Proviamo a capirci

Al di la del torto e della ragione

Il fastidio di sentirsi dare torto

Vorremmo porre una domanda un po' infantile, forse tanto ingenua da arrivare ad infastidire.

Perché quando qualcuno ci da torto, ci dispiace?

Se si va al di là di risposte come « perché a nessuno piace essere contraddetto » o simili, rientranti in quella categoria di risposte che qualcuno ha definito « dormitive » per significare che non forniscono nessuna spiegazione ( come se si fosse fatta una bella dormita sul quesito, finita la quale l'interrogativo rimane nei termini iniziali ), ci si accorge che la domanda è meno oziosa di quanto appaia a prima vista e la risposta tutt'altro che scontata.

Filippo e Marisa sono sposati da un paio di anni.

Filippo è cresciuto in una famiglia in cui la madre rappresentava la figura dominante: tutto girava attorno a lei e, quando si trattava di prendere una decisione, era scontato che tutti aspettassero da lei i passi necessari.

L'atteggiamento degli altri familiari poteva essere sintetizzato nella frase: « Fai tu, perché sappiamo che come decidi tu va bene ».

E, per la verità, raramente la madre di Filippo ha preso decisioni sbagliate.

Nella famiglia di origine di Marisa le cose andavano diversamente.

Quando c'era da decidere, era abitudine ragionare insieme, consigliarsi, discutere, per arrivare ad una conclusione in un modo che potremmo definire assembleare.

Qualche volta questo procedimento risultava un po' laborioso, ma offriva il vantaggio di analizzare le soluzioni da più punti di vista e di coinvolgere tutti.

Marisa ricorda che, fin dalla prima adolescenza, l'avevano fatta partecipare attivamente a queste discussioni in famiglia.

Anche l'attuale vita di coppia comporta la necessità di fare delle scelte.

In queste circostanze, Filippo è portato a delegare a Marisa la presa di decisione, mentré quest'ultima si sforza di coinvolgere il marito.

Insiste per avere da lui un parere, per capire quale sia il suo pensiero, ma lui taglia corto: « Fai tu. Stai tranquilla, come avrai deciso tu, andrà bene anche a me ».

Questo atteggiamento qualche volta esaspera Marisa, che insiste nella sua richiesta di coinvolgimento.

Ma queste insistenze indispettiscono Filippo, che non riesce a capire cosa voglia ancora sua moglie dopo che le ha dimostrato la massima fiducia dandole carta bianca su tutte le questioni.

Se ci si sofferma sugli stili decisionali appena descritti, si può facilmente cogliere quanto essi dipendano dall'azione dei rispettivi dizionari mentali.

Filippo trova annotato nel suo dizionario mentale, di fianco alla parola « decidere », il concetto « delegare »; Marisa il concetto « discutere ».

Ci sono stati qualche volta momenti di tensione tra i due, proprio a questo proposito.

Lui dice che lei ha torto a fare di ogni decisione una questione di stato, da sviscerare fin nei dettagli; lei a sua volta da torto a lui perché non si coinvolge.

Entrambi vivono male il momento in cui si sentono dare torto.

Dire a Filippo che ha torto a lasciar decidere sempre la moglie, corrisponde a dirgli che quanto il suo dizionario mentale riporta in corrispondenza a situazioni in cui bisogna decidere è insensato.

In altre parole, che la sua esperienza di vita a proposito del decidere è inadatta, incapace di portare frutto.

Filippo non ci sta a sentirsi negare l'utilità di ciò che ha sperimentato in tutto questo tempo in un modo così sistematico da farlo diventare il suo-atteggiamento-personale-di-fronte-alle-decisioni-da-prendere e non vede perché non si possa applicarlo anche alle situazioni presentì, visto che ha sempre funzionato.

Dargli torto significa dirgli che una parte della sua vita è sbagliata: un discorso che nessuno lascia passare senza farci caso!

