Haerent animo

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VI. Dalla santità i frutti del ministero

10 L'abnegazione di sé e la vita interiore sono però male intese se trascurano i gravi doveri di apostolico ministero

Nel mentre inculchiamo così vivamente questo dovere dell'ecclesiastico, non possiamo non avvertire nel medesimo tempo che il sacerdote deve vivere santo non per sé solo; poiché egli è il lavoratore, che Cristo "mandò a lavorare nella sua vigna" ( Mt 20,1 ).

È dunque suo officio di svellere le male erbe, seminare quelle buone e fruttifere, innaffiare, badar bene che l'uomo nemico non vi semini fra mezzo la zizzania.

Perciò deve il sacerdote stare in guardia, affinché indotto da un malinteso desiderio della sua perfezione interiore, non trascuri alcune di quelle parti del suo ministero, che spettano al bene dei fedeli.

Tali sono la predicazione della parola di Dio, l'ascoltare le confessioni, l'assistere gli infermi e specialmente i moribondi, l'istruire gli ignoranti nelle cose di fede, il consolare gli afflitti, il ricondurre i fuorviati, l'imitare in ogni cosa Cristo, "il quale passò la sua vita facendo del bene e sanando tutti coloro che erano oppressi dal diavolo" ( At 10,38 ).

11 La base insostituibile: la santità e l'unione con Dio

Certo, vi stia scolpito in mente l'insigne ammonimento di san Paolo: "Non è nulla né colui che pianta, né colui che innaffia, ma è Dio che dà il crescere" ( 1 Cor 3,7 ).

Voi potete ben gettare i semi camminando e piangendo, voi potete ben coltivarli con ogni fatica; ma che germoglino e diano i desiderati frutti, è opera del solo Dio e del suo potentissimo intervento.

Di più, non bisogna dimenticare che altro non sono gli uomini se non istrumenti, dei quali si serve Dio per la salute delle anime; e che per conseguenza devono essere idonei ad essere maneggiati da Dio.

E ciò in qual maniera? Crediamo dunque che Dio si muova a servirsi di noi; per propagare la sua gloria, in vista di una nostra eccellenza o capacità congenita o acquisita?

Non già, poiché sta scritto: "Le cose stolte del mondo elesse Dio per confondere i sapienti: e le cose deboli del mondo elesse Dio per confondere i forti; e le ignobili cose del mondo e le spregevoli elesse Dio e quelle che non sono per distruggere quelle che sono" ( 1 Cor 1,27-28 ).

Una cosa sola assolutamente serve per unire l'uomo a Dio, a renderlo a Dio grato, e ministro non indegno delle sue misericordie: la santità della vita e del costume.

12 L'unica scienza che vale

L'esempio del Santo Curato d'Ars

Quando manchi al sacerdote questa, che solo costituisce la sovraeminente scienza di Gesù Cristo, gli manca ogni cosa.

Poiché senza questa scienza la stessa vastità di una raffinata cultura ( che pure noi medesimi con ogni cura ci studiamo di promuovere per il Clero ) e la stessa destrezza e solerzia negli affari, quand'anche potessero essere di qualche frutto alla Chiesa o ai singoli fedeli, non raramente tuttavia sono a loro causa deplorevole di detrimento.

Ma quanto possa nel popolo di Dio intraprendere e
condurre a termine chi sia ornato di santità, anche nell'infimo grado della gerarchia, ce lo dicono numerosi esempi tratti da ogni età della storia; basti ricordare tra i recenti il Curato d'Ars, Giovanni Battista Vianney, al quale siamo lieti di avere noi medesimi decretato gli onori dei Beati.

La santità sola ci rende quali ci richiede la nostra vocazione divina, uomini cioè crocifissi al mondo, e ai quali il mondo è crocifisso; uomini che camminano "vivendo nuova vita" ( Rm 4,4 ), i quali, secondo l'avviso di san Paolo ( 2 Cor 6,5-7 ) nelle fatiche, "nelle vigilie, nei digiuni, con la castità, con la scienza, con la mansuetudine, con la soavità, con lo Spirito Santo, con la carità non simulata; con le parole di verità", si manifestino veri ministri di Dio: che unicamente tendano alle cose celesti e si studino con ogni zelo di rivolgere al cielo le anime degli altri.

VII. Il sussidio della preghiera

13 La preghiera indispensabile sussidio della santità

Esempio e precetti di Cristo

Ma poiché, come nessuno ignora, la santità in tanto è frutto della nostra volontà, in quanto questa è sostenuta dalla grazia di Dio, Dio provvide largamente a che non mai avessimo a patire difetto, purché lo si voglia, del dono della grazia; e questa si ottiene in primis con la preghiera.

Non vi è dubbio che tra la preghiera e la santità intercorre tale relazione che l'una non può sussistere senza l'altra.

Quindi corrisponde pienamente alla verità quella sentenza del Crisostomo: "Io penso senz'altro che riesca a tutti evidente, come è impossibile, senza il sussidio della preghiera, viver virtuosamente" e acutamente concluse sant'Agostino: "Veramente sa viver bene chi sa pregar bene" .

