Libro delle fondazioni

Capitolo 5

In cui si danno alcuni consigli sull'orazione e le rivelazioni.

È un capitolo molto utile per coloro che si dedicano alla vita attiva.

1. Non ho la pretesa – non me lo sogno neppure – che quanto dirò sia così giusto da esser ritenuto regola infallibile: sarebbe un'insensatezza in materia così difficile.

Siccome però ci sono molte vie in questo cammino spirituale, può darsi che riesca a dire qualcosa che convenga all'una o all'altra di esse.

Se vi sono di quelli che non m'intendono, vuol dire che vanno per diversa strada.

E se non dovessi giovare ad alcuno, il Signore accetterà la mia buona intenzione, sapendo che, quand'anche non di tutto abbia fatto esperienza io stessa, l'ho costatato però in altre anime.

2. Anzitutto voglio dire, nei limiti delle mie capacità, in che consista la sostanza della perfetta orazione.

Mi sono, in verità, incontrata con alcune persone che credono che la questione consista tutta nell'esercizio dell'intelletto.

Se possono applicarlo molto a Dio, sia pure a costo di grandi sforzi, sembra loro subito d'essere spirituali.

Se invece sono distratte, loro malgrado, da occupazioni anche buone, eccole in preda a un grande scoraggiamento, convinte d'essere perdute.

Non cadranno certo in questi errori dovuti ad ignoranza i dotti, pur avendo io incontrato chi fra essi non ne era esente, ma noi donne conviene che siamo prevenute contro ogni equivoco di tal genere.

Non dico che non sia una grazia di Dio potersi applicare continuamente alla meditazione delle sue opere, ed è bene farlo.

Bisogna, però, rendersi conto che non tutte le immaginazioni sono adatte per natura a questo esercizio, mentre tutte le anime sono capaci di amare.

Ho già scritto altrove quelle che sono, a mio parere, le cause – non tutte, perché è impossibile, ma almeno alcune – di questo andar vagando della nostra immaginazione.

Così ora non ne tratterò, ma vorrei far capire che l'anima non è il pensiero, e che la volontà non è diretta da esso, il che sarebbe una vera disdetta.

Ne consegue che il profitto dell'anima non consiste nel molto pensare, ma nel molto amare.

3. Ma come si acquisterà quest'amore?

Determinandosi ad operare e a patire, per scendere poi alla pratica quando se ne presenta l'occasione.

È pur vero che, riflettendo a quanto dobbiamo al Signore, a chi egli sia e a ciò che siamo noi, l'anima acquista la sua determinazione; è cosa molto meritoria e molto utile per i principianti purché, evidentemente, non sia d'intralcio ai doveri imposti dall'obbedienza o dal vantaggio del prossimo.

Qualunque di questi due doveri ci si presenti, richiede tempo, a scapito di quello che noi tanto desideriamo consacrare a Dio e che, a nostro modo di vedere, consiste nello stare in solitudine pensando a lui e godendo dei doni che egli ci elargisce.

Lasciare questo per attendere all'uno o all'altro di quei doveri è far contento lui, detto dalla sua stessa bocca: ciò che avrete fatto a uno di questi piccoli, l'avrete fatto a me.

E per quel che riguarda l'obbedienza, non vorrà certo che un'anima così innamorata di lui vada per una strada diversa da quella seguita da chi fu oboediens usque ad mortem.

4. Se, dunque, ciò è vero, da che proviene quel senso di disagio che generalmente si prova, quando non si è stati in gran parte del giorno in una profonda solitudine e assorti in Dio, anche se siamo occupate in opere di obbedienza e carità?

A mio parere, da due ragioni: la prima, e principalissima, è un amor proprio che s'insinua in noi così sottilmente da non farci accorgere di ricercare più la nostra soddisfazione che quella di Dio, perché è evidente che quando si comincia a gustare quanto sia dolce il Signore, si prova più piacere a tenere il corpo in riposo e l'anima nei diletti spirituali anziché impegnarsi in qualche lavoro.

5. Oh, carità di coloro che amano davvero questo Signore e ne conoscono la natura!

Il riposo non è loro possibile se vedono di poter contribuire, sia pur in minima parte, al progresso anche di una sola anima e far sì che ami maggiormente Dio, o esserle di aiuto per consolarla nelle sue pene o per liberarla da qualche pericolo.

Come, in tal caso, il riposo personale diventa loro insopportabile!

Se non possono essere utili con le opere, ricorrono all'orazione, importunando il Signore con preghiere per le molte anime di cui li affligge profondamente costatare la perdita.