Altrettanto per Marisa. Anch'essa non è disposta a rinunciare al modo di prendere decisioni consigliato dal suo dizionario mentale: ciò equivarrebbe a negare l'utilità del suo originale, unico ed irripetibile modo attraverso il quale ha fatto esperienza della vita.

Si tratta di qualcosa di troppo prezioso per essere disposti facilmente a farne a meno.

Il disagio sperimentato quando ci si sente dare torto dipende quindi dal sentir mettere in discussione, insieme ad un particolare del presente, tutto quanto questo particolare richiama della vita passata, nonché quanto da essa si è imparato attraverso le annotazioni nel proprio dizionario mentale.

A questo punto non stupisce più tanto il quesito da cui si è partiti, a proposito dei motivi per cui dispiace sentirsi dare torto.

Ha veramente senso parlare di torti e di ragioni?

Queste considerazioni portano però ancora più lontano.

Se si riconosce infatti che ognuno ha buoni motivi per comportarsi in quel certo modo e che questi buoni motivi dipendono da quello che la sua vita gli ha insegnato, diventa difficile stabilire torti e ragioni.

Sergio è un uomo laborioso: il lavoro e gli affetti sono le sue uniche ragioni di vita.

Già fin dall'inizio Nora, una donna sensata e senza grilli per il capo, è rimasta ammirata da tanta serietà e dedizione.

Si è detta che sposare un uomo così avrebbe rappresentato una sicurezza per il suo futuro ed un buon esempio per i figli che sarebbero venuti.

Nora da sempre si è pensata realizzata nel ruolo di madre e si è data un programma di vita che, in prospettiva, mette al primo posto proprio la dedizione ai figli, ai quali - dice -, se si mettono al mondo, non bisogna far mancare nulla, in particolare l'attenzione e l'affetto che serve perché crescano sereni.

Una coppia dalle premesse solide, non c'è che dire.

Quanto buon senso e quanto spirito di responsabilità!

Tutto lascia presagire un'intesa di coppia senza scosse, forse senza tanta fantasia, ma senz'altro fondata su basi salde.

I due si sono sposati e, con il tempo, sono nati i figli.

Entrambi sono rimasti fedeli alle premesse da cui sono partiti: Sergio continua ad essere un gran lavoratore, Nora è una madre degna di ogni elogio.

Il ménage familiare fila liscio.

In casa regna la serenità e non potrebbe essere altrimenti considerata la maturità dimostrata da entrambi.

Un giorno però qualcosa si incrina: lo si nota da certi piccoli gesti di insofferenza di lei, da qualche segno di nervosismo in più di lui.

In un primo momento incolpano la stanchezza: in fin dei conti nessuno dei due si risparmia!

La tensione con il tempo aumenta sino a diventare palpabile, finché ad un certo punto Nora sbotta: « Sei sempre preso dal tuo lavoro! Ricordati che i tuoi figli hanno bisogno di un padre e non di un estraneo ».

Sergio cade dalle nuvole: « Ma come? Io mi ammazzo di lavoro dalla mattina alla sera per non farvi mancare nulla e tu hai il coraggio di dire che non sono un buon padre? ».

« Cosa se ne fanno di tutto il tuo lavoro se quando ti cercano non ci sei mai? Tutto cade sulle mie spalle! » replica lei.

E lui: « Vorrei vederti se non ci fossero tutti i soldi che guadagno. Ma poi, sei tu che sei fissata con tutte queste storie con i figli ».

É possibile dire a Nora che ha torto nel dare importanza al rapporto educativo tra padre e figli?

Si può dire a Sergio che è sbagliato essere dediti al lavoro per offrirne i frutti ai propri familiari?

Agostino è un operaio trasferito da sei mesi in un nuovo reparto.

É abituato a curare con la massima attenzione la qualità del lavoro e ciò che esce dalle sue mani soddisfa sempre in pieno i parametri di precisione richiesti.

