Per un umanesimo del terzo millennio

Indice

Alcune osservazioni di carattere storico decisive

La Chiesa, con il sorgere dell'età moderna e quindi con il dispiegarsi del progetto ateistico, ha vissuto in un contesto radicalmente diverso da quello precedente, esprimendo la sua resistenza a tale progetto attraverso la missione.

Essa ha compreso che il suo compito non era più, come nell'età medievale, di intervenire col suo influsso religioso e spirituale sulla forma della società, per determinare una struttura umanamente adeguata.

I termini erano ormai radicalmente diversi: la Chiesa era chiamata alla missione in una situazione culturale e sociale di obiettiva ostilità che tendeva, in modo sempre più esplicito, all'ateismo e a costruire un progetto sociale anticristiano.

Il compito assunto dalla Chiesa è stato allora quello di vivere una presenza simile a quella vissuta nei primissimi tempi del cristianesimo.

Con un'aggravante: che la forma culturale della società in cui la Chiesa si trovava a vivere la sua missione non presentava, come la società precristiana, degli spazi di apertura, di attesa; nel suo complesso il mondo modemo-contemporaneo si è chiuso alla tradizione cristiana, anzi si è impegnato sempre più nel tentativo di eliminarla.

Si è affermata progressivamente, cioè, una società post-cristiana.

La missione della Chiesa, la sua resistenza al progetto ateistico, ha contemporaneamente reso possibile la ricostruzione dell'umano.

Di fronte al dispiegarsi del progetto ateistico, che significava una progressiva perdita di libertà e di verità, la Chiesa ha resistito, impegnandosi in una presenza missionaria che, educando un popolo di cristiani, ha rimesso nel circolo della cultura e della società europea un principio diverso.

Nella nuova situazione la Chiesa non ha potuto limitarsi a svolgere una serie di progetti parziali, nel tentativo di influire sulla forma culturale della società per renderla più coerentemente cristiana.

La Chiesa è stata chiamata a realizzare una presenza "ex-novo", creando una soggettività umana nuova, capace di affrontare l'esistenza secondo una logica di appartenenza al mistero e non secondo la logica dell'autoimmanenza, per cui l'uomo si concepisce come criterio ultimo e definitivo della realtà.

La missione della Chiesa si è svolta individuando le linee di una dottrina sociale cattolica.

La Chiesa, cioè, impegnata come presenza ha generato una concezione globale dell'uomo, della realtà e della vita sociale; una concezione dinamica, che esprime la missione e la rende sempre più possibile.

Tutto ciò è sintetizzato in una formula acutissima del Lortz: « La dottrina sociale della Chiesa come condizione della presenza della Chiesa ».

La Chiesa per il semplice fatto della sua presenza è stata attaccata da parte di chi ha cercato di imporre un progetto totalmente estraneo alla tradizione cristiana, un progetto ateo che ha assolutizzato secondo diverse prospettive la sfera politica.

Giovanni Paolo II lo ha ricordato chiarendone i motivi: « La cultura e la prassi del totalitarismo comportano [ … ] la negazione della Chiesa.

Lo Stato, oppure il partito, che ritiene di poter realizzare nella storia il bene assoluto e si erge al di sopra di tutti i valori, non può tollerare che sia affermato un criterio aggettivo del bene e del male oltre la volontà dei governanti, il quale, in determinate circostanze, può servire a giudicare il loro comportamento.

Ciò spiega perché il totalitarismo cerca di distruggere la Chiesa o, almeno, di assoggettarla, facendola strumento del proprio apparato ideologico ».172

Tuttavia, è compito della Chiesa affermare con chiarezza e sostenere con forza quella visione dell'uomo e della realtà, attestata da una tradizione di fede due volte millenaria e radicata addirittura nella Rivelazione divina in Cristo.

Si è già sottolineato, come in tal senso, la dottrina sociale della Chiesa possa essere considerata uno dei fattori portanti della presenza missionaria della Chiesa: essa mira, infatti, a far incontrare con la fede l'uomo concreto, con le sue problematiche storiche, personali e sociali.

Si è trattato quindi di un contributo fondamentale e non accidentale nella storia del cristianesimo.

Se la Chiesa non si fosse impegnata nell'elaborazione della dottrina sociale, se non l'avesse fatto, avrebbe vanificato la fede e tradito l'uomo.

Una premessa decisiva: il ruolo del cristianesimo nella formazione della civiltà occidentale

Se il Magistero sociale della Chiesa trova una sua formulazione ufficiale a partire dal XIX secolo, tuttavia, possiamo affermare che esso è radicato nella tradizione cristiana, nella nuova cultura che la fede in Cristo fa nascere fin dalle origini.

Per comprendere adeguatamente, da un punto di vista storico, l'insegnamento del Magistero sociale occorre perciò partire dal cogliere il contributo decisivo del cristianesimo nella formazione della civiltà occidentale lungo il corso dei secoli.

A questo riguardo risulta sicuramente ancora oggi estremamente interessante il libro di Christopher Dawson "Il cristianesimo e la formazione della civiltà occidentale".173

Esso ha il merito fondamentale di aiutare a comprendere, a partire da un analisi documentata storicamente, l'importanza del cristianesimo nella formazione della civiltà occidentale.

Quest'ultima si è originata perché il cristianesimo ha generato un modo di porsi di fronte alla realtà, nei suoi più svariati aspetti, assolutamente creativo, capace di dare vita ad una bellezza ed a una grandezza le cui tracce e conseguenze sono giunte fino a noi, non solo come reperti archeologici, ma in un certo senso come un flusso che viviamo ancora, in cui siamo immersi più o meno consapevolmente.

Quale è stato il metodo, la via attraverso la quale il cristianesimo è riuscito a generare una civiltà?

