Proviamo a capirci

Il paradosso, trabocchetto relazionale

Giochi pericolosi

« Non leggete questa frase ».

Chi prova a rispettare questa prescrizione si accorge che ciò è impossibile.

Infatti, senza leggerla non si può sottostarvi e se la si legge, si va contro il divieto.

Si prova la sgradevole sensazione di essersi impigliati in un gioco da cui non è possibile districarsi senza sbagliare.

Eccoci entrati nel mondo della comunicazione paradossale, cioè di quel tipo di comunicazione comportante di trovarsi di fronte, come nell'esempio citato, ad una richiesta la cui soddisfazione esige comportamenti che producono di fatto e senza via di scampo la sua trasgressione.

Non si pensi che si tratti di giochetti malignamente congegnati dagli studiosi in vista di astruse dimostrazioni: ci si trova piuttosto di fronte ad un modo di comunicare presente in misura insospettata nella vita quotidiana della maggior parte delle persone.

I signori Rivoni, marito e moglie, sono nella sala d'attesa del medico.

Il marito da qualche tempo lamenta un malessere generalizzato: ha poco appetito, accusa bruciori allo stomaco, si sente debole e depresso.

Mentre stanno aspettando il loro turno, si china verso la moglie e le dice sottovoce: « Mi raccomando, se mi vuoi bene, non dire al medico che in questi ultimi mesi ho bevuto un po' più del solito ».

Ecco scattata la trappola del paradosso: per voler bene nel modo in cui si aspetta il marito, la signora Rivoni dovrebbe tacere, ma se tace lo danneggia perché con il suo silenzio non mette il medico nelle condizioni di stabilire la giusta diagnosi per curarlo e quindi, agendo in tal modo, non fa il suo bene.

In altre parole, se lei lo ama nel modo che le è richiesto in questo momento, di fatto non lo ama; se sceglie l'altra alternativa è come se gli dicesse - secondo la logica del marito - di non amarlo: comunque si comporti essa sbaglia.

Simile è il caso di quel giovanotto che si rivolge alla sua ragazza dicendole: « Se mi ami, dammi i soldi per comprarmi la droga ».

Come farà questa ragazza a dirsi innamorata se gli nega la prova d'affetto che le chiede?

Ma come farà altrimenti a dire di amarlo se, dandogli il denaro, lo mette nella condizione di danneggiarsi con le sue stesse mani?

La lettura del pensiero

La moglie si rivolge al marito: « Tu non provi più interesse per me: mai un'affettuosità, un'attenzione, un regalo.

Se mi volessi veramente bene, avresti ben altri atteggiamenti! ».

Il marito rimugina tra sé e sé queste parole, fa un po' di autocritica ed arriva alla conclusione che effettivamente la moglie non ha tutti i torti.

Qualche sera dopo perciò arriva a casa con un flaconcino di profumo che sa essere gradito alla moglie.

Naturalmente si aspetta un segno di gradimento del regalo da parte di lei: nulla di particolare, ma quanto basti per sentire apprezzata l'attenzione avuta.

La moglie guarda con fare un po' distaccato la confezione e con aria triste ed assorta dice con un filo di voce: « Certo che se mi avessi regalato il profumo senza che io mi fossi lamentata, sarebbe tutta un'altra cosa!

É un regalo fatto per forza, perché te l'ho chiesto! ».

Il marito a questo punto non sa più che pesci pigliare: se non ha gesti d'affetto è rimproverato di essere disattento, se li ha viene rimproverato perché non è spontaneo.

In qualunque modo agisca raccoglie disapprovazione.

Vorrebbe far riguadagnare interesse e vitalità al rapporto di coppia, proprio come si aspetta la moglie, ma è finito in un vicolo cieco che rischia di rendere vano ogni tentativo.

Tra le coppie questo schema relazionale è piuttosto frequente.

Parte dalla convinzione che, se ci si vuole bene, si deve essere capaci di capire i desideri della persona amata ancor prima che essa li manifesti.

Seguendo questa logica, se si deve arrivare ad esprimere una richiesta o un'attesa di natura affettiva, ciò è indice che non si è amati abbastanza.

« Se mi amassi veramente, non dovrei sempre chiederti di abbracciarmi! ».

« Se mi volessi bene sul serio, non dovrei continuamente chiederti di dirmelo! ».

« Se io continuassi a piacerti, non dovrei chiederti tutte le volte di concedermi la tua intimità! »

Come dire che, di volta in volta, la persona amata dovrebbe capire da sola quando si vuole essere abbracciati, quando ci si vuoi sentir dire « ti amo », quando si ha piacere di fare all'amore e così via!

