soprattutto che il senso della vita umana può essere colto fino in fondo soltanto e proprio nel legno della croce.175

Ma il volto di Cristo, il suo vero volto ( quello del Cristo di Getsemani e poi del Litostroto e del Calvario, ma anche del Risorto, che mantiene intatte le cruente stimmate della sua flagellazione e crocifissione176 perché l'umanità di ogni tempo abbia sicura conferma della loro verità ), oggi, ci seduce veramente?177

4. Gesù, i fragili e le fragilità

Come ha vissuto Gesù rincontro con i fragili e le fragilità?

Non sono un biblista, e pertanto non me ne vogliano gli specialisti per questa apparente « incursione » su terreno per me fuori dal seminabile.

Ponendomi questo interrogativo, ho cercato soltanto di andare « alla scuola della pedagogia di Dio »178 in alcuni quadri neotestamentari per conoscerne la dinamica e lo stile dell'incontro tra Gesù e i fragili,179 e cercare di rispondere a due interrogativi in particolare: come ha amato i fragili Gesù?

E noi, a nostra volta, come possiamo amarli?

Ne sono venute fuori alcune percezioni che mi sento in dovere di riproporvi.

Innanzitutto, le « fragilità » con cui Gesù si è incontrato appaiono in una gamma amplissima, pressoché esaustiva180 di quelle presenti nell'umanità sofferente ( fisicamente e spiritualmente ), e molto spesso181 gravanti su persone socialmente irrilevanti, subordinate ed emarginate o reiette.

Gesù inoltre non ha soltanto curato e guarito malattie del corpo ( più o meno gravi, croniche e non; addirittura, in tre casi, ha restituito alla vita dalla condizione di morte ), ma ha anche incontrato situazioni d'inquietudine esistenziale e vocazionale,182 di malattia spirituale,183 di peccato;184 ha fatto luce in esperienze di reprensibile ipocrisia185 o autentica tenebra;186 ha visitato fin nelle loro case molti paria della società di quel tempo, restituendoli alla dignità della vita; ancora, ha sostituito la sua amicizia a una solitudine desolante.

Nessuno è stato escluso, mai!

E ciò è avvenuto poi, secondo quanto i vangeli illustrano, ogni volta.187

In secondo luogo, questo incontro, per quanto ci narrano gli evangelisti, non è avvenuto soltanto sulla richiesta dei tanti uomini e donne che sono accorsi a conoscerlo,188 ma altrettanto spesso189 sull'iniziativa diretta di Gesù stesso, mossosi lui per primo verso un'umanità bisognosa d'insegnamento, di conforto e di cura, tanto che si potrebbe parlare, a questo riguardo, di un vero e proprio « ministero di misericordia ».190

E se tanti gli hanno condotto malati e infermi o sofferenti; o ne hanno invocato sia per sé sia per altri l'azione taumaturgica ( con energia inaudita,191 ostinata determinazione,192 gesti di invocazione o addirittura furtiva attrazione,193 sul presupposto del riconoscimento in lui di una « autorità » fuori dal comune ); pure, i tanti che gli si sono avvicinati, che certamente erano per gran parte « sani », in principio magari per curiosità, solo a seguito dell'incontro con Gesù devono aver avuto toccato il cuore, se è in virtù di questa esperienza che si apprende194 che hanno cominciato a seguirlo.

In terzo luogo, nella sua dinamica tipica,195 Gesù ha agito « trasformando » le situazioni umane d'inferiorità e fragilità con la forza di un'autentica e peculiare «amicizia» in un singolare tipo di relazione.

Si è messo innanzitutto di fronte,196 chiedendo al sofferente e al debole ( sia rassegnato sia speranzoso ) cosa cercasse o s'attendesse, o veramente desiderasse, per la sua vita, per muoverlo alla ricerca dell'essenziale.

Lo ha quindi come guidato, amorevolmente, per questa via di discernimento, fino a condurlo all'approdo di una consapevolezza mai prima esercitata circa la propria situazione di vita e il suo autentico significato ( nel bene come nel male ).

E, quando questa percezione nel fragile si è fatta realtà,197 Gesù ha offerto anche198 il dono199 della guarigione, sia nella sua forma più eloquente ( quella del soprannaturale miracoloso, quale segno della sovrabbondanza della sua grazia ) sia in quelle - forse meno eclatantI, ma del pari incisive - della scoperta da parte dell'uomo e della donna da lui amati della sua vicinanza200 e così della possibilità, a portata di mano,201 di una vita diversa, autentica, gioiosa, e ancora della riconciliazione a sé dell'umanità peccatrice.

Ed è stata forse più la remissione dei peccati che l'azione taumaturgica straordinaria a creare scandalo ( negli scribi e farisei, provocandone la ripulsa e l'ostilità ).

Infine, Gesù ha rivolto al fragile che ha toccato con la sua grazia rigeneratrice un unico invito in genere:202 « Va'! »; ossia, come sembra di potere intendere in senso spirituale: « Vivi in pienezza la tua vita, quale essa è ».

In quarto ( e ultimo ) luogo, Gesù ha poi ulteriormente sovrabbondato, dando anche ai suoi discepoli una sorta di « mandato » alle guarigioni ( nelle forme dello « scacciare i demoni », « imporre le mani ai malati » e, soprattutto, « predicare » - a tutti - « la conversione e il perdono dei peccati » ) e promettendo loro « di rivestirli di potenza » con lo Spirito Santo.203

5. Una fragilità trasformata

Come hanno reagito all'incontro con Gesù i fragili che lui ha amato?

A tutti è stata data l'opportunità di una « guarigione », o forse meglio, di un « rinnovamento ».

Molti sono stati « rigenerati ».

Non tutti però in quei frangenti204 appaiono effettivamente « guariti » ( per non aver saputo o voluto accogliere l'amore di Cristo205 e operare quel discernimento inferiore indispensabile perché la loro vita fosse trasformata ).

Certo, per coloro che - nel senso ampio cui prima si accennava - sono stati « sanati », l'esistenza è cambiata, del tutto: non solo per la guarigione fisica ( o addirittura per la risurrezione dalla morte ), o per quella psichica o spirituale, ma anche e soprattutto perché la percezione diretta e inequivocabile dell'amicizia di Gesù ha prodotto in loro una speranza che prima non vi era, un desiderio e insieme un bisogno di ripartire da capo, o ha favorito il rifluire di un'energia vitale positiva,206 riaccendendone la speranza!

Ciò ben si comprende sia là dove i vangeli narrano direttamente della reazione del fragile risanato,207 sia là dove ne richiamano indirettamente la condotta di vita successiva ( riferendo che la fama di questi eventi si spargeva assai e ovunque: il che equivale a dire che da costoro è sorto come un vento di missionarietà ).

E si chiarisce soprattutto là dove si legge che molti lo cercavano, lo raggiungevano, volevano toccarlo e trattenerlo perché non andasse via, venivano ad ascoltarlo e a farsi guarire; che molti ne parlavano, rimanevano sbalorditi e pieni di stupore ( cioè, s'interrogavano ), comprendendo che si trattava di qualcosa di mai visto in Israele208 ed erano presi da timore; che molti lodavano e glorificavano Dio o divulgavano con aperta proclamazione di lui e della sua grazia risanatrice; che molti, infine, « presero a seguirlo ».

Tanti esempi eloquenti, mi pare, per tutti noi!

Nella via che abbiamo cercato d'individuare fin qui209 per la trasformazione delle nostre fragilità credo risieda il segreto dell'autentica felicità, o dell'attingimento della vita eterna e, quindi, della gioia cristiana210 e della speranza, nel presente e nel futuro, per ogni generazione umana.

Vita eterna, infatti, « non è semplicemente tempo senza fine, ma un altro piano dell'esistenza »; « non è una lunga durata, ma l'espressione di una qualità dell'esistenza » sperimentabile già nella nostra esperienza terrena; è cosa ben diversa da quella della durata cronologica con cui usiamo misurarla.

Essa è, in ogni momento e ovunque, « là, dove ci riesce di stare faccia a faccia con Dio », ossia un'esistenza « in cui tutto confluisce nel qui e ora dell'amore » grazie all'incontro autentico e nel profondo con Dio211 e che, « come un grande amore [ … ] non ci può più essere tolta da alcuna circostanza o situazione, ma è un centro indistruttibile, da cui provengono il coraggio e la gioia », poiché questo incontro ( con il Bene e la Bellezza ) « ci trasforma dal di dentro »212 e ci rende protagonisti di un'esperienza di vera e autentica comunione con tutta l'umanità.

Devo ora concludere questo mio sforzo, nella speranza di non averne tradito le motivazioni ( o troppo deluso le aspettative ), e desidero farlo con una citazione213 da un amico sacerdote a me carissimo ( che il Signore, pochi anni fa, ha chiamato a sé ), don Domenico Farias.

« Non abbiamo qui una città permanente, ma cerchiamo una futura ».

Leggendo queste parole [ … ] il pensiero va ovviamente al paradiso, alla Gerusalemme celeste.

Verso di essa siamo esortati a proiettarci [ … ].

Riusciremo in questa contingenza a non dimenticare le pagine più semplici del vangelo che tante volte proprio di questo parlano e ci istruiscono?

O saremo così sciocchi da pensare che ci sia qualche potere umano così forte da poterci togliere il futuro?

Ricordiamolo: il futuro è di Dio e lui è la nostra speranza, cioè un futuro sempre aperto.

Nelle note sono reperibili ( oltre alle citazioni dei testi suggeriti per migliore approfondimento ) le integrazioni necessario a corredo delle riflessioni enunciate in aula.

Schema - Contenuti - Gruppo di studio 13 - 14 - 15 - 16 - 17 - 18 - Sintesi
Indice

