Libro delle fondazioni

Capitolo 6

Indica i danni che possono venire alle persone spirituali dal non sapere quando devono resistere ai trasporti di spirito.

Tratta dei desideri di comunione da cui è presa l'anima e degli inganni che vi si possono nascondere.

Vi sono cose importanti per le priore dei nostri monasteri.

1. Io ho posto ogni cura nel cercare di capire da dove provenga quello stato di profonda sospensione in cui ho visto immerse alcune persone favorite molto da Dio nell'orazione, le quali non trascurano nulla per disporsi a ricevere le grazie divine.

Ora non parlo di quando la sospensione e il rapimento di un'anima vengono da Sua Maestà, avendone trattato a lungo in altro luogo.

Su un tale argomento si può dire ben poco perché, se si tratta di vero rapimento, ci è impossibile qualsiasi resistenza, quali che siano gli sforzi a cui facciamo ricorso.

D'altra parte, si deve notare che in questo stato la forza che ci toglie la padronanza di noi stessi dura poco, ma spesso accade di entrare in un'orazione di quiete, simile a un sonno spirituale, capace di assorbire l'anima così profondamente che, se non sappiamo come ci dobbiamo regolare, possiamo perdere molto tempo e sfinirci per colpa nostra e con poco merito.

2. Vorrei sapermi spiegare meglio in proposito, ma l'argomento è così difficile che non so se ci riuscirò; so bene però che le anime soggette a questo inganno m'intenderanno, se vogliono prestarmi fede.

Ne conosco alcune – e si tratta di anime di grande virtù – che rimanevano assorte sette o otto ore, e che scambiavano tutto per un rapimento.

Qualunque esercizio religioso le assorbiva in modo tale che si abbandonavano subito, persuase che non fosse bene resistere al Signore.

Ma così facendo, a poco a poco, se non si cerca di porvi rimedio, si potrà arrivare alla morte o alla idiozia.

Io mi spiego la cosa in questo modo: non appena il Signore comincia a favorire l'anima di grazie interiori, la nostra natura, avida com'è di diletti, s'immerge tanto in quel piacere che, per non perderlo, non vorrebbe fare alcun movimento.

Siccome in verità è un diletto che sorpassa tutti i piaceri del mondo, se trova una persona dal temperamento debole o il cui intelletto – per meglio dire, l'immaginazione –, lungi dall'essere incostante, se si attacca ad una cosa, vi si fissa senza più divagare, lo stesso avviene a molte persone che, pensando a qualcosa, anche estranea a Dio, restano assorte, o guardando un oggetto non si rendono conto di quello che vedono, persone di natura pigra che, per effetto della distrazione, sembrano dimenticare anche quello che stanno per dire.

Così accade qui, a seconda dei caratteri o della complessione o della debolezza fisica.

Se poi sono anime inclini alla malinconia, l'immaginazione presenterà loro mille piacevoli illusioni.

3. Di questo umore parlerò più avanti, ma quand'anche non vi sia malinconia, accade quel che ho detto, e perfino a persone stremate dalla penitenza, le quali – ripeto –, appena l'amore comincia a dare un sensibile diletto, vi si abbandonano interamente, come ho già fatto notare.

A mio parere il loro amore sarebbe assai più perfetto se non si lasciassero intontire così, perché in questo grado di orazione possono resistere molto bene.

In caso contrario avviene come quando per debolezza si avverte uno sfinimento che non permette di parlare né di muoversi; se la natura è debole, la forza dello spirito se ne impadronisce e la domina.

4. Mi si potrà chiedere quale differenza vi sia tra questo stato e il rapimento, perché, almeno in apparenza, sembrano la stessa cosa; ed è giusto, quanto all'apparenza, ma non quanto alla realtà.

Il rapimento infatti o l'unione di tutte le potenze – come ho detto – dura poco, produce grandi effetti e lascia una luce profonda nell'anima, con molti altri vantaggi.

L'intelletto è del tutto inattivo, solo il Signore opera sulla volontà.

