Per un umanesimo del terzo millennio

Indice

La dottrina sociale come strumento fondamentale per l'educazione dell'uomo

La novità del tempo presente

Un cambiamento radicale si è verificato negli ultimi anni del XX secolo: la crisi delle ideologie totalitarie e dei sistemi socio-politici fondati su di esse è un risultato assolutamente evidente e irreversibile.

È stato ed è questo il momento di un risveglio del senso religioso.

Si è tornati a porre al centro dell'esperienza personale, e quindi di conseguenza anche al centro della vita sociale, l'uomo come domanda di senso sulla vita, come domanda di valore, cioè come domanda su ciò per cui vale la pena vivere.

Si è assistito alla riscoperta di una delle categorie fondamentali dell'uomo, definita da don Giussani nel Senso religioso, esperienza elementare; ovvero si è riscoperto quel « complesso di esigenze e di evidenze con cui l'uomo è proiettato dentro il confronto con tutto ciò che esiste ».142

L'esperienza elementare è, infatti, identificabile con quel nucleo di esigenze, bontà, giustizia, verità, felicità, le quali « costituiscono il volto ultimo, l'energia profonda con cui gli uomini di tutti i tempi e di tutte le razze accostano tutto ».143

Si è reso sempre più manifesto che è necessario che l'uomo riparta dalla sua esperienza elementare e la viva fino in fondo.

Come ha ricordato Giovanni Paolo II, nel discorso Ai partecipanti al Meeting per l'amicizia fra i popoli, è l'uomo innanzitutto la grande risorsa che l'uomo ha a disposizione nell'impostazione e nella soluzione del grande problema della vita.

È una risorsa quella dell'uomo a se stesso che è insufficiente certo, ma inevitabile.

Non si può non partire dall'uomo e dal suo bisogno di verità, di bellezza e di giustizia.

« L'uomo è grande per la sua intelligenza, mediante la quale conosce se stesso, gli altri, il mondo e Dio; l'uomo è grande per la sua volontà, per cui si dona nell'amore, fino a raggiungere vertici di eroismo.

Su tali risorse trova fondamento l'anelito insopprimibile dell'uomo: quello che tende alla verità - ecco la vita dell'intelligenza - e quello che tende alla libertà - ecco il respiro della volontà.

Qui l'uomo acquista la sua grande, incomparabile statura, che nessuno può calpestare, che nessuno può irridere, che nessuno può togliergli: quella dell'essere"».144

È proprio nell'impostazione della vita come ricerca del senso ultimo di essa, come si è sottolineato in precedenza, che l'uomo si scopre persona, cioè appartenente ad un mistero più grande di lui, desideroso di penetrarlo adeguatamente, eppure consapevole dei limiti che accompagnano questo cammino.

Si può dire che il senso religioso, nuovamente protagonista della storia dell'umanità, viva oggi una stagione di ripresa reale, caratterizzata da tante possibilità positive, ma insieme minacciata da tanti equivoci, e addirittura aperta alle più diverse contraddizioni.

In particolare, è come ravvisabile quello che potremmo definire un certo disagio all'interno del mondo cattolico e dentro la stessa esperienza ecclesiale, manifesto soprattutto nel mondo intellettuale, là dove l'esperienza di fede dovrebbe divenire cultura.

Tale disagio nasce dal mancato riconoscimento del fatto che soltanto nell'avvenimento della presenza di Cristo nella storia, nel mistero della sua Chiesa, l'uomo trova il compimento della sua attesa religiosa e della sua intrapresa umana e storica.

A volte, infatti, manca nel modo cattolico una piena consapevolezza del fatto che solo nel permanente dialogo fra Cristo e il cuore dell'uomo si pongono le condizioni obiettive per un'antropologia che può essere pienamente attuata.

Giovanni Paolo II, commentando i fatti del 1989, dopo avere riconosciuto che la lotta per la libertà « ha richiesto lucidità, moderazione, sofferenza e sacrifici », ha subito precisato che è solo « unendo la propria sofferenza per la verità e per la libertà a quella di Cristo sulla croce che l'uomo può compiere il miracolo della pace ed è in grado di scorgere il sentiero spesso angusto fra la viltà che cede al male e la violenza che illudendosi di combatterlo, lo aggrava ».145

Soltanto in Cristo l'uomo trova il pieno appagamento alla sua sete di verità, giustizia, bontà e libertà: « La più grande risorsa dell'uomo è Cristo, Figlio di Dio e Figlio dell'uomo, in Lui si scoprono i lineamenti dell'uomo nuovo, realizzato in tutta la sua pienezza.

In Cristo, Crocifìsso e Risorto, si svela all'uomo la possibilità e il modo secondo cui assumere in profonda unità tutta quanta la sua natura »146

Questa essenziale verità non sempre in ambito cattolico è riconosciuta e affermata, anche a causa di un clima culturale di stampo relativistico.

Questo clima culturale costituisce indubbiamente un ostacolo alla missione della Chiesa come viene denunciato nella Dominus Jesus: « Il perenne annuncio missionario della Chiesa viene oggi messo in pericolo da teorie di tipo relativistico, che intendono giustificare il pluralismo religioso, non solo defacto ma anche de iure ( o di principio ) ».147

Secondo una tale prospettiva relativistica non solo esistono tante religioni, che è un fatto, un dato storico, ma è giusto che sia così perché non esiste una religione vera.

Vengono in questo modo rifiutate verità fondamentali della dottrina cristiana, quali ad esempio il carattere definitivo e completo della rivelazione di Gesù Cristo, il carattere ispirato dei libri della Sacra Scrittura, l'unità personale fra il Verbo Eterno e Gesù di Nazareth.

Soprattutto, si finisce per non riconoscere più il carattere assolutamente originario del cristianesimo, secondo il quale il cristianesimo non è la religione degli uomini che cercano Dio, ma di Dio che ha cercato l'uomo.

Giovanni Paolo II lo ha ricordato chiaramente nella Lettera apostolica Tertio millennio adveniente: « Cristo infatti non si limita a parlare "a nome di Dio" come i profeti, ma è Dio stesso che parla nel suo Verbo eterno fatto carne.

