Leggenda perugina

[1657] Ultima visita di « Frate » Jacoba

101. Un giorno Francesco fece chiamare i suoi compagni e disse: « Voi sapete come donna Jacopa dei Settesogli fu ed è molto fedele e affezionata a me e alla nostra fraternità.

Io credo che, se la informerete del mio stato di salute, riterrà ciò come una grazia grande e consolazione.

Fatele sapere, in particolare, che vi mandi, per confezionare una tonaca, del panno grezzo color cenere, del tipo di quello tessuto dai monaci cistercensi nei paesi d'oltremare.

E insieme, invii un po' di quel dolce che era solita prepararmi quando soggiornavo a Roma ».

Si tratta del dolce che i romani chiamano mostacciolo, ed è fatto con mandorle, zucchero o miele e altri ingredienti.

Jacopa era una donna spirituale, vedova, devota a Dio, una delle più nobili e ricche signore di Roma.

Per i meriti e la predicazione di Francesco ella aveva avuto da Dio tanta grazia da sembrare quasi una seconda Maddalena, teneramente devota fino alle lacrime.

Scritta che fu la lettera secondo le indicazioni del padre santo, un frate stava cercando chi la potesse recapitare, quando d'improvviso si udì bussare alla porta.

Il frate che corse ad aprire si trovò davanti donna Jacopa venuta da Roma in gran fretta per visitare Francesco.

Senza por tempo in mezzo, il frate fu tutto felice al capezzale di Francesco, annunziandogli come la signora era arrivata in compagnia del figlio e di numerose altre persone.

E domandò: « Padre, che facciamo? Dobbiamo lasciarla entrare e accostarsi a te? ».

In effetti, per volontà di Francesco, era stato stabilito, e ciò fin dai primi tempi, che in quel convento nessuna donna potesse entrare in clausura, per salvaguardare l'onorabilità e il raccoglimento della casa religiosa.

Rispose Francesco: « Il divieto non è applicabile a questa signora, che una tale fede e devozione ha fatto accorrere da così lontano ».

Jacopa entrò dunque da Francesco e al vederlo si mise a piangere.

Suscitò stupore che l'ospite avesse recato con sé il drappo funebre color cenere per confezionare la tonaca, e tutte le altre cose che le erano state chieste nella lettera.

La straordinaria coincidenza lasciò attoniti i frati, che vi scorsero un segno della santità di Francesco.

Donna Jacopa si rivolse loro e spiegò: « Fratelli, mentre stavo pregando, mi fu detto in spirito: - Va' e visita il tuo padre Francesco.

Affrettati, non indugiare, poiché se tu tardi non lo troverai vivo.

Gli porterai quel tale panno per la tonaca, e il necessario per preparargli un dolce.

Prendi con te anche gran quantità di cera per fare dei lumi e altresì dell'incenso - ».

Veramente, Francesco non aveva parlato di incenso nella sua lettera; ma il Signore ispirò alla nobildonna che ne portasse, come a ricompensa e consolazione della sua anima e affinché meglio conosciamo la grande santità di lui, ii povero che il Padre celeste volle circondare di tanto onore nei giorni della sua morte.

Colui che ispirò ai re Magi di avviarsi con donativi a rendere onore al diletto Bambino, figlio suo, nei giorni della sua nascita nella povertà, volle ispirare a quella gentildonna, che abitava lontano, di recarsi con doni a venerare il glorioso corpo santo del suo servo Francesco, il quale con tanto amore e slancio amò e imitò, in vita e in morte, la povertà del suo Figlio diletto.

Donna Jacopa preparò poi il dolce che piaceva a Francesco.

Ma egli lo assaggiò appena, poiché per la gravissima malattia le sue forze venivano meno inesorabilmente, e si appressava alla morte.

Fece fare anche numerose candele perché ardessero dopo il trapasso intorno alla salma venerata.

Con il panno che aveva recato, i frati confezionarono la tonaca con cui il Santo venne sepolto.

Francesco ordinò loro che vi cucissero sopra delle pezze di sacco, in segno ed esempio di umiltà e povertà.

E come piacque a Dio, proprio nella settimana che donna Jacopa era arrivata, Francesco migrò al Signore.

[1658] Gli ideali di umiltà e povertà

102. Fin dalla conversione, Francesco, con l'aiuto del Signore, fondò se stesso e la sua casa, vale a dire l'Ordine, da sapiente architetto, sopra solida roccia, cioè sopra la massima umiltà e povertà del Figlio di Dio, e lo chiamò Ordine dei frati minori.

Sopra la massima umiltà.

Per questo, nei primordi, quando i frati presero a moltiplicarsi, volle che abitassero nei lazzaretti a servizio dei lebbrosi.

A quel tempo, quando nobili e popolani si presentavano come postulanti, fra le altre cose che venivano loro annunziate, si diceva ch'era necessario servire ai lebbrosi e stabilirsi nei lazzaretti.

Sopra la massima povertà.

Infatti, nella Regola è fatto obbligo ai frati di vivere nelle loro abitazioni come stranieri e pellegrini, senza nulla voler possedere sotto il cielo all'infuori della santa povertà, grazie alla quale il Signore li nutre quaggiù di alimenti corporali e di virtù, e in futuro otterranno l'eredità celeste.