Qui la cosa è ben diversa perché, anche se il corpo è come prigioniero, non lo sono la volontà, né la memoria né l'intelletto; solo che agiranno senza regola e, se per caso si concentrano su un oggetto, forse è il momento in cui non daranno pace.

5. Non vedo alcun vantaggio in questa debolezza del corpo – perché d'altro non si tratta – salvo che ha avuto un buon principio; ma bisogna che serva a impiegare bene il tempo, anziché a passarlo in così lungo assorbimento.

Si può meritare molto di più con un solo atto e stimolando spesso la volontà ad amare maggiormente Dio, che non lasciandola in questo torpore.

Pertanto consiglio alle priore di adoperarsi con ogni cura possibile a sopprimere questi troppo lunghi incantamenti.

Questi ultimi, a mio parere, non servono ad altro che a paralizzare le potenze e i sensi, rendendoli incapaci di obbedire all'anima, la quale così perde il vantaggio che le potrebbe derivare procedendo con il dovuto zelo.

Se la priora si rende conto che ciò dipende da debolezza, abolisca i digiuni e le discipline ( intendo riferirmi a quelli che non sono d'obbligo, e all'occasione si potranno anche sopprimere tutti con tranquilla coscienza ), ed impieghi tali religiose in qualche occupazione, per farle distrarre.

6. Ciò è necessario anche con persone che, pur non cadendo in tali stordimenti, lasciano che la loro immaginazione si concentri troppo, sia pure in cose assai elevate di orazione.

Accade infatti, a volte, che non siano più padrone di sé: specialmente se hanno ricevuto dal Signore qualche grazia straordinaria o avuto qualche visione, la loro anima ne resta così impressionata che crederanno di vedere sempre quello che hanno visto non più di una volta.

Bisogna che chi si accorga d'essere in questo rapimento da più giorni, procuri di cambiare soggetto di meditazione.

Purché, infatti, ci si occupi delle cose di Dio, non c'è nulla in contrario che sia di alcune piuttosto che di altre; a patto, ripeto, che si tratti di cose sue: a volte Dio si compiace delle nostre meditazioni sulle sue creature e sulla potenza da lui mostrata nel trarle dal nulla, non meno che delle concentrazioni sullo stesso Creatore.

7. Oh, sventurata miseria umana, così ridotta a causa del peccato, che anche nel bene abbiamo bisogno di regola e misura per non rovinare la nostra salute in modo da non poterne godere!

E veramente la moderazione conviene a molte persone, specialmente a quelle che sono deboli di testa o d'immaginazione.

È necessario in sommo grado conoscere se stessi per servire meglio il Signore.

E quando l'anima si accorge di avere l'immaginazione concentrata su un mistero della passione o sulla beatitudine celeste o su qualunque altra cosa del genere e di restare molti giorni fissa in questo pensiero, tanto che, pur volendolo, non può rivolgerlo ad altro né evitare di restarvi assorta, è conveniente che faccia quanto può per distrarsi.

Altrimenti vedrà con il tempo il danno che ne deriva e come l'origine stia in ciò che ho detto: in una grande debolezza fisica, o dell'immaginazione, il che è molto peggio.

Infatti, come avviene a un pazzo che si fissa su un'idea, che non è più padrone di sé né può distrarsi e pensare ad altro, né vi sono ragioni per rimuoverlo da essa, perché non ha il dominio della ragione, altrettanto potrebbe accadere qui, anche se si tratta d'una piacevole pazzia.

Se poi vi si unisse la malinconia, il danno potrebbe essere molto grave.

Io non vedo, insomma, da quale punto di vista la sospensione sia una cosa buona, tenuto conto del fatto che l'anima è capace di godere di Dio stesso.

E se non è soggetta ad alcune delle debolezze di cui ho parlato, perché, essendo Dio infinito, dovrebbe farsi schiava d'una sola delle sue grandezze o dei suoi misteri, quando c'è tanto in lui di che occuparsi?

Quanto più cercheremo di fermare l'attenzione su ciò che lo riguarda, tanto più si scopriranno ai nostri occhi le sue grandezze.