1 Consapevole della mia personale pochezza, desidero intendere il presente mandato - che si può definire in senso proprio di « mediazione intellettuale » - quale riconoscimento della sensibilità attenta e costante con cui hanno a cuore le sorti del nostro paese in particolare la comunità diocesana da cui provengo - precisamente quella di Reggio Calabria/Bova, ubicata « nel sud del sud d'Italia » - e, ulteriormente, il movimento ecclesiale di cui sono parte ( il MEIC, Movimento ecclesiale d'impegno culturale ).
Si tratta di un riconoscimento e, in certo qual modo, di un apprezzamento per cui esprimo vera gratitudine, essendo indirizzato ai due luoghi elettivi in cui ha avuto avvio e si sta svolgendo la mia formazione personale e sociale
2 Chi vi introduce si sente abbastanza distante dai titoli culturali e dalle competenze con cui altri avrebbero potuto adempiere, con maggiore efficacia, questo specifico fine
3 È giusto rilevare che veramente buona è stata la « collegialità » con cui si è contribui to alla preparazione di questo incontro da parte di tutti i membri del comitato ecclesiale organizzatore e di noi « correlatori d'ambito »
4 All'amore maturo ed esigente di mia moglie ( che ben conosce il Signore ) devo gran parte dell'ispirazione alle riflessioni che seguiranno, per cui sento di doverle esprimere qui particolare gratitudine
5 Segue l'invito, totalmente condiviso, che don Franco Giulio Brambilla ci ha fatto quando ci ha ricordato ( nella sua relazione introduttiva ) che il nostro impegno di questi giorni è quello di « acquisire e scambiare sapienza pastorale, mettendo in contatto le varie gatissime esperienze delle Chiese d'Italia, per far circolare la vita tra le diverse parti del corpo ecclesiale »
6 Già in principio desidero rimandare alla suggestione che mi hanno arrecato lo stile e il contenuto assai suggestivi degli esercizi spirituali predicati alla Curia romana e al Santo Padre per la Quaresima del 2000 dal Card. F.X. Nguyen Van Thuan, in Testimoni della speranza, Città Nuova, Roma 2000
7 In fisica ( l'unica disciplina nelle scienze non umanistiche che faccia impiego - ancor ché marginalmente, precisamente nella meccanica della materia - proprio del vocabolo in questione ), il termine fragilità designa la proprietà dei corpi di rompersi, con il successivo venir meno della loro integrità e identità morfologica.
Più precisamente, il termine designa quel fenomeno per cui la rottura di un corpo avviene senza che si producano nella materia, durante il suo svolgersi, mutamenti apprezzabili, intermedi o permanenti, reversibili. Si tratta del contrario della malleabilità e duttilità, ossia di un fenomeno di deformazione ed anelastica della materia ( cf. « Fragilità », in Grande dizionario enciclopedico, UTET, Torino 1968, VIII, 296 )
8 Quando è transitoria
9 Quando, invece, è permanente
10 Al plurale, in luogo della ed. fragilità « al singolare », poiché molte e varie risultano in effetti le fragilità in concreto individuabili
11 Relative sia all'ambiente naturale lato sensu inteso, sia a quello inclusivo del ed. paesaggio antropizzato, sia infine alle strutture - sociali e in particolare istituzionali - con cui gli uomini nel tempo hanno stabilizzato la propria convivenza organizzata informazioni ordinate sempre più evolute e sofisticate
12 Nonostante l'enfasi posta negli ultimi anni, per molte delle recenti questioni ambientali e in tema di qualità della vita collettiva, dalle postulazioni spesso agitate da molti ecologisti e da talune loro frange ( chiassose, ma culturalmente marginali, come quelle dei ed animalisti ), qui si circoscriverà l'attenzione ( nel § 3.1 ) alla sola condizione umana negli ambienti in cui essa si svolge
13 Senza ambizione alcuna di esaustività, trattandosi di realtà assai fluide
14 Per l'inquadramento generale della problematica, si veda D. Farias, « Marginalità sociale e conoscenza dell'altro », in Crisi dello Stato, nuove disuguaglianze e marginalità, Giuffrè. Milano 1993, 97-115.
Qui, gioverà, per rapida sintesi, richiamare alcune delle marginalità sociali in tale saggio assai efficacemente illustrate.
Oltre alla sua forma elementare, che è quella dei soggetti senza lavoro ( cioè di coloro che sono disoccupati, in cerca di prima occupazione o ormai pensionati, esclusi non tanto da un territorio quanto da uno spazio funzionale al quale pure ambiscono per conseguire valore, visibilità e rilevanza ), la marginalità concerne i portatori di handicap, o diversamente abili ( soggetti inclusi invece forzatamente in uno « spazio » - sempre inteso in senso sociale - « assistito », da cui dipendono e fuori dal quale raramente possono avere visibilità e rilevanza, tanto che per essi si decide « a prescindere » dal loro punto di vista e dalle loro esigenze o difficoltà partecipative ) e tutti coloro che in genere vivono in spazi definibili del ed. sociale sommerso ( ossia, quanti vorrebbero avere accesso a luoghi fisici e funzionali, utili o gratificanti per acquisire rilevanza, ma non possono, per varie limitazioni, accedervi e così risultano individualmente insignificanti, sebbene collettivamente emergano, come nel caso del consumatore teledipendente ).
Vi è poi la marginalità dello straniero, cioè di colui che è in posizione periferica o di frontiera - in senso anche concreto - e, in quanto appartiene ad altra identità collettiva e culturale, fa parte della popolazione ma non anche del popolo di quel territorio ( cui rimane « esterno », agognando con nostalgia la sua patria lontana ), che non è radicato da nessuna parte in questo mondo e si sente privo di riferimenti di appartenenza significativa.
Infine, vi è una marginalità atipica, di coloro che scelgono di prendere in un certo senso « distanza » dai luoghi e dagli spazi funzionali del territorio e dell'organizzazione sociale in cui sono inseriti e attuano una sorta di fuga succidi, spesso con motivazioni di tipo religioso - ma non solo ( come fu di diverse correnti di estrazione marxista che intendevano perseguire l'ideale di una società perfettamente trasfigurata in forma secolarizzata ) - o perché avvertono come prevalente un'appartenenza di tipo diverso, che li lega a «una realtà radicalmente diversa, ignota, oggetto di desiderio e di una ricerca, di un'avventura dello spirito » che ne ha catturato l'interiorità.
Qui s'innesta la peculiarità del cristiano, che in un certo senso vive volontariamente una dimensione di marginalità sociale per la sua passione di situarsi nel trascendente ( secondo l'adagio di Eb 13,14 per cui « non abbiamo qua giù una città stabile, ma cerchiamo quella futura », e della Lettera a Diogneto 5, secondo cui i cristiani « abitano le loro rispettive patrie, ma come gente straniera [ … ]. Ogni terra straniera è patria per loro, e ogni patria è terra straniera [ … ].
Dimorano sulla terra, ma sono cittadini del cielo » ) e, anche là dove trasfigura questa sua passione nell'apparenza della massima separatezza e con contatti sociali alquanto singolari ( come nel caso dei claustrali o dei monaci eremiti dei paneremi ), potenzia a livelli soprannaturali, con il suo stile di vita, il suo amore per l'uomo nella storia, « poiché la sua separazione dal mondo è in realtà, nella prospettiva della fede, una comunione al vertice e una convergenza all'infinito o all'ultimo », dunque non un'estraniazione alienante o alienata in un mondo di fantasia o in una condizione pericolosa per la vita spirituale ( 108 - 109 ).
Per un'attenta e suggestiva lettura delle conseguenze ampie della modernizzazione sulle individualità, si veda anche Z. Bauman, Vite di scarto, Laterza, Bari 2005
15 In proposito, si suggerisce, come primo approfondimento, la lettura del rapporto ISTAT sulla povertà in Italia nel 2004 ( pubblicato il 6 ottobre 2005 e accessibile con schede redazionali nel sito www.istat.it ), che, con inquietanti rilievi, ha documentato l'originalità - nel nostro quadro territoriale - della forbice crescente rilevata tra le aree settentrionali e quelle meridionali del nostro paese in tema di povertà e l'incidenza, oltremodo significativa, del fattore anagrafico sull'inclusione nelle soglie di povertà di quote ormai considerevoli di popolazione ( nel ed. « andamento a U » delle povertà ).
Sulle peculiarità del fenomeno in scala planetaria si è svolta un'interessante assise in occasione della 29a Assemblea mondiale di Pax romana ICMICA/MIIC ( Varsavia - Cracovia, 24-29 luglio 2004 )
16 Grande, nell'ultimo decennio, è l'enfasi che ad esempio concerne la fragilità della pace e dei diritti umani, quale epifenomeno della crisi delle identità statuali e dei possibili nuovi scenari dell'ordine internazionale di fronte al proliferare di conflitti ( regionali e interregionali ) spesso dimenticati, a fondamento culturale, etnico o religioso e, purtroppo, anche a epilogo bellico, per cui si suggerisce la recente ricerca della Caritas italiana, edita in P. Beccegato - W. Nanni ( edd. ), I conflitti dimenticati.
In collaborazione con « Famiglia cristiana » e « Il Regno », Feltrinelli, Milano 2003
17 Nei confronti dei gruppi sociali svantaggiati mediante le cd. public choices, s'intende attuare - con le strumentazioni appropriate, ma sempre compatibilmente con la dotazione di risorse disponibili - la promozione di condizioni di migliore benessere collettivo.
Qui è bene osservare che, per rimediare alle fragilità sociali più diffuse, l'approccio in questione ( cioè, l'intervento pubblico per il superamento del bisogno o per l'affrancamento da esso ) appare comune sia alla posizione ideologica neoliberista ( i cui fautori, tendenzialmente, gradirebbero posizioni di partenza nella competizione della vita pari per tutti, o quanto meno per i più, ma per permettere a ognuno di cavarsela come meglio sappia o possa, sicché optano per un ridimensionamento dell'intervento pubblico « correttivo » a fini di mera perequazione, circoscrivendolo alle situazioni estreme o di più penalizzante divario di condizione tra individuo e individuo ), sia a quella neosolidarista ( che, in vista del conseguimento d'una uguaglianza effettiva per tutti, ambirebbe invece a impegnare l'indirizzo politico non soltanto al raggiungimento di condizioni di vita non inferiori allo standard ritenuto per tutti « parificante », ma anche all'obiettivo della sedimentazione nel corpo sociale di valori di solidarietà e sostegno vicendevoli ).
Cosi, in uno dei più recenti banchi di prova di tali dialettiche, quale quello delle nuove frontiere della tutela del lavoro e dei lavoratori ( sempre più socialmente « fragili » ), sebbene i principi generali di riferimento risultino assai distanti, nelle opzioni di dettaglio i margini di distinzione divengono alquanto sfumati e limitati a profili secondari delle esigenze di gestione del sistema sociale e del mercato del lavoro che si vanno a delineare ( come nel caso dell'identificazione dei più proficui ammortizzatori sociali esperibili, della loro gradualità d'impiego e dell'imputazione dei relativi costi ); e ciò non a caso, dato che la fisionomia del sistema produttivo e il valore del lavoro risultano per così dire imposti dalle dinamiche, nel macrolivello, della ed. globalizzazione e, nel microlivello, dei condizionamenti di contesto territoriale, tra cui, non trascurabilmente, oltre al livello medio di ricchezza disponibile e alla dotazione di know-how e risorse umane, anche il malcostume di tanti, prepotenti o affaristi o più semplicemente cinici ( ad es.: quanti ottengono l'effettiva stipulazione o anche soltanto l'applicazione delle condizioni di legge o di un contratto collettivo di lavoro, pure in strutture ecclesiali o dalle istituzioni ecclesiali derivate o dichiaratesi d'ispirazione cristiana? )
18 Un esempio per tutti, di rilevante attualità: l'immigrazione massiva terzomondiale dell'ultimo ventennio, quale fenomeno di cui è bene ribadire l'importanza in quanto fonte di ricchezza inusitata per ogni fede vigile e sensibile a cogliere i segni dei tempi in atto più rilevanti ( come nell'« Introduzione » di B. Sorge all'agile raccolta di esperienze edita a cura del Centro Astalli, La notte della fuga. Avariano, Roma 2005 ) e che merita d'essere analizzato anche alla luce della visione di fede da ogni credente ( non solo cristiano ) che voglia saper coltivare la propria ragione sugli scenari del futuro
19 Assai utile anche per i non tecnici può essere la lettura, in proposito, di D. Farias, « Stato ( Filosofia del diritto ) », in Enciclopedia del diritto.
Garzanti, Milano 1976, pubblicato successivamente nell'agile volume Crisi dello Stato, nuove disuguaglianze e marginalità, 35-59
20 Fino ad apparire come dominanti o addirittura di ampiezza categoriale
21 Sia nelle forme da sempre note delle patologie fisiche prevalentemente individuali, sia in quelle ( più inquietanti ) a carattere diffusivo ( come nel caso dell'AIDS e delle altre moderne pandemie )
22 Tipicamente, nelle più recenti e originali patologie psichiche ( interiori - o spirituali - e relazionali )
23 Sebbene, in generale, alle esperienze di fragilità sottese dalle condizioni di infermità contingente o caducità ontologica dell'uomo - con le connesse problematiche, di mutata fisionomia rispetto anche solo al passato recente, dell'identificazione del significato del dolore e della sofferenza e delle modalità nell'affrontarle e nel superarle ( di cui le questioni in tema di legittimazione giuridica dell'eugenetica e, più nell'immediato, dell'eutanasia appaiono epifenomeni eloquenti ) - si stia guardando con sempre crescente preoccupazione, i protocolli di gestione di esse sembrano prevalentemente orientali - come d'altra parte la stessa ricerca in tema di biotecnologie rende palese - al fine di edulcorarne o sopprimerne l'incidenza e quanto meno la visibilità ( se non la pensabilità ) di un uomo « limitato », ossia « umano », e come tale soggetto a tali esperienze negative
24 24 In questo contesto, fino a non poco tempo addietro, il tema dominante sembra essere stato quello della tutela della salute fisica, cui, con tutta probabilità, ha concorso soprattutto la nuova centralità assunta dalla dimensione umana della « corporeità » ( soprattutto se « ferita » ).
Che oggi vi sia stato riconoscimento del valore eminente anche della salute psichica ( per il conseguimento di una soglia di benessere « autentico » per l'individuo ), può cosiderarsi dunque un frutto positivo e promettente, nel senso che si è accentuata la percezione del corpo come luogo di manifestazione dell'identità spirituale della persona e si è dato massimo rilievo al bisogno, per l'uomo, di relazioni interumane vitali e « sane ».
Tuttavia, l'esperienza del dolore fisico e della morbilità resta ancora, in un certo senso, la più temuta ed esplorata ( rispetto a quella del dolore spirituale ), includendo tappe ( in crescendo ) che fanno sovente scivolare lungo la via dello sconforto e dello scoraggiamento ( cui nessuno può ritenersi certo di esser sottratto ) e di cui l'esperienza della guarigione non riesce mai in toto a cancellare la memoria.
Pertinentemente si è perciò osservato, nel documento di sintesi « per ambito » dei contributi regionali alla preparazione di questo Convegno ( che all'atto della redazione di questa relazione è stato consultato in bozza provvisoria, e che di seguito pertanto si richiamerà con la sigla VIC, cioè Verso il convegno, e il titolo « Sintesi interregionale » ), che « la professione medica e degli operatori sanitari è un'occasione di testimo nianza.
Nella formazione dei professionisti del settore [ … ] particolare cura andrà posta sugli aspetti etici e sulla promozione di relazioni tra medico e paziente che non riducano que st'ultimo a semplice destinatario di cura » ( 19 )
25 Ossia di un tempo in cui tutto può avere legittimazione ( se non valore ), in quanto emanazione di quel frammento di verità di cui possiamo essere latori individualmente nel cammino della vita, e pertanto sia il tacere sia l'affermare possono convivere con pari rango.
Molta strada indubbiamente è stata percorsa dall'epoca della visione provocatoria ma eccessiva di M. Sgalambro, Trattato dell'empietà, Adelphi, Milano 1987, in cui l'uomo appare profondamente segnato da una sorta di bisogno demoniaco di rifiuto della sua creatura lità, ma permane tuttora, quale epigono di una stagione ancora in un certo senso all'insegna dell'atmosfera del nichilismo postmoderno, la percezione assai poco incoraggiante della condizione di un uomo « senza qualità » come quello descritto da U. Galimberti, Psiche e techne.
L'uomo nell'età della tecnica, Feltrinelli, Milano 1999
26 Si rinvia, in prospettiva antropologica, tra gli altri, a I. Sanna, Chiamati per nome.
Antropologia teologica. San Paolo, Cinisello Balsamo 2004, e soprattutto ID., L'antropologia cristiana tra modernità e postmodernità, Queriniana, Brescia 2001; ID., L'identità aperta.
