Legenda Maior

Capitolo VI

Umiltà e obbedienza

Accondiscendenza di Dio ai suoi desideri

[1103] 1. L'umiltà, custode e ornamento di tutte le virtù, aveva ricolmato l'uomo di Dio di beni sovrabbondanti.

A suo giudizio, egli non era altro che un peccatore, mentre nella realtà era specchio e splendore della santità, in tutte le sue forme.

Da architetto avveduto, egli volle edificare se stesso sul fondamento dell'umiltà, come aveva imparato da Cristo.

Il Figlio di Dio - egli diceva - lasciando il seno del Padre, è disceso dall'altezza dei cieli fino alla nostra miseria proprio per insegnarci, Lui Signore e Maestro, l'umiltà sia con l'esempio sia con la parola.

Per questo si studiava, in quanto discepolo di Cristo, di sminuirsi agli occhi propri ed altrui, ricordando quanto il sommo Maestro ha detto: Ciò che è in onore fra gli uomini è abominazione davanti a Dio.

Ma usava anche ripetere questa massima: « Un uomo è quanto è agli occhi di Dio, e non più ».

Di conseguenza, giudicando una stoltezza esaltarsi per la stima della gente del mondo, godeva nelle umiliazioni e si rattristava per le lodi.

Sul proprio conto preferiva sentire insulti invece di lodi, perché sapeva che l'insulto spinge ad emendarsi; la lode, a cadere.

E perciò spesso, quando la gente esaltava i suoi meriti e la sua santità, comandava a qualche frate di dirgli, cacciandogliele bene dentro le orecchie, frasi che lo umiliavano e mortificavano.

E quando quel frate, benché contro voglia, lo chiamava paesano, mercenario, inetto e inutile, egli, lieto in cuore come in volto, rispondeva: « Il Signore ti nedica figlio carissimo, perché tu dici proprio la verità.

Queste son le parole che van bene per il figlio di Pietro Bernardone ».

[1104] 2. Per guadagnarsi il disprezzo degli altri, raccontava davanti a tutta la gente i propri difetti e non permetteva che la vergogna gli impedisse simili confessioni.

Una volta, a causa di una grave malattia, aveva allentato un poco la sua rigorosa astinenza, per ricuperare la salute.

Quand'ebbe in qualche modo riacquistato le forze, il vero dispregiatore di sé, ben deciso ad umiliare se stesso, disse: « Non è giusto che la gente mi creda un digiunatore, mentre io mi rifaccio di nascosto mangiando la carne ».

Così, infiammato dallo spirito della santa umiltà si alzò radunò il popolo di Assisi nella piazza ed entrò con grande solennità nella cattedrale, scortato da molti frati.

Si legò una corda al collo e, nudo, con le sole mutande, si fece trascinare, sotto gli occhi di tutti, fino alla pietra su cui di solito venivano messi i delinquenti.

Salito sulla pietra, benché scosso dalla quartana e privo di forze, con quel freddo pungente, predicò con grande vigore e dichiarò a tutti quanti gli ascoltatori che non dovevano stimarlo un uomo spirituale, ma che, anzi, tutti dovevano disprezzarlo come un uomo carnale e un ghiottone.

Tutti i convenuti, a uno spettacolo così impressionante, furono pieni di meraviglia, perché conoscevano bene la vita austera di quell'uomo, e, profondamente commossi dicevano apertamente che una umiltà come quella si poteva, sì, ammirare, ma non certo imitare.

Veramente questo fatto, anzi che un esempio, può sembrare un segno, come quello che troviamo nel profeta Isaia.

Ma in realtà fu una dimostrazione di umiltà perfetta, che insegna al seguace di Cristo la necessità di disprezzare gli elogi e le lodi passeggere, di reprimere il gonfiore e l'arroganza dell'ostentazione e di smascherare le menzogne frodolente dell'ipocrisia.

[1105] 3. Faceva molto spesso azioni di questo genere, in modo da sembrare, all'esterno, un vaso di perdizione e, così possedere, dentro di sé, lo spirito di santificazione.

Spesso, quando le folle lo osannavano, diceva così: « Potrei ancora avere figli e figlie: non lodatemi come se fossi già sicuro!

Non si deve lodare nessuno, quando non si sa come andrà a finire ».

Così diceva ai suoi ammiratori, e a se stesso, invece: « Se l'Altissimo avesse dato ad un brigante tutti questi doni così grandi, o Francesco, lui sarebbe più riconoscente di te ».

Diceva spesso ai frati: « Nessuno deve illudere se stesso, autoesaltandosi ingiustamente, per cose che può fare anche un peccatore.

