Anonimo perugino

Capitolo VI

Vita comune e amore vicendevole dei Frati

[1515] 25. Quando si rivedevano, erano talmente inondati di giocondità e gaudio spirituale, che non ricordavano più le avversità subìte e non facevano caso della loro dura povertà.

Ogni giorno erano solleciti nel pregare e nel lavorare con le loro mani, onde spazzar via ogni forma di oziosità nemica dell'anima.

Nella notte si levavano, secondo il detto del salmista: A mezzanotte io sorgevo a lodare il Signore e si consacravano all'orazione devotamente, commovendosi fino alle lacrime.

[1516] Si volevano bene l'un l'altro con affetto profondo, si servivano e procuravano il nutrimento con l'amore d'una madre verso i propri figli.

Tanto ardeva in essi il fuoco della carità, che avrebbero volentieri dato la vita l'un per l'altro, proprio come l'avrebbero data per il nome del Signore nostro Gesù Cristo.

[1517] 26. Un giorno, mentre due frati camminavano per una strada, trovarono un folle che lanciava contro di loro dei sassi.

Uno di essi, vedendo piovere i sassi sul suo compagno, gli si parò davanti, preferendo esserne colpito lui, anziché il suo amato fratello.

Scene di questo genere succedevano spesso.

Trasfigurati dalla carità e dall'umiltà, ciascuno riveriva l'altro come fa un servo col suo padrone.

E chiunque, per il suo incarico o per doni di grazia, fosse superiore agli altri, si riteneva più basso e vile degli altri.

Erano sempre pronti a obbedire: non appena si apriva la bocca che dava l'ordine, i piedi erano già in moto per andare, le mani già preparate a lavorare.

Qualunque cosa fosse loro comandata, ritenevano fosse volontà del Signore: e per questo riusciva loro piacevole e facile eseguire i comandamenti.

Si astenevano da desideri egoistici e, per non esser a loro volta giudicati, giudicavano severamente se stessi.

[1518] 27. Se per caso uno pronunciava parola che potesse dispiacere all'altro, ne provava tale rimorso, da non aver pace finché non avesse chiesto scusa.

Si prostrava a terra e si faceva mettere sulla bocca un piede del proprio fratello, per quanto costui riluttasse.

Se poi questi a nessun patto voleva compiere un simile gesto, se l'offensore era il prelato, gli comandava di compiere quel gesto, oppure ne chiedeva l'ordine al superiore.

Ci tenevano ad allontanare da loro ogni velo di malumore, affinché non fosse insidiata la perfetta carità reciproca.

Così s'ingegnavano ad opporre ai vari vizi le virtù corrispondenti.

[1519] Qualunque cosa avessero, fosse un libro, fosse una tonaca, era a disposizione di tutti, e nessuno osava dire sua qualunque cosa, appunto come si faceva nella Chiesa primitiva degli apostoli.

E sebbene l'unica cosa di cui abbondassero fosse la loro povertà, sempre erano generosi, e per amor di Dio facevano parte delle elemosine ricevute con chiunque gliene chiedesse.

[1520] 28. Andando per via, se trovavano poveri a domandar loro l'elemosina, non avendo altro da donare, regalavano parte del proprio vestito.

Uno scucì dalla tonaca il cappuccio e lo consegnò a un mendicante; altri davano un pezzo della tonaca, per osservare la parola del Vangelo: A chi ti chiede, dona.

Una volta alla chiesa della Porziuncola, dov'essi dimoravano, venne un poverello in cerca d'elemosina.

C'era lì un mantello, appartenuto a uno d'essi mentre ancora stava al secolo.

Francesco gli disse di regalarlo al mendico, e quello volentieri e prontamente lo consegnò.

E subito, per la bontà gentile dimostrata, parve al frate che quell'elemosina salisse al cielo, e si sentì ricolmo di uno spirito nuovo.

[1521] 29. Se poi dei ricchi di questo mondo si portavano da loro, li ricevevano allegri e benevoli, e li invitavano a distaccarsi dal male e a far penitenza.

Con insistenza i frati pregavano che non li si mandasse nei loro luoghi nativi, per sfuggire alla compagnia e familiarità dei consanguinei secondo sta scritto: Sono straniero ai miei fratelli ed estraneo ai figli di mia madre.

Erano felici di essere poveri, poiché non bramavano che le ricchezze eterne.

Non possedevano né oro né argento, e sebbene avessero in dispregio qualsiasi ricchezza di questo mondo, odiavano particolarmente e calpestavano il denaro.

[1522] 30. Un'altra volta, sempre mentre abitavano presso la Porziuncola, vennero colà delle persone e, di nascosto dai frati, lasciarono del denaro sull'altare.

Entrando in chiesa un frate, vide le monete e andò a deporle sul davanzale di una finestra.

Ma un altro le prese di lì e andò a portarle a Francesco.

Allora Francesco volle sapere chi era stato a mettere sul davanzale quei soldi.

Lo trovò, lo fece venire a sé e gli disse: « Perché hai fatto questo?

Non sapevi la mia volontà che i frati non solo non facciano uso di denaro ma neppure lo tocchino? ».

Udito ciò il frate chinò il capo, si mise in ginocchio, confessò la sua colpa, pregando gli venisse imposta la penitenza.

Il Santo gli ingiunse di portare fuori della chiesa quelle monete con la bocca e di andarle poi a deporre sullo sterco d'asino.

Il fraticello eseguì con diligenza l'ordine ricevuto.

Francesco insegnò poi ai frati che, dovunque trovassero denaro, lo avessero a vile.

Erano sempre pieni di gioia, perché nulla avevano che li potesse turbare.

Invero, quanto più erano divisi dal mondo, tanto maggiormente stavano congiunti a Dio.

Entrati nel sentiero stretto ed erto, ruppero i macigni, schiacciarono le spine: e così, grazie al loro esempio, hanno reso a noi seguaci più agevole il cammino.

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