Naturalmente questa accuratezza richiede il suo tempo.

Con il recente trasferimento, Agostino ha cambiato anche capo.

In questo momento i suoi due capi, quello precedente e quello di adesso, si sono incontrati per discutere la valutazione complessiva del lavoro dell'operaio nell'arco dell'ultimo anno.

Uno dei due afferma che il lavoro di Agostino deve essere premiato per la sua qualità, l'altro non è d'accordo sottolineando la lentezza operativa dell'operaio.

Una volta ancora incontriamo i dizionari mentali: quello del primo capo riporta accanto a « buon operaio » il concetto di lavoro fatto bene a tutti i costi, in quello del secondo l'idea di un utilizzo efficiente del tempo.

Possiamo dire al primo che ha torto nel valorizzare la qualità del lavoro di Agostino?

Come fare a dar torto al secondo quando da importanza ai tempi di esecuzione?

Nel corso della lettura degli esempi proposti è probabile aver sentito più opportuna l'una o l'altra tra le posizioni dei protagonisti, rischiando così di entrare, anche dall'esterno, nel gioco dei torti e delle ragioni.

Se ciò è avvenuto, dipende esclusivamente dal fatto che, casualmente, il dizionario mentale del lettore assomiglia, per l'aspetto specifico considerato, a quello di uno dei due interlocutori: prova ne sia il fatto che, per quante persone si possano trovare che danno ragione all'uno, se ne trovano almeno altrettante che concordano con la posizione dell'altro.

La ricerca dei torti e delle ragioni è una rincorsa senza fine e non serve a nulla insistere pervicacemente con l'intenzione di far prevalere la propria tesi.

Al contrario, si finisce spesso per esasperare ed esasperarsi, intercalando battute come: « Possibile che tu non capisca? » che, a pensarci bene, equivale a dire: « E così chiaro! Una persona normale capirebbe, ma tu non ci riesci » e si attribuisce così una patente di stupidità all'interlocutore.

Oppure l'altra: « Ma perché non vuoi capirmi? », dove l'uso del verbo volere sta a significare: « L'ho capito, sai, che fai apposta ad impuntarti per non darmi ragione! », che è un altro modo per dire: « Sei in mala fede ».

E poi ci si vuole stupire quando questo scherzare con il fuoco porta a conseguenze indesiderate?

Il fatto è che ragioni e torti non esistono, ma esistono persone di buon senso ( tutte lo sono, nella misura in cui non decidano lucidamente e deliberatamente di autodanneggiarsi ) le quali, partendo da ciò che la personale vicenda su questa terra ha mostrato loro ed è quindi riportato nel loro dizionario mentale, danno un senso agli avvenimenti: questo è il loro giusto modo di dare senso e significato a ciò che loro succede.

L'errore consiste nel considerare « giusto modo » equivalente di « unico modo ».

Non esiste infatti un « unico e giusto modo » di interpretare le cose che sia oggettivo, che valga per tutti, ma esiste quel modo che è giusto nella misura in cui è coerente con i riferimenti personali di ciascuno.

Non si tratta di far diventare tutto relativo

Qualcuno può interpretare queste affermazioni come un'adesione alla corrente di pensiero largamente diffusa in questi anni rappresentata dal relativismo, pensiero che rivendica il primato della coscienza, il diritto del singolo ad autodeterminarsi, l'eliminazione di qualsiasi riferimento generale, valido e vincolante in assoluto, per rendere tutto, appunto, relativo.

Si noti una differenza - forse non così immediatamente percepibile, ma di sostanziale rilevanza - che distingue in modo netto ed inconfutabile l'approccio qui presentato rispetto al relativismo.

Il relativismo è una corrente filosofica, cioè un modo di andare alla ricerca della verità, che arriva paradossalmente alla conclusione che la verità consiste nel fatto che non esiste una verità.