Il cristiano e la questione antropologica, Queriniana, Brescia 2006 ( in particolare, sulla dimensione dell'uomo « frammento della natura », 391-404 ).
Per un approccio più divulgativo, dello stesso autore si segnala « Il cristiano e la questione antropologica », in Nomadi o pellegrini? Sentieri di speranza, AVE, Roma 2005,91-118
27 Sarebbe come dire che abbiamo consapevolmente e rapidamente destrutturato ( quasi analiticamente ) la nostra realtà, ci siamo frantumati nella nostra identità e resi come dei frammenti, appunto per questo divenuti in rè ipsa fragili ( si ricordi l'etimologia del termine ) e senza più fiducia naturale per le nostre potenzialità e peculiarità, anzi, sottoposti al rischio dell'incontro con l'altro: un altro, che, nell'ipotesi migliore, potrebbe essere un dono, non un nemico o una minaccia ( o un rivale da invidiare ), cioè una via preziosa - se non imprescindibile - per l'edificazione, lo sviluppo e la tutela di sé.
Al riguardo, sulla scia della proposta di B. Forte, Dove va il cristianesimo, Queriniana, Broscia 2001, bene ha espresso L. Sartori, Il dito che annuncia il cielo.
Una spiritualità della speranza. Messag gero, Padova 2005,103, l'auspicabitità d'una metafisica non più dell'essere, bensì dell'amore, a fondamento di quella via amoris di cui l'Italia e il mondo hanno particolare bisogno, negli atteggiamenti concreti della « gratuità a priori » e del primato dell'altro come « luogo vero del silenzio ».
Si segnala sul punto anche S. Labate, La sapienza dell'amore. Cittadel la, Assisi 2000,108-129, e si suggerisce ancora, per l'approccio al rinnovato personalismo della seconda metà del XX secolo e alla ed. filosofia del dialogo, il saggio ormai « classico » di G. Marcel, L'uomo problematico, Einaudi, Torino 1967
28 Come ampiamente indagato in alcune condizioni deficitarie di peculiare rilievo, quali quelle del disagio crescente e della fragilità - sia psicologica sia comportamentale - dell'universo giovanile, la cui vulnerabilità sembra divenuta elevatissima dato che la crisi di senso della vita, che primariamente l'attinge, sperimenta povertà d'aiuti efficaci nell'impegnativo percorso della costruzione e del mantenimento della propria identità ( così secondo VicIC, Sintesi …, 19-20 )
29 Mentre rappresentano il luogo tipico per l'apprendistato di relazioni sociali più ampie ( favorendo la maturazione e affermazione individuale ), le relazioni familiari sempre più spesso sono sperimentate come mero strumento per la soddisfazione di bisogni
30 Si tratta delle dimensioni dinamiche delle forme più note e inquietanti, oggi alquanto diffuse, del peccato sociale ( in cui versano, da un lato, oppressori e persecutori, e dall'altro oppressi e perseguitati, martiri e innocenti ) e di quello individuale ( in cui si colgono rei e vittime ), su cui appresso nuovamente e di più si dirà
31 Volerle identificare in modo preciso, si è già accennato, è assai difficile dato che ( come ben osservato da VIC, Sintesi …, 14-15 ), nel loro atteggiarsi in concreto, parte restano sommerse ( perché incomprese ), parte nascoste ( perché rimosse ), parte invece irrompono esplosivamente, ma nella loro apparente urgenza e priorità ne oscurano altre che meriterebbero maggiore attenzione e sensibilità
32 Come quelle ( per esemplificare ) della malattia terminale o, più diffusamente, della povertà fisica da patologie croniche invalidanti
33 Si usa, qui, il termine cultura in senso soggettivo, cioè come concezione della vita e dell'uomo che si rende percepibile e si concretizza nel tipo di vita comunemente praticato dai singoli
34 In quanto creatura, per la sua intrinseca natura, « finita » e « limitata » ( su cui più avanti si tornerà, nel § 3.2.1 )
35 Quello della seconda metà del secolo trascorso
36 E degli stili di vita ritenuti preferibili e conseguentemente praticati
37 Per l'ulteriore approfondimento di tali dinamiche, si veda Sanna, L'identità aperta, in cui si delineano le rilevanti difficoltà che sembrano emergere dai processi di globalizzazione ( economica, culturale, giuridica, etico - politica ) in atto e a seguito dello sviluppo ingente delle biotecnologie, e si verificano il solido fondamento e l'effettiva praticabilità della ben diversa proposta dell'uomo, da bene intendere, come « immagine di Dio »
38 In cui per tutto si è come al supermercato ed è diffuso il convincimento del « tutto e subito »
39 Sperimentabili direttamente soltanto in una ristretta cerchia di addetti ai lavori, mentre il consumismo ne offre, in fruizione diffusa ai più, soltanto alcune applicazioni, più intriganti o gradevoli, ma decisamente meno utili socialmente, generalmente idonee a esibire un tenore di vita elevato ( e proprio come tali, proposte - gabellandone per reale vantaggiosità, spesso, quella che è soltanto una variante esteticamente più lussuosa di funzionalità già disponibili - per farne desiderare l'accessibilità ), ma non anche in grado di migliorare realmente in generale e per tutti la qualità della vita
40 Ben descritte dal titolo già impiegato da C. Lasch, L'io minimo, Milano 1996
41 Il bisticcio lessicale sembra rendere bene l'idea di un homo technologicus in grado di cogliere dimensioni in precedenza mai esplorate, dunque di sapere di più e con stupefacente precisione, ma di percepire nel contempo la propria crescente ignoranza ( nel senso che più tempo passa e più comprende di conoscere sempre di meno e di non sapere in che misura e quando potrà realmente conoscere ) e, comunque, di sperimentare quasi con frustrazione la propria inadeguatezza a gestire non solo fenomeni straordinari ( quali le pandemie ), ma anche fenomeni ordinari ( quali un'alluvione o un terremoto o un'emergenza terroristica )
42 Nell'icona del corpo esibito della moda e della pubblicità contemporanea
43 Nell'icona del corpo ferito ( anoressico o bulimico ) e dell'anima sofferente ( di tante, troppe depressioni )
44 Secondo le prospettive spesso declamate dai media di divulgazione scientifica
45 E di cui tanti suicidi appaiono, nella loro tragica miopia, quasi lo sdegnoso rigetto
46 Che è anche, se non primariamente, crisi di speranza nel futuro
47 Ha detto a proposito il Card. C.M. Martini, nell'intervista a RaiTre dal titolo Il mio Novecento, a riguardo dell'origine della cattedra dei cd. « non credenti »: « Io avevo occasione di incontrare molti cristiani, molti credenti, nelle diverse forme di comunicazione della Parola.
Però mi chiedevo: quelli che non incontro dove sono? Allora mi fu suggerito da un prete: "Perché non istituite una cattedra dei non credenti?".
Io ci pensai un momento, poi presi sul serio la parola, indicando "cattedra dei non credenti" come genitivo soggettivo - si direbbe in termine tecnico -, cioè "non credenti in cattedra".
Quindi chiamare dei non credenti a spiegare perché non credono.
Avemmo dei momenti molto belli, molto significativi, trattammo vari temi, per esempio: il credere e non credere in rapporto alla città, il credere e non credere in rapporto ai sentimenti, il credere e non credere in rapporto all'arte, alla let teratura, al dolore, il credere e non credere in rapporto ad Auschwitz.
Io chiedevo non di credere o non credere, ma chiedevo: "Siete pensanti o non pensanti? Se siete pensanti venite liberamente, l'importante è che voi impariate a pensare, che impariate a inquietarvi.
Se credenti, a inquietarvi della vostra fede: sarà veramente fondata? E se non credenti, a inquietarvi della vostra non credenza: sarà veramente fondata?" »
48 Pensiero « forte » o « debole », poco importerebbe, se non fosse soprattutto fragile …
49 Come d'altra parte il Salmo 90 ( non a caso intitolato, nella versione de La Bibbia di Gerusalemme, alla « fragilità dell'uomo » ) ben ci rammenta, assumendo che « gli anni della nostra vita sono settanta, ottanta per i più robusti, ma quasi tutti sono fatica, dolore; passa no presto e noi ci dileguiamo »
50 Mentre ieri, per esemplificare, nella mia terra di Calabria, di fronte alla mortalità infantile vi era alla fine degli anni '60 un approccio di equilibrio ( in un aneddoto racconta temi dal dottor Giuseppe Tripodi, clinico reggino di grande vaglia per lunghi anni medico condotto in sperduti paesini dell'entroterra aspromontano, subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, una donna, alla notizia dell'imminente morte di un figlioletto sofferente di polmonite e privo di terapia antibiotica - al tempo ancora non agevolmente disponibile - aveva invocato la misericordia del Signore sulla sua creatura, chiedendo insieme la grazia di poterne presto mettere al mondo un'altra, nonostante fosse già madre di numerosa prole ), oggi, anche solo un raffreddore o una sindrome influenzale con otite recidivante di un lattante sconvolgono, in tutti i sensi, una famiglia ( i genitori e il clan parentale ), sebbene qualità e accessibilità della diagnostica e delle cure mediche siano di gran lunga superiori e mettano al riparo, in simili casi, da timori soltanto ancestrali
51 Con probabilità elevata, spesso ( ma grazie a Dio non per i più ) il figlio è unico « per scelta », è nato da una coppia che l'ha procreato tardivamente ( soltanto dopo aver raggiunto, nella propria carriera lavorativa e sociale, il livello di benessere ritenuto minimale per addivenire al consolidamento, generalmente col matrimonio, della propria relazione e permettere al mondo della prole ), che lo considera quale autentica « prole eletta », ovvero « oggetto del desiderio » ( in senso egoistico ), puntualmente giunto ( è brutto da dire, ma corrisponde al lessico e al convincimento correnti ) quando lo ha voluto « fare », e da salvaguardare pertanto al massimo grado poiché … vero e proprio suo frutto.
Ed ecco allora cosa può mettere in crisi la coppia in questione, se quel bambino si ammala: il rischio dell'insuccesso per i loro progetti, per la loro gestione, per le loro aspettative, per i loro disegni, per la loro pretesa di esserne in toto artefici, garanti e fruitori
52 Secondo una famosa espressione di Giovanni Paolo II, titolo del testo antologico Non lasciate ai poveri le briciole della festa, contenente la raccolta dei discorsi pronunciati dal Pontefice in occasione del viaggio pastorale negli Stati Uniti svoltasi dal 1° al 9 ottobre 1979 e dell'allocuzione rivolta nell'occasione all'ONU, Roma 1979
53 Rileggiamo le parole di Benedetto XVI: « Per il credente non è possibile pensare che egli ( Dio ) sia impotente, oppure che stia dormendo ( 1 Re 18,27 ).
Piuttosto è vero che per fino il nostro gridare è, come sulla bocca di Gesù in croce, il modo estremo e più profondo per affermare la nostra fede nella sua sovrana potestà. [ … ] I cristiani [ … ] pur immersi come gli altri uomini nella drammatica complessità delle vicende della storia, rimangono saldi nella certezza che Dio è Padre e ci ama, anche se il suo silenzio rimane incomprensibile per noi » ( Deus caritas est 38 ).
Per un efficace inquadramento del rilievo spirituale del tema, si veda l'« Introduzione » di G. Dossetti al volume di L. Ghepardi, Le querce di Monte Sole. Vita e morte delle comunità martiri fra Setta e Reno. 1898-1944, Il Mulino, Bologna 1986 ( edita anche con il titolo Non restare in silenzio, mio Dio, Sussidi biblici, Reggio Emilia, 18 )
54 Sono alcune delle gravi questioni implicate dalle crisi mediorientali degli ultimi mesi
55 In tanti gulag, anche nel tempo della postmodernità, e in recentissimi drammi, essi pure di demoniaca evidenza, come a Beslan
56 A Hiroshima e Nagasaki, invece, questa conoscenza è avvenuta anche nella carne, tanto che più di una generazione di nostri fratelli ne reca ancora le stimmate …
57 Piace, al riguardo, richiamare fra tante soprattutto l'espressione straordinaria del l'abbraccio e della cura amorosa del Salmo 139,5: « Alle spalle e di fronte mi circondi e poni su di me la tua mano »
58 Qualcuno direbbe che si tratta dell'onda lunga della secolarizzazione … Qui non si approfondisce, per ovvie esigenze di sintesi, la vexata quaestio circa l'incidenza di tale fenomeno nel nostro paese e più in generale in occidente e dei suoi frutti, in relazione alla quale si rimanda a J. Guitton, « Dio e la scienza e Dio e la fede », in Il secolo che verrà ( conversazioni con Philippe Guyard ), Bietti, Milano 1997,67-136; E Morandi - M. Tenace, « Il cristianesimo nel supermarket dei desideri », in Fondamenti spirituali del futuro.
Intervista a Olivier Clément, Lipa, Roma 1997,7-19; L. Prezzi, « Il cattolicesimo degli italiani. Religioni e cultura dopo la secolarizzazione », in Il Regno ( 1998 )10, 332ss; i fascicoli della rivista Concilum ( 2004 ) 2: « Ripensare l'Europa » e ( 2005 ) 3: « Cristianesimo in crisi? »; i fascicoli della rivista Reset ( 2004 ) 83: « Democrazia nelle mani di Dio? », con il noto dialogo Habennas-Ratzinger, e ( 2005 ) 90: « Il ritorno della religione », e in particolare le allegate schede redazionali; E. Bianchi, La differenza cristiana, Einaudi, Torino 2006.
Ulteriormente, si rinvia ad alcune interessanti recenti letture sulla pensabilità della speranza, ai nn. 28 e 31 del 2005 della rivista Liberal, rispettivamente dal titolo « La strada delle libertà » e « Le virtù » ( e in specie ai contributi dei vescovi C.M. Martini, « Si, ma oggi possiamo scrivere insieme una nuova speranza », e L. Melina, « La speranza » ).
Si rimanda poi, circa il contesto della diocesi da cui provengo, ai contributi per il convegno pastorale svoltosi dal 5 al 7 settembre 2006 sul tema « Come pietre vive … Testimoni della speranza in un mondo che cambia », tra cui in particolare quelli del vescovo R Montenegro, « Fatti » di Speranza. Possibili percorsi pastorali, e di F. Curatola, Il volto della Speranza ( accessibili dal sito internet www.webdiocesi.chiesacattolica.it )
59 Forse la sofferenza maggiore oggi è quella di chi dovrebbe « avere una fede che deve essere una roccia quanto tutto intorno è un terremoto di opinioni? » ( così Sartori, Il dito che annuncia il cielo, 230 ).
La preghiera del centurione ( « aumenta la nostra fede » ) però, in ogni caso, subito sovviene al credente.
Piace, sull'interrogativo, invitare poi anche alla lettura dell'affascinante testo di Z. Kolitz, Yossi Rakover si rivolge a Dio, Adelphi, Milano 1997, straordinario esempio di intuizione spirituale che affascina per la sua viva luminosità ogni uomo in ricerca del senso della sua esistenza
60 Nella sua appassionata proposta della relazione introduttiva, don Franco Giulio Brambilla ci ha suggerito che « è forse proprio l'assenza del riferimento alla coscienza di sé sempre implicata in ogni agire e sperare umano che provoca la debolezza di identità personale e di rilevanza sociale nell'attuale società complessa »
61 VIC: G. Betori, Verso il 4° Convegno Ecclesiale Nazionale: atteggiamenti, contenuti, attese ( relazione all'incontro preparatorio di Verona del 26.5.2006 ), 6
62 In Testimoni di Gesù risorto, speranza del mondo ( Traccia di riflessione in preparazione al Convegno ecclesiale di Verona ), Bologna 2005, n. 15, p. 32
63 Nel senso di fragilità dell'equilibrio dell'ambiente naturale in cui viviamo, secondo il documento citato alla nota precedente ( p. 34 )
64 Così Betori, Verso il 4° Convegno Ecclesiale Nazionale, 5-6
65 È stato detto, al riguardo, che «la verità cristiana [ nel senso di "messaggio cristiano" ] [ … ] è capace di dare orientamento nuovo e autorevole - al di là delle opinioni diffuse - alla vita e all'ethos individuale e collettivo ». Ancora, rammentiamoci, in proposito, che obiettivo di questo nostro Convegno, infatti, non è soltanto quello di « estendere maggiormente dal piano dei bisogni materiali a quello delle attese spirituali e in special modo agli spazi culturali » l'esperienza, particolarmente ricca, delle diverse forme del servizio alla persona di cui le nostre comunità sono già da tempo protagoniste lodevoli, ma del far sentire queste iniziative « strettamente congiunte ai percorsi propri della contemplazione » e alle dinamiche della profezia autentica, così da offrire un modello di vita ordinaria cristiana per l'oggi « capace di stabilire certezza d'identità e forza di provocazione per il mondo » ( così Betori, Verso il 4° Convegno Ecclesiale Nazionale, 6-7 )
66 In Testimoni di Gesù risorto, 34