Si attribuisce in questo modo all'interlocutore affettivo la facoltà di leggerci nel pensiero per cogliervi le nostre aspettative ancor prima che ci venga in mente di formularle.

Magia questa che riesce nemmeno alle menti più straordinarie e sofisticate e a cui si accompagna il rischio di restare delusi per essersi aspettati qualcosa di impossibile.

Per di più, se come nell'esempio si arriva a manifestare la propria attesa alla persona che amiamo, non apprezziamo più la sua disponibilità quando essa vi corrisponde, in quanto si giudica la risposta forzata, non genuina.

Si potrebbe cercare piuttosto di far riguadagnare semplicità ai nostri rapporti affettivi: quella sorta di ingenuo stupore grazie al quale ci sentiamo capaci di tutto per chi amiamo ed al tempo stesso bisognosi di tutto.

Quella semplicità che permette di chiedere senza umiliarsi e senza pretendere ed a chi da, di dare senza contropartite ne sopraffazioni.

Alla fine ciò che conta è non precludersi ne la gratificazione delle proprie attese, né il piacere di apprezzare ed accogliere la disponibilità della persona amata, dopo averla guidata a scoprire ciò che può renderci felici in quel certo momento.

Essere gelosi

Le relazioni affettive influenzate dalla gelosia sono un fertilissimo terreno di coltura di paradossi comunicativi.

« Se mi racconti per filo e per segno cosa è successo quando hai incontrato il marito di Manuela mentre eri fuori per acquisti, ti prometto di non tornare più sull'argomento! ».

La moglie, non nuova a richieste come questa, sente come se una morsa le stringesse lo stomaco.

« Ci risiamo! » pensa.

Se tacerà o descriverà l'accaduto in modo sommario sottolineandone la banalità, sa per esperienza che non sarà creduta.

Se invece aderirà alla richiesta scendendo nei dettagli, il marito si servirà di questi particolari per alimentare i suoi sospetti e per accusarla di leggerezza o di infedeltà.

In qualunque modo si regoli, la moglie finirà sotto accusa.

Parlando di gelosia, rileviamo la presenza di un paradosso nel paradosso.

Infatti la persona gelosa, mentre cerca di punire con lamentele, rimproveri, scenate la persona amata per presunte infedeltà - e crea così le condizioni paradossali di cui si è detto - punisce in modo ancor più pesante e penoso se stessa, costringendosi ad arrovellamenti mentali, a costruzioni fantasiose, a interpretazioni machiavelliche.8

Per punire l'altro, la persona gelosa in pratica rovina la vita a se stessa!

Nessuno pensi però che argomentazioni come questa possano convincere un geloso a non esserlo!

Consigli inefficaci

Anche nel nostro modo di dare consigli per cercare di dare aiuto può nascondersi il trabocchetto del paradosso.

Dopo anni di fidanzamento, Rossella è stata lasciata da Fabio.

É facilmente immaginabile il suo stato d'animo!

Non ha voglia di uscire, piange spesso, vede buio nel suo futuro.

Le persone che le sono più vicine cercano di consolarla e di aiutarla a superare questo momento difficile.

Una delle battute più frequenti che si sente fare è la seguente: « Non star lì a pensarci in continuazione, cerca di dimenticare! ».

Con queste parole Rossella viene invitata a far leva sulla sua volontà al fine di dimenticare.

Ed ecco scattata la trappola del paradosso.

Infatti, qualunque cosa vogliamo fare, dobbiamo prima di tutto averla presente nella nostra mente o, qualora ce ne fossimo eventualmente dimenticati, ricordarla.

In altre parole, la volontà presuppone la consapevolezza.

Nel caso di Rossella, l'inevitabilità del legame tra volontà e consapevolezza finirà per rendere vani i buoni consigli che le vengono dati.

Quando amici e parenti le raccomandano di cercare di dimenticare, in realtà senza rendersene conto la sollecitano a doversi « ricordare per dimenticare »; e ciò finisce paradossalmente per rafforzare proprio quel ricordo che le si suggerisce di allontanare.

Le profezie che « si realizzano da sé »

Si possono anche incontrare situazioni in cui il paradosso si presenta sotto altra veste.

É il caso in cui ci si adopera per evitare certi effetti indesiderati nei nostri collegamenti vitali con qualcuno e, paradossalmente, proprio quanto facciamo con questo scopo costringe il nostro interlocutore all'interno di schemi di comportamento che provocano pari pari quegli inconvenienti che si volevano evitare.

