Cronaca di Salimbene De Adam

D) Alcuni grandi personaggi

40. Il grande missionario

[2638] Quando arrivai al primo convento dei frati dopo quello di Lione, nello stesso giorno ( anno 1247 ) vi arrivò frate Giovanni da Pian del Carpine, di ritorno dai Tartari, ai quali l'aveva mandato papa Innocenzo IV.

Era frate Giovanni un uomo molto alla mano, spirituale, letterato e gran parlatore, esperto in molte cose, ed era già stato ministro provinciale nell'Ordine.

Egli mostrò a noi la coppa di legno che portava per il Papa, sul fondo della quale era impressa, non da mano di pittori, ma per virtù delle costellazioni, l'immagine di una bellissima regina.

E se la rompevi in cento parti, quell'immagine risultava intatta in tutte cento.

Ci raccontava che era arrivato dal supremo signore dei Tartari, attraverso la fatica di un viaggio interminabile, tra pericoli senza numero, soffrendo fame, freddo, caldo; e che i Tartari veramente si chiamano Tattari, e mangiano carni equine e bevono latte di giumenti; che vide là con loro genti di tutte le nazioni, eccetto due soltanto, e non poté presentarsi all'imperatore se non vestito di porpora, ed era stato ricevuto e trattato con grande cortesia e gentilezza.

L'imperatore aveva voluto sapere quanti fossero a dominare in Occidente; e saputo che erano due, cioè il Papa e l'imperatore, e da questi due tutti ricevevano il potere, volle conoscere chi era il più grande.

Egli rispose che era il Papa, e allora gli presentò le lettere del Papa.

Dopo che le ebbe fatte leggere, disse che gli avrebbe dato lettere di risposta per il Papa.

Lo stesso frate Giovanni scrisse un grosso libro sui Tartari e sulle meraviglie del mondo, quali egli stesso le aveva viste, e lo faceva leggere.

Più volte lo vidi e l'ascoltai, tutte le volte che lo si costringeva a raccontare la storia dei Tartari; e quando chi leggeva non capiva, lui spiegava e si dilungava sulle singole cose.

41. Frate Giovanni da Parma

[2639] Era di statura mediocre, tendente al piccolo, bello e ben formato in tutte le membra, sano e resistente alle fatiche, sia dei viaggi che dello studio.

Aveva un volto d'angelo, sempre grazioso e lieto.

Era generoso, cortese, caritatevole, umile, mite, benigno e paziente.

Uomo di grande devozione e orazione, clemente e compassionevole.

Celebrava ogni giorno con tale devozione che gli astanti si sentivano riempiti di grazia.

Predicava con tale fervore al clero e ai frati, che strappava lacrime agli ascoltatori, come ho visto io più volte.

Eloquentissimo non si inceppava mai.

Era dotato di ottima scienza, perché era già prima buon grammatico e maestro di logica, e nell'Ordine fu grande teologo e disquisitore.

Lesse le Sentenze a Parigi, fu lettore per molti anni nei conventi di Bologna e di Napoli.

Quando passava per Roma, i frati lo costringevano a predicare, anche alla presenza dei cardinali, che lo stimavano grande filosofo.

Era uno specchio ed un esempio per tutti, perché la sua vita era tutta onestà, santità e purezza di costumi.

Caro a Dio e agli uomini.

Sapeva anche di musica e cantava molto bene.

Velocissimo e chiarissimo nello scrivere.

Quando dettava, le sue lettere erano in stile elegante e pieno di sentenze.

Fu il primo generale che si impegnò a visitare le province ...

[2640] 42. Anche Vattazio, imperatore dei Greci, avendo sentito la fama della santità di frate Giovanni da Parma, chiese al papa Innocenzo IV che gli mandasse frate Giovanni, ministro generale, perché sperava che per mezzo suo si potessero riportare i Greci all'unità con Roma.

E quando fu con lui, Vattazio tanto l'amò, che voleva dargli una infinità di doni.

Ma frate Giovanni li rifiutò e questo fu di grande esempio per Vattazio.

Riuscì soltanto a convincerlo ad accettare una specie di « frusta », che doveva portare nelle mani quando attraversava con i suoi compagni la Grecia.

Frate Giovanni l'accettò, credendola una frusta per sollecitare il cavallo ...

Ma i Greci, quando vedevano quel segno, che era il segno imperiale, tutti si inginocchiavano davanti a lui, come fanno i Latini quando viene alzato e mostrato il corpo di Cristo durante la Messa, e pagavano per lui e compagni tutte le spese.

Così frate Giovanni ritornò dal Papa, che l'aveva mandato.

[2641] 43. Nel tempo in cui frate Giovanni da Parma era lettore a Napoli, prima d'essere ministro generale, passando una volta per Bologna e stando a mangiare nella foresteria col suo compagno ed altri frati di passaggio, entrarono alcuni frati e lo alzarono di forza dalla mensa per condurlo a mangiare nel reparto degli infermi.

Ma egli, vedendo che il compagno rimaneva là e nessuno l'invitava, ritornò da lui dicendo: « Non mangerò altrove se non col mio compagno ».

Da parte degli invitati quel gesto fu giudicato poco delicato e da parte di Giovanni invece grande cortesia e fedeltà integrale.

[2642] Altra volta, quand'era generale e volendosi prendere un po' di riposo, venne al convento di Ferrara, dove aveva abitato per sette anni.

Osservando che si accomodavano alla mensa con lui sempre gli stessi frati, gli stessi al pranzo e alla cena e questo ogni giorno, riconobbe che il guardiano, frate Guglielmo da Bucea, parmense, faceva preferenze di persone.

La cosa gli spiacque assai, secondo quel verso: « L'uomo imprudente dispiace in ciò in cui vuole far piacere ».