Tocchiamo qui il punto essenziale per cui il cristianesimo si differenzia dalle altre religioni, nelle quali s'è espressa sin dall'inizio la ricerca di Dio da parte dell'uomo.

Nel cristianesimo l'avvio è dato dall'Incarnazione del Verbo.

Qui non è soltanto l'uomo a cercare Dio, ma è Dio che viene in Persona a parlare di sé all'uomo ed a mostrargli la via sulla quale è possibile raggiungerlo [ … ]

Il Verbo Incarnato è dunque il compimento dell'anelito presente in tutte le religioni dell'umanità: questo compimento è opera di Dio e va al di là di ogni attesa umana ».148

Di questa specificità del cristianesimo spesso non si è più coscienti.

Anche per i cristiani praticanti risulta quanto mai difficile pensare che la loro funzione nel mondo sia quella di annunziare Cristo a tutti.

Il pensiero più comune, più istintivamente condiviso dalla maggior parte anche dei cattolici, porta a ritenere che ognuno abbia la sua religione, determinata dalle circostanze storiche e sociali in cui vive.

Pertanto, se nasce e vive in occidente è facile che sia cristiano, così come se nasce e vive in medio oriente è facile che sia islamico.

E facile e inevitabile che sia così, tanto che risulta quasi del tutto inutile, o comunque impensabile un'azione missionaria tesa ad annunciare Cristo anche a coloro che non sono nati cristiani.

La religione diventa così un fatto totalmente determinato dalla situazione contingente.

Viene a dipendere dalla storia, dalla cultura, dalla razza.

Secondo una tale impostazione l'affermare il valore di verità della propria religione, e non una sostanziale uguaglianza tra religioni, è identificabile con una posizione fondamentalista che minaccia la possibilità di una convivenza pacifica.

Una tale mentalità riguarda anche i cattolici praticanti in cui la coscienza della propria identità si è così alterata da non avere più chiaro la responsabilità missionaria che hanno di fronte al mondo.

Per comprendere questa difficoltà, questo disagio che vive il mondo cattolico, occorre tenere presente che l'uomo contemporaneo è allo stesso tempo figlio della tradizione cristiana, che lo porta appunto dopo il grande crollo delle ideologie a riscoprire la dimensione religiosa come dimensione più profonda dell'essere umano, ma anche figlio dell'età moderna.

È vero che le grandi ideologie del XX secolo possono dirsi vinte e superate, ma è anche vero che non può dirsi completamente superata la tentazione ideologica.

Non è vinta e superata la mentalità laicista secondo la quale tra fede e ragione esiste un'inimicizia di fondo, secondo la quale non è necessario il riferimento alla Rivelazione di Dio perché l'uomo conosca adeguatamente se stesso, perché l'uomo ritrovi le leggi fondamentali del suo vivere, del suo esistere e determini quei criteri fondamentali che fanno nascere i rapporti sociali, dando così vita alla società.

Soprattutto, se possiamo dire conclusa la lotta aperta e radicale alla religione, al cristianesimo, alla Chiesa, per quanto riguarda il mondo occidentale, ciò non esclude che tale lotta continui secondo nuove forme.

Nuove forme meno violente, che però hanno lo stesso obiettivo: indebolire, rendere inutile, eliminare il cristianesimo.

L'uomo contemporaneo prende coscienza che la ragione intesa razionalisticamente non è sufficiente.

I risultati degli ultimi secoli dimostrano come con la ragione si possano fare grandi cose, ma non si risolvano tutti i problemi; si domini la materia, ma la materia possa ribellarsi; la realtà possa essere organizzata scientificamente, ma esistano dimensioni della vita umana che non possono essere risolte tecnicamente.

Ci sono questioni della vita - la morte, la sofferenza, la malattia, l'ingiustizia - che sono dati di fronte ai quali nessuna ragione di tipo scientista riesce alla lunga a sopravvivere.

Tuttavia, è come se riconosciuto ciò, riconosciuta anche la naturale esigenza religiosa, che porta a vedere nella religione un fattore decisivo dell'esistenza, si escluda a priori la possibilità che ciò che è cercato dalla ragione, ciò che è richiesto dal cuore dell'uomo, possa trovare risposta in Altro da sé.

La modernità, se da un lato chiude con l'epoca della barbarie, della lotta a oltranza alla fede, del martirio dei religiosi e dei laici,149 dall'altro sviluppa questa nuova concezione antitetica al cristianesimo: la religione è una dimensione importante della vita, ma è una dimensione esclusivamente del soggetto.

La religione è ridotta ad esigenza soggettiva.

Il relativismo è inevitabile.

I modi con cui l'uomo cerca Dio, i volti che da a questo Dio, il tipo di rappresentazione che si fa di questo Dio, le singole formulazioni storiche che vengono a delinearsi, hanno la loro importanza, ma sono del tutto secondari.

Ciò che viene sottolineato non è l'idea di Dio, sia che essa venga formulata dal grande fondatore di religioni o che venga a realizzarsi in una determinata formulazione culturale, ma il fatto che la religione sia un contenuto dell'uomo, esclusivamente dell'uomo.

Tutte le religioni allora sono importanti, ma nessuna è considerata più vera delle altre, nessuna è considerabile assoluta.

Secondo questa prospettiva ciò che è assoluto non è Dio, ma l'uomo.

Dio diventa l'espressione dell'assolutezza dell'uomo.

Si è verificata una riduzione antropologica della fede, una riduzione della fede a dimensione umana.

Si finisce così per identificare erroneamente senso religioso e fede.

A questo si deve aggiungere che la tentazione prevalente in tanto mondo cattolico all'indomani del Concilio Vaticano II è stata quella di concepire il Concilio in rottura con la tradizione ecclesiale, teologica e pastorale precedente; di concepirlo come una sorta di nuovo cristianesimo sostanzialmente storicizzato, antropologizzato, in cui la preoccupazione fondamentale, invece della missione, è sembrata essere quella del dialogo, su basi di parità, con tutte le formulazioni religiose e addirittura filosofiche.

Si è evidentemente trattato di una interpretazione erronea, contro la quale è intervenuto lo stesso Giovanni Paolo II con chiarezza: « è necessario che non vada persa la genuina intenzione dei Padri conciliari; essa, piuttosto, deve essere recuperata superando interpretazioni prevenute e parziali che hanno impedito di esprimere al meglio la novità del Magistero conciliare.