É così che nascono e si mantengono in essere sotto i nostri stessi occhi e giorno dopo giorno determinate condizioni nei rapporti con gli altri, che capiamo fin dal primo momento essere l'origine di possibili difficoltà.

Per quanto ci sforziamo di porvi rimedio, è come se fossimo imprigionati da un destino maligno in un meccanismo che porta fatalmente al verificarsi di quei malanni da noi stessi previsti fin dall'inizio.

Quasi al punto da scoprirci facili profeti.

... nell'educare i figli ...

Cinzia è nata da qualche giorno.

Parenti e amici di famiglia si affollano attorno alla sua culla per darle il benvenuto.

Ognuno, mentre si congratula con i genitori, aggiunge i suoi commenti.

In questi casi si cercano spesso le somiglianze con i parenti, quasi a sottolineare l'appartenenza del neonato a quel certo ceppo familiare attraverso i segni che porta impressi nel suo aspetto fisico.

Non sempre però i commenti sono concordi: c'è chi vede qualche affinità con i caratteri somatici di qualcuno della famiglia paterna, altri riconoscono qualche tratto che richiama la famiglia d'origine della madre.

Nel caso di Cinzia le valutazioni sono concordi: assomiglia inconfondibilmente a zia Giuseppina.

Questo verdetto sconvolge il padre di Cinzia.

Zia Giuseppina è infatti una zia paterna nota a tutta la cerchia dei parenti come la persona con il carattere peggiore che si possa immaginare.

I suoi comportamenti scostanti, le sue reazioni esagerate e spesso incontrollate, quel certo suo modo acido di parlare di tutti e di tutto ne hanno fatto la pecora nera da evitare.

Con queste premesse, si può comprendere l'allarme del padre dopo aver registrato l'unanime sentenza della somiglianza esistente tra Cinzia e zia Giuseppina.

Infatti, se si assomigliano fisicamente, come fare ad escludere un'analoga somiglianza nel carattere?

Egli certamente non vuole che la figlia cresca sviluppando una personalità tanto problematica e penalizzante quanto quella della zia; per il bene che sente di volere alla neonata, si propone perciò fin da adesso di fare qualsiasi sforzo sul piano educativo per aiutarla a formarsi un carattere positivo, improntato alle buone relazioni.

Cinzia cresce, e i suoi progressi sono seguiti con trepidante compiacimento dai genitori.

Nella mente del padre è però ormai insinuato il timore che, insieme alla somiglianza fisica, possa manifestarsi con il tempo un'analoga somiglianza psicologica con la zia.

Viene anche per Cinzia, come per tutti i bambini, il periodo in cui comincia a fare qualche capriccio.

Si tratta di momentanee ostinate resistenze di fronte a richieste dei genitori di mettere in ordine i giochi, di mangiare quel certo cibo, di rinunciare a qualche richiesta.

Tutti i bambini quando fanno un capriccio si comportano in modo insistente, irragionevole, disobbediente.

Ma Cinzia non è come tutti gli altri bambini: c'è pericolo che diventi come zia Giuseppina, anch'essa ostinata e spesso capricciosa, per cui il padre vede nei normali atteggiamenti della figlia quando si impunta i primi segni anticipatori di un brutto carattere.

Sente perciò il bisogno di fare qualcosa per prevenire il pericolo ed a questo scopo interviene in modo molto risoluto.

La determinazione del padre si scontra con la caparbietà del capriccio della bambina: più lui cerca di imporsi, tanto più lei accentua la sua reazione.

Ciò alimenta la preoccupazione paterna al punto da suggerirgli interventi sempre più drastici, fino al giorno in cui Cinzia, diventata un po' più grandicella ed esasperata da queste modalità educative, passerà dal capriccio infantile ad una reazione di vera opposizione.

Ed in quel momento si avrà la prima conferma concreta dell'ineluttabilità della sua somiglianza con zia Giuseppina, anche purtroppo nel pessimo carattere.

Proprio come si temeva fin dalla sua nascita!

... sul lavoro

Alfredo è capo reparto in una grande industria.

Ricopre da molto tempo questa funzione, di cui vanta ormai una notevole esperienza e ciò lo aiuta a trovare le giuste soluzioni alla molteplicità dei problemi che gli si presentano ogni giorno.

Alla competenza tecnica si è progressivamente aggiunta la sensibilità e la giusta attenzione per i risvolti umani della sua attività.

In altre parole, oltre a potersi definire un tecnico di prim'ordine, può anche vantarsi di essere uno specialista nell'organizzazione delle persone e nella conduzione dei rapporti interpersonali con i suoi operai.