67 Il termine santità - a proposito del quale ebbe una volta a pronunziarsi San Pio da Pietrelcina dicendo che la vita del santo è « una vita da cani » ( aneddoto citato da A. Pronzato, Padre Pio. Mistero gaudioso, Gribaudi, Milano 1998,132 ), e di cui, per il presbitero, Giovanni Paolo II ha detto che consiste nel farsi « pavimento su cui camminano gli altri » ( Giovanni Paolo, Dono e mistero. Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1996,54 ) - qui si adopera nel senso dell'esperienza di vita offertaci da tanti che hanno fatto sciente mente e con amore offerta di sé all'insegna della misericordia ( o della compassione del cuore per l'altro, fino al sacrificio di sé per amore di Dio ), o, secondo la notissima espressione di Giovanni Paolo II, sono stati capaci di testimoniarla con « la misura alta della vita ordinaria del cristiano » ( Novo millennio ineunte 31 ). Piace al riguardo indicare le due figure - così distinte eppure entrambe assai care - dell'italiano Alberto Marvelli e, in particolare, della portoghese Alexandrina Maria da Costa, per conoscere le quali si veda F. Lanfranchi ( ed. ), Alberto Marvelli. La santità nel quotidiano. San Paolo, Cinisello Balsamo 2004 e G. Amorth, Dietro un sorriso, LDC, Torino 2006
68 Sul termine testimonianza, che è di complessa decifrazione, si veda il recente numero monografico « Testimoni di Gesù risorto, speranza del mondo » della Rivista teologica del Seminario arcivescovile di Milano ( 2006 ) 2, e in particolare i contributi di L. Bressan, « Una lettura del percorso pastorale della Chiesa italiana », 243-261; A. Fumagalli, « Il cristiano come testimone.
Radice e frutto dell'odierna testimonianza cristiana », 315-330; F.G. Brambilla, « La figura cristiana della testimonianza », 375-389.
Qui lo si accoglie e si ripropone « non tanto come una pratica, una nuova azione pastorale che si aggiunge ai tanti compiti che le singole Chiese già hanno e vivono; piuttosto [ … ] come la nuova struttura, la nuova forma logica che la pratica ecclesiale è invitata ad assumere nel contesto italiano » ( secondo l'indicazione di Bressan, 258 )
69 Nella straordinaria esemplarità ( secondo la visione di Jacopone ) della Mater che stabat presso la croce, in lacrime, contristata e dolente, triste e afflitta, gemente, nel vedere e contemplare il Figlio morente, di cui San Bernardo - nella proposta dell'Ufficio delle letture della memoria della B.V.M. Addolorata - afferma: « Qualcuno forse potrebbe obiettare: ma non sapeva essa in antecedenza che Gesù sarebbe morto? Certo.
Non era forse certa che sarebbe ben presto risorto? Senza dubbio e con la più ferma fiducia.
E nonostante ciò soffrì quando fu crocifisso? Sicuramente e in modo veramente terribile »
70 Assai stimolanti in proposito sono i rilievi di Bressan, « Una lettura del percorso pastorale della Chiesa italiana », 260-261, che si riproducono integralmente: « A fronte di una grammatica ormai elaborata perfino in parecchi elementi di dettaglio, ciò che risulta invece molto più acerbo e bisognoso di sviluppo è il funzionamento di questa grammatica, è la sua esecuzione [ … ].
Una grammatica che precede il discorso è davvero cosa ardua da immaginare; e tuttavia non ci si può nemmeno rassegnare all'idea di una istituzione ecclesiale che parli una lingua che si rivela troppo semplice e con strumenti troppo primitivi per annunciare alla cultura odierna il messaggio cristiano »
71 Per un'interessante rassegna al riguardo, si possono consultare gli interventi al seminario di studio svoltosi in Roma dal 24 al 25 febbraio 2006 per il presente ambito, nel reso conto a cura di S. Barbaglia
72 Si è proposta anche la distinzione ulteriore tra « fragilità al femminile » e « fragilità al maschile » ( includendovi in esse le cospicue e delicate problematiche della condizione omo sessuale, la cui rilevanza come fragilità « oscurata » sembra ormai essere eclissata a favore di una fragilità invece « esibita » come sinonimo e marchio « di identità liberata » ), per accentuare la connotazione di problematicità che si vorrebbe assumesse la crisi dell'identità sessuale e, con essa, dei ruoli nell'attuale nostra organizzazione sociale e culturale
73 Qualcuno ha parlato, icasticamente, di anoressia educativa dell'adulto attuale e di sua debolezza strutturale rispetto alla testimonianza di speranza.
74 Tra cui quelle del diffondersi delle pratiche di cinismo e malaffare e delle espressioni attuali della micro e macrocriminalità, per cui si rinvia a quanto appresso si dirà in tema di rapporti tra fragilità ed etica collettiva
75 Per un'equilibrata e articolata prospettiva analitica preliminare, si veda VIC: P. Binetti, Introduzione al terzo ambito ( relazione per il seminario citato alla nota 70 )
76 Piace riecheggiare al riguardo il detto di Gesù nel discorso della montagna: « Beati gli afflitti … »; e quello di Maria nel Magnificat: « Ha innalzato gli umili … »
77 Osservava acutamente Sartori già alla fine degli anni '90 ( nel corso di ritiri intitola ti « Riconciliazione e comunione », in Il dito che annuncia il cielo, 192 ): « La relatio porta a pri vilegiare, anche per la Chiesa, il modello della famiglia, che valorizza le persone e i rapporti di amore, più che quelli dello Stato o della società civile.
Anche la Chiesa deve privilegiare la relazione, che ci fa veramente vivere con gli altri [ … ].
Nonostante il concilio abbia privile giato i concetti di Chiesa comunità e comunione [ … ] il Sinodo per l'Africa ( dopo la Pasqua del '94 ) ha proposto per la prima volta ufficialmente il modello della famiglia, al quale la Chiesa deve ispirarsi [ … ] sullo stile della comunione ».
In prospettiva di trasversalità rispetto agli altri ambiti d'approfondimento, si segnalano sul tema: P.P. Donati, « La famiglia al tornante del XXI secolo: da dove a dove? », in V. Melchiorre ( ed. ).
La famiglia italiana. Vecchi e nuovi percorsi. San Paolo, Cinisello Balsamo 2000; R. Balduzzi, « Famiglie e rapporti di con vivenza tra costituzione e legislazione ordinaria », in R. Balduzzi - I. Sanna ), Ancora famiglia? Famiglia e convivenze tra natura e cultura, AVE, Roma 2006; il dossier interno a Famiglia oggi ( 2006 )4, dal titolo « Qual i politiche familiari? Le priorità per il nuovo governo », inclusivo del testo del ed. Libro verde realizzato dalla Commissione europea sul tema « Invecchiamento, denatalità e aspettative di vita »; L'eccezionale quotidiano.
Rapporto sulla condizione dell'infamia e dell'adolescenza in Italia, Istituto degli Innocenti, Firenze 2006; nonché ancora, per le « nuove » questioni educative e pedagogiche, L. Pati ( ed. ).
Ricerca pedagogica ed educazione familiare. Studi in onore di Norberto Galli, Vita e Pensiero, Milano 2003
78 Così è, in particolare: della sanità ( pubblica e privata ), sia dal punto di vista dei pazienti ammalati sia dal punto di vista dei loro familiari, del personale di cura, dei sanitari, delle imprese di servizi ( da quelli farmaceutici a quelli assistenziali ) e di ricerca scientifi ca, delle istituzioni di governo e gestione del settore; della giustizia, in particolare nei sistemi della cognizione e dell'esecuzione penale ( sia nell'istituzione penitenziaria, sia nelle forme delle misure alternative alla detenzione ) e nell'ambito della giurisdizione minorile; delle politiche di promozione e tutela della famiglia e dei suoi componenti
79 Si segnala, al riguardo. Un mondo di libertà. Le professioni tra individualismo e responsabilità, AVE, Roma 2005, e in specie i contributi di G. Lorizio, « Libertà dei cristiani e villaggio globale »; M. Signore, « Responsabilità e questione antropologica »; A. Monticone, « Volontariato e professione, volontariato nella professione» ; C. Nanni, « La professione tra spiritualità e profezia »
80 Qui si coglie l'eco del famoso detto di madre Teresa di Calcutta: « Non chiamateli problemi, chiamateli doni! »
81 Secondo Qohelet, l'uomo è entità caratterizzata da finitezza, cioè creatura assai precaria ( il termine *hebel, che è traducibile con espressioni quali fumo, soffio, nuvola, caducità, individua un po' tutto ciò che reca in sé la connotazione del limite ); eppure, recita il Salmo 8, la sua dimensione è quella di una creatura « speciale », fatta da Dio « poco meno degli angeli », che è coronata « di gloria e di onore, con potere su tutto il creato », cioè capace di assoluto, e di cui lui « si ricorda » e « si prende cura », perché la ama ( così D. Scaiola, « Che cosa è l'uomo? », in Via, verità e vita - Comunicare la fede ( 2006 ) 2,5-6 )
82 È stato esattamente detto che il carattere fondamentale della santità cristiana risiede nell'amore per Dio, quale centro di gravita del cuore, dell'anima e della mente e che, seppure alcune tendenze appaiano pretendere di mettere al primo posto l'uomo, sia pure quello nel quale Dio è presente in maniera più vera e profonda ( come nel povero, nell'umiliato, nell'oppresso, nel sofferente ), la santità cristiana non è commisurabile dall'amore e dall'impegno che si porta all'uomo: nel cristianesimo, l'amore del prossimo - anche se necessario, come segno e prova dell'amore di Dio - è secondario rispetto all'amore verso Dio, o, in altri termini, è da esso che deriva.
Gli è complementare, nel senso che, sebbene vi sia gerarchia, non v'è tra essi separazione, ma inclusione reciproca: « Solo a partire dall'intimo incontro con Dio, un incontro che è divenuto comunione di volontà arrivando fino a toccare il senti mento [ … ] imparo a guardare quest'altra persona non più soltanto con i miei occhi o con i miei sentimenti, ma secondo la prospettiva di Gesù Cristo.
Il suo amico è mio amico » ( Deus caritas est 18 ).
Lo conferma la lezione di vita di tanti santi, soprattutto quelli della carità ( tra cui Santa Giovanna Antida Thouret, San Vincenzo de' Paoli. San Giuseppe Benedetto Cottolengo e, nel caso della Calabria, figure come San Gaetano Catanoso o don Mottola, suor Elena Aiello o madre Brigida Postorino ), che è stata quella di uomini e donne prima di contemplazione e di preghiera e poi di slancio apostolico e ardore di carità a favore di poveri e sofferenti, con opere giunte forse soltanto per questo ad approdi ben al di là delle pure possibilità umane ( così S. Donato, La santità oggi: San Massimiliano Kolbe, meditazione del 14.8.2006 presso la Fraternità Maria ss. Immacolata di Pellegrina di Bagnara Calabra )
83 Le fragilità non sono una pena, né di certo gli occhi di Dio restano imperturbabili a esse
84 « Chi è in condizione di aiutare riconosce che proprio in questo modo viene aiutato anche lui; non è suo merito ne titolo di vanto il fatto di poter aiutare.
Questo compito è grazia » ( Deus caritas est 35 ).
E ancora: « L'amore consiste appunto nel fatto che io amo, in Dio e con Dio, anche la persona che non gradisco o neanche conosco » ( n. 18 )
85 Alcune esperienze, per tutte. Il lutto dei familiari di una vittima di mafia ( sia colpevole, sia incolpevole ) e la coscienza del male agito volontariamente o gratuitamente nel mafioso poi autenticamente pentito; l'abuso sessuale intrafamiliare, nelle desolanti e desolate dimensioni - entrambe - dell'abusante e dell'abusato; la solitudine dell'abbandono e il paradosso della promiscuità forzata di una struttura d'accoglienza provvisoria ( così per il minorenne, come per l'ammalato psichico o, da molto tempo ormai, per l'anziano non auto sufficiente o privo di affetti )
86 Secondo il passo paolino di Rm 8,18-26
87 Qui molto potrebbe narrare chi vi sta parlando, che tanto ha guadagnato dal conoscere numerosissimi esempi di grandezza « luminosa » quanto « oscura » - perché rimasta ignota ai più - nell'accoglienza di deboli e fragili d'ogni specie; eppure, è forse più giusto continuare a tacerne, nella discrezione che s'addice a chi ha coltivato generosamente amore anche in pura perdita, o con grande sacrificio di sé, nel silenzioso ma operoso quotidiano ( salvo a ricordare chi è stato un esempio contagioso di provvidenziale carisma, come don Italo Calabrò - già Vicario Generale dell'arcidiocesi di Reggio Calabria - Bova - che si potrà conoscere in P. Cipriani, Nessuno escluso, mai. La Meridiana, Molfetta 1999 )
88 Così si esprime Benedetto XVI nella Deus caritas est ( n. 31 ), ricordando - con la consueta adamantina chiarezza - che, seppure la carità cristiana sia in primo luogo semplice mente risposta a una necessità immediata, non si esaurisce nella capacità di professionalità o efficienza tecnica, ma è qualcosa di ben altro: è attenzione del cuore.
89 Cosi VIC, Sintesi …, 17
90 Per la Calabria, la relazione conclusiva del Coordinamento regionale ha puntualizzato ( in particolare sintonia con la riflessione che si sta qui proponendo ) che « la sfida di oggi è fare della fragilità umana un segno di speranza, accettando e accogliendo la propria fragilità, e quindi accettando e accogliendo la fragilità altrui [ … ].
Si riconoscono alcune aree dove la fragilità umana è più evidente: nella coppia che subisce un terremoto affettivo; negli anziani che sperimentano solitudine e dolore; nelle persone che soffrono di depressione; nelle persone che fanno abuso di alcol o uso di droghe; nelle persone colpite da malattia o non autosufficienti; nei giovani senza ideali; nelle persone soggiogate dalla mafia e in coloro che hanno subito ogni sorta di violenza. Anche la mancanza di lavoro, il lavoro in nero, lo sfruttamento delle povertà ( immigrati, bambini ) sono nella nostra regione segni di fragilità.
È vero anche, però, che ogni situazione di bisogno va considerata innanzitutto come possibilità di incontro con un essere umano, in quanto figlio di Dio.
In questa prospettiva, ogni situazione di fragilità è occasione per prendere coscienza della creaturalità dell'uomo; per rendere visibile e presente il Dio che cammina a fianco dell'uomo e se ne prende cura; per aprirsi al mistero di Dio. Bisogna ripartire, quindi, dalla centralità della persona umana, dal valore che l'uomo ha davanti a Dio, prescindendo dalle cose che fa o possiede.
Si avverte la necessità, per le varie comunità locali, di leggere il territorio, di conoscere le situazioni critiche e intervenire attraverso segni concreti di sostegno e solidarietà, attraverso piccoli passi, ma con un'animazione mirata e guidata in ogni campo, per ridare speranza e senso di vivere [ … ].
L'orizzonte della gratuità nel farsi prossimi alle fragilità dei fratelli è un valore e non un espediente puramente strategico: essa equivale all'esercizio di un "potere di rinunzia".
Questa espressione è tratta da alcune pagine di Corrado Alvaro. Sono le pagine in cui lo scrittore calabrese ricorda il gesto di una povera donna che, in una stazione sperduta della nostra regione, gli si fece incontro per aiutarlo a portare i bagagli.
"Quando misi mano al portafoglio - racconta Alvaro - mi disse: Grazie non ne ho bisogno, l'ho fatto per rispetto di Voi, e la sua veste era tutta una toppa … ". Per Alvaro il "potere di rinunzia" è quel valore che una tradizione antica ha segnato nel cuore dei calabresi e di tutti i meridionali, e che per secoli ha espresso la sintesi tra senso religioso e vita sociale nel sud.
L'esercizio della gra tuità e dunque un modo di stare al mondo, e di concepire e vivere le relazioni interpersona li, che affonda le sue radici in una tradizione antica, che la compagnia dei piccoli ci aiuta a recuperare, disponendoci a coglierne il valore. È un modo di stare al mondo che consiste nel ricercare l'essenziale » ( VIC, Sintesi …, 15-16 )
91 VIC, Sintesi …, 16
92 « Una Chiesa che sa ascoltare e leggere la vita [ … ] che sa intuire e anticipare [ … ] che esprime accoglienza gratuita e non si sostituisce [ … ] ma [ … ] accompagna [ … ] che promuo ve impegno sociale [ … ] e apre alla trascendenza [ … ] è presente nei luoghi del dolore [ … ] vive normalmente relazioni fraterne e accoglienti e sa affrontare con carità e verità anche le proprie debolezze; che non si limita a donare qualcosa ma ripensa se stessa a partire dagli ultimi; che porta a tutti rispetto [ … ] è chiamata a scendere dai piedistalli su cui la pongono la tentazione del potere e della grandezza umana, per raccogliere in sé ogni frammento di umanità e presentarlo a Dio come offerta viva [ … ] povera, capace anche di scelte contro corrente [ … ] segno eloquente della speranza portata dal Signore risorto, che ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili » ( così in VIC, Sintesi …, 17 )
93 Per cui il cristiano, soprattutto colui che ( per ministero o competenza ) ha responsa bilità intellettuale, è « uno che ama incontrare, anche i non credenti [ … ] che studia anche per me il tema della complessità » e desidera che l'unità culturale sia « un fenomeno di amicizia »; uno che, cioè, mantenendo la vis dialettica e la vigilanza della ragione, sappia operare la critica della società dentro il pluralismo non per suscitare divisioni o con l'orgoglio del possesso della verità, anzi, con la paura di questo orgoglio ( e con l'umiltà della ricerca autentica ), ma in un clima dì vicendevole stima e rispetto, come bene ha detto Sartori, Il dito che annuncia il cielo, 102-104, aggiungendo che « oggi [ … ] si intende il postmoderno come la fine delle pretese di creatività assoluta della modernità, quasi come Dio.
Ma il moderno continua, diventa solo più umile [ .. .] siamo stanchi di distruggere e di disperdere. Si diffonde [ … ] il bisogno di unità e la ricerca di altre vie di ricostruzione, di unificazione, di riconciliazione [ … ] non più attraverso una ragione puramente armonizzante, sintetica, bensì mediante la solidarietà [ … ].