Difatti un peccatore può digiunare, pregare, piangere e macerare la propria carne.

Questo solo non può fare: essere fedele al suo Signore.

Dunque noi dobbiamo gloriarci solo in questo caso: se rendiamo a Dio la gloria che è sua; se lo serviamo con fedeltà; se ascriviamo a Lui, tutto quello di cui ci fa dono ».

[1106] 4. Questo mercante evangelico, allo scopo di fare guadagni in molti modi e di organizzare tutto il tempo della vita in funzione del merito, preferì non comandare, ma obbedire.

Per tale motivo rinunciò all'ufficio di ministro generale, e chiese un guardiano, alla cui volontà sottostare in tutto.

Il frutto della santa obbedienza - affermava - è così abbondante, che nessuna frazione di tempo trascorre senza guadagno, per quanti sottomettono il collo al suo giogo.

Per questa ragione aveva l'abitudine di promettere sempre obbedienza al frate, col quale andava in viaggio, e di osservarla.

Disse una volta ai compagni: « Tra le altre grazie che, per sua degnazione, la divina misericordia mi ha concesso, vi è questa: che io sono disposto ad obbedire con uguale sollecitudine a uno che fosse novizio da un'ora, qualora mi venisse dato per guardiano, e al frate più vecchio e più prudente.

Il suddito - aggiungeva - non deve vedere nel suo prelato un uomo, ma Colui per amore del quale accetta di obbedire.

E quanto più è spregevole chi comanda, tanto più piace l'umiltà di chi obbedisce ».

[1107] Quando una volta gli domandarono: chi deve essere ritenuto un vero frate minore?, egli portò l'esempio del cadavere.

« Prendi un corpo morto - disse - e mettilo dove ti pare e piace.

E vedrai che, se lo muovi, non si oppone; se lo lasci cadere, non protesta.

Se lo metti in cattedra, non guarderà in alto, ma in basso.

Se gli metti un vestito di porpora, sembrerà doppiamente pallido.

Questo è il vero obbediente: chi non giudica il perché lo spostano; non si cura del luogo a cui vien destinato; non insiste per essere trasferito; eletto ad un ufficio, mantiene la solita umiltà; quanto più viene onorato, tanto più si ritiene indegno ».

[1108] 5. Disse una volta al suo compagno: « Non mi sembrerà di essere frate minore, se non sarò nello stato che ora sto per descriverti.

Ecco: io sono superiore dei frati e vado al capitolo; predico ed ammonisco i frati - e alla fine loro si mettono a dire contro di me: " Non sei adatto per noi: non sei istruito, non sai parlare, sei idiota e semplice! ".

Alla fine vengo scacciato ignominiosamente, tra le ingiurie di tutti.

Ti dico: se non ascolterò tutto questo con la stessa faccia, con la stessa allegrezza di spirito e con lo stesso proposito di santità, non sono per niente un frate minore ».

[1109] E aggiungeva: « Nella prelatura, la caduta; nella lode, il precipizio; nell'umile stato di suddito, il guadagno per l'anima Come mai, allora, siamo più portati al pericolo che al guadagno, dal momento che il tempo della vita ci è stato concesso per guadagnare? ».

Proprio per questo motivo Francesco, modello di umiltà, volle che i suoi frati si chiamassero Minori e che i prelati del suo Ordine avessero il nome di ministri.

In questo modo egli si serviva delle parole contenute nel Vangelo, che aveva promesso di osservare, mentre i suoi discepoli, dal loro stesso nome, apprendevano che erano venuti alla scuola di Cristo umile, per imparare l'umiltà.

Difatti Cristo Gesù, il maestro dell'umiltà, allo scopo di formare i discepoli all'umiltà perfetta, disse: Chiunque tra voi vorrà essere il maggiore, sia vostro ministro, e chiunque, tra voi, vorrà essere il primo, sarà vostro servo.

[1110] Il vescovo di Ostia, - primo protettore e promotore dell'Ordine dei frati minori, che in seguito, secondo la predizione del Santo, fu elevato all'onore del sommo pontificato, col nome di Gregorio IX - chiese un giorno a Francesco se gradiva che i suoi frati accedessero alle dignità ecclesiastiche.

Il Santo rispose: « Signore, i miei frati sono stati chiamati minori proprio per questa ragione: che non presumano di diventare maggiori.

Se volete che facciano frutto nella Chiesa di Dio, teneteli e conservateli nello stato della loro vocazione e non permettete assolutamente che ascendano alle prelature ecclesiastiche ».