Arte difficile questa, alla quale si è esercitato nel corso degli anni.

In questi giorni è in corso nello stabilimento l'assegnazione ai vari reparti del personale appartenente ad una piccola ditta che è stata assorbita.

Ad Alfredo è appena stato comunicato che dovrà inserire nell'organico della sua realtà l'operaio Varni e che a quest'ultimo sono state date le indicazioni necessarie per raggiungerlo sul posto di lavoro.

Alfredo non lo ha mai visto, dato che le assegnazioni sono state fatte « sulla carta » dal capo del personale per cui, mentre continua nella sua abituale attività, tiene d'occhio la porta d'ingresso del capannone in attesa di vederlo comparire.

Finalmente si affaccia la figura di Varni.

Alfredo lo osserva da lontano.

La sua lunga esperienza come responsabile gli permette di notare subito alcuni dettagli che attirano la sua attenzione.

Il modo di camminare un po' strascicato di Varni, il fatto che di tanto in tanto egli si fermi brevemente a guardare incuriosito gli altri operai che lavorano e, ancora, che passando sosti di fronte alla bacheca contenente gli ordini di servizio, fanno nascere in Alfredo il sospetto che Varni possa risultare un operaio poco collaborativo, forse un po' portato a fare di testa sua anziché seguire le direttive.

Ne ha già conosciuti di tipi così nel suo passato di capo reparto e ne sono sempre venuti fuori dei grattacapi.

Ma questa volta se ne è accorto in tempo e si propone di mettere le cose per il verso giusto fin dal primo momento.

Bisognerà fargli capire subito che si è in fabbrica per lavorare, che non c'è tempo per andare in giro con il naso per aria, che occorre concentrarsi sulla produzione.

Così facendo Alfredo vuole riuscire a correggere in partenza le cattive abitudini lavorative che intuisce nell'operaio.

Di conseguenza la sua accoglienza è molto formale, il tono di voce fin dal primo saluto molto energico, le indicazioni precise ed essenziali.

Chissà se riuscirà a fargli capire che non intende lasciare spazio a iniziative o a margini di approssimazione che non siano mirati direttamente al lavoro.

Varni, per parte sua, è un buon operaio che ha sempre lavorato con diligenza.

In questi ultimi tempi è un po' frastornato dai cambiamenti che lo costringono, ormai non più molto giovane, a ricominciare in un ambiente nuovo e con un lavoro che non conosce.

Appena è entrato nel capannone, lui che è ha sempre lavorato in piccole aziende, è rimasto stupito dalle dimensioni, dalla quantità di macchinari e gli è sembrato di cogliere immediatamente l'idea di una diversa organizzazione del lavoro rispetto a quella da lui sin qui sperimentata.

Ma ecco gli si presenta chi d'ora in poi sarà il suo capo.

Ha l'aria decisa, di uno che sa ottenere quello che vuole: freddo, efficiente, finalizzato.

Non è certo il capo di prima con il quale i rapporti erano basati sul dialogo ed una certa familiarità; ma bisogna pur capire: la grande industria è ben altra cosa rispetto alla piccola azienda da cui proviene.

Così ha inizio il lavoro di Varni nel reparto di Alfredo.

La fase di adattamento è meno complessa di quanto temesse: gli viene affidato un lavoro che impara senza troppe difficoltà e gli riesce di ambientarsi abbastanza facilmente con i compagni di lavoro.

Unico neo: quel fare così freddo del capo reparto.

Fa fatica a sottostare ai suoi modi fortemente direttivi, non ne vede il motivo, considerato il fatto che non gli si è mai dovuto rimproverare nulla.

Sulle prime pensava che ciò poteva essere dovuto alle caratteristiche della grande industria, dove, a causa delle dimensioni, l'organizzazione può prendere il sopravvento sulle relazioni personali.

A mano a mano che il tempo passa, gli sembra però di notare che il capo reparto abbia atteggiamenti più flessibili con i compagni di lavoro e di ciò ha avuto conferma parlando con qualcuno di loro con cui inizia ad entrare in confidenza.

Gli descrivono Alfredo come un capo esigente ma anche comprensivo.

Passata qualche settimana, Varni decide di cercare un chiarimento direttamente con il superiore.

Alfredo, come ha sempre fatto con tutti i nuovi arrivati in officina, ha seguito l'inserimento lavorativo di Varni: è attento ai suoi progressi ed ai risultati che via via egli ottiene.

Tutto sembra andare per il meglio ed Alfredo dice tra sé e sé che ha fatto molto bene a dare un'impostazione precisa fin dall'inizio.