Il cristianesimo è riuscito in ciò, senza del resto neanche esserselo prefissato, perché ha saputo provocare la libertà dell'io; non attraverso progetti di ricostruzione, nuove dottrine morali, ma chiamando la libertà dell'io a vivere un'esperienza, l'esperienza cristiana, ovvero l'esperienza del rapporto con Cristo.

L'adesione dell'io a tale provocazione ha permesso lo sviluppo di un'intelligenza culturale, tecnica e sociale straordinaria, senza tenere presente la quale risulta difficile spiegare il diverso livello di sviluppo della civiltà occidentale rispetto alle altre.

La domanda centrale da cui parte Dawson, infatti, è: « Quali furono nella civiltà europea i fattori che possono spiegare la peculiare evoluzione dell'uomo occidentale? [ … ]

Perché tra le civiltà mondiali solo l'Europa è continuamente agitata e trasformata da un'energia d'inquietudine spirituale che non vuole accontentarsi della legge immutabile delle tradizioni sociali che regge le civiltà orientali? ».174

Non è certo nella biologia e quindi nella presunta superiorità della razza che Dawson ha trovato la risposta adeguata a tale quesito.

« Fu il risultato di un lungo processo educativo che cambiò gradualmente l'orientazione del pensiero umano e allargò le possibilità dell'azione sociale ».175

Ma qual è stata l'origine di questo processo educativo che è riuscito a segnare così profondamente la mentalità dell'uomo occidentale?

Secondo Dawson « il fattore religioso ha un'importanza primordiale in questo problema »176 ed è in ultima istanza lo spirito missionario, centrato sulla libera iniziativa, sulla testimonianza personale, che ha animato fin dalle origini la prima comunità cristiana, ad avere contribuito in modo fondamentale in tale compito educativo.

Ma perché proprio il cristianesimo e non le altre grandi religioni del mondo antico?

Per via di quell'originale attaccamento alla realtà sensibile, alla corporeità, alla materialità che deriva dal mistero dell'Incarnazione su cui si fonda il cristianesimo.

Le parole dello stesso Dawson a questo riguardo sono chiarissime: « Perché il suo ideale religioso è quello di adorare non una perfezione senza età e senza mutamento, ma un valore spirituale che tende ad incorporarsi all'umanità per trasformare il mondo ».177

È per questo motivo che « nell'Occidente la forza spirituale non è stata immobilizzata in un ordine sociale sacro, quale il Confucianesimo in Cina e il sistema delle caste in India; essa ha conseguito libertà sociale ed autonomia e, per conseguenza, la sua attività non è stata confinata nella sfera religiosa, ma ha avuto effetti di grande portata su ogni aspetto della vita sociale e spirituale ».178

Abbiamo già sottolineato come al centro dell'insegnamento sociale della Chiesa ci sia il valore assoluto della persona.

È proprio il cristianesimo che storicamente ha introdotto il concetto di persona.

Si può dire, infatti, che soltanto con il cristianesimo ha fatto il suo ingresso nella vicenda dell'uomo "la persona" come protagonista della sua vita, quindi anche protagonista della storia.

Per quanto la cultura greca si fosse interrogata sull'uomo già prima dell'annuncio cristiano, per quanto sul frontone del tempio di Apollo a Delfi campeggiasse la scritta "uomo, conosci te stesso ", si era giunti a concepire l'uomo soltanto come una sintesi di due fattori contraddittori, di difficile spiegazione e fonte di tragica tensione.

La concezione greca era inconciliabilmente dualista: da una parte il corpo, frammento di materia corruttibile, veicolo del male e della morte; dall'altra parte l'anima, scintilla del divino, tutta e sempre tesa a svincolarsi dal carcere del corpo, per raggiungere con la ragione la sfera dell'essere assoluto.

È con il cristianesimo che la concezione della "persona" ha acquistato un equilibrio stabile.

È diventata l'insieme unitario di corpo e anima; un essere unitario che ha trovato la propria consistenza nel rapporto con il Creatore, del quale è "immagine e somiglianza"; nel rapporto con Cristo, nel quale è stato progettato, dal quale è stato redento, nel quale è rinato "creatura nuova" e al quale va sempre più configurandosi.

Nella prospettiva cristiana è grazie al Figlio Gesù che l'uomo acquista dignità di Figlio di Dio.

Alla libertà dell'uomo viene responsabilmente affidato il compito di realizzare se stesso proprio trascendendo se stesso, per affidarsi nella fede all'amore del Padre, nella sequela di Cristo.

Proprio scegliendo di appartenere al Cristo, Verbo creatore e Uomo nuovo morto e risorto, l'uomo diviene protagonista della sua vita e capace di generare una nuova socialità.

Nella società romana il bambino apparteneva al padre, il quale era padrone della sua vita, tanto che lo poteva eliminare senza correre rischi; la donna era proprietà del marito; la storia era fatta, più che da singoli uomini, dal ruolo del quale erano investiti.

Con il cristianesimo, invece, l'uomo, divenendo persona, ha acquistato un valore prioritario, è diventato il vero protagonista della storia.

Se il cristianesimo ha esaltato il valore assoluto della persona, non bisogna dimenticare che esso ha avuto un ruolo decisivo anche per quanto riguarda l'idea di società.

La personalità cristiana, consistente in Cristo, è contemporaneamente e profondamente partecipe della comunità cristiana.

La Madre Chiesa, nuova Eva, è co-principio del Padre e del Figlio nel generare e nutrire la "creatura nuova" con la Parola e i Sacramenti, nell'educarla con lo stimolo e il sostegno della testimonianza autorevole dei fratelli, con la guida sicura e patema del ministero di Pietro.

La tradizione cristiana ha sempre pertanto insegnato che senza popolo il singolo si perde.