La Chiesa da sempre conosce le regole per una retta ermeneutica dei contenuti del dogma.

Sono regole che si pongono all'interno del tessuto di fede e non al di fuori di esso.

Leggere il Concilio supponendo che esso comporti una rottura col passato, mentre in realtà esso si pone nella linea della fede di sempre, è decisamente fuorviante.

Ciò che è stato creduto da "tutti, sempre e in ogni luogo" è l'autentica novità che permette a ogni epoca di sentirsi illuminata dalla parola della Rivelazione di Dio in Gesù Cristo ».150

Tuttavia, per quanto condannata e confutata tale erronea interpretazione del Concilio, ha contribuito anch'essa, insieme ai retaggi del laicismo moderno, a generare questo clima culturale che mette oggi in pericolo l'annuncio missionario.

La Dichiarazione della Congregazione per la dottrina della fede Dominus Jesus ha preso atto proprio di questa situazione in cui il cristiano vive, denunciando il rischio, che corrono in primo luogo gli stessi cristiani, di pensare che il cristianesimo sia semplicemente una formula delle infinite possibili della religiosità universale.

Rischio reale, i cui effetti negativi concreti si riscontrano nel venire meno dell'impeto missionario.

La stessa parola missione sembra a volte quasi disturbare.

Si parla di dialogo interreligioso, ecumenico, di promozione di valori umani, ma sempre meno di missione.

Si corre il rischio di slegare ciò che invece nella prospettiva cristiana è strettamente legato: non c'è dialogo senza missione, non c'è autentica promozione dell'uomo e dei suoi diritti fondamentali senza l'annuncio della verità di Cristo.

Anche in questo caso le parole di Giovanni Paolo II risultano particolarmente significative a riguardo: « il dialogo non può essere fondato sull'indifferentismo religioso, e noi cristiani abbiamo il dovere di svilupparlo offrendo la testimonianza piena della speranza che è in noi ( 1 Pt 3,15 ).

Non dobbiamo avere paura che possa costituire offesa all'altrui identità ciò che invece è annuncio gioioso di un dono che è per tutti, e che va a tutti proposto con il più grande rispetto della libertà di ciascuno: il dono della Rivelazione del Dio-Amore che "ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito" ( Gv 3,16 ) [ … ]

La Chiesa, pertanto, non si può sottrarre all'attività missionaria verso i popoli, e resta compito prioritario della missio ad gentes l'annuncio che è nel Cristo "via, verità e vita" ( Gv 14,6 ), che gli uomini trovano la salvezza.151

La risposta della Chiesa

Il problema della dottrina sociale sempre, ma più che mai oggi in questo contesto culturale definitivamente modificato, è quello di proporre una visione adeguata dell'uomo.

Si tratta peraltro di dare compimento a un'intenzione profonda di Giovanni Paolo II, espressa già in uno dei primi discorsi del suo pontificato: « Se le nostre statistiche umane, le catalogazioni umane, gli umani sistemi politici, economici e sociali, le semplici umane possibilità non riescono ad assicurare all'uomo che egli possa nascere, esistere ed operare come unico ed irripetibile, allora tutto ciò glielo assicura Dio.

Per Lui e di fronte a Lui, l'uomo è sempre unico ed irripetibile; qualcuno eternamente ideato ed eternamente prescelto, qualcuno chiamato e denominato con il proprio nome ».152

La dottrina sociale, quindi, deve nascere e svolgersi tutta a partire dall'affermazione fondamentale che solo in Cristo trova compimento l'autentica esigenza di umanità e che tale incontro tra Cristo e l'uomo avviene nel mistero della Chiesa, in cui l'avvenimento di Cristo morto e risorto, pienezza di umanità autentica e definitiva, permane e si comunica ad ogni generazione della storia.

Non bisogna mai dimenticare che la Chiesa è il luogo dove emerge l'uomo; essa è rivelatrice ed educatrice della personalità umana, realtà unica ed irripetibile, soggetto creativo di società e di storia, irriducibile a qualsiasi condizionamento della sua esistenza personale e sociale.

La grande intuizione pascaliana che l'uomo supera infinitamente l'uomo trova soltanto nella esperienza ecclesiale la sua adeguata e reale giustificazione.

L'uomo e la sua libertà costituiscono il grande ed irrinunciabile a priori difeso dalla dottrina sociale, perché la Chiesa ha sempre difeso la libertà con cui l'uomo cerca Dio e la libertà con cui, incontrato Gesù Cristo, l'uomo è chiamato ad assumersi la responsabilità di riconoscerlo o di rifiutarlo.

In questo senso la tematica della libertà all'interno del Magistero, come del resto è già stato sottolineato, si coniuga coerentemente con il tema della verità.

Basta rileggere l'enciclica di Leone XIII intitolata Libertas praestantissimum: la libertà è l'energia con cui si cerca la verità, con cui ci si rapporta alla verità; se si taglia il rapporto fra verità e libertà, la libertà diventa una pura reazione istintiva e come tale diventa un fattore altamente manipolabile, proprio come in questa società, dove tutti credono di essere liberi e tutti sono ottusamente manipolati quasi senza accorgersene.

La libertà è dunque il cuore dell'uomo che vive, spera, ama e lotta; espressione incoercibile della sua coscienza personale.

La Chiesa è segno e salvaguardia del carattere trascendente e luogo di educazione dell'uomo che diventa capace di costruire la società; i diritti sociali sono l'espressione della dignità della persona umana, la quale trova la propria consistenza nell'appartenenza che l'uomo vive con Dio nel mistero di Cristo.

Questo processo di fondazione della persona umana si attua nella presenza della Chiesa come soggetto missionario.

E nella missione che si istituisce la dottrina sociale come strumento missionario fondamentale.

Il Magistero di Giovanni Paolo II ci ha insegnato che la Chiesa è tutta nella sua missione.

La Chiesa è chiamata ad autorealizzarsi nel mondo; nella missione la Chiesa incontra l'uomo reale, storico, gli comunica l'avvenimento imprevedibile, gratuito della presenza di Cristo.