Per fare ciò si preoccupa del contenuto dei pensieri, cioè degli elementi che entrano a far parte dei ragionamenti per arrivare a questa conclusione.

Le idee sviluppate in questo capitolo si muovono su un piano logico completamente diverso: tentano di spiegare come mai sia così difficile far convivere le numerose ed evidenti differenze tra le persone.

Il relativismo, in quanto corrente filosofica indica un obiettivo esistenziale, il presente approccio, in quanto riflessione psicologica, cerca gli strumenti comportamentali da mettere al servizio dell'obiettivo esistenziale stesso, sia esso ispirato al relativismo come a qualsiasi altra corrente filosofica, ideologica o religiosa.

Ricorrendo ad una metafora, mentre i nostri ragionamenti si preoccupano di capire come si guida un'automobile, il relativismo indica uno tra i tanti possibili viaggi che si possono fare servendosi di un'automobile.

Quello che più interessa ( e che qualifica il nostro approccio ) è notare come il sistema di guida di un'automobile sia sempre lo stesso, sia valido in generale e sia indipendente dalla destinazione scelta.

I dizionari mentali si possono modificare

Per quanto ovvio, va precisato che i dizionari mentali non sono scritti con un inchiostro indelebile.

Al contrario, ogni esperienza successiva a quella iniziale è occasione per precisare, aggiornare, affinare quanto annotato, in modo che, all'utilizzo successivo, se ne possa ricavare il massimo dell'efficacia.

Questa proprietà dei dizionari mentali lascia inoltre spazio alla possibile decisione di volerli cambiare sottoponendosi ad adeguate esperienze, come quelle necessarie per apprendere, o permettendo alle sollecitazioni e ai consigli d'altri di integrarsi con quanto registrato in precedenza attraverso l'accettazione della loro guida o della loro correzione.

Una ricchezza dalle molte complicazioni

Un'ulteriore conseguenza di tutto rilievo derivante dalla presenza dei dizionari mentali consiste in una rinnovata consapevolezza delle diversità esistenti tra le persone nel momento in cui ci incontriamo con loro.

Non si dice nulla di nuovo affermando che ciascun uomo o donna è un prototipo, un pezzo unico: non è esistito, non ne esiste e non ne esisterà mai uno o una uguale.3

La diversità è un grande serbatoio di ricchezza per l'umanità: interessi diversi, abilità diverse, risorse diverse, sensibilità diver se ...

Da questa grande varietà l'umanità ha attinto ed attinge a piene mani per alimentare la marcia verso il progresso.

E però sotto gli occhi di tutti come la diversità sia anche una grande complicazione.

Difficoltà di coppia, problemi con i figli, con i genitori, tra colleghi, con i superiori, con i parenti, con i vicini, in famiglia, sul lavoro, nelle associazioni, nelle Chiese, negli Stati ... sono il rovescio della medaglia che presenta l'essere differenti.

« Tante teste, tante idee », recita la saggezza popolare!

Tu sbagli!

Quando la differenziazione è limitata, o riguarda un rapporto o un argomento cui non si da molta importanza, di solito si riesce a superare tutto senza grandi scossoni.

Le complicazioni aumentano nella misura in cui la diversità tra interlocutori è accentuata e quanto più essi sono interessati alla relazione esistente tra di loro: l'importanza che attribuiscono al rapporto li lega, mentre le rispettive diversità li allontanano.

L'impulso immediato che scatta non appena, attraverso la percezione di parole, gesti o comportamenti, ci si rende conto di avere a che fare con qualcuno che ha modi diversi dai propri di attribuire senso e significati, è quello di dire che sbaglia.

E se sbaglia, va corretto.

Per amore di quello che si pensa essere l'unico giusto modo, ci si sente in dovere di costringerlo all'interno del proprio dizionario mentale.

C'è una violenza, una costrizione sulla libertà dell'altro quando si cerca di convincere.