8. Non dico che in un'ora e neanche in un giorno si debba meditare su molte cose, perché questo equivarrebbe forse a non goder bene di nessuna: trattandosi di materia così delicata, non vorrei che si pensasse quello che neppure mi passa per la mente di dire, e s'intendesse una cosa per un'altra.

È davvero così importante capire bene questo capitolo che, anche se ne riuscirà noiosa la lettura, non mi rincresce di averlo scritto, né vorrei che alle persone cui restasse difficile intenderlo a prima vista, rincrescesse tornare a leggerlo più volte.

Mi riferisco specialmente alle priore e alle maestre delle novizie, che devono guidare nella preghiera le consorelle.

Se, infatti, non procedono con ogni diligenza fin dal principio, vedranno da sé quanto tempo sarà poi loro necessario per rimediare a simili debolezze.

9. Se dovessi descrivere la gravità dei danni di cui sono a conoscenza, si vedrebbe che ho ragione di attribuire a questo argomento tanta importanza.

Voglio darne solo un esempio, dal quale si potrà giudicare degli altri.

In uno dei nostri monasteri si trovano una monaca e una conversa, entrambe di grandissima orazione, accompagnata da mortificazione, umiltà e altre virtù, essendo molto favorite dal Signore, che comunica loro le sue grandezze; più precisamente sono talmente staccate dal mondo e così piene di amore divino che, anche a seguirle ben da presso, non sembra che tralascino mai di corrispondere, per quanto lo consente l'umana pochezza, alle grazie che ricevono da nostro Signore.

Ho insistito sulle loro virtù perché ne traggano motivo di maggior timore quelle che non le possiedono.

Cominciarono ad avere così impetuosi desideri di unirsi a Dio che non potevano dominarsi; sembrava loro di calmarsi quando facevano la comunione, pertanto si adoperavano per ottenere dai confessori l'autorizzazione a riceverla spesso.

Poiché questo loro tormento andava aumentando, se non ricevevano la comunione tutti i giorni, sembrava che ne morissero.

I confessori, vedendo tali anime in preda a così violenti desideri, benché uno fosse molto spirituale, ritennero conveniente questo rimedio al loro male.

10. Ma la cosa non si fermava qui.

Una di esse provava tali ansie che, a suo giudizio, per poter vivere aveva bisogno di comunicarsi di buon mattino.

Né erano anime capaci minimamente di fingere, e per nulla al mondo avrebbero detto una bugia.

Io non mi trovavo lì; pertanto la priora mi scrisse ciò che accadeva, dicendomi che non aveva più autorità su di loro e che i confessori erano del parere di ricorrere a quel rimedio, poiché il loro bisogno era irresistibile.

Volle il Signore che io capissi subito di che si trattava: ciò nonostante decisi di tacere fino a che non fossi lì presente, perché temevo d'ingannarmi e perché non era giusto contraddire chi approvava tale modo d'agire, senza prima esporgli le mie ragioni.

11. Uno dei confessori era così umile, che non appena giunsi là e gli parlai, rimase convinto di quanto ebbi a dirgli.

L'altro non era altrettanto spirituale, anzi, non lo era quasi affatto in paragone del primo, e non c'era modo di poterlo persuadere.

Ma di lui m'importò poco, per il fatto di non essergli molto obbligata.

Cominciai a parlare alle religiose, esponendo loro molte ragioni che, secondo me, dovevano essere sufficienti a convincerle che era un parto della fantasia pensare di morire senza quel rimedio.

Ma erano talmente fissate in quest'idea che a rimuoverle da essa non fu sufficiente alcun motivo né si sarebbe venuti a capo di nulla per via di ragionamenti.

Vedendo ormai che tutto era inutile, dissi loro che anch'io avevo gli stessi desideri e che mi sarei astenuta dal comunicarmi, perché si convincessero che esse non dovevano farlo se non con tutte le altre.

Saremmo morte tutt'e tre?

Meglio così, piuttosto che introdurre un simile costume nelle nostre case, dove altre anime amavano Dio esattamente come loro e avrebbero potuto desiderare di fare altrettanto.