Lo chiama a partecipare a tale avvenimento, in modo reale e positivo; lo chiama a un rinnovamento totale della sua intelligenza e del suo cuore.

La Chiesa lo educa ad esprimere nel mondo e nella storia tale novità di vita e di cultura; lo educa a confessare Cristo di fronte alla storia, a fare compagnia all'uomo nella storia, a lavorare per l'uomo e con l'uomo nella storia.

La dottrina sociale è dunque totalmente inserita dentro il grande processo della nuova evangelizzazione.

Essa nasce perché la fede in Cristo, salvatore dell'uomo e del mondo, incontra l'uomo e le sue problematiche reali, le illumina con criteri nuovi e pone in atto le condizioni e le possibilità di operazioni nuove.

Non si deve scordare che « la risposta della fede richiede un coinvolgimento totale con la vita dell'altro nella sua interezza.

Per questa ragione i missionari si sono occupati dei bisogni concreti dell'educazione, dell'assistenza medica e della preparazione al lavoro perché la conversione interna della fede potesse manifestarsi all'esterno, e in questo modo, divenire causa di fede profonda nell'intera comunità ».153

Non c'è vera evangelizzazione se il nome, l'insegnamento, la vita, le promesse, il regno, il mistero di Cristo non sono proclamati.

Da questa fede in Cristo nascono opzioni, valori, attitudini e comportamenti capaci di orientare e definire la nostra vita cristiana e di creare uomini nuovi e quindi, mediante la conversione della coscienza individuale e sociale, una umanità nuova.

Nel cammino umano e storico che la missione concreta della Chiesa attua è contenuta la possibilità di una educazione vera dell'uomo e di un incontro vero, stabile e solidale fra gli uomini.

Un'educazione che investe innanzitutto due ambiti fondamentali per la vita dell'uomo: la cultura e il lavoro.

La cultura ed il lavoro sono, infatti, fattori determinanti per una comprensione adeguata dell'uomo e della realtà sociale.

Sono l'espressione più significativa di quella capacità dinamica propria dell'uomo che è la capacità di incontrare gli altri uomini e costruire, appunto, la società.

Per quanto riguarda la cultura, la presenza della Chiesa si connota innanzitutto di una innegabile dimensione culturale: « Una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta ».154

In molte circostanze Giovanni Paolo II ha formulato tale indicazione culturale e pastorale.

La fede contiene dunque una concezione ultima dell'uomo e della realtà, che ha una sua irriducibile adeguatezza.

L'uomo "fatto a immagine e somiglianza di Dio" è il soggetto unico e irripetibile della propria vita e della vita sociale; non può mai essere pensato come funzionale a un sistema che lo preceda e lo ecceda: l'uomo non può mai essere ridotto all'insieme delle sue condizioni fisiche o ai suoi condizionamenti sociali.

Non può mai essere considerato, come del resto aveva ben indicato la Costituzione conciliare Gaudium et spes, « soltanto una particella della natura o un elemento anonimo della città umana ».155

Nella fede cattolica è contenuta da duemila anni una forza culturale che riconsegna all'uomo il senso della sua personalità, della sua dignità, della sua ultima responsabilità.

Per questo, testimoniare in concreto la cultura che nasce dalla fede è, contestualmente e conseguentemente, imprimere nella società un movimento di autentica umanizzazione.

E l'umanizzazione è sempre, pur nella varietà delle condizioni storiche, fattore di autentica civilizzazione.

Ma la fede indica anche all'uomo un ethos, definitivamente nuovo.

È l'ethos della carità come tensione a condividere tutte le necessità e i bisogni dell'uomo, per rendere la sua vita più dignitosa e prepararlo alla possibilità dell'incontro con Cristo.

La carità è forma singolare e travolgente di evangelizzazione.

Una autentica e reale umanizzazione della società non può avvenire, secondo una prospettiva cristiana, prescindendo dallo slancio missionario della Chiesa.

Slancio missionario che consiste innanzitutto nell'annuncio della verità che salva l'uomo, cioè che corrisponde pienamente alle sue attese, alle sue esigenze.

Slancio sempre più necessario anche nel mondo di tradizione cristiana, come Giovanni Paolo II, nel discorso rivolto alla Chiesa italiana nel 1985 a Loreto, ha chiaramente affermato: « La "coscienza di verità", la consapevolezza cioè di essere portatori della verità che salva, è fattore essenziale del dinamismo missionario dell'intera comunità ecclesiale, come testimonia l'esperienza fatta dalla Chiesa fin dalle sue origini.

Oggi, in una situazione nella quale è urgente por mano quasi ad una nuova "implantatio evangelica" anche in un Paese come l'Italia, una forte e diffusa coscienza di verità appare particolarmente necessaria.

Di qui l'urgenza di una sistematica, approfondita e capillare catechesi degli adulti, che renda i cristiani consapevoli del ricchissimo patrimonio di verità di cui sono portatori e della necessità di dare sempre fedele testimonianza alla propria identità cristiana».156

Per quanto riguarda il tema del lavoro, non si vuole certo in questo ambito analizzare l'intero insegnamento magisteriale a riguardo, ma solo indicarne alcune linee particolarmente suggestive rispetto a quanto detto.

La dottrina sociale attraverso la Laborem exercens insegna che il lavoro è la caratteristica fondamentale dell'uomo, l'espressione sintetica della sua cultura, la sua capacità di lotta contro i condizionamenti della vita personale e sociale, una capacità di costruzione che imita l'eterna laboriosità di Dio nell'imitazione del sacrificio di Cristo che attraverso la croce giunge alla pienezza della resurrezione: « Nel lavoro umano il cristiano ritrova una piccola parte della croce di Cristo e l'accetta nello stesso spirito di redenzione, nel quale il Cristo ha accettato per noi la sua croce.

Nel lavoro, grazie alla luce che dalla risurrezione di Cristo penetra dentro di noi, troviamo sempre un barlume della vita nuova, del nuovo bene, quasi come un annuncio dei "nuovi cieli e di una terra nuova" ( 2 Pt 3,13; Ap 21,1 ), i quali proprio mediante la fatica del lavoro vengono partecipati dall'uomo e dal mondo.