Il singolo membro non ha senso e utilità se vuol fare a meno dell'intero corpo.

Tuttavia, la comunità ecclesiale non ha nulla del collettivismo che opprime, anzi è al servizio della persona.

Con la comunione ecclesiale, vissuta nelle comunità, i cristiani hanno così originato un inedito avvenimento sociale, un embrione di nuova società, dove nessuno è escluso se non chi vuole escludersi.

Si può pertanto dire anche che il protagonista della storia cristiana è la comunità, cioè la persona che gioca nella vita tutta la forza delle sue convinzioni, tutta la passione della sua intelligenza e tutta la passione del suo cuore, tutti i limiti della sua vita.

La persona crea perché vive; il cristianesimo è un avvenimento di vita, un'avventura da cui scaturisce un nuovo modo di vivere e costruire la società.

È una società che si costruisce dal basso lentamente e porta in ogni livello della sua costruzione il sigillo della libertà.

Del resto la stessa idea di storia cambia grazie al diffondersi del cristianesimo.

Per la cultura greco-romana la storia era il campo della necessità.

Nel tentativo di darle un senso era concepita come l'eterno ritorno di avvenimenti che si ripetono.

Tale sequenza meccanica lasciava impietosamente l'uomo nella totale irresponsabilità e in preda alla ruota del fato, che piegava anche gli eroi, come testimonia la tragedia greca.

L'uomo greco appare come un essere privo di autentica responsabilità morale.

L'uomo può essere coinvolto in una serie di azioni delittuose, tuttavia non risulta mai responsabile in ultima istanza.

È la grande lezione della tragedia greca: l'uomo porta le conseguenze delle azioni che compie, ma, in ultima istanza, nella vicenda umana agisce una realtà che sovrasta l'uomo e lo rende più uno strumento passivo che un soggetto responsabile.

La volontà degli dei, i loro vizi e soprattutto il fato cieco sono il rimedio con cui la coscienza greca ha tentato, senza riuscirvi, di spiegare il male dell'uomo, la sofferenza che l'accompagna, la morte che ne consegue.

Rimane un punto obiettivamente incomprensibile, che solo la Rivelazione cristiana chiarisce nella sua drammatica profondità e nella inesorabile chiamata del cuore umano alla sua definitiva liberazione nella comunione con il Figlio di Dio fatto uomo, Gesù Cristo.

Con il costituirsi della nuova personalità cristiana, la storia diviene il campo dell'intervento della Provvidenza di Dio Creatore, in dialogo con la libertà della creatura suo alleato e sua "immagine e somiglianza": ogni singola persona si prende la responsabilità di affermare se é contro Dio ( peccato ) o di realizzarsi nell'offerta di sé a Dio e a Cristo.

E ciò anche al di là dei reali condizionamenti ( fisici e psicologici, ambientali e culturali ) che insidiano la libertà umana, che partecipa alla costruzione del suo destino, beatitudine o dannazione.

Per questo alla fine del II secolo, Ireneo di Lione ha potuto esclamare "I vostri cicli sono esplosi".

Questa fede, vissuta dal singolo e da un popolo, ha dato origine ad una nuova civiltà: ricca di protagonisti e di tentativi, con un loro patrimonio di idee e di costumi, di arte e di economia, un modo di far festa e di sopportare il dolore e la stessa morte.

Non si può quindi non vedere come la vita della Chiesa sia risultata generatrice di una tradizione viva capace di sviluppare un principio di pluralizzazione e di creare una società sempre in rinnovamento, sempre in grado di valorizzare le differenze, una società in cui è risultata prioritaria l'iniziativa personale.

Per usare le parole di Christopher Dawson si può dire ciò affermando che « la storia dell'Europa è la storia d'un susseguirsi di rinascite, di rinnovamenti spirituali e intellettuali che ebbero luogo indipendentemente gli uni dagli altri, il più sovente grazie agli influssi religiosi, e che si propagarono in forza d'un processo spontaneo di libera trasmissione ».179

La comunità cristiana primitiva non ha separato fede e vita, ma ha evangelizzato la cultura secondo quella modalità richiamata da Paolo VI nella Evangelii nuntìandi: « La Chiesa evangelizza allorquando, in virtù della sola potenza divina del Messaggio che essa proclama ( Rm 1,16; 1 Cor 1,8; 1 Cor 2,4 ) cerca di convenire la coscienza personale e insieme collettiva degli uomini, l'attività nella quale sono impegnati, la vita e l'ambiente concreto loro propri [ … ] per la Chiesa non si tratta di predicare il Vangelo in fasce geografiche sempre più vaste o a popolazioni sempre più estese, ma anche di raggiungere e quasi sconvolgere mediante la forza del Vangelo i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti di interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita dell'umanità ».180

La costruzione delle culture e delle civiltà cristiane non viene attuata facendo calare un progetto dall'alto o forzandone la realizzazione in tempi prestabiliti.

Per ricorrere ad un'immagine evangelica, è come il lievito che va fermentando tutta la massa della pasta.

Il cristianesimo ha costruito a partire da quello che c'era.

Nella prospettiva cristiana edificare il nuovo non implica mai un'eliminazione del passato, come ha sostenuto invece l'Illuminismo e tentato di attuare la Rivoluzione Francese.

Il cristianesimo ha introdotto nelle normali condizioni di vita un soggetto portatore di una nuova concezione dell'uomo, vissuta con altri fratelli di fede.

Il cristianesimo ha determinato nei secoli il formarsi di una mens, che ha saputo accogliere il dato della tradizione classica, senza però mancare di rileggerlo alla luce della novità di vita che rappresentava.