[1111] 6. Francesco, tanto in se stesso quanto negli altri, preferiva l'umiltà a tutti gli onori e perciò quel Dio, che ama gli umili, lo giudicava degno della gloria più eccelsa, come mostrò la visione avuta da un frate assai virtuoso e devoto.

Questo frate, compagno di viaggio dell'uomo di Dio, pregando una volta con lui in una chiesa abbandonata, venne rapito in estasi.

Vide nel cielo molti seggi e, tra essi, uno più splendido e glorioso di tutti gli altri, costellato di pietre preziose.

Ammirando lo splendore di quel trono così eminente, cominciò a chiedersi ansiosamente chi mai fosse destinato ad occuparlo.

In mezzo a questi pensieri, udì una voce che gli diceva: « Questo seggio apparteneva a uno degli angeli ribelli ed ora è riservato per l'umile Francesco ».

Ritornato finalmente in sé, dopo quella preghiera estatica, il frate seguì il Santo che stava uscendo dalla chiesa.

Ripresero il cammino, parlandosi a vicenda di Dio secondo la loro abitudine, e allora quel frate, che aveva la visione ben impressa nella mente, colse abilmente l'occasione per chiedere a Francesco che opinione aveva di se stesso.

E l'umile servo di Cristo gli disse: « Mi sembra di essere il più gran peccatore ».

Il frate gli replicò che, in tutta coscienza, non poteva né pensare né dire una cosa simile.

Ma il Santo spiegò: « Se Cristo avesse trattato il più scellerato degli uomini con la stessa misericordia e bontà con cui ha trattato me, sono sicuro che quello sarebbe molto più riconoscente di me a Dio ».

Ascoltando questi umili parole, il frate ebbe la conferma che la sua visione era veritiera, ben sapendo che, secondo la testimonianza del santo Vangelo, il vero umile verrà innalzato a quella gloria eccelsa, da cui il superbo viene respinto.

[1112] 7. Un'altra volta, mentre pregava in una chiesa deserta della provincia di Massa, presso Monte Casale, un'ispirazione gli rivelò che in quella chiesa erano rimaste delle sacre reliquie.

Vide, non senza dolore, che esse ormai da lungo tempo erano rimaste prive dell'onore loro dovuto e comandò ai frati di portarle al loro luogo con devozione.

Ma, siccome egli si era allontanato per urgente motivo, i figli dimenticarono l'incarico avuto dal Padre, e persero il merito dell'obbedienza.

Un giorno, però, volendo celebrare i sacri misteri, appena tolgono il copritovaglia dell'altare, trovano delle ossa bellissime e stupendamente profumate: pieni di stupore, si vedono sotto gli occhi, portate dalla mano di Dio, le reliquie che gli uomini avevano dimenticato di trasferire.

Tornato dopo qualche tempo, l'uomo a Dio devoto, si informò premurosamente se avevano adempiuto quanto egli aveva comandato a proposito delle reliquie.

I frati confessarono umilmente di avere, per loro colpa, trascurato l'obbedienza e si ebbero, insieme, la pena e il perdono.

 E il Santo disse: « Benedetto il Signore, mio Dio, che ha voluto fare lui direttamente, quanto dovevate fare voi ».

Considera attentamente la premura che ha la Provvidenza per il nostro corpo di polvere e valuta a fondo quanto fosse eccellente la virtù dell'umile Francesco, agli occhi di Dio, il quale si inchinò ai suoi desideri, allorché l'uomo non aveva obbedito ai suoi comandi.

[1113] 8. Una volta, giunto ad Imola, si presentò al vescovo della città e chiese umilmente il permesso di convocare, col suo beneplacito, il popolo per la predica.

Il vescovo gli rispose duramente: « Frate, basto io per predicare al mio popolo ».

Chinò il capo, il vero umile, ed uscì.

Ma di lì a poco, eccolo di nuovo.

Il vescovo, piuttosto adirato, gli domanda che cosa vuole ancora.

Umile nella voce come nel cuore, egli risponde: « Signore, se un padre caccia il figlio da una porta, il figlio non può che rientrare dall'altra ».

Vinto dall'umiltà, il vescovo lo abbracciò e, con volto lieto, gli disse: « Per l'avvenire tu e tutti i tuoi frati avete il mio generale permesso di predicare nella mia diocesi: la santa umiltà ve lo ha meritato ».

[1114] 9. Gli capitò una volta di giungere vicino ad Arezzo, mentre l'intera città era sconvolta dalla guerra intestina e minacciava di distruggersi in breve tempo da se stessa.