E tali insegnamenti Cristo medesimo consacrò con la sua parola e più ancora col suo esempio.

Poiché, per raccogliersi nella preghiera, si ritirava solitario nei deserti o saliva sulle montagne; passava le intiere notti in questo esercizio; era assiduo al tempio; che, anzi, anche se circondato dalle turbe, levati gli occhi al cielo dinanzi a tutti pregava; e in fine, confitto alla croce, fra i dolori della morte, con alto grido e lacrime volse al Padre l'ultima preghiera.

14 Il pericolo dell'abitudine e del ridurre le preghiere

Il continuo bisogno di preghiera per sé e per il popolo

Teniamo quindi come cosa certa e definita che il sacerdote, per sostenere degnamente il grado e ufficio, deve essere dedito in maniera esimia alla preghiera.

Troppo sovente c'è da dolersi che egli si dedichi alla preghiera più per abitudine che per zelo, che a certe ore stabilite salmeggi con sonnolenza o preferisca preghiere piuttosto brevi o pochine, né poi consacri più alcun frammento della giornata a parlar con Dio, innalzandosi piamente alle cose del cielo.

Mentre invece il sacerdote più di tutti gli altri deve obbedire al precetto di Cristo: "Si deve sempre pregare" ( Lc 18,1 ); conformandosi al quale san Paolo tanto inculcava: "Siate perseveranti nell'orazione vegliando in essa, e nei rendimenti di grazie" ( Col 4,2 ): "Orate sine intermissione" ( 1 Ts 5,17 ).

E invero quante occasioni si offrono di elevarsi a Dio ad un'anima desiderosa della propria santificazione non meno che della salute degli altri!

Le angustie interiori, la forza e insistenza delle tentazioni, la povertà di virtù, la piccolezza e sterilità delle nostre fatiche, i difetti e le negligenze frequenti, infine il timore dei giudizi divini, tutti questi sono stimoli a farci piangere dinanzi a Dio, col vantaggio di arricchirci di meriti al suo cospetto, oltre che di aver impetrato la grazia, l'aiuto divino.

Né solamente per noi dobbiamo piangere.

Nella colluvie di colpe che ovunque si diffonde, a noi specialmente si addice di pregare e muovere la divina pietà e di insistere presso Cristo, prodigo benignissimamente di ogni grazia nel mirabile sacramento dell'altare: Perdona, Signore, perdona al tuo popolo.

VIII. Necessità della meditazione

15 Necessità e vantaggi provenienti dalla meditazione

Caposaldo principalissimo del profitto della virtù è il dedicare ogni giorno una parte del nostro tempo alla meditazione delle cose eterne.

Non vi è sacerdote che se ne possa esimere, senza grave nota di negligenza e detrimento dell'anima sua.

San Bernardo scrivendo ad Eugenio III, suo antico discepolo ed allora divenuto romano pontefice, con franchezza e viva apprensione lo ammoniva a non mai lasciare la quotidiana meditazione delle cose divine, e a non ammettere, per dispensarsene, alcun pretesto di occupazioni, benché molte e gravissime ne porti con sé il supremo apostolato.

E diceva di aver appunto gravi motivi di rivolgergli tali avvertimenti per i sommi vantaggi di questo esercizio quali egli così sapientemente enumerava: "La meditazione purifica la sorgente da cui nasce, cioè l'intelletto.

Poi regola gli affetti, indirizza gli atti, corregge i difetti, riforma i costumi, eleva e ordina la vita: in una parola conferisce la scienza delle divine e delle umane cose.

La meditazione chiarisce le cose confuse, colma le lacune della mente, rannoda le idee sparse, scruta i segreti, investiga la verità, esamina il verosimile, mette a nudo la finzione e la menzogna.

Essa preordina le azioni da compiersi, essa chiama a rendiconto le già compiute affinché nulla resti nella mente di incorretto e di ambiguo.

Essa fa presentire nella prosperità la sfortuna, nella sfortuna evita il troppo impressionarsi, e questo è infusione di fortezza, quello di prudenza" .

Questo compendio delle grandi utilità, che la meditazione per sua natura produce, ci dice quanto sia non solamente salutare, ma pure necessaria.

16 La meditazione salvaguardia del fervore e contro i pericoli del mondo

Poiché, sebbene i vari uffici del sacerdozio siano augusti e venerandi tutti, la forza dell'abitudine fa sì che i destinati ad essi non vi mettano quella religiosa attenzione come si conviene.

Di qui venendo meno a poco a poco il fervore è facile il passo alla negligenza e fino al fastidio delle cose più sacre.

Aggiungasi la necessità che si impone al sacerdote, di convivere "in mezzo ad una nazione prava" ( Fil 2,15 ); così che, sovente, nello stesso esercizio della carità pastorale, egli ha da temere stiano nascoste le insidie dell'antico serpente.

Quanto è facile che anche i cuori religiosi si velino di mondana polvere!