La nostra tendenza è quella della rivincita: godere dello sfascio attuale, del bisogno di unità per dire: "L'avevamo detto! Avete voluto andare da soli, fuori della fede, fuori dalla Chiesa; queste sono le conseguenze".
Guai se abbiamo questo senso della rivincita! Dobbiamo prendere sul serio questo bisogno di unità, ma non potrà mai più essere quella di prima, di una volta [ … ] in verticale, con l'autorità che unifica.
Oggi bisogna aiuta re l'unità, ma in orizzontale, con la fraternità, cioè con la partecipazione di tutti. Non per negare l'autorità, ma per recuperare un'altra forma. Questa è la solidarietà »
94 Così VIC, Sintesi …, 18 e Azione cattolica italiana. Volti e segni di speranza, AVE, Roma 2006,34-37
95 Si veda al riguardo U. Napolioni, « Una catechesi secondo il Magnificat », in Via, verità e vita - Comunicare la fede ( 2006 ) 2,15, che richiama con lucidità e opportune puntualizzazioni le quattro vie elette individuate dalla traccia Testimoni di Gesù risorto, rispettivamente nei §§ 5,7,8 e 9: la logica dello Spirito ( « per cui ogni incontro pastorale deve essere realmente avvertito come esperienza spirituale » ); la logica del seme ( « donato con larghezza » ); la logica agonistica ( « che [ … ] non fa sconti al diventare adulti nella fede [ … ] impegnando ministri e animatori a prepararsi per rispondere a serie domande di formazione cristiana » ); la logica della cura ecclesiale ( « per aiutare a vivere la famiglia, la professione, il servizio, le relazioni sociali, il tempo libero, la crescita culturale, l'attenzione al disagio come luoghi in cui è possibile fare esperienza dell'incontro con il Risorto e della sua presenza trasformante intorno a noi » ). In particolare, per la formazione al presbiterato, si suggerisce l'ancora attuale contributo di D. Coletti - S. Panizzolo, « Elementi antropologici e strumenti educativi per la formazione del presbitero, oggi », in Servire Ecclesiae ( Miscellanea in onore di don Pino Scabini ), EDB, Bologna 1998,579-602
96 L'espressione è di don Franco Giulio Brambilla
97 Si pensa in particolare alla diaconia, cui è stato trasmesso un mandato peculiare per i tempi presenti ( così rammentato da Benedetto XVI nell'udienza ai diaconi permanenti della diocesi di Roma del 18 febbraio 2006, edito nel numero monografico « La diaconia della fragilità » della rivista Il diaconato in Italia [ 2006 ]137, 32-33 ): « In questi anni sono emerse nuove forme di povertà: molte persone, infatti, hanno smarrito il senso della vita e non posseggono una verità su cui costruire la propria esistenza; tanti giovani chiedono di incontrare uomini che li sappiano ascoltare e consigliare nelle difficoltà della vita.
A fianco della povertà materiale, troviamo anche una povertà spirituale e culturale [ … ]. Annunciando il vangelo, potrete donare la Parola capace di illuminare e dare significato al lavoro dell'uomo, alla sofferenza degli ammalati, e aiuterete le nuove generazioni a scoprire la bellezza della fede cristiana [ … ]. Non è sufficiente però annunciare la fede solo con le parole [ … ] è dunque necessario affiancare [ … ] la testimonianza concreta della carità [ … ].
Molti sono i poveri [ … ]. Accogliete questi fratelli con grande cordialità e disponibilità e cercate, per quanto possibile, di aiutarli nelle loro necessità [ … ] attraverso il vostro servizio anche i poveri percepiscono di far parte di quella grande famiglia dei figli di Dio che è la Chiesa ».
La comunità del diaconato in Italia, del resto, assai avvedutamente, ha già offerto interessanti spunti di riflessione sul nostro tema odierno nel prima citato numero monografico, tra cui si segnalano quelli di G. Bellia, « Fragilità della diaconia? »; E. Petrolino, « Accogliere la fragilità. Il diacono tra altare e vita »; G. Meiattini, « Una fragile speranza per un tempo di fragilità ». Si veda inoltre ancora la ricca e articolata proposta d'interventi pastoralmente significativi avanzata da E. Petrolino, I diaconi testimoni di Gesù risorto, in corso di pubblicazione ( prevista nel numero doppio di settembre sulla medesima rivista prima citata )
98 Titolo dell'assai stimolante e ancora attuale saggio di A. Mastantuono, « Bussare al cuore dei lontani », in Servire Ecclesiae, 515-540. Verrebbe da chiosare, al riguardo, che qui la lontananza è frutto non già dell'altrui distanza, ma della nostra, di cui ben ha consapevolezza VIC, Sintesi …, 19 nel richiamare forme già immediatamente praticabili di attenzione quali le cd. « reti di prossimità »
99 Si legge, in particolare, in VIC, Sintesi . ..,20: « Nella Chiesa nessuno è straniero [ … ] non deve mai mancare l'inserimento degli immigrati cattolici nelle Chiese locali [ … ] occorre inoltre sostenere le comunità etniche favorendo l'opera dei sacerdoti stranieri; favorire l'incontro e l'amicizia tra le famiglie italiane e immigrate; dar vita nelle diocesi a specifiche équipes che sappiano far fronte agli aspetti religiosi e culturali; formare a identità aperte e capaci di dialogo; riscoprire i testimoni cristiani nel campo dell'emigrazione; denunciare ogni forma di ingiustizia e adoperarsi per politiche più attente ai diritti fondamentali di ogni persona »
100 Tra cui soprattutto quelle paoline e quelle delle due « terre sante » ( nel Patriarcato latino di Gerusalemme e nelle Chiese particolari in Anatolia e Turchia )
101 Non l'unico, ma certo il più determinante: è la via dell'uomo nuovo o relazionale, artefice del proprio destino e in comunione con gli altri, protagonista attivo nella propria libertà dell'alleanza con Dio, prefigurato in tale sua altissima vocazione già dal concilio Vaticano II ( Gaudium et spes 22 )
102 Così V. Rigoldi, « In ascolto delle fragilità », in Via, verità e vita - Comunicare la fede ( 2006 )2,2 che prosegue: « Esiste [ … ] una competenza indispensabile anche nella più tecnologicamente sofisticata delle sale di rianimazione, e si chiama presenza, compagnia, amore per l'essere umano, capace di fare miracoli anche dove la scienza e la tecnologia sembrerebbero essere le uniche necessità »
103 È la lezione che ci è stata data nell'occasione della morte di Giovanni Paolo II, dai tantissimi ( credenti e non, e tra i primi cristiani e non ) che lo hanno voluto onorare, avendolo sentito autentico uomo capace di dare speranza, interiormente prossimo, amico e fratello e non « lontano ». Sul bisogno e sul dovere di speranza, piace poi ricordare, ai tanti che vorrei meglio conoscessero il caso delicato della Locride di Calabria, il messaggio alla diocesi per l'Avvento e il Natale del 2005 del vescovo G.M. Bregantini, Sentinella, quanto resta della notte.
Testimoni di speranza nella Locride, A.G.E., Ardore Marina 2005, e l'opera di testimonianza dell'associazione « La speranza » nella raccolta di R. Orlando ( ed. ), Lacrime e coraggio. C'è gente che spara, c'è gente che spera, A.G.E., Ardore Marina 2006
104 Sulla peculiarità logica dell'ovvietà, quale cifra di ciò che proprio perché tale non è dimostrabile, piace rimandare a D. Farias, Ermeneutica dell'ovvio, Giurfrè, Milano 1990.
105 Sempre in Rigoldi, « In ascolto delle fragilità », 3
106 Ha raccontato padre A. Zanotelli che, giunto in terra d'Africa appena missionario, conobbe una giovanissima ammalata di AIDS, già mamma di una piccolissima creatura, la quale, nell'agonia dello stadio terminale della sua malattia, ormai sfigurata e allettata, costituì per lui ( sacerdote novello ) una severa prova di fede, ma lo sostenne e persuase dell'esistenza di Dio - e della misericordia, quale suo attributo ( o titolo ) eminente - rispondendogli, alla domanda ( rivoltagli non provocatoriamente, ma come grido di un'anima sacerdotale in crisi, durante uno dei numerosi incontri che ebbero ) su che volto avesse per lei Dio, con queste parole: « Lui ha il mio volto! »
107 Assai suggestiva è la fecondità dell'esperienza spirituale personale narrata al riguardo, ad esempio, da H.J.M. Nouwen, La coppa della vita. La metafora del calice eucaristico nella vita umana e cristiana, Queriniana, Broscia 1997
108 La cui magna charta, come da qualcuno è già stato efficacemente detto, è stata scritta nell'inno di 1 Cor 13 e nella quale i segni di speranza non mancano ( come sensibilmente ricordato, in analitica ripresa, da VIC, Sintesi …, 15 )
109 In tema d'amore, è forse più difficile ricevere che dare, ma le esperienze dell'insuccesso o del rifiuto, per quanto dolorose, sono da mettere nel conto di una vita seriamente e responsabilmente vissuta nella maturità di fede e d'impegno
110 Come ha proposto in un suo detto efficace ( « non è da pazzi voler cambiare il mondo, è da pazzi pensare di non cambiarlo » ) E. Olivero, « Dalla fragilità alla speranza », in Via, verità e vita - Comunicare la fede ( 2006 ) 2,24
111 Si veda al riguardo, in prospettiva generale, J. Diamond, Collasso, Einaudi, Torino 2006 e ( per le posizioni scientifiche più pessimistiche ) anche J. Lovellock Thè Revenge of Gaia, Penguin Book, London 2006
112 Per noi calabresi tale scenario non è recente. Già le nostre montagne, costituite da materiale alluvionale e da arenarie marine, il decorso tortuoso e ripido delle nostre fiumare, le ricorrenti alluvioni e i periodici terremoti rivelano la nostra fragilità, quella che G. Fortunato descrisse con la famosa locuzione dello « sfasciume penduto tra due mari », di cui si può conoscere in G. Travaglimi, « Il controllo delle acque e la difesa del suolo », in Storia d'Italia. Le regioni dall'Unita a oggi - La Calabria, Einaudi, Torino 1985,715-720, e S. Rossi ( ed. ), L'area dello Stretto, Reggio Calabria 1985.
Sempre nel caso della Calabria, si è acutamente osservato che, in media, ogni trent'anni abbiamo dovuto ripartire quasi dal nulla.
« Dalle scorrerie saracene, che hanno spinto le popolazioni nelle più impervie zone interne, per sopravvivere, alle dominazioni che si sono succedute sul nostro territorio, fino al difficile inserimento nello stato unitario, tutto ha generato una coscienza di sé e una cultura contrassegnate dall'incertezza e dal disorientamento nella visione e nella programmazione del futuro, dalla stanchezza e dalla rassegnazione nell'affrontare la situazione presente »; dinamiche queste ( territoriali, culturali e umane ) in cui « la fede cristiana è stata la forza di ripresa per ogni generazione nel ripartire, in un certo senso, sempre da capo » ( così D. Marturano, La potenza della debolezza, in corso di pubblicazione ).
Per un primo inquadramento in dimensione culturale della relativa problematica, si veda A. Placanica, Il filosofo e la catastrofe. Einaudi, Torino 1985 e ancora ID., « Calabresi in idea », in Storia d'Italia. Le regioni dall'Unità a oggi - La Calabria, 587-632. Più approfonditamente, si veda D. Farias, « Un esempio di marginalità multipla: la Calabria di oggi », in Crisi dello Stato, disuguaglianze e nuove marginalità, 117-128
113 Si pensi, per tutti, al fenomeno della progredente desertificazione e della penuria di atmosfera respirabile nelle aree cd. evolute ( e ad alto tasso di consumo delle risorse ambientali ) sia del nord che del sud - e dell'est ( Cina docet … ) - del mondo
114 La tecnologia inquina, anch'essa, e spesso non garantisce sull'impatto nel lungo periodo del suo avvento ( è il caso della sperimentazione e commercializzazione dei prodotti alimentari o destinati al consumo umano dei cd. ogm ). È poi comunemente noto il divario tra le capacità previsionali ( sempre più efficaci ) di un evento di rischio e quelle « gestionali » del rischio medesimo ( sia in termini di prevenzione che per gli interventi d'affrontamento delle emergenze, per la salvaguardia del possibile e il successivo ripristino della normalità ), che negli ultimi decenni ha sollecitato sempre più nell'arte cinematografica l'enfatizzazione spettacolarizzante dei cd. grandi cataclismi, e che trae origine sia dall'elevato costo economico degli investimenti pubblici in sistemi di monitoraggio e controllo ambientale del territorio, sia dalla necessità che siano di non breve durata i periodi di sperimentazione previa dei modelli di affrontamento e superamento delle cd. emergenze ecologiche
115 Per cui si veda C. Zoppi, Attori locali e pianificazione territoriale, Reggio Calabria - Roma 2006. Si segnala, da ultimo, il volume monografico della rivista Limes, Quaderno speciale ( 2006 )1, dall'emblematico titolo Tutti giù per terra, sia per i profili di scenario planetario sia per quelli direttamente relativi al territorio italiano ( G. Ciampi, « Democrazia versus ecologia? »; S. Olivetta, « Le mafie inquinano il Mare Nostro »; A. Pennacchi, « Mitopoiesis d'un ponte. Invettiva contro i neoreazionari » ).
Nella medesima rivista Limes ( 2006 )2, si segnalano ancora: M. Paglini, « Non solo mercato: come ripensare l'energia »; A.S. Bergantino - N. Carnimeo, « I porti in secca »; P. Desideri, « Casa brutta: forme del declino e declino delle forme »; C. Tosi, « Periferie alla romana: Quartaccio e dintorni »; M. Braucci, « Il pieno di nulla: vite a Scampia »
116 Come per le energie, tema direttamente incisivo sul futuro delle prossime generazioni. Per la dimensione italiana: Mediterraneo - Europa. Un ponte per lo sviluppo e la solidarietà, AVE, Roma 2002 ( in particolare: I. Musu, « Per uno sviluppo sostenibile del Mediterraneo », 119-127 ); La governance dello sviluppo: etica, economia, politica, scienza, AVE, Roma 2004 ( tra gli altri R Marzano, « Lo sviluppo sostenibile e le sue interazioni con lo sviluppo produttivo e umano », 79-88 ). Più in generale, dell'ultimo autore si richiama la raccolta di saggi: F. Marzano, Economia ed etica: due mondi a confronto, AVE, Roma 1998, tra cui soprattutto « Le tendenze della cooperazione a livello internazionale, lo sviluppo economico e la promozione umana e sociale », 243-323. Ancora, in guisa di cornice di riferimento per il primo inquadramento del tema, si veda M. Signore, « I rapporti tra morale ed economia. Un problema aperto », in Umanizzare l'economia, Cacucci, Bari 1999,45-54
117 Ossia delle nuove prospettive della cd. giustizia distributiva internazionale, per cui si veda A. Spadaro, Dai diritti « individuali » ai doveri « globali », Rubbettino, Soveria Mannelli 2005, segnatamente nella parte terza: « Una vecchia storia: togliere ai ricchi per dare ai poveri? ( Cenni per una teoria della globalizzazione non dei "diritti" ma dei "doveri" ) », 85-169
118 Non sono ancora sorte nel nostro territorio, ad esempio, le cd. megalopoli, eppure sono notissimi e problematici i disagi che il complesso metabolismo urbano delle grandi città ( come Roma e Milano ) arreca, sia come spreco di risorse sia come produzione di scorie non agevolmente smaltibili
119 I casi di S. Giuliano in Abruzzo e dell'alluvione recentissima di Pizzo e Vibo Valentia ( cagionata dall'impiego per area abitata di territorio appartenente all'area di sedimentazione di una fiumani, cioè un corso d'acqua a carattere torrentizio ) docente circa un'ororafia ( anche appenninica ) e un'idrografia decisamente sofferenti. Vi sono poi porti dismessi, coste erose, fondali e acque marine inquinati; un rischio sismico assai elevato
120 È doveroso il richiamo delle comunità locali sull'incidenza deleteria dei traffici delle cd. ecomafie ( più volte espresso dalla competente Commissione parlamentare bicamerale ), per i cui ultimi aggiornamenti si può consultare il Rapporto ecomafia 2006 edito dal centro di documentazione di Lega Ambiente ( accessibile dal relativo sito internet )
121 Da ultimo ribadito in toni alquanto allarmanti dal I rapporto ACI/Eurispes ( con sultabile nel sito internet www.eurispes.it )
122 Come ricorda il documento del trascorso 11 luglio della Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace dal titolo La terra, un dono per l'intera famiglia umana, consultabile nel sito www.chiesacattolica.it
123 Priorità cui si dedicano tempo e denaro ( per l'alimentazione, per la cura della salute, per l'educazione, per la soddisfazione dei bisogni primari, tra cui quello dell'accesso al bene - casa ), per l'assicurazione di una vita tranquilla
124 Non ci saranno o si saranno drasticamente modificati o ridotti i luoghi fisici in cui poter ancora vivere, fra trenta o quaranta anni? Sarebbe bene chiederselo anche qui, a Verona!
125 Per cui si rimanda soprattutto al notissimo saggio di Z. Bauman, La società sotto assedio, Laterza, Bari 2006
126 Per la cui delineazione ben più compiuta e qualificata si rinvia a D. Farias, « Problematica odierna dello Stato », in Crisi dello Stato, 1-34. Si presta poi a interessanti riflessioni ( sebbene caratterizzata per la sua impronta marcatamente « anglosassone » ) l'opera di W. Wink, Rigenerare i poteri.
Discernimento e resistenza in un mondo di dominio, EMI, Bologna 2003, segnatamente nella sezione 4, « La natura del Sistema del Dominio », 125-194