Mediante la fatica - e mai senza di essa.

Questo conferma, da una parte, l'indispensabilità della croce nella spiritualità del lavoro umano; d'altra parte, però, si svela in questa croce e fatica un bene nuovo, il quale prende inizio dal lavoro stesso: dal lavoro inteso in profondità e sotto tutti gli aspetti - e mai senza di esso ».157

Nella Centesimus annus inoltre è sottolineato come il lavoro, l'opera umana in cui si esprime la capacità costruttiva dell'uomo, a imitazione di Dio e di Cristo per l'uomo e con l'uomo, non può avere come unico scopo il profitto, in quanto: « scopo dell'impresa, infatti, non è semplicemente la produzione del profitto, bensì l'esistenza stessa dell'impresa come comunità di uomini che, in diverso modo, perseguono il soddisfacimento dei loro fondamentali bisogni e costituiscono un particolare gruppo al servizio dell'intera società.

Il profitto è un regolatore della vita dell'azienda, ma non è l'unico; ad esso va aggiunta la considerazione di altri fattori umani e morali che, a lungo periodo, sono almeno egualmente essenziali per la vita dell'impresa ».158

Il tema del lavoro è, quindi, sviluppato dalla dottrina sociale secondo una disamina profondamente umana che non vuole tralasciare nessuna dimensione: la dimensione personale, secondo la quale il soggetto del lavoro è l'uomo e prima di tutto il lavoro è per l'uomo; la dimensione sociale per la quale il lavoro è opera di solidarietà; infine, superando ogni lettura atea, la dimensione teologica, secondo la quale il lavoro, alla luce di Cristo morto e risorto, diventa cooperazione alla creazione e alla redenzione, fonte di benedizione e sostentamento.

Una visione quindi integrale del lavoro che ha superato la riduzione che ne avevano fatto il liberalismo e il marxismo, come ha saputo rilevare acutamente il filosofo Augusto Del Noce: « così liberalismo come marxismo hanno portato la loro attenzione soltanto sull'aspetto oggettivo del lavoro trascurando quello soggettivo, cioè la realizzazione che in esso l'uomo fa di se stesso.

Come conseguenza di ciò si spiega come il progresso tecnologico abbia coinciso col progresso nell'alienazione ».159

La fede attraverso la dottrina sociale è pertanto chiamata a illuminare e a dettare i criteri di azione nella vita sociale.

La cultura e il lavoro sono due espressioni fondamentali di questa costruttività sociale della fede, a cui è sempre più importante che il cristiano, se vuole vivere fino in fondo la sua fede, sia educato.

Raccogliendo in uno sguardo sintetico la dottrina sociale e la vita di questi oltre cento anni di presenza cristiana si può dire che essa ha costituito un grande movimento per la difesa della persona umana e ci si deve augurare che questo movimento possa continuare nel mondo, segnando in modo positivo il terzo millennio dell'era cristiana.

Ciò dipende dalla volontà di missione di ciascun cristiano.

Tale volontà di missione si deve innanzitutto chiedere a Dio con la preghiera e si deve confortarla giorno dopo giorno con una amicizia cristiana reale.

Occorre, quindi chiedere al Signore Gesù Cristo, che è l'unico grande contenuto del sapere cristiano, quindi anche della dottrina sociale della Chiesa, un cuore capace di vivere ogni giorno la laboriosa fatica di una fede che investe il mondo e attraverso la cultura e il lavoro lo trasforma già nel presente, rendendolo segno e anticipazione della vita eterna, ovvero "il centuple quaggiù": « Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta ». ( Mt 6,33 )

Evangelizzazione ed educazione alla luce del Concilio Vaticano II

Il valore e il significato fondamentale della dottrina sociale si possono meglio comprendere se si tengono presente i temi dell'evangelizzazione e dell'educazione secondo quanto definito dal Concilio Ecumenico Vaticano II.

Rileggere oggi l'avvenimento e l'insegnamento del Concilio consente di riprendere in maniera profonda ed articolata la linea di svolgimento della storia della cristianità occidentale di questi ultimi quarant'anni e di approfondire contemporaneamente le vicende culturali, sociali e politiche che hanno caratterizzato l'umanità in questo periodo.

Senza ombra di dubbio uno dei punti centrali del Concilio Ecumenico Vaticano II può essere individuato nella riproposizione del tema centrale della fede in Cristo come unico Salvatore dell'uomo: unica possibilità di vita, di liberazione per l'uomo di ogni tempo; alternativa, definitiva e continuamente verificata alle varie ideologie e ai vari tentativi dell'uomo di comprendersi e realizzarsi in pienezza, esclusivamente in base alle proprie risorse di carattere intellettuale, morale, politico o scientifìco-tecnologico.

In particolare, nell'interpretazione del Concilio sviluppata dal Magistero di Paolo VI e da quello di Giovanni Paolo II risulta particolarmente rilevante il tema dell'evangelizzazione, ovvero della missione, intesa come possibilità di incontro sempre attuale e continuamente rinnovato tra "Cristo e il cuore dell'uomo", per usare le parole di Giovanni Paolo II.

Secondo tale prospettiva il problema dell'evangelizzazione si pone quindi non tanto a livello di definizione o di riformulazione di contenuti teologici, culturali, pastorali, quanto piuttosto a livello di sviluppo e maturazione della coscienza della Chiesa: « Illuminata e sorretta dallo Spirito Santo, la Chiesa ha una coscienza sempre più approfondita sia riguardo al suo ministero divino, sia riguardo alla sua missione umana, sia finalmente riguardo alle stesse sue debolezze umane ».160

Il Concilio ha invitato a recuperare in tutta la sua consapevolezza l'identità e la vera natura della Chiesa.

In altri termini il Concilio ha consegnato alla Chiesa il compito di recuperare da un punto di vista esistenziale la propria identità, ovvero di farsi carico con una responsabilità rinnovata della proposta cristiana, rivolgendola all'uomo e alla società di questo tempo.

« I Padri conciliari furono posti dinanzi a una vera sfida.

Essa consisteva nell'impegno di comprendere più intimamente, in un periodo di rapidi cambiamenti, la natura della Chiesa e il suo rapporto con il mondo per provvedere all'opportuno "aggiornamento".