Essi rinunziano al loro piacere e lo ritengono una felice rinuncia, dimentichi della propria soddisfazione e intenti solo a compiere con maggiore perfezione la volontà di Dio.

Altrettanto è per l'obbedienza.

Sarebbe grave che, dicendoci Dio chiaramente di andare a fare una cosa che gli sta a cuore, non volessimo ascoltarlo, per rimanere a contemplarlo, perché ciò risponde di più al nostro piacere.

Bel modo di progredire nell'amore di Dio!

Legargli le mani convinti che non ci può condurre alla perfezione per altre strade!

6. Prescindendo, come ho detto, da ciò che ho sperimentato, conosco alcune persone che mi hanno aiutato a capire questa verità, allorché ero molto afflitta di avere poco tempo disponibile; nel vederle sempre occupate in affari e in numerosi impegni loro imposti dall'obbedienza, pensavo fra me – e lo dicevo anche – che non era possibile in tanta baraonda progredire nello spirito; infatti esse allora non erano molto avanzate.

Oh, Signore, quanto sono diverse le vostre strade dalle nostre grossolane immaginazioni!

E come da un'anima ormai risoluta ad amarvi e abbandonatasi nelle vostre mani, voi non volete altro se non che obbedisca e che, resa ben edotta di ciò che accresce di più la vostra gloria, desideri solo questo!

Non ha bisogno di cercare e di scegliere le strade, visto che ormai la sua volontà è la vostra: Siete voi, mio Signore, a prendervi cura di guidarla attraverso quella che le è di maggior vantaggio.

E anche se il superiore non si preoccupa del profitto dell'anima, ma del disbrigo degli affari che gli sembrano utili alla comunità, ve ne preoccupate voi, Dio mio.

Andate disponendo le nostre anime e le nostre occupazioni in modo tale che, senza saper come, ci troviamo così avanzati nel cammino spirituale da restarne del tutto meravigliati.

7. Ciò è quanto è avvenuto a una persona con la quale ho parlato pochi giorni fa.

L'obbedienza l'aveva talmente occupata per quindici anni in cariche e incombenze, che non si ricordava di aver avuto in tutto questo tempo una sola giornata per sé, anche se cercava di dedicare sempre alcuni momenti all'orazione e di mantener pura la coscienza.

È una delle anime più inclini all'obbedienza che io abbia visto, e ne comunica il rispetto a chiunque tratti con lei.

Il Signore l'ha ben ricompensata, perché, senza sapere come sia avvenuto, si è accorta di avere quella libertà di spirito così preziosa e così desiderata, patrimonio di chi è perfetto, e nella quale si trova tutta la felicità che si può desiderare in questa vita, perché, non volendo nulla, si possiede tutto.

Non si teme né si desidera alcunché della terra, né si è turbati da prove né alterati da gioie; infine, nessuno può togliere a tali anime la pace, perché questa dipende solo da Dio, dalla quale non c'è alcuno che possa strapparle.

Solo il timore di perderla può esser causa di pena, essendo tutto il resto del nostro mondo come inesistente ai loro occhi, perché non conta nulla né per far sorgere né per far sparire la loro gioia.

Oh, felice obbedienza e felici le distrazioni che essa ha imposto, se ne è derivato un bene così grande!

8. E non è il solo caso, avendo conosciuto altre persone a cui è accaduto lo stesso.

Rivedendole dopo qualche anno, e anche di più, chiedendo loro come avessero passato quel tempo, venivo a sapere che lo avevano trascorso interamente in opere di obbedienza e di carità; e, d'altra parte, mi apparivano così progredite nella vita spirituale, che ne rimanevo stupita.

Dunque, su, figlie mie!

Non vi affliggete quando l'obbedienza vi tenga occupate in cose esteriori: se attendete alla cucina, rendetevi conto che il Signore si aggira fra le pentole, aiutandovi interiormente ed esteriormente.

9. Ricordo che un religioso mi raccontò di essersi fermamente deciso a non rifiutarsi a un ordine del suo superiore, qualunque pena dovesse costargli.

Un giorno che si sentiva a pezzi per aver tanto faticato, essendo ormai giunto a sera e non reggendosi in piedi, mentre andava a sedersi per riposare un poco, si imbatté nel superiore il quale gli disse di prendere una grossa zappa e andare a zappare l'orto.