12. Era giunto a tale estremo il danno causato dall'abitudine, in cui il demonio doveva avere la sua parte, che in realtà, appena furono private della comunione, sembrava che stessero per morire.

Io mi dimostrai inflessibile perché, quanto più vedevo che rifuggivano dall'obbedienza ( non potendo, a loro parere, fare altrimenti ), tanto più riconoscevo chiaramente che si trattava di tentazione.

Passarono il primo giorno con gran pena, il secondo soffrirono un po' meno, e poi a poco a poco sempre meno, in modo che, anche se io facevo la comunione, perché me l'avevano comandato ( io, vedendole così deboli, non l'avrei fatta ), lo sopportavano senza turbamenti.

13. Di lì a poco esse, con tutte le altre, capirono la tentazione e quanto fosse stato bene porvi rimedio a tempo, perché in breve si ebbero in quella casa alcuni contrasti con i superiori ( non per colpa delle monache; più avanti può darsi che ne dica qualcosa ), che non avrebbero certo approvato né tollerato una simile abitudine.

14. Oh, quante cose di questo genere potrei dire!

Ne riferirò solo un'altra.

Il fatto non avvenne in un monastero del nostro Ordine, ma in uno delle religiose di san Bernardo.

Ve n'era una non meno virtuosa di quelle anzidette; ella, per effetto di molte discipline e digiuni, era giunta a tale grado di debolezza da cadere subito a terra ogni volta che si comunicava o che aveva motivo d'accendersi di devozione, e così restava otto o nove ore, convinta, come tutte le altre, che si trattasse d'un rapimento.

Questo le accadeva tanto spesso che, se non vi si fosse posto rimedio, credo ne sarebbe derivato un gran male.

La fama di tali rapimenti si era sparsa in tutta la città; io ne ero afflitta, perché il Signore volle farmi capire, per sua grazia, di che si trattava e mi chiedevo con timore dove ciò sarebbe andato a finire.

Il suo confessore, che era come un padre per me, venne a raccontarmi quanto accadeva.

Io gli dissi quello che ne pensavo: vale a dire come fosse una perdita di tempo, essendo impossibile che si trattasse di rapimenti, ma solo di effetti della debolezza naturale.

Gli consigliai di proibirle i digiuni e le discipline e di obbligarla a distrarsi.

Ella era obbediente e adempì i suoi ordini.

Dopo breve tempo, man mano che andò riacquistando le forze, non ci fu più alcun segno di rapimenti, mentre se si fosse trattato realmente di essi, nessun rimedio sarebbe stato utile a farli cessare, fino a quando il Signore non avesse voluto porvi termine.

La forza dello spirito è, infatti, così grande, che le nostre energie non bastano a opporre una resistenza; inoltre, come ho detto, lascia grandi effetti nell'anima, mentre in caso diverso non ce ne sono altri, proprio come se non fosse avvenuto nulla all'infuori di una grande spossatezza fisica.

15. Da ciò resti dunque inteso che bisogna ritenere per sospetto tutto ciò che ci soggioga al punto da rendere evidente la mancanza dell'uso della ragione, ed essere convinti che mai per questa via si acquisterà la libertà dello spirito, poiché una delle caratteristiche di tale libertà è trovare Dio in tutte le cose e poter pensare alle cose stesse; il resto è schiavitù di spirito e, a prescindere dal danno che arreca al corpo, impedisce all'anima di progredire.

Come quando si va per una strada e ci si caccia in un fondo di detriti o in un pantano dal quale non si riesce ad uscire, press'a poco avviene lo stesso nell'anima che, per avanzare, non deve solo camminare, ma volare.

16. Quando poi, come spesso accade, dicono e credono di essere assorte nella divinità e di non potere, in quello stato di sospensione, opporre resistenza né distrarsi, sappiano che torno a dare questo consiglio: per un giorno, o quattro, o anche otto, non c'è ragione di temere, perché non è strano che un temperamento debole resti assorto durante un tale lasso di tempo, ma se si oltrepassa questo limite, bisogna cercare un rimedio.