Abbiamo raccolto quella sfida - c'ero anch'io tra i Padri conciliari - e vi abbiamo dato risposta cercando un'intelligenza più coerente della fede.

Ciò che abbiamo compiuto al Concilio è stato di rendere manifesto che anche l'uomo contemporaneo, se vuole comprendere a fondo se stesso, ha bisogno di Gesù Cristo e della sua Chiesa, la quale permane nel mondo come segno di unità e di comunione ».161

Indubbiamente, accanto a questa linea interpretativa della riflessione conciliare, che può essere considerata ad ogni conto di fondamentale importanza all'interno del Magistero pontificio e sinodale, come evidenziato da Giovanni Paolo II nella prima parte della Redemptor hominis, si sono formulati, nella ecclesialità e nella ecclesiasticità, altri movimenti interpretativi del concilio e altre tendenze.

Prendendo in considerazione il tema dell'evangelizzazione, non si vuole qui avere la pretesa quindi di esaurire il discorso sul Concilio e sulle problematiche emerse da esso, quanto piuttosto soffermarsi su uno degli aspetti dell'insegnamento del Concilio che, tuttavia, non può non essere considerato decisivo e fondamentale per la vita della Chiesa: « Ciò, infatti, che lo Spirito disse alla Chiesa mediante il Concilio del nostro tempo, ciò che in questa Chiesa dice a tutte le Chiese non può - nonostante inquietudini momentanee - servire a nient'altro che ad una ancor più matura compattezza di tutto il Popolo di Dio, consapevole della sua missione salvifica ».162

Inoltre, un'adeguata comprensione del movimento di evangelizzazione, in quanto si pone all'interno della società moderna e post-modema, comporta un'adeguata interpretazione della stessa.

Anche in questo caso esistono diverse chiavi di lettura ed è naturale che le interpretazioni della modernità, che ne scaturiscono, abbiano sviluppato diverse posizioni, che si confrontano e qualche volta addirittura si scontrano all'interno della Chiesa, assumendo atteggiamenti e valutazioni differenti.

Tuttavia, anche in questo caso non può non essere individuata una prospettiva principale secondo la quale muoversi per evitare letture riduttive del Concilio e cogliere invece lo spirito autentico dello stesso ed in particolare non equivocare a riguardo del rapporto con il mondo moderno.

Già vent'anni fa l'alloera Cardinal Ratzinger all'interno del libro Rapporto sulla fede non ha mancato di osservare in proposito che l'apertura al mondo moderno non poteva intendersi come accettazione indiscriminata della modernità: « L'identità ferma è condizione dell'apertura.

Così intendevano i Papi e i Padri conciliari, alcuni dei quali certamente indulsero a un ottimismo che noi, a partire dalla nostra prospettiva attuale, giudicheremmo come poco critico e poco realistico.

Ma se hanno pensato di potersi aprire con fiducia a quanto c'è di positivo nel mondo moderno, è proprio perché erano sicuri della loro identità, della loro fede.

Mentre da parte di molti cattolici c'è stato in questi anni uno spalancarsi senza filtri e freni al mondo, cioè alla mentalità moderna dominante, mettendo nello stesso tempo in discussione le basi stesse del depositimi fidei che per molti non erano più chiare ».163

È indubbio allora che tra i problemi principali da affrontare, per un'azione di evangelizzazione adeguata ai tempi che viviamo, deve essere annoverato sicuramente quello relativo al senso e al significato della modernità.

Il concludersi della modernità, come è accaduto inesorabilmente fra il Concilio e il 1989, ha permesso di cogliere meglio il carattere di quella che può essere considerata la linea fondamentale di sviluppo della modernità.

Ha cioè permesso di prendere atto del valore del movimento, insieme unitario e articolato, sotteso alla modernità e del suo principale intento: creare un uomo e una società che prescindessero totalmente da ogni riferimento religioso e quindi dalla tradizione cristiana, assumendo logicamente un carattere irreligioso, antiteistico e anticristiano.

La fine della modernità può certamente considerarsi la fine di questo progetto; tuttavia, ne rimangono ancora oggi gli esiti e le conseguenze da affrontare.

La fine storica di questo progetto ha reso, infatti, ogni giorno sempre più evidente il fallimento dello stesso e le tragiche conseguenze per l'uomo che ne sono scaturite: la fine delle grandi ideologie totalitarie ha condotto, infatti, a quel degrado antropologico e sociale che può essere considerato a tutti gli effetti un'autentica disgregazione antropologica.

Niente meglio delle parole di de Lubac nel Dramma dell'umanesimo ateo esprimono meglio tale esito: « Che cosa è avvenuto dell'uomo di questo umanesimo ateo?

Un essere che appena si osa ancora chiamare essere; una cosa che non ha più interiorità, una cellula interamente immersa in una massa in divenire; un uomo sociale e storico di cui altro non resta che una pura astrazione, al di fuori dei rapporti sociali e della situazione nella durata per cui si definisce [ … ]

Niente impedisce perciò di utilizzarlo come un materiale o come uno strumento, sia che si tratti di preparare qualche società futura o di assicurare nel presente stesso la dominazione di un gruppo privilegiato.

Nulla impedisce perfino di gettarlo via come inservibile [ … ]

Ma sotto le sue diversità, si trova sempre lo stesso carattere fondamentale, o piuttosto si constata la stessa assenza.

Questo uomo è letteralmente dissolto: che sia in nome del mito o della dialettica, l'uomo perdendo la verità, perde se stesso.

In realtà non c'è più uomo, perché non c'è più nulla che trascenda l'uomo ».164

Una tale descrizione diventa singolarmente sempre più attuale man mano che il tempo passa e le conseguenze drammatiche della modernità emergono con sempre maggiore chiarezza, come ha tante volte sottolineato Giovanni Paolo II.

L'intuizione di de Lubac secondo la quale sarebbe stato possibile all'uomo organizzare il mondo contro Dio, ma che una volta che lo avesse fatto, sarebbe apparso evidente che lo aveva realizzato contro di sé, risulta quindi pienamente verificata.

Si deve, inoltre, tenere presente che tale disgregazione non ha investito solamente gli ambiti della modernità europea, ma anche gli ambiti culturali socio-politici con cui la modernità europea ha avuto a che fare rovinosamente.