Ad esempio è l'apporto decisivo del cristianesimo che ha permesso di guadagnare il concetto di creazione e rileggere il pensiero antico in modo totalmente originale.181

Dopo secoli di professione di fede nell'esistenza del Dio creatore è come se questo principio fosse passato per pressione osmotica dall'esperienza del vissuto e della fede ai criteri ultimi di lettura della realtà.182

Il cristianesimo si è rivelato come la condizione in cui si è venuta ad esercitare una ragione aperta alla trascendenza, che non ha preteso di ridurre il reale alla sua misura, a ciò che riusciva ad esaurire concettualmente.

La costruzione cristiana è partita da condizioni obiettive, spesso diverse tra loro: la missione cristiana le ha assunte, le ha purificate da quanto non era conforme alla verità e alla grazia evangelica ed ha edificato faticosamente l'uomo e il cristiano nello stesso tempo.

Così popolazioni di opposte culture - barbari compresi - furono educate a formare l'unica "communio" ecclesiale.

Allo stesso modo i monaci del XII secolo evangelizzarono l'Europa, forgiandone l'unità civile e culturale.

Tale trasfigurazione della realtà personale e sociale ha richiesto tempi lunghi e gradualità di procedimento.

Solo le ideologie totalitarie di questi ultimi secoli si sono illuse di cambiare il mondo con un proclama o con una rivoluzione.

La storia delle missioni cristiane - nell'Africa proconsolare, nelle grandi città greche e romane, e poi a contatto con i barbari o penetrando nella Germania, Inghilterra e Irlanda - è la storia di cristiani che hanno condiviso le circostanze che incontravano, comunicando la propria fede vivendola là dove il Signore li aveva posti.

Ben sapendo che l'uomo è segnato da tanti limiti e che in questo mondo non si può dar vita a qualcosa di assolutamente perfetto, ma al contrario sempre bisognoso di continua riforma.

Un esempio: la fede come elemento dinamico della società medievale

La vita cristiana si è sviluppata ed è chiamata a svilupparsi tutt'oggi secondo quelle trE grandi dimensioni già precedentemente richiamate che sono la missione, la cultura e la carità.

La prima dimensione, la missione, è ciò che ha spinto i cristiani in tutto il mondo, senza fermarsi di fronte a nulla.

La missione è l'origine dell'evangelizzazione e del contributo che i cristiani hanno portato nello sviluppo della società.

I cristiani hanno costruito perché sono andati in missione.

Ma questa missione, ed è la seconda dimensione, è sempre stata caratterizzata, nella sua natura più autentica, da una chiarezza ideale, da una capacità di giudizio formidabile.

Cosa sarebbe la missione senza cultura? Sarebbe propaganda.

Ma la cultura senza carità sarebbe ideologia.

Uno sguardo alla storia del Medioevo, l'epoca in cui si sono poste le basi della nostra civiltà, secondo quella straordinaria sintesi tra la cultura greco-romana e l'elemento barbarico, non può che confermarcelo.

La fede è l'elemento dinamico che ha segnato profondamente il vivere degli uomini di quell'epoca, li ha immessi nella vita con una forza morale, con una capacità di costruzione e di rischio che ha permesso di generare una nuova civiltà.

L'elemento dinamico della civiltà medievale era un popolo che amava la fede come il principio di identificazione della propria personalità, come il luogo genetico dei criteri fondamentali di giudizio, della formazione della coscienza.

La fede era concepita come il punto stabile di educazione della libertà.

La storia della civiltà medievale è una storia di uomini liberi: non è la storia di sistemi, né di confronti ideologici, è la storia di un popolo.

Il medioevo nasce dall'esperienza della fede vissuta comunionalmente, all'interno cioè di comunità in cui la persona veniva educata alla fede.

Di fronte alla profondissima crisi della civiltà greco-romana, alle invasioni dei barbari, lentamente la vita delle comunità cristiane ( le comunità benedettine e le comunità ecclesiali ) ha influito sulla vita sociale, ha reso benevoli i rapporti, consentito una convivenza più o meno pacificata, ricostruito il tessuto civile della società.

Il medioevo può essere visto come il cammino di un popolo che, vivendo la vita secondo la fede, la speranza, la carità, ha trasformato e risignificato le condizioni della vita.

La dinamica sottesa a tutto il medioevo è infatti la seguente: la fede crea il popolo, il popolo vive una cultura, la quale origina una civiltà perché le persone che vivono questa cultura si incontrano, affrontano la realtà e le necessità della propria vita per testimoniare la certezza che Cristo è il senso ultimo della vita e della storia.

È, infatti, il divenire cultura della fede che, nel momento più alto della società medioevale, ha portato al sorgere delle università.

L'università è nata perché la società medioevale ha colto l'unus versus, il verso unitario della realtà, e alla luce di questo senso profondo del tutto ha cercato di conoscere e spiegare tutto.

L'università medioevale è la più straordinaria impresa di conoscenza della realtà storica, umana, artistica, sociale, naturale, fisica che esista, perché il principio ispiratore è semplicissimo: se Cristo è la verità, spiega tutto.

Essa non è nata astrattamente, a partire da un progetto studiato a tavolino, è nata perché insegnanti e studenti hanno voluto condividere la loro certezza.

Gli uni di possedere il verso unitario della realtà, gli altri il desiderio di impararlo.

Perciò l'università medievale è l'impresa di singoli.

Non è nata su iniziativa del Ministero dell'Università, come accade oggi per cui è il Ministero che stabilisce che in tutte le province italiane ci siano le università; è nata invece dalla passione, dall'amore alla verità, a Cristo e alla Chiesa di singoli, di gruppi.183

Tuttavia, proprio perché la cultura non può rimanere senza carità nell'esperienza vissuta della fede cristiana ecco che un altro luogo che la società medievale ha costruito è l'ospedale.

I primi ospedali sono nati infatti dalla capacità delle comunità cristiane di stare di fronte alle malattie che il mondo antico non voleva neanche sentire nominare: la lebbra e la peste.