Appare quindi quale e quanta necessità vi sia di tornare ogni giorno alla contemplazione delle cose del cielo, affinché la mente e la volontà si rafforzino contro le seduzioni del mondo.

Di più è compito del sacerdote di conseguire una certa facilità di assurgere e di raccogliersi nelle cose celesti, lui che deve intendersi delle cose celesti, insegnarle ed inculcarle ai fedeli; lui che deve condurre un tenore di vita in una sfera superiore alla umana, così che egli compia secondo Dio con lo spirito e la guida della fede quanto esige il suo ministero.

Ora nulla più che la meditazione quotidiana è efficace a produrre e mantenere questa disposizione, questa quasi naturale unione con Dio; cosa che a ognuno, che abbia discernimento, è così ovvia che non vale la pena di ragionarne di più.

IX. Danni del trascurare le meditazioni

17 Triste quadro dei danni che nascono in chi trascurasse la meditazione

Una triste conferma di quanto si è detto ci esibisce la vita di questi sacerdoti, che fanno poco conto della meditazione delle cose divine o del tutto l'hanno in fastidio.

Tu vedi in loro illanguidito quell'inestimabile tesoro, mondani, seguaci di mere vanità, intrattenersi in frivolezze, accostarsi alle sacre cose tiepidi, gelidi e forse indegni.

Dapprima, quando era in loro recente il carisma dell'unzione sacerdotale, preparavano lo spirito diligentemente alla recita dei salmi per non essere simili a chi tenta Dio; fissavano il tempo a ciò più opportuno, e il più remoto ritiro, si industriavano di scrutare i sensi segreti delle cose divine, lodavano Dio, gemevano, esultavano, effondevano lo spirito col Salmista.

E ora invece qual cambiamento!

Quasi più nulla resta in essi di quell'ardente pietà, che un tempo dimostravano per i divini misteri.

Quanto diletti erano allora quei tabernacoli!

L'anima esultava di trovarsi intorno alla mensa del Signore e di chiamare ad essa in gran folla i devoti.

Prima della celebrazione dei sacri misteri quale mondezza! quali preghiere partite dall'anima desiderosa!

E quanta riverenza nel modo di trattare le cose sante: quale decoro nell'eseguire le auguste cerimonie, quale effusione di grazie dal profondo del cuore e come felicemente diffondevasi nel popolo il soave profumo di Cristo!…

"Richiamate", ve ne preghiamo, o figli diletti, "richiamate alla memoria quei primi giorni" ( Eb 10,32 ), allora l'anima era fervorosa perché nutrita del cibo della santa meditazione.

18 Da respingersi l'eventuale scusa o vano pretesto di essere troppo assorbito nell'azione

Non manca fra quelli che hanno a fastidio o trascurano di "riflettere in cuor loro" ( Ger 12,11 ), non manca chi riconosca la povertà dell'anima sua, ma poi se ne scusi col pretesto di essersi dedicato interamente alle esigenze sempre più attive e dinamiche del ministero, ad utilità degli altri.

Ma si ingannano miseramente.

Poiché, non avvezzi a parlar con Dio, quando parlano di Dio agli uomini o impartiscono consigli intorno alla vita cristiana, sono privi di ispirazione divina; così che la parola di Dio è in essi quasi morta.

La loro voce, per quanto dotta e feconda, non imita la voce del buon pastore, che le pecorelle ascoltano salutarmente; poiché strepita con inutile pompa di parole che si perde nel vuoto ed è anzi fertile talora di dannoso esempio, non senza vergogna della religione e scandalo dei buoni.

Né altrimenti accade negli altri settori della vita attiva: poiché nessun vantaggio di solida utilità ne ricavano o per lo meno non dura che breve ora, mancando la rugiada celeste che scende invece copiosissima sull'"orazione di colui che si umilia" ( Sir 35,21 ).

19 Gravi conseguenze per chi mostrasse disprezzo della preghiera

E qui non possiamo non dolerci vivamente di coloro che, trascinati dal soffio di pestifere novità, non si vergognano della loro mentalità contraria alla vita interiore e reputano quasi perduta l'ora consacrata alla meditazione e alla preghiera.

Funesta cecità! Volesse il cielo che raccogliendosi una buona volta in se stessi si accorgessero finalmente a quale abisso conduce questa negligenza e disprezzo della preghiera!

Di qui germoglia la superbia e la caparbietà; dalle quali maturano troppo amari frutti, che il paterno cuore rifugge dal rammentare quanto desidera di recidere completamente.

Ascolti Iddio i nostri voti, e, benignamente riguardando i fuorviati, effonda tanto largamente sopra di essi lo "spirito di grazia e di orazione" ( Zc 12,10 ), che, a comune allegrezza, piangendo il loro errore, ritornino sulla male abbandonata via e cautamente la seguano per l'avvenire.

Come già l'Apostolo ( Fil 1,8 ), ci sia testimone Dio come li amiamo tutti nelle viscere di Gesù Cristo!

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