Anche quella parte di mondo che è stata soggetta al fenomeno della colonizzazione è, infatti, da inquadrare all'interno di questo progetto ateistico politico ed ideologico che ha segnato profondamente la modernità.

Che cosa contraddistingue l'atteggiamento dell'uomo di oggi?

Se è vero, come si è in precedenza evidenziato, che assistiamo ad una rinascita del senso religioso, non senza ambiguità e contraddizioni, non bisogna dimenticare comunque che predomina un clima culturale nichilistico.

L'uomo risulta fondamentalmente segnato da un sostanziale nichilismo, per il quale la realtà non ha più nessuna consistenza propria; da un profondo scetticismo di carattere conoscitivo e da un'assenza pressoché assoluta di valori ideali e pratici; tratti questi che finiscono per confluire in un consumismo universale, che, paradossalmente, risulta ancora dominato da un'irrazionale fiducia verso il potere scientifico e tecnologico.

Lo stesso Giovanni Paolo II ha denunciato tali caratteri come esito del processo immanentistico che ha contraddistinto la modernità: « l'epilogo fatale delle correnti fìlosofico-culturali e dei movimenti di liberazione chiusi alla trascendenza [ … ] ha finito per disincantare l'uomo europeo, spingendolo verso lo scetticismo, il relativismo, se non ancora facendolo piombare nel nichilismo, nella insignificanza, nell'angoscia esistenziale ».165

Se la Chiesa ritiene, come non può non ritenere, pena un'infedeltà al suo compito, che essa rappresenta ancora oggi l'annuncio dell'unica e definitiva liberazione per l'uomo, ne consegue che attraverso la sua opera di evangelizzazione passa anche la possibilità di rifondare un'antropologia adeguata, capace di superare la disgregazione antropologica, che è stata indicata come esito della modernità. Il compito dell'evangelizzazione risulta infatti quello di riaprire nel cuore della cultura e della società contemporanee la questione del senso della vita, presentando la fede cattolica in Cristo come risposta risolutiva ad essa.

L'evangelizzazione ha quindi un'inevitabile dimensione culturale che consiste da un lato nella radicale messa in discussione di ogni pretesa immanentistica o scettica, dall'altro nel riaprire la via maestra della Redenzione che è legata all'incontro con Cristo, presente nel Mistero della Santa Chiesa.

Se invece si ritiene che questo esito della modernità e della post-modemità sia da considerarsi qualcosa di assolutamente irreversibile anzi, come ha avvertito drammaticamente Giovanni Paolo II nei suoi interventi sulla questione delle radici cristiane dell'Europa, sia da identificarsi come un'irreversibile e silenziosa apostasia della fede, allora viene a mancare lo spazio per una vera e propria opera evangelizzatrice. Una certa interpretazione del Concilio sembra confermare questo tipo di impostazione.

Infatti, per chi interpreta erroneamente il Concilio come rottura radicale con la tradizione ecclesiale, come una sorta di "nuovo e definitivo cristianesimo", finisce per archiviare l'impegno missionario e sostituirlo con un dialogo interreligioso, nel quale il cattolicesimo è ridotto ad essere una delle componenti in gioco, senza alcuna pretesa di verità definitiva per l'uomo e per il suo destino.

Il contributo che può offrire il cristianesimo è allora limitato alla costruzione di un mondo culturale e sociale in cui le istanze religiose, tendenzialmente concepite individualmente, hanno il solo scopo di mantenere alti alcuni valori etici e di contestare le derive materialistiche e consumistiche della società.

Una tale prospettiva emerge però da una lettura erronea del Concilio, come del resto sottolineato a suo tempo anche da Ratzinger: « Bisogna decisamente opporsi a questo schematismo di un prima e di un dopo nella storia della Chiesa, del tutto ingiustificato dagli stessi documenti del Vaticano II che non fanno che riaffermare la continuità del cattolicesimo.

Non c'è una Chiesa "pre" o "post", conciliare: c'è una sola e unica Chiesa che cammina verso il Signore, approfondendo sempre di più e capendo sempre meglio il bagaglio di fede che Egli stesso le ha affidato.

In questa storia non ci sono salti, non ci sono fratture, non c'è soluzione di continuità.

Il Concilio non intendeva affatto introdurre una divisione del tempo della Chiesa ».166

In altri termini, seguendo sempre le chiarificazioni di Ratzinger, « il Vaticano II non voleva di certo "cambiare" la fede, ma ripresentarla in modo efficace ».167

Non bisogna comunque dimenticare che si tratta solo di interpretazioni "tendenziose" del Concilio, come lo stesso Giovanni Paolo II ha denunciato, e che non possono inficiare il suo valore fondamentale per la storia della Chiesa e per la sua opera evangelizzatrice: « È difficile dire qualcosa di nuovo sul Vaticano II.

Allo stesso tempo, c'è sempre il bisogno di richiamarsi a esso, che è divenuto un compito e una sfida per la Chiesa e per il mondo.

Si avverte l'esigenza di parlare del Concilio, per interpretarlo in modo adeguato e difenderlo dalle interpretazioni tendenziose ».168

L'intento autentico del Concilio è stato, infatti, quello di promuovere una nuova evangelizzazione e anzi, richiamando ancora le parole di Giovanni Paolo II, si può dire che tale opera è nata con esso, con l'esperienza stessa del concilio: « Il fatto stesso che quegli uomini vengano convocati dallo Spirito Santo e costituiscano, durante il Concilio, una particolare comunità che insieme prega, insieme pensa e crea, ha un'importanza fondamentale per l'evangelizzazione, per quella nuova evangelizzazione che proprio con il Vaticano II ha avuto il suo inizio ».169

Questo non toglie che per riscoprire giorno per giorno l'identità missionaria della Chiesa occorra che si riveli Cristo all'uomo di oggi, soprattutto ai giovani, secondo una modalità ben precisa: quella di un incontro obbiettivo, storico sociale, che permetta di vivere la Chiesa come ambito di esperienza, in cui si declini ogni giorno la dialettica, risolta positivamente, tra la domanda di senso e la verità che è Cristo.