Il Medioevo cristiano ha, infatti, capito che non c'era nessuna situazione che non potesse essere assunta nella fede e non potesse essere vissuta nella carità.

Il malato non è più un maledetto, come lo era anche nell'Antico Testamento; il malato è uno che si può baciare sulla guancia, come San Francesco bacia i lebbrosi.

È comunque uno che deve essere accolto nella comunità, a cui deve essere fatto spazio nella comunità, perché, segnato come è da questa misteriosa prova, possa fare anche egli l'esperienza che questo è per la gloria di Dio.

Il malato appartiene al popolo come il sano, perché malattia o sanità, come vita e morte, sono aspetti secondari: è la partecipazione a Cristo il valore da cui scaturisce la certezza e la speranza che investe tutto il resto, compreso la sofferenza, la malattia e la morte.

È quindi l'esperienza vissuta della fede delle comunità cristiane che ha contribuito lungo i secoli a modellare la nostra società secondo un determinato volto, i cui lineamenti sono ancor oggi riscontrabili.

Tale esperienza si è articolata sempre secondo queste tre dimensioni: l'impeto della missione, la chiarezza della cultura ( di cui è esempio l'università ), la forza della carità, soprattutto verso i più miserabili ( di cui è esempio l'ospedale ).

Guardare alla storia del medioevo è utile anche per comprendere il valore fondamentale della libertà per la tradizione cristiana.

L'età medioevale è l'età che ha più significativamente vissuto la libertà come fattore costruttivo, la libertà nella sua grandezza, nella sua povertà, nella sua capacità di rischio e nel suo limite.

La società medioevale non è l'esito dell'imposizione della Chiesa, dell'autorità del Papa, che secondo una certa storiografia avrebbe esercitato o voluto esercitare un potere assoluto su ogni aspetto della società attraverso la cosiddetta teocrazia.

La società invece nel Medioevo è il frutto della Chiesa vissuta.

La società nasceva dalla libertà, dalla creatività che la libertà assumeva di fronte alle circostanze.

Certo una tale opera aveva bisogno di essere garantita, aveva bisogno di strutture istituzionali che la guidassero, aveva bisogno, ad esempio, dell'Impero.

L'Impero rappresentava un punto di riferimento anche per la Chiesa perché garantiva l'ordine, la difesa della libertà della Chiesa e dei popoli.

Per questo l'impero più che essere uno stato sovranazionale era l'istituzione che garantiva che la vita della società si muovesse secondo una capacità di libertà concreta.

Per questo l'imperatore era un'autorità morale, più che politica.

Non bisogna inoltre dimenticare che dal punto di vista politico il Medioevo conosceva una pluralità di soluzioni proprio perché si venivano a costituire a partire dalla esigenze emerse nel formarsi della società.

In questo periodo troviamo il comune italiano, una forma particolarissima di convivenza e di socialità; la monarchia francese; il regno di Spagna; la lega anseatica che si costituisce originariamente come cooperativa di carattere economico e diventa di fatto una struttura di potere; la serenissima repubblica di Venezia che sorge come impresa commerciale e crea una situazione politica che giunge fino al 1797.

Si tratta di una pluralità di forme nate da una pluralità di vita.

Il vero grande principio di legittimità per la cultura medioevale è che il governo serva il bene del popolo.

Nell'intreccio delle grandi dimensioni di missione, cultura e carità, con questo afflato di libertà, si è costruita la civiltà medioevale.

Con questo non si vuole dire che i medioevali avevano realizzato la società perfetta, del resto, va precisato che l'intento non era quello.

Solo il pensiero utopico moderno è stato successivamente tentato di costruire la società perfetta, vedendo nella politica la salvezza per l'uomo e finendo invece per ridurre l'uomo ad ingranaggio della macchina-società, a funzione del sistema-società.

L'uomo medioevale, infatti, aveva ben presente che quello sociale era solo un aspetto, sicuramente importante, ma non quello decisivo per la propria realizzazione ed è per questo che aveva integrato il pensiero politico aristotelico con quello di san Tommaso: « come aveva insegnato san Tommaso, era perfettamente possibile accordare il materialismo organico della dottrina politica aristotelica con il misticismo organico del pensiero cristiano circa la società; a condizione però che lo stato stesso fosse riconosciuto come organo della comunità spirituale e non come il fine supremo della vita umana ».184

Non si vuole neanche indicare la società medievale come un modello di società esente da contraddizioni e incoerenze.

Per non fraintendere quanto affermato circa il medioevo occorre tenere presente che in ogni avvenimento storico, in ogni vicenda personale o di popolo è possibile distinguere l'esistenza di due dimensioni: la coerenza ideale e la coerenza etica.

La prima è indubbiamente una caratteristica essenziale dell'epoca medievale, dal momento che in essa si voleva vivere tutto nella fede.

Allo stesso tempo anche l'incoerenza etica è parte della vita medievale, come è parte della vita di ogni uomo e di ogni età.

La Chiesa rappresenta una minaccia alla laicità dello Stato?

Un ulteriore aspetto da chiarire dal punto di vista storico, per comprendere la natura e il valore della dottrina sociale in termini più adeguati, è quello del rapporto tra Stato e Chiesa.

Giovanni Paolo II, nel celebre discorso rivolto nel 2002 al parlamento italiano, parlando del rapporto tra Stato e Chiesa, riferendosi in particolare alla realtà nazionale italiana, ha affermato: « Ben sappiamo che esso è passato attraverso fasi e vicende tra loro assai diverse, non sfuggendo alle vicissitudini e alle contraddizioni della storia.