Gli si vuole dimostrare, qualche volta con le buone, altre volte con le cattive, che il suo dizionario mentale è sbagliato, che a proposito di quel certo particolare la sua vita è sbagliata, che deve riconoscerne l'inadeguatezza per abbracciare finalmente il giusto modo di pensare in una specie di conversione mentale.

E, se non riconosce la sua inadeguatezza e quindi non ci sta, ecco il ricorso alla pressione, al ricatto psicologico, ecco spuntare l'intolleranza, il razzismo culturale, la guerra.

Non si pensi che ciò riguardi solamente i conflitti internazionali, etnici o razziali: queste sono osservazioni che valgono anche per le migliori famiglie.

Diversità di dizionari mentali all'interno della coppia ...

Come fare a convivere con la differenziazione dei dizionari mentali, senza rinunciare al proprio ma anche senza assolutizzarlo?

In casa Valpetri è abitudine cenare alle venti.

È una specie di rito, quello della cena.

Nel tempo è diventato il simbolo del ritrovarsi dopo una giornata trascorsa ciascuno impegnato nelle proprie responsabilità.

I due coniugi considerano la puntualità a questo appuntamento quotidiano come un segno di rispetto reciproco.

Può capitare che il marito eccezionalmente ritardi e che, per una serie di circostanze sfavorevoli, non gli riesca di telefonare.

Nel dizionario mentale di lei non c'è posto per l'imprevisto, per cui - passata l'ora solita - scatta il risentimento.

Al suo arrivo, a nulla servono le spiegazioni di lui, cui non viene dato peso, per arrivare al commento finale da parte di lei : « In ogni caso, se ci tenessi veramente, troveresti il modo di essere puntuale ».

Nessuno spazio da parte della signora Valpetri per il dizionario mentale del marito: non le è passato nemmeno per la mente il pensiero che il ritardo possa essere giustificato semplicemente da una valutazione di priorità portata da una causa di forza maggiore o da un'urgenza.

Come dire: « Di valido, c'è solo il mio dizionario mentale ».

In molte coppie viene lasciato poco spazio, in qualche caso nessuno, per l'espressione dell'originalità e della libertà: l'unica libertà che viene concessa - si fa per dire - è quella di aderire alle attese ( dizionario mentale ) del partner.

E come se esistesse una regia vincolante volta a rendere accettabili i comportamenti di entrambi esclusivamente per il fatto di corrispondere al dizionario mentale dell'altro.

Ci si sente in questo modo rassicurati, in quanto si riscontra corrispondenza tra il modo con cui il partner agisce e le proprie attese ( previsioni ).

Esattamente il contrario, verrebbe da dire, rispetto ai concetti di generosità, altruismo, dedizione che si è soliti associare all'amore coniugale.

Il fatto è che, in qualche caso, ciascuno lascia libero l'altro di essere generoso, altruista ed amorevole nei modi « giusti » previsti - una volta di più - dal proprio dizionario mentale!

É una specie di meccanismo che ci vincola, per il quale, a qualsiasi livello del ragionamento e a riguardo di qualsiasi argomento, siamo obbligati a servirci dell'unico strumento a nostra disposizione per capirne qualcosa, rappresentato dal nostro dizionario mentale che è diverso, ahimè, da quello di chiunque altro, nostra moglie o nostro marito compresi.

Detto così, si è presi da un senso di sconforto, di pessimismo.

Possibile, dirà qualcuno scandalizzato da queste riflessioni, che un rapporto di coppia si regga sulla tendenza sostanziale a riferirsi più a se stessi che alla persona amata?

Non si può far altro che ammettere che le cose stanno il più delle volte proprio in questo modo.

Quando tutto fila liscio, di questo non ci si accorge, perché a ciascuno dei due risulta facile rispettare il dizionario mentale del partner, trovandolo molto simile al suo, per cui, mentre rispetta quello del partner, rispetta il proprio ( o viceversa? ).