Patti chiari, amicizia lunga, recita il proverbio. Ed i risultati si vedono.

Quelli come Varni hanno proprio bisogno di sentire sempre il polso del capo.

Si è alla fine del turno di lavoro e Varni si avvicina chiedendo un colloquio.

Dice che gli riesce difficile capire il motivo per cui viene trattato con modi così esigenti, che a lui sembra di aver sempre fatto il suo dovere, che, se c'è qualcosa da rimproverargli, gli venga detto espressamente.

Queste parole suonano stonate ad Alfredo: gli sembrava di aver precisato fin dall'inizio che non intendeva lasciare spazi a forme di rivendicazione.

Evidentemente non è stato abbastanza chiaro se oggi l'operaio esce con questi discorsi.

Bisognerà essere ancora più espliciti, per cui nella sua replica Alfredo accentua la sua direttività.

Si viene così a creare una situazione simile ai circoli viziosi relazionali già descritti in precedenza.

Infatti, la direttività di Alfredo alimenta la reazione di Varni che, a sua volta, induce Alfredo ad accentuare ulteriormente il suo atteggiamento e così via, in una rincorsa senza fine.

Con il tempo il rapporto tra i due si fa teso e la collaborazione dell'operaio ne risulta condizionata.

Alfredo potrà un giorno dire di essere stato bravo a capire fin dal primo momento che con un tipo come Varni le cose malgrado tutto si sarebbero messe male.

Il fatto è che, paradossalmente, è stata proprio la misura correttiva pensata da Alfredo a seguito della sua previsione iniziale a creare le premesse perché Varni fosse indotto a comportarsi nel modo problematico che Alfredo voleva evitare.

Ma nessuno riuscirà mai a togliere dalla testa di Alfredo che era proprio destino che finisse nel modo che la sua esperienza ed il suo buon fiuto gli hanno subito fatto prevedere!

Siamo tutti profeti

Ecco due esempi di quelle che sono state chiamate « profezie che si realizzano da sé », per sottolineare come talvolta nei nostri rapporti con gli altri la previsione ci suggerisce proprio quei comportamenti che finiscono per dar ragione alla previsione.

La vita di tutti è costellata di situazioni analoghe: quella dell'insegnante che, prevedendo come quel certo allievo non riuscirà nella propria materia, utilizza un metodo di insegnamento così pressante da disamorare all'argomento l'allievo stesso, tanto che quest'ultimo, perdendo conseguentemente interesse allo studio, meriti voti scadenti che rappresentano la conferma della previsione iniziale dell'insegnante.

O quella di una moglie che fin dall'inizio del matrimonio ha previsto che il marito potesse esserle infedele e che con le sue insistenze, con i suoi controlli, con la sua continua assillante richiesta di prove di affetto, finisce per stancarlo ed allontanarlo da sé e scoprirlo un giorno legato in un rapporto affettivo più rilassato e gradevole con un'altra donna, proprio come lei aveva subito capito che sarebbe andata a finire.

Infine quella di un parroco che, prevedendo come i suoi fedeli si sarebbero allontanati dalla pratica religiosa, per evitare che ciò avvenga diventa molto pedante, monotono ed insistente nei suoi richiami domenicali ... e finisce per trovarsi con la chiesa vuota.

Anche lui proprio come aveva già capito in anticipo!

Tutti questi casi si assomigliano tra di loro - oltre che per la presenza di una previsione negativa e per il paradossale ricorso proprio a quei comportamenti che nelle intenzioni dovrebbero servire a evitare che si realizzi - per l'ostinazione con cui i protagonisti si incaponiscono a tentare di far cambiare i loro interlocutori.

Rimandiamo il lettore all'ultimo capitolo dove troverà più diffusamente trattato quest'ultimo aspetto.

Per riassumere

Quando all'interno di un collegamento vitale ci si trova di fronte ad una richiesta, la cui soddisfazione esige comportamenti che producono di fatto e senza via di scampo la sua trasgressione, si è in presenza di un paradosso relazionale.

Essere presi in un paradosso relazionale significa trovarsi disarmati e nell'impossibilità di attuare un qualsiasi comportamento efficace per uscirne.

Porre qualcuno in un paradosso relazionale comporta creare con le nostre stesse mani le condizioni che lo mettono nell'impossibilità di soddisfare la nostra attesa, malgrado qualsiasi sforzo da parte sua.

Indice

8 Per di più, la gelosia è sempre il frutto di una scarsa considerazione verso se stessi, essendo indice di mancanza di fiducia che le proprie qualità siano sufficienti a mantenere centrato su di sé l'interesse e l'amore del partner