Costruì dunque se stesso sulle fondamenta di una perfetta umiltà e povertà.

Invero, pur essendo un grande prelato nella Chiesa di Dio, volle e prescelse di essere l'ultimo, non solo nella Chiesa ma anche in mezzo ai suoi fratelli.

[1659] Il Vescovo di Terni

103. Una volta mentre predicava al popolo di Terni nella piazza davanti all'episcopio, il vescovo della città, uomo saggio e spirituale, assisteva al sermone.

Terminato che fu, il vescovo si alzò e, fra altre parole di Dio, rivolse al popolo questa esortazione: « Da quando cominciò a piantare e edificare la sua Chiesa, il Signore non ha mai cessato d'inviare uomini santi, i quali con la parola e l'esempio l'hanno sostenuta.

E in questi ultimi tempi egli ha voluto illuminarla per mezzo di questo uomo poverello, semplice e illetterato » - e così dicendo mostrava con il dito Francesco a tutto il popolo -.

« Per questo siete tenuti ad amare e onorare il Signore, e a guardarvi dai peccati: poiché non ha fatto a tutte le nazioni un dono simile ».

Concluso che ebbe il discorso, il vescovo scese dal luogo dove aveva parlato ed entrò con Francesco nella chiesa cattedrale.

Allora il Santo si inchinò davanti al vescovo e si prostrò ai suoi piedi dicendo: « In verità ti dico, messer vescovo, che finora nessuno mi ha fatto a questo mondo un onore grande come quello fattomi oggi da te.

Gli altri dicono: - Questo è un santo uomo! -, attribuendo gloria e santità alla creatura e non al Creatore.

Ma tu, da uomo sagace, hai separato la materia preziosa da quella vile ».

[1660] Ancora sull'umiltà di Francesco

104. Spesso, quando gli si prodigavano onori e lo si celebrava come santo ribatteva con la frase: « Non sono ancora sicuro che non avrò figli e figlie! ».

E spiegava: « Infatti, in qualunque ora il Signore mi volesse togliere il suo tesoro, datomi in prestito, che altro mi resterebbe se non il corpo e l'anima, che anche gli infedeli possiedono?

Di più, devo esser convinto che se il Signore avesse dato a un ladrone o a un non credente le grazie concesse a me essi sarebbero più fedeli di me al Signore ».

Disse ancora: « Come nelle immagini del Signore e della beata Vergine dipinte su tavola si onora e ricorda Dio e la Madonna, e il legno e la pittura non attribuiscono tale onore a se stessi; così il servo di Dio è come una pittura, una creatura fatta a immagine di Dio, nella quale è Dio che viene onorato nei suoi benefici.

Il servo di Dio, dunque, simile a una tavola dipinta, non deve riferire nulla a se stesso l'onore e la gloria vanno resi a Dio solo, mentre a se stesso egli attribuirà vergogna e dispiacere, poiché sempre, finché viviamo, la nostra carne è ribelle alle grazie del Signore ».

[1661] Dimissioni di Francesco

105. Francesco volle essere umile in mezzo ai suoi fratelli.

Per conservare una più grande umiltà, pochi anni dopo la sua conversione, in un Capitolo celebrato presso la Porziuncola, egli rassegnò le dimissioni dall'incarico di prelato, dicendo alla presenza di tutti i frati convenuti: « Da ora io sono morto per voi.

Ma ecco frate Pietro di Cattanio al quale io e voi tutti obbediremo ».

Allora tutti i frati presero a piangere forte e a lacrimare.

Francesco si inchinò davanti a frate Pietro e gli promise obbedienza e riverenza.

[1662] Obbedienza del Santo

106. Non solo volle essere soggetto al ministro generale, ma anche ai ministri provinciali.

Infatti, in qualunque provincia soggiornasse o percorresse predicando, obbediva al ministro di quella provincia.

Più ancora, a maggior perfezione di umiltà, lungo tempo innanzi alla sua morte, disse una volta al ministro generale: « Voglio che tu affidi la cura che hai di me ad uno dei miei compagni.

Gli obbedirò come a te stesso: ché per il buon esempio e la virtù dell'obbedienza io voglio che tu resti sempre con me, in vita e in morte ».

E da allora fino al suo trapasso ebbe sempre come suo guardiano uno dei compagni; e gli obbediva in luogo del ministro generale.

[1663] Altra volta ebbe a confessare ai compagni: « Tra le altre grazie, l'Altissimo mi ha largito questa: obbedirei al novizio entrato nell'Ordine oggi stesso, se fosse mio guardiano come si trattasse del primo e più attempato dei fratelli.

Invero, il suddito non deve considerare nel prelato l'uomo bensì Colui per amore del quale si sottomette a un uomo ».

Disse pure: « Non ci sarebbe un prelato nel mondo intero, temuto dai sudditi e fratelli suoi quanto il Signore farebbe che io fossi temuto dai miei frati, qualora lo volessi.

Ma l'Altissimo mi ha donato questa grazia: sapermi adattare a tutti, come fossi il più piccolo frate nell'Ordine ».