Egli tacque, benché fosse così sfinito fisicamente da non stare in piedi; prese la sua grossa zappa e mentre si disponeva a recarsi nell'orto attraverso un passaggio che lì si trovava ( e che io vidi molti anni dopo questo suo racconto, perché riuscii a fondare in quella località un monastero ), gli apparve nostro Signore con la croce sulle spalle, così stremato e affranto, da fargli ben capire che, in confronto, la sua stanchezza non era niente.

10. Credo che il demonio, sapendo che non vi è cammino che conduca al sommo della perfezione più rapidamente dell'obbedienza, ispira tante inquietudini e frappone tante difficoltà sotto forma di bene.

Vi si faccia attenzione e si vedrà chiaramente che dico il vero.

È evidente che la somma perfezione non consiste in diletti interiori né in grandi rapimenti né in visioni né in spirito di profezia, ma nella conformità del nostro volere a quello di Dio, in modo tale da non esservi alcuna cosa in cui riconosciamo la sua volontà che non sia da noi voluta risolutamente e della quale non sia accettato con la stessa allegrezza ciò ch'è dolce e ciò che è amaro, nella consapevolezza che tutto è voluto da Sua Maestà.

Sembra, questo, assai difficile, non per quanto riguarda il farlo, ma il farlo con gioia, anche se si tratti di cose che ripugnano alla nostra volontà dal punto di vista delle nostre naturali inclinazioni, e realmente è così.

L'amore però, se è perfetto, ha tale forza da farci dimenticare ogni nostra soddisfazione per piacere a chi amiamo.

E questo è tanto vero che anche le più grandi tribolazioni ci diventano gradite, quando sappiamo di far piacere a Dio.

Ecco perché le anime pervenute a tale grado di perfezione amano le persecuzioni, i disonori e gli oltraggi.

Questo è così certo, così risaputo e chiaro, che non c'è motivo che io mi ci soffermi più a lungo.

11. Ciò che desidero far capire è il motivo per cui, a mio parere, l'obbedienza è il mezzo più rapido e anche il migliore che esista per arrivare a questo stato così felice.

Il fatto è che, siccome non siamo minimamente padroni della nostra volontà, in modo da poter applicarla solamente e chiaramente tutta a servizio di Dio, se non dopo averla assoggettata alla ragione, l'obbedienza è il vero cammino per arrivare a questo.

A tal fine non servono infatti le buone ragioni, perché la nostra natura e il nostro amor proprio ne possono opporre tante che non ne verremmo mai a capo.

E spesso la cosa più ragionevole, se non ci va, trasforma ai nostri occhi in una pazzia l'avere il desiderio di farla.

12. Ci sarebbe tanto da dire di questa battaglia interiore e degli ostacoli frapposti dal demonio, dal mondo e dai nostri sensi per farci deviare dalla giusta ragione, che non si finirebbe più.

Qual è dunque il rimedio?

Come quaggiù in una lite molto dubbia le parti, stanche di litigare, prendono un giudice e rimettono la questione nelle sue mani, così la nostra anima se ne scelga uno, sia egli il superiore o il confessore, con il fermo proposito di non trascinare oltre la lite, né pensare più alla sua causa, ma di confidare nelle parole del Signore che dice: Chi ascolta voi, ascolta me e non badare alla propria volontà.

Il Signore apprezza tanto questa sottomissione ( e giustamente, perché significa renderlo padrone del libero arbitrio datoci da lui ) che, esercitandoci in questo, ora fra tribolazioni, ora fra mille lotte dovute all'impressione che il giudizio sulla nostra causa sia un errore, arriviamo a conformarci a quello che ci comandano, sia pure con pena; ma con pena o senza, in conclusione, lo facciamo, e il Signore, da parte sua, ci aiuta tanto che, proprio perché assoggettiamo la nostra volontà e la nostra ragione per amor suo, ci rende padroni di esse.

Allora, divenuti padroni di noi stessi, possiamo con perfezione dedicarci a Dio, consegnandogli una volontà pura affinché la unisca alla sua, pregandolo di mandare dal cielo il fuoco del suo amore che consumi questo sacrificio distruggendo tutto quello che può dispiacergli. Così facendo non avremo omesso nulla da parte nostra: sia pure con grandi sacrifici, abbiamo posto la vittima sull'altare e, per quanto è in noi, non tocca più la terra.

13. È chiaro che non si può dare quello che non si ha, e che, per dare, bisogna avere.

Ebbene, credetemi: per acquistare questo tesoro non c'è via migliore che scavare e scavare con l'intento di estrarlo dalla miniera dell'obbedienza.

Più scaveremo e più troveremo: più ci assoggetteremo agli uomini, non avendo altra volontà che quella dei nostri superiori, più saremo padroni di essa per conformarla a quella di Dio.