127 L'occidente possiede tecnologia e conoscenze scientifiche ( o istituzioni di ricerca ) superiori; ha però penuria di materie prime. Di qui una disuguaglianza non riducibile a conflittualità potenzialmente esplosiva, a fronte della quale il precetto dell'honeste vivere assume rilievo rinnovato e affatto originale: saggezza e prudenza diventano, in tale contesto, virtù ancor più desiderabili. Saprà la comunità degli scienziati, dei filosofi e degli intellettuali in generale, per parte sua, far fronte a simile temperie? Opina al riguardo D. Farias, con parole tanto illuminate quanto acute: « Il mito del progresso storico infinito garantito dallo sviluppo scientifico - tecnico è dovuto in gran parte alla presa che questo fascino ha avuto e ancora ha sul cuore dell'uomo.
La carità del saggio fondata sulla vera e umile conoscenza di sé e sul riconoscimento della pari dignità degli altri è illuminata, invece, dall'intelligibilità d'infinità di altro ordine, l'intelligibilità delle singole persone con la loro intrinseca infinità, irriducibile a quella del mondo fisico o dei mondi ideali logici o matematici, pur non antitetica a essi, e trascendente anche e non subordinabile integralmente agli orizzonti storici a loro modo illimitati delle escatologie mondane che già il progresso scientifico è in grado di schiudere a molti o anche solo a pochi. Una consapevolezza il più possibile lucida di questa irriducibilità, una consapevolezza divenuta coscienza sociale diffusa, è condizione indispensabile per un'azione politica che miri a creare condizioni di ragionevole uguaglianza nelle nuove stratificazioni sociali associate al progresso scientifico tecnico.
Se, invece, la differenza radicale tra questi vari ordini di infinità non risultasse chiara alla coscienza dei più e, a causa di questa incomprensione, la charitas veritatis fosse separata dalla veritas charitatis, non ci sarebbe più carità del saggio, non ci sarebbero energie spirituali sufficienti per creare un ordine sociale giusto nell'età della scienza e della tecnica » ( Farias, in Crisi dello Stato, 58-59 )
128 Nel senso che lo spazio fisico in cui o grazie al quale dovrebbe aver luogo il soddisfacimento dei propri bisogni vitali elementari non è più controllabile ne tutto interno, e pertanto, poiché la sopravvivenza di alcuni dipende dalla capacità di convivenza di tutti, occorrono sempre più solide ed efficaci intese per una gestione adeguata e responsabile della coesistenza
129 Oggi, la mobilità ( che è di gran lunga più agevole del passato di soli trent'anni fa ) è, a un tempo, voluta ma anche necessitata da bisogni crescenti di sopravvivenza o di accesso a risorse indispensabili per la soddisfazione dei bisogni elementari ( non immigrano solo i vu' cumpra' maghrebini e africani, affamati e disperati, ma anche ingegneri e architetti, medici e tecnici, quadri che necessitano di accedere a conoscenze specialistiche indispensabili per il buon esercizio delle loro professioni che non sono attingibili nei loro paesi d'origine ) e induce una trasformazione rapida dei popoli in popolazioni.
La concomitante necessità di una rete di relazioni più fitta e stabile tra Stati impone così confronti ( culturali e valoriali ) assai stimolanti, ma produce anche rigidità eccessive, se, come nel caso dei rapporti tra primo e terzo e quarto mondo, l'occidente - verso cui si dirigono i flussi migratori più con sistenti - avverte di essere come depauperato di una sua sorta di primazia, soprattutto culturale, rispetto agli altri mondi che con esso vengono in relazione e si scopre, nel contempo, meno compatto e solido di quanto avrebbe desiderato o creduto d'essere, in virtù della straordinaria ricchezza di risorse presenti nel pianeta di cui scopre di non avere il possesso o il monopolio
130 Nel senso che il clima da diffuso melting pot spiazza, impaurisce, attenua le identità tradizionali, unifica soltanto in opinioni collettive di breve durata ( sovente, con rigidità e fanatismi altrimenti non comprensibili se non come esito di una sorta di sindrome d'accerchiamento ), e conduce i singoli - non più dunque solo i grandi aggregati - a ritenere la salvaguardia della propria sfera di libertà e dei propri diritti ( in quanto funzionali al soddisfacimento non più solo dei propri bisogni, ma anche dei propri sogni, cioè di aspettative e desideri che, per quanto legittimi, non possono però aver attuazione - in presenza di penuria di risorse - se non a scapito di quelli degli altri ) misura e fine di ogni relazione, e a non percepirli più come strumento di esercizio eticamente responsabile verso i nostri prossimi e di alte idealità. E così, invece di evolvere verso l'assunzione di corresponsabilità mature, tanti sembrano diventare spiritualmente discontinui, volubili e indecisi, se non addirittura irresponsabili.
In una certa misura, altrettanto poi avviene sovente anche nei migranti, che subiscono ( soprattutto nella seconda e terza generazione ) un'erosione alquanto incisiva della propria identità originaria, e mostrano fenomeni di chiusura, rifiuto, autoghettizzazione o, peggio, di rivendicazionismo organizzato e di autentica intolleranza ( per una lontananza, o marginalità, come si è precisato retro, fortemente coinvolgenti ), sino a fomentare o innescare processi di conflitto materiale, non più solo culturale, con l'ambiente di loro avvenuto inserimento
131 Visibili nella permanente stagione di transizione istituzionale interna che stiamo da lungi vivendo e nel sostanziale fallimento del tentativo di un primo trattato costituzionale europeo
132 Secondo il noto racconto di Gen 26-28
133 Il rapporto dell'uomo con il sacro è veramente strano, se in molte religioni alligna il senso della « paura di Dio » e della sua temuta « giustizia », da cui ben spesso trae alimento la forma del culto ( soprattutto nei cd. rituali propiziatori ), e storicamente ha avuto origine la forma ( sovente degenerata ) delle pratiche di magia come forme di controllo delle potenze naturali o divine
134 In questa prospettiva, pare opportuno omettere del tutto di far cenno al rilievo del peccato originale
135 Questa è un'inferenza che, più che letture ( alquanto disordinate ) di teologia, è la scuola della vita ( anche nell'esperienza professionale ) a farmi riconoscere come assai ragionevole
136 Pensiamo alla condizione esistenziale del lattante: una creatura assolutamente dipendente per la propria sopravvivenza dall'adulto chiamato ad aver cura di lui, che già in grembo alla madre ( per intuizione e ragionamento, che la tecnologia più recente - tramite una semplice ecografia - ci ha permesso di verificare ictu oculi come realtà assai precoce nel corso della gestazione ) sapevamo aver avviato con lei in autonomia una comunicazione tutta particolare e, in un certo senso, esclusiva, in grado di assumere e metabolizzare non soltanto i materiali chimici ( come l'ossigeno ) e nutritivi indispensabili per la sua crescita ma soprattutto, e ben prima d'essere nato, esperienze spirituali forti e costitutive per la sua identità e per la sua capacità relazionale, e che esprime un benessere inequivocabilmente visibile nell'abbraccio ricercato e conseguito con la figura genitoriale accudiente.
Nel suo progresso di crescita, il bambino avverte però l'insufficienza del solo accudimento materia le o dell'affettività « a pelle » ed esige, oltre questi, anche l'attenzione del cuore e quella cura ( autenticamente educativa ) che gli permettano di poter sempre fare affidamento in colui che, per pura gratuita generosità ( o, in altri termini, per amore ), gli è accanto e prossimo, tanto che il difetto di un'esperienza del genere ( purtroppo diffusa, ben più di quanto s'immagini ) costituisce fonte di sofferenza e disagio, sovente causa remota di turbamento, di problematiche di disturbo preadolescenziali e successive ( nel comportamento o addirittura nella personalità ), in ogni caso di carenza rilevante per la maturazione di un proprio profilo personologico adulto
137 Qui ovviamente non si tratta di un delirio di onnipotenza, bensì della liberazione dalla paura di non valere e di non essere accolti e amati per quello che si è e per come si è, e quindi, piuttosto, della carica a mettere in gioco le proprie potenzialità, grandi o piccole che siano.
Ciò non toglie che una personalità così evolvente non è anche, ipso facto, forte « per sempre », perché è costantemente esposta all'alea della creaturalità; è però solidamente fondata, ovvero possiede un ancoraggio cui fare appello con fiducia ogni volta ( e saranno per tutti tantissime volte … ) che occorrerà « ricaricare le batterie » o trovare quel supplemento di energia indispensabile per affrontare le prove più serie e decisive della vita
138 Che Dio abbia invece voluto gli uomini come creature « dipendenti », nel senso di « sudditi » - sia pure con l'apparenza di essergli soltanto un tantino al di sotto ( magari, per ricordare loro costantemente di volerli mantenere sottomessi ) - è l'inganno, greve e grave, del tentatore a suggerire
139 Così in Gv 15,15-16
140 Quando l'uomo finalmente riesce a dire: « Lui mi vuole bene, io pure »
141 Nel senso che ben riflettono espressioni con cui due innamorati si rafforzano nelle loro effusioni o i genitori vivono la relazione con i figli ( del tipo « non posso fare a meno di te » o « la mia felicità dipende dalla tua », cui si pone quasi speculare la locuzione del Salmo 145,9: « La sua tenerezza si espande su tutte le creature » )
142 Quante volte un lutto improvviso, una malattia incurabile, un insuccesso professionale rilevante, una crisi sentimentale acuta o esperienze di abbandono, fallimento e sconfitta costituiscono esperienze « di frontiera », in cui si sente di camminare precariamente o come sul filo del rasoio, o addirittura di star franando irrimediabilmente, e sono possibili cosi condizioni assai tra loro omogenee e spesso complementari, quali lo sconforto, la prostrazione, la rassegnazione inerme, una rabbia rancorosa e lacerante, risentimento e odio, inquietudine e squilibrio, disperazione. Al riguardo, come ha osservato Giovanni Paolo II nella Salvifici doloris 31: « La sofferenza certamente appartiene al mistero del l'uomo.
Forse essa non è avvolta quanto lui da questo mistero, che è particolarmente impenetrabile [ … ]. Proprio in questo punto lo "svelare l'uomo all'uomo e fargli nota la sua altissima vocazione" è particolarmente indispensabile. Succede anche - come prova l'esperienza - che ciò sia particolarmente drammatico.
Quando però si compie fino in fondo e diventa luce della vita umana, ciò è anche particolarmente beato »
143 Sempre secondo l'invito della Salvifici doloris 15,26 e soprattutto 27: « Fonte di gioia diventa il superamento del senso d'inutilità della sofferenza, sensazione che a volte è radicata molto fortemente nell'umana sofferenza.
Questa non solo consuma l'uomo dentro se stesso, ma sembra renderlo un peso per gli altri.
L'uomo si sente condannato a ricevere aiuto e assistenza dagli altri e, in pari tempo, sembra a se stesso inutile [ … Invece ] le sofferenze umane, unite con la sofferenza redentrice di Cristo, costituiscono un particolare sostegno per le forze del bene [ … ]. E perciò la Chiesa vede in tutti i [ … ] sofferenti quasi un soggetto molteplice della sua forza soprannaturale »
144 Per i fondamenti di alcune delle considerazioni che seguono, si veda J. Guitton, Il libro della saggezza e delle virtù ritrovate, Piemme, Casale Monferrato 1999,156-158
145 Chiara è la differenza tra coraggio umano e fortezza cristiana: mentre il primo è una qualità che, come diceva Voltaire, è « comune agli scellerati e ai grandi uomini », la seconda è una virtù.
La proposta definitoria in questione merita ulteriore approfondimento.
Secondo il Dizionario enciclopedico di teologia morale. San Paolo, Cinisello Balsamo 1973, nella corrispondente voce ( pp. 397-404 ), si deve avere netta la distinzione che esiste circa la dimensione umana della fortezza tra la concezione antropologica della classicità greca e quella sottesa dalle sacre Scritture.
Mentre i greci hanno identificato la fortezza nella fermezza d'animo di fronte alle avversità della vita e finanche alla morte ( la cd. virilità, o andreia, ossia il coraggio, oltre che quella che il mondo latino chiamerà perseverantia, cioè la capacità di resistenza nello sforzo virile ) e nella cd. megalopsichia ( o magnanimità, cioè la capacità di formulare e perseguire con energica determinazione grandi propositi ), entrambe frutto di esercizio provato delle attitudini e virtù umane, tutta la Bibbia riconosce nella fortezza un attributo non umano, bensì di Dio, e le pone a emblema, quasi in guisa di paradosso, il segno della croce, perché sia chiaro che il valore dell'uomo nulla è a fronte della potenza di Dio.
Per una rilettura aggiornata del sempre attuale magistero di San Tommaso sulla virtù in questione, si veda ancora J. Pieper, La fortezza, Morcelliana - Massimo, Brescia - Milano 2001
146 Secondo il Salmo 118,14, « mia forza [ … ] è il Signore ».
Questo è anche il messaggio del Magnificat, in cui la creatura non si riduce al sentimento della propria debolezza di creatura, ma ha piena coscienza che rappresenta un tesoro per quanto con la sua straordinaria potenza d'amore Dio sa da lei trarre
147 Catechismo della Chiesa cattolica, n. 1808
148 Nelle forme progressivamente ingravescenti delle rinunce, delle tribolazioni, delle persecuzioni, della morte fino all'eventuale sacrificio di sé nel martirio
149 Ciò è tipico delle persone che soffrono una personalità debole. In questo caso, essa è come se corrispondesse alla percezione di sé come di un soggetto che versa in una sorta di fisiologica incapacità, del tipo « vorrei, ma non posso, e devo prenderne atto »
150 Trascurando di verificare la presenza di risorse personali potenzialmente adeguate a compiere atti buoni e a dare un quidpluris ( ossia il meglio di sé ) nelle condotte concrete della vita, o giudicandole ( spesso erroneamente ) del tutto assenti, tale condizione ( od opinione ) sovente ostacola la pratica umile dell'autocoscienza e l'esperienza delle proprie attitudini positive, perché ritiene « inarrivabile », o impossibile, il traguardo di un rinnovamento.
Si nutre di scoraggiante pseudorealismo ( per cui non vi sarebbero vie o aiuti di sorta praticabili ) o di autocommiserazione ( assai spesso piagnona e ipocrita, nel senso che la colpa è sempre di qualcun altro o di circostanze della vita particolari, se non proprio avverse ) e lascia ristagnare nel guado, senza alcuna speranza, o peggio nella disperazione, chi vi si colloca
151 I deboli « consapevoli », in realtà, appaiono di due tipi: quelli che temono la riprova zione o l'esperienza dell'errore e della sconfitta, che dipendono dal consenso altrui e lo ricercano, spesso attuando un conformistico ripiegamento sui forti per viverne di luce riflessa, poiché hanno scoperto - spesso drammaticamente - la loro incapacità di prendere decisioni, di assumere responsabilità, di lottare per attuarle con fermezza; e quelli che sono invece orgogliosi, e da tale sudditanza o complesso d'inferiorità vorrebbero emanciparsi, ma nella via del puntiglio di chi se ne fa compenso nell'amor proprio ( rigettando la propria debolezza, fingendosi forti e gestendo nella menzogna il rapporto con se stessi, procurando talora ai deboli come loro il contraccambio negativo delle proprie frustrazioni, quasi in una distorta logica del si salvi chi può )
152 Secondo VIC, Sintesi …,21 la pastorale penitenziaria è uno dei principali volti della pastorale della misericordia che il nostro tempo postula.
Essendo chi vi parla un giudice ( tra l'altro, da anni con funzioni anche di magistrato di sorveglianza ) è giusto che in proposito sia esplicitato al riguardo il suo personale punto di vista.
Nello specifico della funzione, rilevante è stata l'esperienza di disagio, perché l'esperienza spesso sovraccarica di negatività di un'umanità che si manifesta « a una sola dimensione » ( quella del delitto o della patologia delle relazioni sociali e personali, come nel caso delle crisi familiari ) è fonte di logorio non comune, e perché la condizione di arbitro del contrasto, e solutore della lite, o di bouche de la loi, dal punto di vista esistenziale, impone fermezza e obiettività, dunque un distacco emotivo non sempre facile a mantenersi, e una rettitudine costante.
Circa poi in particolare le esperienze nella giurisdizione penale, il processo non chiede tanto - come pure troppo spesso si pensa o si pretende - l'attribuzione di una responsabilità personale e la punizione del colpevole ( che pure ne è, in un certo senso, l'epilogo doveroso ), come se il giudice dovesse essere una sorta di vindice sociale, quanto piuttosto un accertamento su vicende, fatti, condotte, ed esige dunque che con rigore e con un argomentare verificabile nella sua correttezza logica e doverosa onestà intellettuale ( dunque, senza travisamenti ) si consegua una ricostruzione d'eventi che sia la più fedele al vero storico di quanto accaduto; esso non implica anche il giudizio delle coscienze.