Dal sobborgo, dove era alloggiato come ospite, vide sopra la città una ridda di demoni che infiammavano i cittadini, già eccitati, alla reciproca strage.

A scacciare quegli spiriti dell'aria, fomentatori della sedizione, inviò frate Silvestro, uomo semplice come una colomba, ingiungendogli: « Vai davanti alla porta della città e, da parte di Dio onnipotente, comanda ai demoni, in virtù di obbedienza, di andarsene in fretta ».

Corre, quel vero obbediente, a compiere i comandi del Padre, innalzando inni di lode alla presenza di Dio, e, giunto davanti alla porta della città, incomincia a gridare gagliardamente: « Da parte di Dio onnipotente e per comando del suo servo Francesco, andatevene via, lontano da qui, o demoni tutti quanti! ».

Immediatamente la città torna in pace e tutti i cittadini, in perfetta tranquillità, si adoperano a ripristinare fra loro i diritti della convivenza civile.

Così, scacciata la furibonda superbia dei demoni, che aveva assediato la città, circondandola di trincee, la sapienza del povero, cioè l'umiltà di Francesco, con il suo solo apparire, le restituì la pace e la salvò.

Infatti con l'ardua virtù dell'umile obbedienza Francesco aveva conseguito, sopra quegli spiriti ribelli e protervi, tale autorità e potere da permettergli di sgominare la loro ferocia e di mettere in fuga la loro dannosa violenza.

[1115] 10. I demoni superbi fuggono davanti alla eccelsa virtù degli umili, salvo in qualche caso in cui la divina clemenza permette che gli umili vengano schiaffeggiati, proprio per mantenerli in umiltà, come Paolo apostolo scrive di se stesso e come Francesco ha provato per esperienza diretta.

Il signor cardinale Leone di Santa Croce lo pregò con insistenza perché dimorasse per qualche tempo nel suo palazzo a Roma.

Il Santo, per venerazione ed amore verso di lui, accettò umilmente.

Ma la prima notte, quando voleva riposare dopo l'orazione, i demoni lo aggredirono con un terribile assalto, percuotendolo a lungo, crudelmente, e lasciandolo, alla fine, mezzo morto.

Quando se ne furono andati, l'uomo di Dio chiamò il compagno e gli narrò l'accaduto, aggiungendo: « Fratello, i demoni non hanno alcun potere, se non nel limite predisposto per loro dalla Provvidenza.

Perciò io credo che mi hanno assalito così ferocemente, perché la mia permanenza nella curia dei magnati non fa una impressione buona.

I miei frati che dimorano in luoghi poverelli, sentendo che io me ne sto con i cardinali, sospetteranno forse che mi sia invischiato nelle cose mondane, stando in mezzo agli onori e agli agi.

Giudico, pertanto, che sia meglio, per chi viene posto come esempio, stare lontano dalle curie e trascorrere con umiltà la vita tra gli umili, in luoghi umili.

Così egli sarà di conforto, vivendo nello loro stesse condizioni, per coloro che vivono in penuria ».

Vanno, dunque, al mattino e, con umili scuse, danno l'addio al cardinale.

[1116] 11. Il Santo aveva in orrore la superbia, origine di tutti i mali, e la disobbedienza, sua pessima figlia: Accoglieva, però, di buon grado chi umilmente si pentiva.

Una volta gli fu presentato un frate, che aveva trasgredito i comandi dell'obbedienza, perché lo correggesse con il magistero del castigo.

Ma l'uomo di Dio notò da segni evidenti che quel frate era sinceramente pentito e perciò si sentì incline ad essere indulgente con lui, per amore della sua umiltà.

Tuttavia, ad evitare che la facilità del perdono fosse per gli altri incentivo a mancare, comandò di togliere al frate il cappuccio e di gettarlo tra le fiamme, perché tutti potessero osservare quanta e quale vendetta esige la trasgressione contro l'obbedienza.

E dopo che il cappuccio era rimasto un bel pezzo nel fuoco, ordinò di levarlo dalle fiamme e di ridarlo al frate, umile e pentito.

Meraviglia: il cappuccio non aveva alcun segno di bruciatura!

Cosi avvenne che con questo solo miracolo Dio esaltò la potenza del Santo e l'umiltà del frate pentito.

Quanto è degna di essere imitata l'umiltà di Francesco, che anche sulla terra gli procurò una dignità così grande da piegare Dio ai suoi desideri, da trasformare completamente il cuore dell'uomo, da scacciare con un solo comando la protervia dei demoni e da frenare con un solo cenno la voracità delle fiamme.

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