L'evangelizzazione cristiana esige, infatti, l'incontro personale con Cristo, l'esperienza della sequela di Lui nel contesto ecclesiale, l'assimilazione profonda della sua umanità.

Solo ciò consente al popolo cristiano di presentarsi come popolo nuovo, di essere nel mondo fattore di novità, di unità e di pace.

Un'autentica esperienza di fede ecclesiale ha bisogno quindi del recupero di quella fondamentale tensione educativa che fin dall'origine ha caratterizzato la storia della Chiesa e che soprattutto oggi, nel contesto sopra brevemente richiamato, risulta particolarmente importante.

Infatti, è necessario che gli uomini che si aggregano alla Chiesa siano educati come cristiani, in modo che possano sperimentare e personalizzare quella novità di intelligenza e di ethos che caratterizzano l'essere nuovo di Cristo, ovvero l'essere nuovo del cristiano, che è appunto l'esito di quel profondo processo di assimilazione a Cristo.

Nella Redemptor hominis Giovanni Paolo II, lo ha sottolineato con particolare chiarezza: « L'uomo che vuoi comprendere se stesso fino in fondo - non soltanto secondo immediati, parziali, spesso superficiali, e perfino apparenti criteri e misure del proprio essere - deve, con la sua inquietudine e incertezza ed anche con la sua debolezza e peccaminosità, con la sua vita e morte, avvicinarsi a Cristo.

Egli deve, per così dire, entrare in Lui con tutto se stesso, deve "appropriarsi" ed assimilare tutta la realtà dell'Incarnazione e della Redenzione per ritrovare se stesso.

Se in lui si attua questo profondo processo, allora egli produce frutti non soltanto di adorazione di Dio, ma anche di profonda meraviglia di sé stesso ».170

Al contrario il cristianesimo che non parte da un'autentica esperienza di fede, ma che è vissuto come ideologia religiosa, è determinato integralmente, nel suo ambito e nella sua modalità di intervento, dai criteri imposti dall'ideologia ancora oggi esistente, ovvero l'ideologia tecnocratica e consumistica, che sembra così debole ed è invece così singolarmente potente.

Tanto potente da riuscire ad unificare secondo un medesimo modo di vivere il mondo intero, cercando di cancellare qualsiasi differenza e finendo per urtare tragicamente contro l'unica differenza che non accetta facilmente di essere eliminata: l'isiam.

Una corretta interpretazione del Concilio permette di capire come un'autentica posizione di fede si radica invece sull'appartenenza al popolo cristiano, certo della sua novità ontologica, capace di maturare una coscienza irreversibile della salvezza, destinato ad investire di questa certezza la propria vita e la vita degli uomini, senza eccezione di lingua, cultura, razza, provenienza.

Da quanto detto consegue quindi che, per reggere la sfida della nuova evangelizzazione lanciata dal Concilio Vaticano II, oggi più che mai attuale, la Chiesa deve essere in grado di presentarsi al mondo, per usare le parole di Giovanni XXIII, come vera maestra di vita.

Indice

142 Luigi Giussani, Il senso religioso, in Opere, ed. Jaca Book, Milano 1994,1, p. 14
143 Luigi Giussani, Il senso religioso, in Opere, ed. Jaca Book, Milano 1994,1, p. 19
144 Giovanni Paolo II, Discorso al Meeting per l'amicizia fra ipopoli, 29 agosto 1982, 5
145 Giovanni Paolo II, Centesimus annus 25
146 Giovanni Paolo II, Discorso al Meeting per l'amicizia fra i popoli, 29 agosto 1982, 6
147 Congregazione per la dottrina della Fede, Dichiarazione Dominus Jesus circa l'unicità e l'universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa, 6 agosto 2000, 4
148 Giovanni Paolo II, Tertio millennio adveniente 6
149 Quando si dice che è finita l'epoca del martirio, si intende nel mondo occidentale. Non si vuole certo dimenticare che in molte parti del mondo i cristiani continuano ad essere perseguitati e uccisi per la fede ancora oggi
150 Giovanni Paolo II, Discorso al Convegno internazionale di studio sull'attuazione del Concilio ecumenico Vaticano II, 27/02/2000, 4
151 Giovanni Paolo II, Novo millennio ineunte 56
152 Giovanni Paolo II, Messaggio Urbi et orbi, 25 dicembre 1978, 1
153 Giovanni Paolo II, Discorso ai vescovi dello Zimbabwe 18 giugno 1982, 3
154 Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti al Congresso del Movimento Ecclesiale di Impegno culturale, 16 gennaio 1982, 2
155 Gaudium et Spes14
156 Giovanni Paolo II, Discorso al convegno della Chiesa italiana, 11 aprile 1985, Loreto, 4
157 Giovanni Paolo II, Laborem exercens 27
158 Giovanni Paolo II, Centesimus annus 35
159 A. Del Noce, Pensiero della Chiesa e filosofia contemporanea, a cura di Leonardo Santorsola, Edizioni Studium, Roma 2005, p. 236
160 Giovanni Paolo II, Redemptor hominis 3
161 Giovanni Paolo II, Discorso al Convegno internazionale di studio sull'attuazione del Concilio ecumenico Vaticano II, 27 febbraio 2000,4
162 Giovanni Paolo II, Redemptor hominis 3
163 V. Messori, Rapporto sulla fede. A colloquio con J. Ratzinger, Ed. San Paolo, Cinisello Balsamo 2005, p. 34
164 H. De Lubac, Il dramma dell'umanesimo ateo, Morcelliana, Brescia 1996, p. 41
165 Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti al V Simposio del Consiglio delle Conferenze Episcopali d'Europa, 11 ottobre 1982, 5
166 V. Messori, Rapporto sulla fede. A colloquio con J. Ratzinger, Ed. San Paolo, Cinisello Balsamo 2005, p. 33
167 Messori, Rapporto sulla fede. A colloquio con J. Ratzinger, Ed. San Paolo, Cinisello Balsamo 2005, p. 34
168 Giovanni Paolo II, Varcare la soglia della speranza, Mondadori, p. 171
169 Giovanni Paolo II, Varcare la soglia della speranza, Mondadori, p. 171
170 Giovanni Paolo II, Redemptor hominis 10