Vedete un po', sorelle, se non sarà ben pagata la rinuncia al piacere della solitudine!

Vi assicuro che non per mancanza di essa lascerete di disporvi a conseguire questa vera unione di cui ho parlato, che consiste nell'uniformare la nostra volontà a quella di Dio.

Ecco l'unione che io desidero e che vorrei vedere in tutte voi, non quei rapimenti così deliziosi a cui si dà il nome di unione, e che lo saranno se preceduti da questa forma di unione ora detta.

Ma se dopo tali sospensioni la virtù dell'obbedienza è ancora poca, e molta, invece, la propria volontà, l'unione, a mio avviso, non sarà con la volontà di Dio, ma con l'amor proprio.

Piaccia a Sua Maestà che io metta in pratica questi consigli così come li intendo.

14. La seconda causa a cui mi sembra si debba attribuire il disagio precedentemente detto è che l'anima, essendovi nella solitudine meno occasioni di offendere il Signore ( giacché qualcuna non può mancare, visto che i demoni stanno dovunque, e anche noi stessi ci troviamo da per tutto ), pare che si mantenga più pura e, se è un'anima che teme molto di offendere Dio, assai grande è la sua gioia nel non incontrare pericoli.

Certamente, questo mi sembra un motivo sufficiente per rifuggire dal trattare con alcuno, anziché la ricerca di grandi delizie e godimenti divini.

15. Qui è dove, figlie mie, si dimostrerà l'amore, in mezzo alle occasioni, e non nei ritiri della solitudine; credetemi.

Anche se si commettono più errori e si subiscono inoltre alcune piccole perdite, il profitto che se ne trae è senza confronto più grande.

Badate che parlo sempre nel presupposto di esporsi alle occasioni per obbedienza e carità, altrimenti torno ancora a dire che è preferibile la solitudine, e che dobbiamo proprio desiderarla, pur in mezzo alle nostre occupazioni.

In effetti questo desiderio è continuo nelle anime che amano veramente Dio.

Quanto al dire che se ne trae un profitto, è perché riusciamo a capire chi siamo, e fin dove arrivi la nostra virtù.

Infatti una persona sempre ritirata in solitudine, per santa che le sembri di essere, non sa se possieda pazienza e umiltà, né ha modo di saperlo.

Così per il valore di un uomo, come sapere se ne ha, finché non lo si sia visto in battaglia?

San Pietro credeva di essere molto coraggioso, ma guardate se fu tale, messo alla prova.

Si rialzò, però da quella caduta, privo ormai interamente di fiducia in sé; la ripose quindi tutta in Dio e, infine, sopportò il martirio che sappiamo.

16. Oh, mio Dio, se riconoscessimo quanto è grande la nostra miseria!

Senza tale coscienza, ci sono pericoli dovunque; per questo ci è assai utile che ci diano ordini: per sperimentare la nostra pochezza.

E io ritengo maggior grazia del Signore un giorno di umile conoscenza di sé, anche se a prezzo di grandi afflizioni e sofferenze, che molti di orazione, tanto più che il vero amante ama ovunque e si ricorda sempre dell'amato.

Sarebbe cosa ardua se si potesse fare orazione solo in luoghi appartati.

So bene l'impossibilità di dedicare ad essa molte ore.

Ma, mio Signore, quanta forza ha presso di Voi anche un solo sospiro venuto su dal profondo delle nostre viscere, per la pena di vedere che non basta l'essere in questo esilio, ma che ci viene tolto anche il tempo in cui avremmo potuto godere di Voi da solo a solo!

17. Allora ci mostriamo davvero schiavi di Gesù Cristo, venduti volontariamente, per amor suo, alla virtù dell'obbedienza, poiché a causa di essa rinunziamo, in qualche modo, a godere di Dio stesso.

E non è niente, se pensiamo che egli è venuto, per obbedienza, dal seno del Padre a farsi nostro schiavo.

Come si potrà mai pagare o ricambiare questa grazia?

È necessario però avere l'avvertenza, anche nelle opere di obbedienza e carità, di sorvegliarsi scrupolosamente per non mancare di ritornare spesso a Dio nel proprio intimo.

E, credetemi, non è lo stare a lungo in orazione a far progredire l'anima: quando si impiega una parte del tempo in buone opere, è un grande aiuto per avere assai più presto miglior disposizione ad accendersi d'amore, che in molte ore di meditazione.

Ma tutto deve venire dalle mani di Dio.

Sia egli per sempre benedetto!

Indice