Dives in misericordia

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La parabola del figliol prodigo

5 Analogia

Già alle soglie del Nuovo Testamento risuona nel Vangelo di san Luca una singolare corrispondenza tra due voci sulla misericordia divina, in cui echeggia intensamente tutta la tradizione veterotestamentaria.

Qui trovano espressione quei contenuti semantici, legati alla terminologia differenziata dei libri antichi.

Ecco Maria che, entrata nella casa di Zaccaria, magnifica il Signore con tutta l'anima « per la sua misericordia », di cui « di generazione in generazione » divengono partecipi gli uomini che vivono nel timore di Dio.

Poco dopo, commemorando l'elezione di Israele, ella proclama la misericordia, della quale « si ricorda » da sempre colui che l'ha scelta. ( Lc 1,49-54 )60

Successivamente, alla nascita di Giovanni Battista, nella stessa casa, suo padre Zaccaria, benedicendo il Dio di Israele, glorifica la misericordia che egli « ha concesso … ai nostri padri e si è ricordato della sua santa alleanza ». ( Lc 1,72 )61

Nell'insegnamento di Cristo stesso questa immagine, ereditata dall'Antico Testamento, si semplifica ed insieme si approfondisce.

Ciò è forse più evidente nella parabola del figliol prodigo, ( Lc 15,11-32 ) in cui l'essenza della misericordia divina, benché la parola « misericordia » non vi ricorra, viene espressa tuttavia in modo particolarmente limpido.

A ciò contribuisce non tanto la terminologia, come nei libri veterotestamentari, ma l'analogia che consente di comprendere più pienamente il mistero stesso della misericordia, quale dramma profondo che si svolge tra l'amore del padre e la prodigalità e il peccato del figlio.

Quel figlio, che riceve dal padre la porzione di patrimonio che gli spetta e lascia la casa per sperperarla in un paese lontano, « vivendo da dissoluto », è in certo senso l'uomo di tutti i tempi, cominciando da colui che per primo perdette l'eredità della grazia e della giustizia originaria.

L'analogia è a questo punto molto ampia.

La parabola tocca indirettamente ogni rottura dell'alleanza d'amore, ogni perdita della grazia, ogni peccato.

In questa analogia è messa meno in rilievo l'infedeltà di tutto il popolo di Israele rispetto a quanto avveniva nella tradizione profetica, sebbene a quell'infedeltà si possa anche estendere l'analogia del figliol prodigo.

Quel figlio, « quando ebbe speso tutto…, cominciò a trovarsi nel bisogno », tanto più che venne una grande carestia « in quel paese » in cui si era recato dopo aver lasciato la casa paterna.

E in questa situazione « avrebbe voluto saziarsi » con qualunque cosa, magari anche « con le carrube che mangiavano i porci » da lui pascolati per conto di « uno degli abitanti di quella regione ».

Ma perfino questo gli veniva rifiutato.

L'analogia si sposta chiaramente verso l'interno dell'uomo.

Il patrimonio che quel tale aveva ricevuto dal padre era una risorsa di beni materiali, ma più importante di questi beni era la sua dignità di figlio nella casa paterna.

La situazione in cui si venne a trovare al momento della perdita dei beni materiali doveva renderlo cosciente della perdita di questa dignità.

Egli non vi aveva pensato prima, quando aveva chiesto al padre di dargli la parte del patrimonio che gli spettava per andar via.

E sembra che non ne sia consapevole neppure adesso, quando dice a se stesso: « Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza, ed io qui muoio di fame! ».

Egli misura se stesso con il metro dei beni che aveva perduto, che non « possiede » più, mentre i salariati in casa di suo padre li « posseggono ».

Queste parole esprimono soprattutto il suo atteggiamento verso i beni materiali; nondimeno, sotto la superficie di esse, si cela il dramma della dignità perduta, la coscienza della figliolanza sciupata.

È allora che egli prende la decisione: « Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te; non sono degno di esser chiamato tuo figlio.

Trattami come uno dei tuoi garzoni ». ( Lc 15,18s )

Parole, queste, che svelano più a fondo il problema essenziale.

Attraverso la complessa situazione materiale, in cui il figliol prodigo era venuto a trovarsi a causa della sua leggerezza, a causa del peccato, era maturato il senso della dignità perduta.

Quando egli decide di ritornare alla casa paterna, di chiedere al padre di essere accolto - non già in virtù del diritto di figlio, ma in condizione di mercenario -, sembra esteriormente agire a motivo della fame e della miseria in cui è caduto; questo motivo è però permeato dalla coscienza di una perdita più profonda: essere un garzone nella casa del proprio padre è certamente una grande umiliazione e vergogna.

Nondimeno, il figliol prodigo è pronto ad affrontare tale umiliazione e vergogna.

Egli si rende conto che non ha più alcun diritto, se non quello di essere mercenario nella casa del padre.

La sua decisione è presa in piena coscienza di ciò che ha meritato e di ciò a cui può ancora aver diritto secondo le norme della giustizia.

Proprio questo ragionamento dimostra che, al centro della coscienza del figliol prodigo, emerge il senso della dignità perduta, di quella dignità che scaturisce dal rapporto del figlio col padre.

Ed è con tale decisione che egli si mette per strada.

Nella parabola del figliol prodigo non è usato neanche una sola volta il termine « giustizia », cosi come, nel testo originale, non è usato quello di « misericordia »; tuttavia, il rapporto della giustizia con l 'amore che si manifesta come misericordia viene con grande precisione inscritto nel contenuto della parabola evangelica.

Diviene più palese che l'amore si trasforma in misericordia quando occorre oltrepassare la precisa norma della giustizia: precisa e spesso troppo stretta.

Il figliol prodigo, consumate le sostanze ricevute dal padre, merita - dopo il ritorno - di guadagnarsi da vivere lavorando nella casa paterna come mercenario, ed eventualmente, a poco a poco, di conseguire una certa provvista di beni materiali, forse però mai più nella quantità in cui li aveva sperperati.

Tale sarebbe l'esigenza dell'ordine di giustizia, tanto più che quel figlio non soltanto aveva dissipato la parte del patrimonio spettantegli, ma inoltre aveva toccato sul vivo ed offeso il padre con la sua condotta.

Questa, infatti, che a suo giudizio l'aveva privato della dignità filiale, non doveva essere indifferente al padre.

Doveva farlo soffrire.

Doveva anche, in qualche modo, coinvolgerlo.

Eppure si trattava, in fin dei conti, del proprio figlio, e tale rapporto non poteva essere né alienato né distrutto da nessun comportamento.

Il figliol prodigo ne è consapevole, ed è appunto tale consapevolezza a mostrargli chiaramente la dignità perduta ed a fargli valutare rettamente il posto che ancora poteva spettargli nella casa del padre.

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60 In entrambi i casi si tratta di hesed, cioè di fedeltà che Dio manifesta al proprio amore verso il popolo, fedeltà alle promesse, che appunto nella maternità della Madre di Dio troveranno il loro compimento definitivo
61 Anche in questo caso si tratta della misericordia nel significato di hesed, in quanto nelle frasi ulteriori, in cui Zaccaria parla della « bontà misericordiosa del nostro Dio », chiaramente viene espresso il secondo significato, quelli di rahmim ( traduzione latina: viscera misericordiae ), che identifica piuttosto la misericordia divina con l'amore materno