Nel caso della giurisdizione penale minorile, la situazione è un po' diversa: 1) per ché la fase della cognizione impone che si arricchisca il percorso dell'accertamento con l'approfondimento di quella biografia personale che costituisce a un tempo lo sfondo e il luogo proprio in cui in un certo tempo una certa condotta si è collocata ed è assai propizia all'integrazione in presa diretta di quella vicenda, e perché occorre che la decisione - che può spaziare tra molteplici epiloghi - verifichi spazi e contesti della loro utile praticabilità, a fini di pieno recupero del reo; 2) perché, nella fase dell'esecuzione penale, a maggior ragione la progettazione del trattamento individualizzato richiede l'offerta di opportunità di futuro ragionevoli per colui che ha delinquito
153 Vi è un oggettivo bisogno di riorganizzazione del sistema penale, che è ormai ineludibile e indifferibile, ma a ben vedere affonda le sue radici nell'humus singolare della vita italiana della fine degli anni '80 ( per il tema si fa rinvio a A. Sabatini, « I temi della giustizia in Italia », in Coscienza [ 2006 ]4,46-49 )
154 Si veda al riguardo E. Wiesnet, Pena e retribuzione: la riconciliazione tradita. Sul rapporto tra cristianesimo e pena, tr. it. di L. Eusebi, Giuffrè, Milano 1980; e, soprattutto, Colpa e pena? La teologia di fronte alla questione criminale, a cura di A. Acerbi - L. Eusebi, Vita e Pensiero, Milano 1998; nonché, in termini più operativi, la ricerca accurata della Caritas edita in Liberare la pena. Comunità cristiana e mondo del carcere.
Percorsi pastora li, EDB, Bologna 2004. A mo' di slogan, si dovrebbe affermare ( parafrasando il detto di Gesù all'adultera: « Va' e non peccare più » ) che fare giustizia non può essere mai un « azzerare » ( vocabolo pure assai in voga, all'inizio degli anni '90 … ), ma un « ripartire da capo ».
A chi vi parla sembra in un certo senso ovvio che così avvenga, dopo dieci anni di esperienza professionale quale giudice minorile togato. Dall'età della loro istituzione ( risalente a oltre settant'anni addietro ), i Tribunali per i minorenni hanno sempre più incisivamente e profondamente mutato nella coscienza diffusa la percezione del valore dei diritti umani e civili di cui i bambini e i ragazzi sono portatori, contribuendo forse in misura decisiva alla loro promozione e definitiva affermazione nella nostra cultura e organizzazione sociale.
Nel rapporto tra le generazioni, la società degli adulti ha così potuto sperimentare il valore esemplare di un'istituzione che, pur mantenendo tutte le caratteristiche proprie della giurisdizio ne ( tra cui in particolare la terzietà di chi deve prendere le decisioni e il contraddittorio, cioè il diritto di far sentire la propria voce da parte degli interessati ) e necessitando ormai da tempo di una riforma ordinamentale in grado di potenziarne l'efficacia, ha per suo obietti vo proprio, nei settori degli interventi civili e amministrativi, non tanto quello della soluzione di un conflitto di giustizia tra pari, quanto quello della prevenzione dal disadattamento e soprattutto quello della tutela attiva, dell'accompagnamento e del sostegno nell'interesse di chi, oltre alla « naturale » fatica del crescere, deve purtroppo affrontare - in situazioni di disagio, fragilità e precarietà spesso tutt'altro che contingenti del suo ambiente familiare d'origine - anche l'esperienza dell'emergenza, della trascuratezza, della violenza e perfino dell'abbandono.
Per dirla a mo' di slogan, una « giurisdizione forte per i più deboli ». Insie me, giudici professionali e onorari ( con la cooperazione degli operatori del servizio sociale e talora del volontariato ), nell'ascolto dei minori e delle « parti » adulte, contribuiscono cosi, attraverso provvedimenti mai definitivi ma sempre adattabili alle esigenze del caso singolo, a verificare con attenzione e rispetto se e in quale misura ne siano compromesse ( anche da parte della famiglia di appartenenza ) le irrinunciabili esigenze di crescita ordinata ed equilibrata, e a costruire le opportunità di futuro concretamente praticabili per assicurarne l'attuazione. Un tribunale « per » e non « di », che ha avuto affidati dalla legge cioè non soltanto i compiti del « giudicare » ma anche quelli del concorrere a promuovere un mutamento positivo della condizione esistenziale e di vita di una persona, rappresenta uno strumento giuridicamente e culturalmente prezioso per ogni società: si tratta, infatti, di un'istituzione chiamata a conoscere pienamente e secondo verità il proprio territorio, a cogliere i fermenti di problematicità in esso presenti e a darsi obiettivi seri e concreti di politica giudiziaria per offrire alla propria utenza qualcosa che non è la mera soddisfazione di una domanda di giustizia, ma il riconoscimento del valore esemplare di quella persona per l'intera collettività.
Non a caso, del resto, l'ultimo congresso nazionale dell'AIMMF ( Associazione italiana dei magistrati per i minorenni e la famiglia ), svoltasi in Firenze dal 24 al 27 novembre 2005, si è svolto sul tema - anche semanticamente identico a quello del nostro ambito - « Fragilità nei minori e nella famiglia. Le norme sensibili - La giustizia sensibile »
155 Sul quale assai raccomandabile, sebbene alquanto complesso, è il saggio, che si segnala, di F. Varillon, L'umiltà di Dio, Qiqajon, Biella 1999
156 Nei passi notissimi del ministero paolino di 1 Cor 1,18-25-27; 1 Cor 10,22; Fil 4,13; Gal 5,6; 2 Cor 12,1-10; 2 Cor 13,8
157 Così P. Ferlay, Trinile, mort en croia, eucharistie. Réflexion théologique sur ces trois mystères, citato da G. Rosse, « L'abbandono di Cristo sulla croce.
Una panoramica esegetica e teologica », in Nuova umanità ( 1981 )18, 22, la cui integrale lettura si suggerisce per l'approfondimento della problematica concernente il rilievo del grido d'abbandono di Gesù in croce
158 Si segnala, in proposito, la suggestiva proposta teologica di F. Varillon, La souf france de Dieu, Le Centurion, Paris 1974. Per una lettura in chiave filosofico - spirituale della passione sempre attuale, si suggerisce ancora J. Maritain, « L'agonia nell'Orto e la Croce », in Della grazia e dell'umanità di Gesù, Morcelliana, Brescia 1977,126-135
159 Forse la lavanda dei piedi non era già stata abbastanza eloquente?
160 Per cui si veda U. Neri, L'ora della glorificazione di Gesù. Passione e risurrezione secondo Giovanni, San Lorenzo, Reggio Emilia 2003
161 Degli evangelisti, è il solo Luca che ne fa menzione ( Lc 22,47: « Gli apparve allora un angelo dal cielo a confortarlo » )
162 Come il titolo di « corredentrice » ci rammenta ( si legga, in proposito, E. Schillebeeckk, « La partecipazione di Maria al sacrificio della croce », in Maria, madre della redenzione, San Paolo. Cinisello Balsamo 1988,89-101, che acutamente richiama il legame indissolubile tra il dono e privilegio della pura grazia concessale nella maternità di Gesù e l'impegno con cui ella, nella fede e nell'esistenza terrena, ha a tanto corrisposto ).
Per una proposta articolata del rilievo della presenza di Maria nella passione del Cristo e delle sue implicazioni per l'orientamento degli stili pastorali nella Chiesa, si veda il considerevole e prezioso approfondimento di Il mistero della croce e Maria, Carmelitane, Roma 2001, tra cui ( in particolare ): A. Stagliano, « Il mistero della croce nella teologia cattolica contemporanea » ( segnatamente alla parte terza, « Nuova evangelizzazione e sapienza della croce: filosofare con la croce », 42-46 ); S. De Fiores, « Teologia della croce e Maria.
Itinerario dalla kenosi alla gloria » ( alla parte terza, « Maria icona vivente dell'amore [ e dolore ] del Dio trinitario », 133-139 ); M.G. Masciarelli, « La croce e Maria: profezia per il terzo millennio cristiano », 223-304
163 Che già nel Magnificat aveva rivelato non se stessa e la sua vita, bensì gli attributi del Dio vivente ( il forte, il santo e soprattutto il misericordioso ).
Così in P. Stancari, « Leggiamo il Magnificat. L'evangelo della santità di Dio », in Le due città ( 2006 )31,14, secondo cui: nel santo Maria rivela « l'inesauribile originalità di colui che è vivente e la sua radicale volontà di vita »; nel forte, « la forza [ … ] dolcissima [ ch ]e trasuda doni di compassione sempre attuali e capillari »; nel misericordioso, una vitalità « poderosa, energica, sbaragliante »; l'autore aggiunge ancora: « Così si compiono nella piccola vita di Maria le "grandi cose" di Dio [ … ].
Saremmo adesso molto desiderosi di essere informati da Maria circa le "grandi cose" che sono avvenute in lei; vorremmo saperne di più; ci aspetteremmo da lei notizie particolareggiate e innumerevoli curiosità. Invece la Madre del Signore sposta, subito e drasticamente, l'attenzione da lei stessa [ … ] Maria non ci paria di quello che Dio ha fatto in lei, bensì di quello che lui è »
164 Secondo la proposta di H. Rahner, « La donna forte », in Maria e la Chiesa, Garzanti, Milano 1991,85-92
165 Secondo l'intuizione magisteriale di Giovanni Paolo I ( nella famosissima locuzione: « Dio è Papa, e, ancor più. Madre » ) e, successivamente ancora, nel titolo del noto saggio di L. Boff, Il volto materno di Dio, Queriniana, Brescia 1987 ( di cui si richiama, per i nostri fini, il c. XI, « La solidarietà e la mediazione universale di Maria », 168-176 )
166 Secondo la simbologia giudaica, la nudità esprime proprio la perdita del rapporto con Dio ( così Rosse, « L'abbandono di Cristo sulla croce », 11 )
167 Come pure in seguito, nelle sue apparizioni ( riconosciute dalla Chiesa in modo eminente in tale ministero di solidarietà )
168 Andando a incontrare e a servire ( per tre mesi ) una parente, in difficoltà nella sua gestazione per l'età avanzata; partorendo in una stalla e poi condividendo la sorte di tanti fuggiaschi nell'occasione dell'esilio provvisorio in Egitto; sperimentando la perdita e il ritrovamento del figlio appena preadolescente nel corso di un pellegrinaggio; concretamente giovando in una festa di matrimonio a una difficoltà imprevista dei novelli sposi con la sua intercessione; prendendosi cura di madre dei discepoli ( fin dalla Pentecoste ) nel loro cammino missionario
169 Si segnala, al riguardo, il discorso dell'allora Card. G.B. Montini, « Maria illumina il problema fondamentale della vita umana », edito ( con ottima nota redazionale introduttiva ) in Sulla Madonna. Discorsi e scritti. 1935-1963, Società geografica italiana.
Roma 1988, 23-27, per i profili illuminanti che reca sulla ricchezza della vita spirituale della Madre del Signore e sulle potenzialità della sua imitazione per la vita umana sia in itinere sia matura.
Ancora, per uno sguardo ampio sul senso e sul valore del titolo mariano di « madre dell'accoglienza » che di seguito si propone, e ancora sul « come » le virtù di Maria accogliente potrebbero e « dovrebbero specialmente risplendere nella Chiesa che è in Gerusalemme », si veda F. Rossi De Gasperis, Maria di Nazaret. Icona di Israele e della Chiesa, Qiqajon, Biella 1997,129-137
170 Così S. De Fiores, « Maria paradigma antropologico per il terzo millennio », in La Chiesa nel tempo ( 2004 )1,21-39
171 Secondo il richiamo dell'allora Card. J. Ratzinger, nella conferenza dal titolo « La mia felicità è stare vicino a Dio. Della fede cristiana nella vita eterna », in Il Dio vicino. San Paolo, Cinisello Balsamo 2005,154: « Dio non è più il Dio lontano, indeterminato, a cui non arriva alcun ponte, ma è il Dio vicino: il corpo del Figlio è il ponte delle nostre anime […].
Poiché lui è disceso nelle profondità della terra ( Ef 4,9ss ), Dio non è più solo un Dio che sta in alto, ma ci circonda e ci abbraccia, dall'alto, dal basso e dal profondo di noi stessi » Assai interessante è la rassegna di passi biblici sul tema riproposta nel volume di S. Chiara, Discese agli inferi, Qiqajon, Biella 2000
172 Tra questi, una particolare menzione merita la vicenda della canonizzazione di San Massimiliano M. Kolbe, sulla quale a lungo vi fu dissenso poiché egli non fu in senso proprio « martire per fede » ( così Sartori, Il dito che annuncia il cielo, 230 )
173 Per un inquadramento generale del rilievo dell'esperienza di martirio nel XX secolo, si veda « Martirio e martiri in una Chiesa di speranza », in Credere oggi ( 1984 )6; A. Riccardi,Il secolo del martirio San Paolo, Cinisello Balsamo 2000; per alcune interessantissime icone dei martiri del nostro paese, si veda L. Accattoli, Nuovi martiri: 393 storie cristiane nell'Italia di oggi. San Paolo, Cinisello Balsamo 2000
174 Per un'interessante rilettura teologica del valore della pratica devozionale al Sacro Cuore di Gesù, si veda K. Rahner, « Alcune tesi per una teologia della devozione al Sacro Cuore di Gesù », in Scritti di cristologia e di mariologia, Paoline, Roma 1967,307-314
175 Come ben chiarito dalla vicenda di Edith Stein ( per la cui prima conoscenza si rinvia a W. Herbstrith [ ed. ], Edith Stein. La mistica della croce.
Scritti spirituali sul senso della vita. Città Nuova, Roma 2004 ). La contemplazione del mistero della croce è, d'altra parte, via suggerita da V1C, Sintesi …, 16
176 Di cui la liturgia, in tutto il tempo di Pasqua, continuamente rammenta ed evidenzia la consistenza, quale segno della vera gloria del Cristo
177 Non porgo questa provocazione, oggi, ai laici, ma ai presbiteri, e non perché voglio a questi meno bene che a quelli! Ai laici competerà « inquietarsi » infatti soprattutto nei lavori di gruppo che ci attendono.
Giovanni Paolo II ha scritto parole, al riguardo, tanto illuminanti quanto severe, nel rammentare BBche il sacerdote è già « in permanente e particolare contatto » con la santità di Dio, ma che questo non gli basta, e deve avere anche il desiderio vivo, la passione di diventare lui stesso santo e mantenersi in questo continuo incontro intimo con Dio: « Il sacerdote deve lui stesso diventare santo.
È il medesimo suo ministero a impegnarlo in una scelta di vita ispirata al radicalismo evangelico.
Questo spiega la specifica necessità, in lui, dello spirito dei consigli evangelici di castità, povertà e obbedienza [ … ].
Da qui il particolare bisogno di preghiera nella sua vita: la preghiera sorge dalla santità di Dio e nello stesso tempo è la risposta a questa santità [ … ].
La preghiera crea il sacerdote e il sacerdote si crea attraverso la preghiera [ … ].
Il sacerdote dev'essere innanzitutto uomo di preghiera, convinto che il tempo dedicato all'incontro intimo con Dio è sempre il meglio impiegato [ … ].
Il mondo di oggi reclama sacerdoti santi! Soltanto un sacerdote santo può diventare, in un mondo sempre più secolarizzato, un testimone tra sparente di Cristo e del suo vangelo [ … ] guida degli uomini e maestro di santità. Gli uomini, soprattutto i giovani, aspettano una tale guida » ( Dono e mistero, 98-101 ).
Anche Bene detto XVI si è in proposito espresso, con altrettanta chiarezza ( come di consueto ) ma anche con stupefacente passione, nell'omelia dell'ultimo giovedì santo, quando, ricordando alcune straordinarie parole di don Andrea Santoro, ha rammentato che « essere sacerdote significa diventare amico di Gesù Cristo, e questo sempre di più con tutta la nostra esistenza » ( il passo dell'omelia prima citato [ consultabile nel sito internet www.vatican.va ] così prosegue: « Il mondo ha bisogno di Dio - non di un qualsiasi dio, ma del Dio di Gesù Cristo, del Dio che si è fatto carne e sangue, che ci ha amati fino a morire per noi, che è risorto e ha creato in se stesso uno spazio per l'uomo.
Questo Dio deve vivere in noi e noi in lui. È questa la nostra chiamata sacerdotale: solo così il nostro agire da sacerdoti può portare frutti.
Vorrei concludere questa omelia con una parola di Andrea Santoro, di quel sacerdote della diocesi di Roma che è stato assassinato a Trebisonda mentre pregava; il cardinale ce l'ha comunicata a noi durante gli esercizi spirituali. La parola dice: "Sono qui per abitare in mezzo a questa gente e permettere a Gesù di farlo prestandogli la mia carne [ … ].
Si diventa capaci di salvezza solo offrendo la propria carne. Il male del mondo va portato e il dolore va condiviso, assorbendolo nella propria carne fino in fondo come ha fatto Gesù". Gesù ha assunto la nostra carne. Diamogli noi la nostra, in questo modo egli può venire nel mondo e trasformarlo » )
178 Così Napolioni, « Una catechesi secondo il Magnificat », 16
179 Senza pretesa di esaustività, una ricognizione comparata degli episodi salienti al riguardo è attuabile nei testi seguenti, che illustrano i molteplici miracoli di guarigione e « segni » operati da Gesù:

Mt

Mc

Lc

Gv

Guarigioni di « molti »
( 4,23-24 )
Un indemoniato
( 1,21-27 )
Un indemoniato a Cafarnao
( 4,31-39 )
Il figlio del funzionario reale
( 4,46-54 )
Un lebbroso
( 8,1-16 )
La suocera di Pietro
( 1,29-31 )
La suocera di Pietro
( 4,38-39 )
L'infermo nella piscina di Betzaetà
( 5,1-40 )
Il servo del centurione
( 8,1-16 )
Guarigioni di « molti »
( 1,32-34 )
Guarigioni di « molti »
( 4,40-42 )
Un'adultera
( 8,2-11 )
La suocera di Pietro
( 8,1-16 )
Un paralitico
( 2,1-12)
Un lebbroso
( 5,12-15 )
Il cieco nato
( 9,1-38 )
Indemoniati e malati
( 8,1-16 )
L'uomo dalla mano inaridita
( 3,1-5 )
Un paralitico
( 5,17-26 )
Lazzaro
( 11,1-44 )
I due indemoniati gadareni
( 8,28-33 )
Guarigioni di « molti »
( 3,7-10 )
L'uomo dalla mano inaridita
( 6,6-11 )

Un paralitico
( 9,1-18 )
L'indemoniato di Gerasa
( 5,1-20 )
Il servo del centurione
( 7,1-10 )

L'emorroissa
( 9,18-26 )
L'emorroissa
( 5,21-43 )
Il figlio della vedova di Nain
( 7,11-17 )

La figlia del capo della sinagoga
( 9,18-26 )
La figlia di Giairo
( 5,21-43 )
La peccatrice perdonata
( 7,36-50 )

Due ciechi
( 9,27-31 )
Guarigioni in Genesaret
( 6,53-56 )
L'indemoniato di Gerasa
( 8,26-39 )

Un muto indemoniato
( 9,32-33 )
La figlia della siro-fenicia
( 7,24-30 )
L'emorroissa
( 8,40-56 )

L'uomo dalla mano inaridita
( 12,9-13 )
Il sordomuto
( 7,31-37 )
La figlia di Giairo
( 8,40-56 )

Guarigioni in Genesaret
( 14,34-36 )
Il cieco di Betsaida
( 8,22-26 )
Un indemoniato epilettico
( 9,37-43 )

La figlia di una Cananea
( 15,21-31 )
Un epilettico indemoniato
( 9,14-29 )
La donna curva
( 13,10-17 )

Guarigioni presso il lago
( 15,21-31 )
Bartimeo, il cieco di Gerico
( 10,46-52 )
L'idropico
( 14,1-4 )

L'epilettico indemoniato
( 17,14-21 )

I dieci lebbrosi in Galilea
( 17,11-19 )

I due ciechi di Gerico
( 20,29-34 )

Il cieco di Gerico
( 18,35-43 )



Un servo del sommo sacerdote
( 22,50-51 )

180 Miseria materiale che stanca e sfinisce; tormenti ( tra cui possessioni demoniache ) d'ogni genere; infermità e invalidità. Così in particolare in Mt 4,23-24 e Mt 9,35-38
181 Secondo S. Legasse, Jesus et l'enfant. « Enfants », « petits » et « simples » dans la tradition synoptique, Gabalda, Paris 1969, 51-74, 104-121,168-185, la predilezione di Gesù si è rivolta soprattutto a coloro ( di qualunque età e condizione personale ) che « non hanno voce » o alcuno che li ascolti
182 Così nel caso del giovane ricco e di Nicodemo
183 Con questa espressione si vuole far riferimento a quegli stati di disordine che originano dal disorientamento interiore e che influenzano il percorso esistenziale, privandolo di certezze circa il suo senso e valore e circa il « dove » e il « come » del suo indirizzo, e determinano una sorta di privazione della capacità di desiderare e ricercare punti di riferimento.
Vi convivono spesso confusione, amarezza, scetticismo, inerzia o iperattivismo, o addirittura menzogna, comunque paura di affrontare le difficoltà
184 Nelle vicende della peccatrice perdonata, dell'adultera, della samaritana, dei « due ladroni » omicidi della crocifissione
185 Come alle nozze di Cana
186 Nel rapporto con Giuda Iscariota
187 In questo incontro l'umanità ha cioè vissuto pienamente l'esperienza della compassione del Cristo ( non ci sono stati narrati d'altra parte episodi di rifiuto - esplicito o implicito - di grazia da parte di Gesù, in tali contesti e occasioni, anzi si legge, in Lc 6,19, che « da lui usciva una forza che sanava tutti » )
188 Si parla spesso di folle, cioè di gran numero di persone, in cui è lecito cogliere un insieme di individualità piuttosto che un tutto indistinto
189 E ben più significativamente, attesa l'eccezionalità dell'indole di tale compassione
190 Secondo l'espressione di C.M. Martini, Il Vangelo secondo Giovanni, Boria, Roma 1979,56, che riecheggia, in un certo senso, nell'invito alla « pastorale della misericordia » formulato da VIC, Sintesi …, 18
191 Come nell'episodio del paralitico calato con tutto il suo lettuccio da un buco nel tetto di un'abitazione ( narrato da Mc 2,1-12 e da Lc 5,17-26 )
192 Che Gesù ha ammirato, definendola condotta ispirata da fede autentica ( come nell'episodio del servo del centurione )
193 Come nel caso dell'emorroissa o di quanti ambivano a toccare anche solo l'orlo del suo mantello, poiché « quanti lo toccavano guarivano » ( secondo Mt 14,36 ). Mc 3,10 peraltro nota che « quanti avevano qualche male gli si gettavano addosso per toccarlo »
194 Come si legge, ad esempio, in Mt 4,23-24
195 Non sempre i vangeli ne hanno riprodotta l'intera sequenza, ma là dove ciò è avvenuto risultano efficacissimi ( come nelle esemplari vicende del paralitico e del cieco nato narrate dal Vangelo di Giovanni, acutamente indagate da Martini, Il Vangelo secondo Giovanni, 58-62, da cui sono tratte le osservazioni formulate sopra ).
Nel caso degli indemoniati, Gesù, con una significativa « variante » alla dinamica « relazionale » in questione, ha invece loro ingiunto di allontanarsi comandando altresì loro il silenzio, e ha parlato loro duramente e minacciosamente ( come in Mt 17,18 )
196 Nell'episodio del giovane ricco, si legge che « fissatolo » lo amò ( così in Mc 10,21 )
197 197 Si potrebbe qui usare il termine metanolo per indicare l'obiettivo della pedagogia del Cristo, che è quello della « conversione del cuore », sul quale P. Stancari, « Leggiamo il Magnificat. L'evangelo della liberazione, che converte il cuore umano », in Le due città ( 2006 )32,21, a chiosa di Lc 1,51, così si esprime: « Il braccio divino infrange la durezza del cuore umano! [ … ] adesso il cuore umano è espugnato; i pensieri sono sottratti a ogni logica di rapina e di conquista, mentre gli affetti si effondono nella gratuità dell'affidamento e dell'accoglienza. La Madonna non ha alcun dubbio a questo riguardo.
Bisogna far bene attenzione al suo magistero: la potenza di Dio si è manifestata nel gesto della liberazione ( che è la sua prima affermazione ) in modo tale da provocare l'apertura, o lo sfondamento o la spaccatura, o la frantumazione del cuore umano ( che è la seconda affermazione ).
È così che l'intervento forte di Dio ottiene la conversione del cuore umano »
198 In almeno due episodi, gli evangelisti annotano con finezza dei gesti di particolare attenzione « materiale » da parte di Gesù: l'accostarsi e sollevare la suocera di Pietro; il prendere per mano e l'amorevole carezza verbale del « tatita, cum », con l'invito ai familiari della figlia di Giairo a darle da mangiare perché si sostentasse fisicamente.
Si ricordino poi il tocco compassionevole agli occhi dei due ciechi di Gerico ( in Mt 20,34 ), l'accompagnamento paterno del figlio della vedova di Nain restituito vivo alla madre ( in Lc 7,15 ), il congedo all'idropico guarito.
199 Il Cristo non ha dunque elargito o erogato graziosamente la sua grazia risanante, come fosse manna da far piovere dal cielo sul beneficato di turno rimasto inconsapevole di ciò o capace soltanto di godersi quella grazia insperata e insperabile!
200 Piace rimandare in proposito al classico saggio di R. Guardini, Miracoli e segni, Morcelliana, Brescia 1985,57-59, secondo cui il miracolo non è l'elemento decisivo nell'esperienza della presenza reale di Dio accanto agli uomini. Infatti, nella sua straordinarietà ( o, meglio, soprannaturalità ), il miracolo è un fenomeno - limite, che dovrebbe suscitare attenzione soltanto in quanto rimanda « alla realtà che non è di questo mondo ».
Il fatto che ci sia stata una guarigione inspiegabile o medicamente impossibile certo ci rimanda all'efficacia della grazia divina, ma essa è tale da riuscire a illuminare la vita umana anche a prescindere dal primo ( tanto che, si dice, il vero miracolo più spesso non è che un paralitico cammini, ma che l'uomo, anche se non guarito o risanato, abbia colto in Dio l'autentica realtà della sua vita e per la sua vita e nel regno di Dio la sua perla preziosa, e da ciò abbia avuto cambiata l'esistenza )
201 Come suggerisce il racconto della guarigione dell'epilettico indemoniato in Mc 9,22-24, allorché il padre dello sventurato, dopo aver invocato aiuto nella sua disperazione ( « se tu puoi qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci » ), annuncia « ad alta voce [ … ] credo, aiutami nella mia incredulità »
202 Pur se, talora, ha sollecitato a specifiche condotte di vita ( le cui locuzioni più esplicite sono state: « va' in pace »; « va' e non peccare più »; « alzati »; « cammina »; « prendi il tuo letto »; « va' a casa tua »; « andate e presentatevi ai sacerdoti »; « mostrati al sacerdote e fa' l'offerta per la tua purificazione »; « non entrare nemmeno nel villaggio »; « badate che nessuno lo sappia » ), tra cui in particolare la memoria grata della misericordia ricevuta.
Esemplare in proposito è la locuzione del mandato all'indemoniato di Cerasa, rammentata sia da Mc 5,19 sia da Lc 8,39, cui Gesù, dopo averlo liberato, raccomanda di ritornare alla propria casa con l'invito: « Annunzia [ in Lc "racconta" ] [ … ] ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ti ha usato »
203 Così in Mc 16,20 e Lc 24,46-49.
In questo mandato sembra di poter cogliere il riflesso di un amore che si esprime già prima del sacrificio della croce nei doni largiti senza richiesta alcuna, gratuitamente ( come nel caso della risurrezione di Lazzaro ), frutto di compassione ( che è anche esito di una relazione tra Gesù e l'umanità che ha incontrato, ma è soprattutto sua intima costitutiva disposizione, come acutamente rilevato da A. Miranda, I sentimenti di Gesù, EDB, Bologna 2006, 103-105 ).
Al riguardo, molto potrebbero stimolarci, e soprattutto farci interrogare per la loro rilevanza pastorale, la persistente, se non crescente, domanda di segni soprannaturali ( nella forma soprattutto delle guarigioni fisiche, ma anche della rassicurazione circa il futuro ) che è sottesa in numerosi pellegrinaggi in luoghi come Lourdes o Fatima - spiritualmente così coinvolgenti ed ecclesialmente assai rilevanti, ma verso i quali troppo spesso tanti si dirigono solo per impetrare, a compenso di molte sventure nella loro vita, interventi taumaturgici risolutivi delle proprie difficoltà e povertà, confondendo « miracoli » e « segni » e andando in cerca dei primi soltanto, come se al di fuori di essi null'altro avesse valore - e le molteplici forme devozionali o di culto personale verso alcuni santi, dall'esperienza di vita quanto mai articolata e ricca, ma nell'immaginario collettivo conosciuti soltanto come taumaturghi ( tra cui San Francesco da Paola e San Giuseppe Moscati ), di cui l'epigono è soprattutto Pio da Pietrelcina ( la cui immaginetta e ormai presente quale analogo o addirittura « sostituto » del crocifisso in molti luoghi pubblici, e non per involontaria blasfemia, ma forse per la percezione - inconsciamente prodottasi nei più - in lui, in quanto stimmatizzato, di un alter Christus … )
204 Come parrebbe essere avvenuto per i nove lebbrosi di Gerico non ritornati o per il ladrone crocifisso non resipiscente, pure se solo il Signore conosce gli effetti della sua mise ricordia nelle coscienze
205 La cui potenza San Massimiliano Kolbe ha colto con l'espressione « solo l'amore crea »
206 Come per la suocera di Pietro
207 Come nel caso della guarigione della donna curva ( in Lc 13,13 ), che subito prese a glorificare Dio
208 Così in Mt 9,33
209 Un posto a parte merita in essa la figura di Pietro, non a caso riproposta ( nel magi stero di 1 Pt ) in questo periodo di preparazione al nostro Convegno come esemplare di questa umanità « trasformata » che può essere testimone autentica di speranza.
Al riguardo si suggerisce la lettura, assai suggestiva, di M. Mazzeo, Pietro. Roccia della Chiesa, San Paolo, Cinisello Balsamo 2004 e, dello stesso autore, Lettere di Pietro. Lettera di Giuda, Paoline, Milano 2002
210 Per cui si rimanda al magistero di Paolo VI, nell'esortazione apostolica del 1975 Gaudete in Domino ( consultabile, nella traduzione dal titolo La gioia cristiana, nel sito www.qumran2.net )
211 Come ci ricorda Gv 5,24ss
212 Così Ratzinger, « La mia felicità è stare vicino a Dio », di cui si suggeriscono soprattutto i paragrafi « Che cos'è la "vita eterna"? », 145-150 ( e la lettura spirituale del Salmo 73 ivi commentato ) e « "Tutto quello che è mio è tuo".
Il carattere comunitario e l'attualità della vita eterna », 150-155, con la locuzione: « La vita con Dio, la vita eterna nella vita temporale, è possibile per questo, perché esiste la vita di Dio con noi » e l'efficacissima precisazione ulteriore circa la parola del padre al figlio perduto ( Lc 15,31 ), con cui poi Gesù ha descritto la sua esclusiva relazione con il Padre nella preghiera sacerdotale ( Gv 17,10 ): « Ogni dolore accolto, ancora così nascosto, ogni silenziosa sopportazione del male, ogni superamento interiore di se stessi, ogni inizio di amore, ogni rinuncia e ogni silenzioso atto di affidamento a Dio: tutto ciò diventa ora operante nel tutto.
Alla potenza del male, che con i suoi tentacoli minaccia di attaccare tutta la struttura della nostra società e di soffocarla in un abbraccio mortale, si oppone questo silenzioso circuito della vera vita, come la potenza liberante in cui il regno di Dio, poiché la volontà di Dio accade sulla terrà come in cielo »
213 Tratta da D. Farias « Il futuro della città terrena e il futuro della persona », in L'Avvenire di Calabria, 29.6.2002 ( si tratta dell'ultimo articolo dall'autore pubblicato nel settimanale diocesano, nel corso di una breve ma sofferta agonia, culminata appena una settimana dopo nel suo decesso )