Diversamente, per costruire e far andare avanti un rapporto di coppia non c'è altra scelta che volere dare dignità al dizionario mentale del nostro interlocutore affettivo.

In altre parole, si tratta di far entrare nel nostro dizionario mentale, oltre al fatto che esso è giusto, che è giusto anche il suo e che, sempre volendolo, è possibile permettere che si influenzino reciprocamente; quindi parte dell'uno troverà accoglienza nell'altro e viceversa, arrivando, per così dire, ad un dizionario mentale di coppia diverso dai due di partenza.

Quanta fatica per esprimere quello che abitualmente si dice con tre parole: intesa di coppia!

... in vista del matrimonio ...

Esistono però dizionari mentali dai contenuti così differenti da essere tra di loro incompatibili e quindi da rendere arduo, se non impossibile, il procedimento di rispettivo adattamento.

Nel caso della coppia, è compito della ricerca di conoscenza che si sviluppa prima della scelta matrimoniale valutare il grado di compatibilità e la capacità reciproca di convivere, rispettandolo, con il dizionario mentale dell'altro.

E quello che un tempo si chiamava fidanzamento.

Due giovani escono insieme ormai da quattro anni, si vogliono bene, lavorano entrambi: parenti ed amici, tutti si aspettano ormai la data delle loro nozze.

In effetti ci pensano anche loro.

In particolare la ragazza spesso riflette tra sé e sé: « Sono proprio innamorata di Simone.

Stiamo bene insieme, abbiamo gusti simili, in linea di massima sappiamo andare d'accordo.

C'è però un neo nella nostra intesa di coppia.

C'è un comportamento di Simone che non riesco proprio ad accettare: quando si è in compagnia, si lascia condizionare dagli amici e molto spesso esagera nel bere.

Quando succede, non ce la faccio, è più forte di me: sento un senso di repulsione, quasi di ribrezzo nei suoi confronti!

D'altra parte ci vogliamo davvero bene, ormai tutti si aspettano che ci sposiamo.

Facciamo così: io lo sposo, ma dopo sposati saprò pur trovare il modo di fargli perdere queste abitudini! ».

Come reagirà Simone dopo sposato ai tentativi di entrare nel suo dizionario mentale per modificarlo?

Si può facilmente prevedere di non trovarlo d'accordo; dirà probabilmente che quello è il suo modo di far festa con gli amici.

Basterà l'amore e la magia dei primi tempi di matrimonio per fargli cambiare idea?

O non pecca forse di ingenuità la futura sposina sperando che basti la frase: « Se mi vuoi bene non devi più fare così » o quella: « Lo dico per il tuo bene » per ritrovarsi vicino un uomo sempre sobrio e controllato?

Non sarebbe meglio stare attenta a non sottovalutare la difficoltà, considerandola con tutta la necessaria attenzione ancor prima di decidere di sposarsi e non fingere con se stessa di averla risolta ricorrendo ad una specie di fuga in avanti che la costringerà a maneggiare questa castagna bollente dopo le nozze?

Quando un ragazzo e una ragazza cominciano a uscire insieme, in molte regioni d'Italia si dice che quei due « si parlano ».

Parlarsi, comunicare, è l'aspetto più evidente, forse più ovvio, agli occhi di chi osserva una coppia all'inizio di un rapporto sentimentale.

I due infatti si cercano, sono interessati, curiosi l'uno dell'altra: si raccontano, vogliono sapere.

È un modo spontaneo, quasi istintivo, per riuscire a intuire i rispettivi dizionari mentali, per verificare se essi sono compatibili, per provare ad armonizzarli tra di loro, per vedere, in altre parole, se riescono ad andare d'accordo.

Le coppie che trascurano o sottovalutano questa iniziale verifica, spesso perché abbagliate dall'attrazione portata dall'innamoramento, corrono un maggior rischio di dover in seguito fare i conti con conseguenze inattese e talvolta sorprendenti.