Ma dobbiamo al tempo stesso riconoscere che, proprio nel susseguirsi a volte tumultuoso degli eventi, esso ha suscitato impulsi altamente positivi sia per la Chiesa di Roma, e quindi per la Chiesa Cattolica, sia per la diletta Nazione italiana ».185

Affermando ciò Giovanni Paolo II ha mostrato che si può guardare alla storia senza quei pregiudizi ideologici che, ancora oggi, vedono nel rapporto Stato-Chiesa una minaccia all'autonomia e alla laicità dello Stato.

Un rapporto che certamente si è venuto a costituire nel tempo e a volte è stato vissuto anche in modo drammatico, ma d'altra parte quale rapporto umano, se vissuto autenticamente, non è suscettibile di momenti di contrasto, di incomprensione?

Un rapporto implica sempre una relazione con l'altro, e poiché l'alterità non può e non deve essere ridotta a sé, implica un incontro, il quale può sempre assumere i toni drammatici dello scontro, ma, almeno finché non si cerca di sopraffare, annientare l'altro, anche lo scontro permette comunque sempre una crescita della propria identità.

Non una minaccia all'autonomia e alla laicità dello Stato, ma al contrario un rapporto, che ha suscitato "impulsi altamente positivi", sia per la Chiesa, sia per lo Stato.

La società, che oggi in modo riduttivo viene chiamata occidentale, e che si caratterizza tra le altre cose, per la distinzione tra il potere temporale e quello spirituale, garantendo in questo modo, a differenza di molte altre società, la laicità dello Stato, è il frutto di questo secolare rapporto tra Chiesa cattolica e potere politico.

Sebbene soltanto una storia appunto secolare abbia permesso alle due realtà in causa di definirsi sempre più chiaramente e guadagnare la propria piena autonomia, tuttavia fin dall'inizio è presente una distinzione dei rispettivi ambiti.

Si tratta pertanto dello sviluppo, di un approfondimento di qualcosa presente fin dall'origine e non di un'invenzione, o di una rivoluzione, come invece gran parte del pensiero laicista ha sostenuto, presentando la distinzione del potere spirituale da quello temporale come una recente acquisizione.

Infatti, è già nell'esperienza originaria del cristianesimo, nella persona di Gesù, nel suo insegnamento, che si può ricavare l'origine di tale distinzione: l'esperienza che Cristo propone non è innanzitutto un'esperienza politica, ma un'esperienza religiosa, non una nuova organizzazione della società, ma la strada per realizzare la propria vita personale, il cammino per il proprio destino.

Al tentativo dei farisei di metterLo contro l'impero romano Egli non ha esitato a distinguere i piani, quello religioso da quello politico, con il famoso « rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio ». ( Mc 12,17 )

La Chiesa fin dalle origini, non ha voluto occuparsi direttamente dell'aspetto sociale e politico; certamente la conversione ha avuto delle conseguenze non da poco anche sul modo di concepire la società e la politica, ma sono state appunto conseguenze.

La stessa diffusione del cristianesimo originariamente è avvenuta in modo totalmente personale.

Infatti, è stata la testimonianza personale dei convertiti che ha diffuso il cristianesimo: se è un incontro personale con Cristo, subito testimoniato ad amici e parenti, quello che ha fatto sorgere la prima comunità degli apostoli, « lo stesso procedimento di azione individuale si trova fin dalle origini della chiesa ed è forse in questo modo che, durante i primi due secoli all'incirca, il cristianesimo ha conquistato la maggior parte dei suoi fedeli ».186

Sicuramente l'apertura al cristianesimo, la conversione di Costantino e successivamente la trasformazione dell'impero in impero cristiano, da parte di Teodosio, hanno permesso una più rapida diffusione, ma questo non ha mai implicato un'assimilazione o una subordinazione totale della Chiesa all'Impero, soprattutto in Occidente.

Chiesa e potere politico hanno continuato ad essere due realtà distinte.

Dentro un contesto non facile, quello dell'impero romano, che cercava in qualche modo di subordinare a sé la sfera religiosa, tale distinzione, sebbene non sempre nettissima, ha permesso di limitare la sfera di ingerenza del potere politico relativamente alla fede, alla morale e alla disciplina ecclesiastica, come bene testimonia lo scontro tra s. Ambrogio e Teodosio nel 380, avvenuto in conseguenza del massacro di Tessalonica: « Ambrogio ingiunse all'imperatore di fare pubblica penitenza e subito lasciò Milano, recandosi a Bologna e Firenze, disposto a rimanervi finché l'imperatore non avesse scontato la penitenza canonica.

Teodosio cedette: un imperatore cristiano non poteva essere sopra la Chiesa e con ciò sembrava assodato che fede, morale, disciplina ecclesiastica erano ambiti riservati alla competenza della Chiesa, che escludeva ogni ingerenza dello Stato ».187

La distinzione tra potere religioso e potere politico, ribadita esplicitamente da Papa Gelasio I ( 492-496 ), come è stato sopra ricordato, è ciò che da un lato ha garantito la libertà della Chiesa e dall'altro ha limitato il potere assoluto dello Stato.

Il contrasto tra libertà cristiana e potere assoluto ha accompagnato tutta la storia della Chiesa, fin dai suoi inizi.188

Se il cristiano è figlio di Dio, fratello di Cristo, nessuna autorità umana può pretendere da lui dipendenza totale.

Ciò che definisce il cristiano è il dono della partecipazione alla stessa vita di Dio, conferitagli in Cristo, unico Salvatore di tutti gli uomini.

Da questo provengono e si radicano la sua dignità e i suoi diritti umani.

Non sono concessione dello Stato, sia quello dell'imperatore romano, come quello del Fuhrer nazista o del Partito Comunista; e neppure sono prodotte dalle maggioranze democratiche, dalla scienza o dalla tecnologia.

