Legenda Maior

V - Prigionieri liberati

[1288] 1. Una volta, in Romania, un uomo nativo del luogo, che era al servizio di un signore, venne accusato falsamente di furto.

Il governatore ordinò di rinchiuderlo in una angusta prigione, con pesanti catene.

Ma la padrona di casa, avendo compassione del servo, che riteneva assolutamente innocente della colpa imputatagli, continuava a pregare e a supplicare il marito, perché lo liberasse.

Visto che il marito rifiutava ostinatamente di ascoltarla, la padrona ricorse umilmente a san Francesco e raccomandò alla sua pietà l'innocente, facendo un voto.

Subito il soccorritore dei miseri intervenne e, nella sua bontà, visitò l'uomo in carcere.

Sciolse le catene, infranse le porte della prigione, prese per mano l'innocente, lo condusse fuori e gli disse: " Io sono colui, al quale la tua patrona devotamente ti ha affidato ".

Il prigioniero era invaso dal terrore, anche perché doveva scendere da quell'altissima rupe, circondata da una voragine.

Ma, mentre cercava di aggirarla, improvvisamente per la potenza del suo liberatore si ritrovò sul piano.

Ritornò dalla sua padrona, alla quale raccontò fedelmente la storia del miracolo, infiammandola ancor di più nell'amore di Cristo e nella devozione per il suo servo Francesco.

[1289] 2. Un poverello di Massa San Pietro doveva una somma di denaro ad un cavaliere.

Siccome la sua povertà non gli consentiva di pagare il debito, venne messo in prigione dietro richiesta del cavaliere.

Il debitore implorava umilmente pietà, chiedendo una dilazione per amore del beato Francesco.

Sprezzò il cavaliere superbo quelle preghiere e, da cianciatore, vilipese l'amore del Santo come una ciancia, rispondendo altezzosamente: " Ti rinchiuderò in un luogo e ti caccerò in una prigione tale che né san Francesco né alcun altro potrà aiutarti ".

E fece come aveva detto.

Trovò una prigione tenebrosa e vi gettò il debitore incatenato.

Ma poco dopo intervenne san Francesco, che infranse le porte della prigione, spezzò le catene e ricondusse l'uomo a casa sua.

In tal modo la potenza di san Francesco, lasciando deluso il cavaliere superbo, liberò dalla sventura il prigioniero che si era a lui affidato, e, con un altro ammirabile miracolo mutò l'animo del protervo cavaliere, che divenne mitissimo.

[1290] 3. Alberto d'Arezzo, tenuto in strettissima prigione per debiti che gli venivano addossati ingiustamente, affidò umilmente la propria innocenza a san Francesco.

Difatti egli amava molto l'Ordine dei frati minori e, fra i santi, venerava con speciale affetto san Francesco.

Ma il suo creditore replicò bestemmiando che non c'erano né Dio né Francesco che potessero liberarlo dalle sue mani.

Sopraggiunse la vigilia della festa di san Francesco e il prigioniero, per amore del Santo, osservò un perfetto digiuno, offrendo il proprio cibo a un bisognoso.

La notte successiva, mentr'egli vegliava, gli apparve san Francesco: al suo ingresso, i ceppi caddero dai piedi e le catene dalle mani, le porte si aprirono da sole, le tavole del soffitto saltarono via, e il prigioniero se ne tornò libero a casa sua.

Da allora egli mantenne il voto di digiunare alla vigilia di san Francesco e di aggiungere al cero, che ogni anno era solito offrire, un'oncia in più ogni anno, come segno della sua sempre crescente devozione.

[1291] 4. Al tempo in cui sedeva sulla cattedra di Pietro papa Gregorio IX, un certo Pietro, della città di Alife, accusato di eresia, fu preso prigioniero a Roma e, per mandato dello stesso pontefice, affidato alla custodia del vescovo di Tivoli.

Questi, impegnato a non lasciarselo sfuggire, pena la perdita del vescovado, lo fece incatenare e rinchiudere in un'oscura prigione, dove gli veniva dato il pane a peso a peso e l'acqua secondo misura.

Ma quell'uomo, avendo saputo che si approssimava la vigilia della festa di san Francesco, incominciò a invocarlo con molte preghiere e lacrime, perché avesse pietà di lui.

E siccome era tornato alla fede sincera, rinnegando ogni errore ed ogni prava eresia, e si era affidato con tutta la devozione del cuore a Francesco, campione della fede di Cristo, meritò di essere esaudito dal Signore, per intercessione del Santo.

La sera della sua festa, sull'imbrunire, il beato Francesco pietosamente scese nel carcere e, chiamando Pietro per nome, gli comandò di alzarsi in fretta.

Invaso dal terrore, il prigioniero gli domandò chi fosse e si sentì rispondere che era il beato Francesco.

Intanto vedeva che, per la presenza miracolosa del Santo, i ceppi erano caduti infranti ai suoi piedi, le porte del carcere si aprivano, mentre i chiodi saltavano via da soli, e gli si spalancava davanti la strada per andarsene.

Pietro vedeva tutto questo, vedeva che era libero: eppure, paralizzato dallo stupore, non riusciva a fuggire; soltanto si mise vicino alla porta e incominciò a gridare, facendo spaventare tutte le guardie.

Venuto a sapere da loro che il prigioniero era stato liberato dai ceppi e il modo in cui si erano svolte le cose, il pio vescovo si recò nel carcere e là, riconoscendo ben visibile la potenza di Dio, si inginocchiò ad adorare il Signore.

Quei ceppi furono poi mostrati al Papa e ai cardinali che, vedendo quanto era accaduto, benedissero Dio con sentimento di grandissima ammirazione.

[1292] 5. Guidolotto da San Giminiano fu accusato falsamente di aver avvelenato un uomo e di aver intenzione di sterminare con lo stesso mezzo il figlio di lui e tutta quanta la famiglia.

Perciò venne fatto imprigionare dal podestà del luogo e rinchiuso in una torre, tra pesantissimi ceppi.

Ma egli, forte e sicuro della propria innocenza, pieno di fiducia nel Signore, affidò la sua causa al patrocinio del beato Francesco.

Intanto il podestà andava escogitando come estorcergli con la tortura la confessione del crimine imputatogli e a quale genere di morte farlo condannare, una volta che avesse confessato.

Ma la notte precedente il giorno in cui doveva essere condotto alla tortura, il prigioniero fu visitato da san Francesco che, con la sua presenza, gli fece risplendere tutto intorno una luce immensa fino al mattino e lo ricolmò di gioia e di fiducia, assicurandogli la liberazione.

Sopraggiunsero al mattino i carnefici che lo trassero fuori dal carcere e lo sospesero al cavalletto, ammassando sul suo corpo molti pesi di ferro.

Più volte lo calarono a terra e lo risollevarono, per costringerlo a confessare il crimine più in fretta sotto l'incalzare dei tormenti.

Ma egli, con il coraggio dell'innocenza, conservava un volto lieto e non mostrava alcuna mestizia, in mezzo alle pene.

Lo sospesero, poi, a testa in giù e gli accesero sotto un gran fuoco; ma neppure uno dei suoi capelli bruciò.

Finalmente gli versarono addosso olio bollente.

Ma egli con l'aiuto miracoloso del patrono a cui aveva affidato la propria difesa, superò tutte queste prove e così, lasciato libero, se ne andò sano e salvo.

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