In questi casi non avviene la trasformazione dell'innamoramento nell'amore.

Non si vuoi certo togliere nulla all'innamoramento.

E troppo bello essere innamorati!

L'innamoramento è dominato dalle emozioni, piacevolissime: ci si presenta nella veste migliore al fine di sedurre, si vede del partner solo l'aspetto più accattivante, ci si convince di aver trovato qualcuno senza difetti e si tenta di presentarsi senza difetti.

E così che agli occhi dell'innamorato appaiono « vivaci e pieni di iniziativa » i modi di una donna invadente e pettegola, mentre l'innamorata descrive come « molto serio e riflessivo » il proprio ragazzo talmente chiuso e taciturno da non riuscire a cavargli una parola nemmeno a cannonate.

Senza nulla togliere al suo fascino, l'innamoramento è un'esperienza per così dire « drogata », nel senso che rischia di dare della realtà una visione illusoria, sognante e, a conti fatti, ingannevole.

Il momento della verità, in cui si torna con i piedi per terra, è il momento in cui si vede finalmente l'innamorato come una persona con le sue qualità e con i suoi limiti, così come tutti gli altri.

E anche il momento in cui ci si accorge che nel suo dizionario mentale ci sono annotazioni differenti, spesso inattese - talvolta piacevolmente inattese, altre volte meno - e si comincia a cercare i modi per farle andare d'accordo con le proprie, piuttosto che cercare di combatterle o di reprimerle.

Se si riuscirà in ciò, alle attrattive dell'innamoramento si aggiungerà la saldezza ed il senso di fiducia dell'amore.

Il caso contrario fa venire in mente l'immagine della costruzione di una casa sulla sabbia, con tutta la precarietà e le incertezze che questo può comportare.

Sono complicazioni che si incontrano con tutti

Riflettendo sul tema delle diversità esistenti tra i dizionari mentali e sull'attentato alla libertà che si può porre in atto quando non si riconosce diritto di vita e di rispetto a quelli degli altri, ci si è a lungo soffermati sul tema della coppia.

Ciò non sta a significare che le osservazioni riportate valgano esclusivamente all'interno di un contesto affettivo: i medesimi meccanismi agiscono allo stesso modo in qualsiasi tipo di relazione, pur se con modi e gradi di intensità differenti.

Valgono per il caso di un figlio che, finita la scuola media, vuole intraprendere un corso di studi giudicato non opportuno dai genitori, per quello di un lavoratore che organizzerebbe diversamente il lavoro rispetto a come gli viene richiesto dal suo capo, per quello di un genitore che si aspetta un certo atteggiamento educativo da un professore verso suo figlio, per quello di un assistente contestato da un ragazzo di un gruppo giovanile parrocchiale, e così via, in un elenco tanto lungo da comprendere tutti possibili collegamenti vitali.

Per riassumere

Il fatto che ogni individuo possa servirsi solamente del proprio dizionario mentale, frutto della sua personale esperienza di vita, come unico riferimento per interpretare le situazioni che incontra, rende priva di senso la ricerca di chi abbia torto o di chi abbia ragione in caso di difficoltà all'interno dei collegamenti vitali.

L'armonia delle relazioni, lo stare bene con gli altri, passa attraverso lo sforzo di armonizzare il nostro dizionario mentale con quello degli altri, piuttosto che nel combattere le differenze che si presentano.

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3 Questo vale inaspettatamente anche per i gemelli monozigoti, nonostante il possesso dello stesso patrimonio genetico in quanto provenienti dalla scissione di un unico ovulo fecondato: se è vero infatti che fisicamente sono identici, psicologicamente sono diversi in virtù anche del solo fatto che, pur essendo nati insieme, hanno fatto una diversa esperienza avendo l'uno dei due visto la luce prima dell'altro