Il cristiano non è anarchico, riconosce la necessità del potere, ma soltanto come servizio, che regola la convivenza sociale.

Lo scontro tra Impero e cristiani - fino al martirio - è avvenuto perché i cristiani rifiutarono non l'Impero, ma la divinizzazione del potere imperiale.

Sarebbero stati tollerati, se avessero accettato di collocare Cristo tra le tante divinità del Pantheon, cioè di allinearsi tra le opinioni private o tra i culti ammessi da un impero unificato dal culto alla dea Roma o dell'Imperatore.

A cominciare da Erode e da Pilato, tutti i tiranni hanno avvertito che il cristiano ricordava loro che la dignità di ogni uomo non è definita dal loro potere e che anche loro erano sottoposti a Cristo Giudice.

Esemplare la condotta di s. Ambrogio che insegnava a coloro che appartenevano a Cristo Signore di non lasciarsi incantare da altri signori.

E in polemica contro Aussenzio affermava: « noi paghiamo a Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio.

Il tributo è di Cesare, non lo si nega. La Chiesa è di Dio, e non deve assolutamente essere aggiudicata a Cesare, perché il tempio di Dio non può essere diritto di Cesare.

Nessuno può negare che ciò sia stato detto con deferenza verso l'imperatore [ … ]

L'imperatore, infatti, è nella Chiesa, non è sopra la Chiesa ».189

La società, che è sorta sulle rovine dell'impero romano, si è venuta poi costituendosi come societas christiana.

In essa l'elemento religioso era il fondamento della stessa società.

Tuttavia, questo non ha impedito l'approfondirsi della distinzione vista all'origine della stessa esperienza cristiana e sebbene, a volte in modo drammatico, potere politico e Chiesa sono tornati a confrontarsi e a delimitare il proprio ambito in modo estremamente proficuo per entrambi.

Per esempio, in epoca medievale, nel corso dell'XI secolo, si è assistito ad uno scontro, la cosidetta lotta per le investiture, che, se da un lato ha garantito un'autonomia e una maggiore autenticità alla vita della Chiesa ( la nomina imperiale dei vescovi minava sia l'una che l'altra ), dall'altro ha delimitato il potere imperiale impedendone un'assolutizzazione: « Il Papato [ … ] allorché cercò di definire il suo ruolo all'interno della Chiesa ponendosi come unico centro ( caput ) della stessa, diede l'esempio di una fattiva resistenza di fronte alla concezione teocratica del regnum: il giuramento non era più sacro in quanto tale, e quindi incondizionato, ma veniva delimitato da elementi legati alla libertà e alla coscienza del singolo [ … ] è forse possibile rintracciare nel primo chiarimento di due autonomi ambiti di influenza, rispettivamente per il regnum e per il sacerdotium, l'origine del costituzionalismo moderno: senza questo scontro di poteri si sarebbe forse mantenuto e consolidato quel carattere sacro ( o meglio sacerdotale ) del potere, oppure non si sarebbe evidenziata la distinzione ( e col tempo la divisione ) di due differenti sfere d'azione ».190

Contro l'assolutizzazione del potere politico, il suo presentarsi come autoreferenziale, e il tentativo di sottomettervi la Chiesa, va letto anche il pontificato di Bonifacio VIII e la sua celebre bolla Unam Sanctam.

In essa, infatti, non è stata messa in discussione la distinzione dei due poteri, ribadita attraverso l'analogia delle due spade, quanto la pretesa superiorità del potere politico su quello religioso.

Il merito di Bonifacio VIII, che è uscito tuttavia sconfitto dallo scontro con Filippo il Bello, è stato quello di avere cercato di impedire che la politica fosse assunta come l'ultimo criterio della vita, facendola dipendere da una dimensione più profonda, quella appunto religiosa.

Soprattutto, però è nella modernità che lo scontro tra Stato e Chiesa si è acuito e con esso la distinzione, da sempre presente nella storia dell'Occidente, ha assunto sempre più la forma della divisione, della separazione, a volte della contrapposizione.

Dopo la Rivoluzione Francese si è affermato un nuovo modo di concepire il potere politico: in esso « il riferimento della convivenza della società nelle sue varie espressioni è lo Stato in termini esclusivistici, perché è lo Stato che crea il diritto e legittima i soggetti sociali, ed è all'interno dell'amministrazione dello stato che si può agire ».191

La Chiesa, di fronte alla crescente pretesa che lo Stato fosse tutto, affermata spesso anche violentemente nella modernità, ma soprattutto nell'epoca contemporanea con i totalitarismi, ha reagito, ha cercato di resistere, prima ancora che da un punto di vista politico da un punto di vista culturale.

Sarebbe al quanto riduttivo leggere la contrapposizione tra Pio IX e lo Stato liberale italiano semplicemente come uno scontro dettato solo dall'eccessivo attaccamento al potere temporale del Papa.

Occorre cogliere il motivo di tale attaccamento nel problema fondamentale dell'indipendenza della Chiesa dallo Stato.

Pertanto non si può liquidare Pio IX semplicemente come l'ultimo Papa re, in qualche modo un nostalgico, perché legato ad una concezione ancora teocratica del potere, dal momento che la soluzione proposta dai liberali, sintetizzata nella formula "libera Chiesa in libero Stato", risultava alquanto problematica, non solo perché l'Italia si appropriava unilateralmente di territori che da secoli appartenevano alla Chiesa, ma soprattutto in quanto faceva dipendere la stessa Chiesa dallo Stato.

La contrapposizione rivela, cioè, una più profonda contrapposizione circa le concezioni dell'uomo e dello stato sottese.

Uno Stato, quello liberale, che non voleva conoscere limiti al di fuori di sé; una Chiesa che, sviluppando la propria dottrina sociale Sillabo, Rerum novarum, Quadragesima anno, solo per citare alcuni documenti, ha inteso affermare il carattere assoluto della persona, la sua priorità sulla società, la priorità della società sullo stato, contro quelle tendenze stataliste o collettivistiche che si andavano formando.