Il lato buono di tutto ciò è che non c'è peccato e che non si lascia di acquistare meriti, ma vi sono gli inconvenienti di cui ho parlato e molti altri ancora.

Per quanto riguarda la comunione, sarebbe ben grave se un'anima, quale che sia la forza del suo amore, non si rimettesse anche in questo all'autorità del confessore e della priora; se pur abbia a soffrire la solitudine, deve guardarsi dagli eccessi di non obbedire loro.

È necessario anche in questa, come in altre circostanze, esercitare le anime nella mortificazione, facendo loro comprendere che giova più rinunciare alla propria volontà che cercare la propria consolazione.

17. Anche il nostro amor proprio può intervenire al riguardo.

Io ne ho esperienza, perché mi è accaduto a volte che, appena ricevuta la comunione ( mentre l'ostia doveva essere pressoché ancora intera in me ), vedendo comunicarsi le altre, avrei voluto non essermi comunicata, per farlo di nuovo.

Da principio non mi sembrava che fosse cosa da cui stare in guardia, ma dopo che ciò mi avvenne spesso, finii per rendermi conto che era un sentimento dovuto più al mio piacere personale che all'amore di Dio: siccome, infatti, quando ci accostiamo alla comunione, generalmente sentiamo tenerezza e diletto, io mi lasciavo trasportare da questo desiderio, perché, se avessi desiderato di avere Dio nell'anima mia, già lo avevo; se di obbedire al comandamento di accostarmi alla santa comunione, era già cosa fatta; se di ricevere le grazie che si accompagnano al santissimo Sacramento, già le avevo ricevute.

Infine, riconobbi chiaramente che non c'era in quel desiderio nulla di più che voler tornare a godere di quel gusto sensibile.

18. Ricordo che in una città dove io fui, in cui avevamo un monastero, conobbi una donna, grandissima serva di Dio, a detta di tutti, e doveva esserlo davvero.

Si comunicava ogni giorno, ma si recava una volta in una chiesa e una volta in un'altra per farlo, e non aveva un confessore personale.

Io, che notavo questo, avrei preferito vederla obbedire a una sola persona anziché ricevere tante comunioni.

Viveva sola in una casa dove faceva, io credo, quel che voleva, senonché, essendo buona, tutto quanto faceva era buono.

Io le dicevo qualche volta il mio pensiero, ma ella non vi dava importanza, e con ragione, perché era assai migliore di me; ciò nonostante, se in questo mi avesse ascoltata, credo che non avrebbe sbagliato.

Venne lì il santo fra Pietro d'Alcántara; feci in modo che le parlasse, e non rimasi contenta della relazione che ella gli fece.

Probabilmente ciò era dovuto solo al fatto che, miserabili come siamo, non riusciamo mai ad essere veramente contenti se non di coloro che vanno per la nostra stessa strada.

Credo, infatti, che avesse servito meglio il Signore e fatto più penitenza lei in un anno che io in molti.

19. Le sopravvenne, infine – ed è questo a cui volevo giungere –, la malattia che doveva darle la morte.

Ella ebbe cura di fare in modo che ogni giorno le celebrassero la Messa in casa e le somministrassero il santissimo Sacramento.

Siccome la malattia si protrasse, un sacerdote, gran servo di Dio, il quale gliela celebrava spesso, ritenne che non si poteva consentirle di ricevere ogni giorno la comunione in casa.

Dovette essere certamente una suggestione del demonio, perché quel giorno venne a coincidere con l'ultimo della sua vita.

Ella, vedendo che la Messa era finita e che rimaneva senza il Signore, ne fu così contrariata e andò talmente in collera con il sacerdote, che egli venne tutto scandalizzato a raccontarmi l'accaduto.

Io me ne afflissi molto, perché non sono certa che abbia potuto riconciliarsi: morì, credo, subito dopo.

20. Compresi da ciò il danno che procura fare la propria volontà in qualunque cosa, soprattutto, poi, se si tratta d'una cosa di tale importanza.