Abbiamo visto con i nostri occhi ripetute volte, noi che siamo vissuti con Francesco, la verità di questa sua affermazione.

A più riprese, quando taluni frati non lo sovvenivano nelle sue necessità, o gli veniva rivolta qualche parola che produceva agitazione, subito il Santo si ritirava a pregare.

E tornandone, non voleva ricordare lo sgarbo, col dire: « Quel frate mi ha trascurato! », oppure: « Mi ha detto questa parola ».

E quanto più si avvicinava alla morte, tanto più si preoccupava di vivere e morire in tutta la perfezione dell'umiltà e della povertà.

[1664] Benedizione di Frate Bernardo

107. Il giorno in cui donna Jacopa preparò il dolce per Francesco, questi si sovvenne di frate Bernardo e disse ai compagni: « Questo dolce piacerebbe a frate Bernardo! ».

Si rivolse quindi a un compagno e gli disse: « Va' a dire a frate Bernardo che venga subito da me ».

Quello partì immediatamente e lo condusse da Francesco.

Frate Bernardo sedette vicino al letto dove giaceva il Santo, e gli disse: « Padre, ti prego di benedirmi e mostrarmi il tuo affetto.

Penso che se mi dài un segno di amore paterno, Dio stesso e gli altri frati mi vorranno più bene ».

Francesco, che aveva perduto la vista da molti giorni oramai, non riusciva a vedere il suo amico.

Stese la destra e la posò sul capo di Egidio, che fu il terzo nel gruppo dei primi frati, e sedeva in quel momento allato a Bernardo.

Ma tastando, come fanno i ciechi, il capo di Egidio, Francesco riconobbe subito per virtù dello Spirito Santo che si sbagliava, e disse: « Ma questo non è il capo del mio caro Bernardo! ».

Questi gli si fece appresso, e allora Francesco, ponendogli la mano sulla testa, lo benedisse.

Poi parlò a uno dei compagni: « Scrivi quello che sto per dire.

Il primo frate datomi dal Signore è stato Bernardo, che per primo abbracciò e compì la perfezione del Vangelo, distribuendo ai poveri ogni suo avere.

Per questo, e per i molti suoi meriti, io sono tenuto ad amarlo più che ogni altro frate dell'Ordine.

Voglio perciò e comando, per quanto sta in mio potere, che chiunque sia ministro generale, lo ami e onori come farebbe con me, e che i ministri provinciali e i frati tutti dell'Ordine lo considerino un altro me stesso ».

Queste parole furono per Bernardo e per i frati presenti un motivo di grande consolazione.

[1665] Predizione riguardante Bernardo

108. In altra occasione considerando Francesco l'alta perfezione di frate Bernardo, fece una profezia alla presenza di alcuni fratelli: « Vi dico che a Bernardo sono stati inviati demoni dei più grandi e subdoli, per metterlo alla prova.

Molte tribolazioni e tentazioni dovrà subire.

Ma il Signore misericordioso, quando Bernardo sarà prossimo alla fine, lo libererà da ogni pena e prova interiore ed esteriore e adagerà il suo spirito e il suo corpo in una pace, serenità e dolcezza tale, che tutti i fratelli che lo vedranno e udranno ne saranno vivamente sorpresi, ritenendo ciò un miracolo.

E Bernardo in quella quiete, serenità e dolcezza intima ed esteriore passerà da questo mondo al Padre ».

[1666] I frati che ascoltarono da Francesco questa predizione ispiratagli dallo Spirito Santo, furono poi molto meravigliati nel constatare che si realizzò alla lettera, punto per punto.

In effetti, durante la malattia che lo portò alla tomba frate Bernardo era in tale pace e serenità di spirito, che non voleva stare coricato.

E anche giacendo a letto, preferiva stare seduto, poiché temeva che il minimo annebbiamento montandogli alla testa, lo portasse a fantasticare e divagare inceppando così il suo pensiero fisso in Dio.

Se talvolta gli capitava questo, subito si alzava e si scrollava dicendo: « Cos'è stato? perché ho pensato così? ».

Per rianimarsi era solito aspirare volentieri acqua di rose.

Ma approssimandosi alla morte non ne volle più sapere, per non turbare l'ininterrotta meditazione di Dio, e a chi gliene offriva, diceva: « Non mi dare impaccio ».

Per morire in maggior libertà, tranquillità e pace, affidò la cura del suo corpo a un fratello medico che lo assisteva.

Gli disse: « Non voglio occuparmi di mangiare e bere.

Pensaci tu.

Se mi dài qualcosa, lo prendo; e se no, no ».

Da quando cadde malato, volle sempre aver vicino fino all'ora del trapasso un fratello sacerdote.

E quando gli veniva in mente qualcosa che gli turbava la coscienza, tosto lo confessava riconoscendosi in colpa.

Dopo la morte, diventò bianco, e il suo corpo rimase flessibile.

Sembrava sorridere.

Appariva più bello che da vivo.

Quelli che lo guardavano trovavano più piacevole vederlo così, che non quando era in vita: pareva un santo che sorridesse.

Indice