Se non si tiene presente questo livello della contrapposizione non si possono capire né il valore, né la portata storica della Conciliazione rappresentata dai Patti Lateranensi.

Non si tratta infatti né di un riconoscimento nei confronti del regime fascista, né del tentativo di costituire uno stato confessionale.

La Chiesa con i Patti ha ottenuto il riconoscimento ufficiale di quello spazio di libertà e di indipendenza necessari per la sua missione e per il ruolo educativo e culturale che da sempre si prefigge.

Ottenendo tale spazio di libertà per sé la Chiesa è diventata allo stesso tempo garanzia e difesa della libertà dell'uomo nei confronti di uno Stato che voleva essere tutto.

Non è un caso che nel corso del XX secolo l'opera dei Papi si è sempre più caratterizzata oltre che per la predicazione del Vangelo anche per la difesa dei diritti fondamentali dell'uomo, primi fra tutti quello alla vita e alla libertà religiosa.

Se da un lato per la Chiesa la contrapposizione con lo Stato ha voluto dire la liberazione completa dal potere temporale, senza rinunciare all'autonomia e all'indipendenza, permettendogli così di assumere sempre più una rilevanza di natura morale e culturale a livello mondiale; dall'altro per lo Stato è significato un superamento di quell'atteggiamento totalitario ambiguamente presente insieme alle legittime istanze democratiche nella concezione politica moderna.

Si può dire, infatti, che la Chiesa ha ridimensionato il potere politico.

Essa ha contribuito in modo decisivo ad affermare una concezione della politica per la quale il potere non è tutto, è servizio.

Il cristianesimo ha sviluppato una piena consapevolezza del fatto che il destino dell'uomo non dipende dal potere e dal successo mondano, dall'ordine politico, ma dalla carità, espressione vera della personalità dell'uomo.

Indice

172 Giovanni Paolo II, Centesimus annus 45
173 C. Dawson, Il cristianesimo e la formazione della civiltà occidentale, ed. BUR, Milano 1997
174 C. Dawson, Il cristianesimo e la formazione della civiltà occidentale, ed. BUR, Milano 1997, p. 20
175 C. Dawson, Il cristianesimo e la formazione della civiltà occidentale, ed. BUR, Milano 1997, p. 22
176 C. Dawson, Il cristianesimo e la formazione della civiltà occidentale, ed. BUR, Milano 1997, p. 20
177 C. Dawson, Il cristianesimo e la formazione della civiltà occidentale, ed. BUR, Milano 1997, pp. 20-21
178 C. Dawson, Il cristianesimo e la formazione della civiltà occidentale, ed. BUR, Milano 1997, p. 21
179 C. Dawson, Il cristianesimo e la formazione della civiltà occidentale, ed. BUR, Milano 1997, p. 25
180 Paolo VI, Evangelii nuntìandi 18-19
181 « Solo alla luce della Bibbia si ritrova l'autentico concetto della creazione, che nella libertà dell'onnipotenza, senza alcuna necessità inferiore e senza nessun dato esterno, per la sovranità del Verbo, dal nulla, pone il mondo nella sua essenza e nella sua realtà » ( R. Guardini, La fine dell'epoca moderna. Il potere, Morcelliana, Brescia 1993, p. 17 )
182 Come ha chiarito Maritain, all'interno del grande dibattito sulla filosofia cristiana degli anni Trenta dello scorso secolo, il cristianesimo non deve essere visto come un ostacolo al fare filosofia quanto piuttosto come una condizione vantaggiosa: « il cristiano mette in opera, spontaneamente e in atto vissuto, in actu esercito, le grandi cose che la filosofia scopre per proprio conto sulla verità, allorché essa comprende che la verità è adeguamento dell'intelletto e del reale, o che l'essere è l'oggetto proprio dell'intelligenza, la quale trova la sua vita e la sua libertà aderendo ad esso.
La filosofia conosce tutte queste cose in actu signato, in atto significato, per via di concettualizzazione. Ma vi è un enorme vantaggio nell'aver vissuto, sperimentato, in atto esercitato, questi grandi temi riguardanti la verità, ancor prima di concettualizzarli filosoficamente ». ( J. Maritain, Approches sans entraves: scritti di filosofia cristiana, Città Nuova, Roma 1977, p. 33 )
183 Non bisogna dimenticare che le Università nascono perché il terreno è stato precedentemente preparato dalle scuole conventuali, che hanno sviluppato la riflessione spirituale e teologica ad altissimi livelli
184 C. Dawson, Il cristianesimo e la formazione della civiltà occidentale, ed. BUR, Milano 1997, p. 230
185 Giovanni Paolo II, Discorso al parlamento italiano, 14 novembre 2002,2
186 G. Bardy, La conversione al cristianesimo nei primi secoli, ed. Jaca Book, Milano 1990, p. 250
187 A. Tonesani, Storia della Chiesa, Edizioni Ares, Milano 2000, pp. 93-94
188 Cfr H. Rahner, Chiesa e struttura politica nel cristianesimo primitivo, ed. Jaca Book, Milano 1990; M: Sordi, I cristiani e l'Impero Romano, ed. Jaca Book, Milano 2004
189 H. Rahner, Chiesa e struttura politica nel cristianesimo primitivo, ed. Jaca Book, Milano 1990, pp. 129-130
190 M. P. Alberzoni, La storia medievale tra didattica e ricerca, in La storia nella scuola, ed. Marietti, p. 78
191 E. Bressan, La storia contemporanea: dalla Rivoluzione francese al totalitarismo, in La storia nella scuola, ed. Marietti, p. 115