L'anima che si accosta al Signore con tanta frequenza dev'essere così compresa della propria indegnità, da non farlo di testa sua, ma in virtù dell'obbedienza a un ordine, che supplirà a quanto ci manca – e sarà inevitabilmente molto – per avvicinarci a un così augusto Signore.

Questa benedetta donna aveva avuto l'occasione di umiliarsi profondamente, e se avesse capito che il sacerdote non aveva colpa, ma che era stato il Signore, vedendo la sua miseria e quanto fosse indegna di accoglierlo in una così spregevole dimora, a disporre le cose in questo modo, forse avrebbe meritato di più che comunicandosi.

Tale era il pensiero di una persona alla quale prudenti confessori proibivano la comunione, perché troppo frequente.

Ella, quantunque ne soffrisse fino alle lacrime, anteponendo, d'altra parte, l'onore di Dio al proprio, non faceva che lodarlo per avere indotto il confessore ad esserne custode, non permettendo che Sua Maestà entrasse in così spregevole dimora.

A causa di queste considerazioni obbediva con gran serenità, e se pur sentiva una pena tenera e amorosa, per nessuna cosa al mondo avrebbe contravvenuto a quello che le era stato ordinato.

21. Credetemi: l'amore di Dio ( non reale, ma apparente ) che eccita le passioni, in modo da condurci a qualche offesa contro di lui o da turbare la pace dell'anima « innamorata » al punto da non farle ascoltare la voce della ragione, è chiaro che altro non è se non una ricerca di noi stessi.

Il demonio veglierà, allora, per attaccarci quando ci potrà fare più danno, come fece con questa donna di cui, certo, mi spaventò molto ciò che le accadde, anche se non rinunzio a credere che non sarà stato questo un motivo per impedire la sua salvezza, perché la bontà di Dio è infinita; ma non c'è dubbio che la tentazione l'assalì in un brutto momento.

22. Ne ho parlato qui perché le priore siano messe sull'avviso e le consorelle abbiano il dovuto timore, non tralasciando di considerare ed esaminare il modo con cui si accostano a un così grande sacramento.

Se lo fanno per piacere a Dio, sanno bene che lo si accontenta più con l'obbedienza che con il sacrificio.

Se, dunque, questo è vero, e se così facendo acquisto maggior merito, perché turbarmi?

Non dico che non si possa provarne una certa pena, sia pur accompagnata da umiltà, perché non tutte le anime sono pervenute a tal grado di perfezione da non averla, ed essere soddisfatte di fare solo ciò che sanno maggiormente gradito a Dio.

È evidente che se la volontà è del tutto staccata da ogni suo personale interesse, non ci si affliggerà di nulla; anzi, ci si rallegrerà d'avere l'occasione di compiacere il Signore con una privazione così penosa, ci si umilierà e si resterà ugualmente soddisfatte di comunicarsi spiritualmente.

23. Ma, poiché all'inizio sono grazie del Signore questi grandi desideri di accostarsi a lui ( e anche alla fine, ma dico « al principio » in quanto allora sono da stimarsi di più ) e l'anima non è ancora ben affermata in tutta quella perfezione di cui ho parlato, si può ammettere che provi un dolore fino alle lacrime, quando viene privata della comunione, purché ciò non le tolga la pace interiore e le consenta di trarne motivo per atti di umiltà.

Qualora invece ciò avvenisse con qualche turbamento o tormento, se avesse a cimentarsi con la priora o con il confessore, si può essere certi che si tratta di una manifesta tentazione, per non parlare di quando qualcuno s'induce a fare la comunione, nonostante la proibizione del confessore.

Io non vorrei davvero il merito di quella comunione; in simili cose non siamo noi a dover essere giudici di noi stessi.

Dev'esserlo colui che ha le chiavi per sciogliere e legare.

Piaccia al Signore di darci luce per capire come comportarci in questioni di tanta importanza e di assisterci sempre con il suo aiuto, affinché dalle grazie che ci concede non ricaviamo motivo di dispiacergli.

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