Una sera, mentre frate Giovanni si lavava le mani per la cena, il frate inserviente chiese al guardiano: « Chi devo invitare? ».

Il guardiano gli rispose: « Chiama frate Giacomo da Pavia e frate Avanzio e il tale e il tal'altro ».

Questi poi avevano già lavato le mani e stavano dietro le spalle del generale, che li aveva ben visti prima.

Allora in ardore di spirito, ispirato, io penso, dallo spirito divino, cominciò a dire in forma di parabola: « Sì, sì. Chiama frate Giacomo da Pavia, chiama frate Avanzio, chiama il tale e il tal'altro.

Prenditi dieci parti!

Questa è la canzone dell'oca ».

Furono perciò confusi e pieni di rossore udendo queste cose quelli che erano stati invitati da Adonia, né minore fu la confusione del guardiano, che disse al ministro: « Padre, io invitavo questi a tenervi compagnia per fare onore a voi, dal momento che mi sembrano i più degni ».

Ma il ministro rispose: « Non dice forse la Scrittura a lode di Dio che Lui ha fatto il piccolo e il grande e di tutti ha cura?

E il Signore: Lasciate che i piccoli vengano a me.

San Giacomo poi dice: Dio ha scelto i poveri agli occhi del mondo; e finalmente il Signore stesso dice, al capitolo XIV di san Luca: Quando fai un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli, né i parenti, né i vicini ricchi, perché essi non ti ricambino l'invito e tu abbia la ricompensa.

Ma quando fai un convito, chiama i poveri, ecc. ».

Io ascoltavo queste parole perché era lì vicino.

Allora l'inserviente domandò al guardiano: « Dunque chi devo chiamare? ».

Quegli rispose: « Fai come ti dirà il ministro».

E il ministro disse: « Vai, e chiama i fratelli poveri del convento, perché questo è un ufficio per il quale tutti possono accompagnarsi al ministro ».

Se ne andò dunque il frate che doveva servire, al refettorio e disse ai frati più deboli e più poveri, quelli che raramente mangiavano fuori refettorio: « Il ministro generale vi invita alla cena con lui; vi comando perciò, da parte sua, che subito vi rechiate da lui ».

E così fu fatto.

[2643] Frate Giovanni da Parma, ministro generale, voleva infatti che, quando si recava, in occasione non prevista, in qualche convento di frati minori, che fossero i frati più poveri o, tutti insieme, oppure ora questi ora quelli a mangiare con lui, fino a quando si tratteneva nella foresteria ( cioè fino a quando non si recava nel refettorio comune a mangiare, ciò che sempre faceva dopo un breve riposo dal viaggio e dalla fatica, se si tratteneva qualche tempo in qualche luogo ), affinché la sua venuta fosse per loro di sollievo e di gioia ...

Frate Giovanni da Parma era una persona a disposizione di tutti, senza particolare preferenza per qualcuno, ed era cortese e generoso alla mensa, al punto che se aveva diversità di buon vino davanti a sé, ne faceva mescere egualmente a tutti oppure lo versava in una brocca perché tutti ne bevessero.

E questa era ritenuta cortesia e carità grandissima da parte di tutti.

[2644] 44. Ancora frate Giovanni da Parma, mentre era ministro generale, appena sentiva la campanella che chiamava i frati a mondare le verdure, accorreva anche lui a lavorare con gli altri frati, come ho visto io con i miei occhi ..., così pure partecipava all'ufficio divino il giorno e la notte, specialmente a vespro, mattutino e messa; e qualunque cosa gli chiedeva il cantore, subito la faceva, incominciando le antifone, cantando responsori e letture, dicendo la messa conventuale.

45. Frate Ugo di Digne, « maximus Ioachita »

[2645] In seguito, via mare raggiunsi Marsilia e da Marsilia mi recai a Hyères per vedere frate Ugo da Bariola, detto anche Digne e, in Italia, frate Ugo di Montpellier.

Era questi uno degli ecclesiastici più colti del mondo e solenne predicatore, caro al clero e al popolo, grandissimo nelle dispute e preparato in ogni campo.

Superava tutti, aveva l'ultima parola in tutte le questioni, era fortissimo parlatore ed aveva una voce potente, come di tromba squillante o di grande tuono e d'acque abbondanti nello strepito d'una cascata.

Mai una parola incontrollata o incerta.

Aveva sempre pronta la risposta a tutto.

Cose meravigliose diceva della curia celeste, cioè della gloria del paradiso e cose terribili delle pene infernali.

Era oriundo della provincia di Provenza, di statura media, di pelle piuttosto oscura.

Era un uomo spirituale in sommo grado, così che avresti creduto di vedere un altro Paolo o un altro Eliseo.

Quello che l'Ecclesiastico al capitolo 48,12 dice di Eliseo, lo si può ripetere anche di lui: Egli durante la vita non tremò di fronte ai principi e nessuno poté mai vincerlo in potenza, né alcuna parola fu troppo grande per lui.

E difatti parlava con la stessa disinvoltura così in concistoro davanti al Papa e ai cardinali, come ai fanciulli radunati per giocare, e questo sia a Lione, sia prima quando la curia era a Roma.

Tutti tremavano quando lo sentivano predicare, come il giunco nell'acqua ...

[2646] 46. Ricordo che, quand'ero giovane e abitavo al convento di Siena, in Toscana, frate Ugo, di ritorno dalla curia romana, diceva cose meravigliose della gloria del paradiso e del disprezzo del mondo davanti ai frati minori e ai predicatori ch'erano venuti ad incontrarlo per vederlo.

E qualunque questione gli veniva sottoposta, a tutto e subito rispondeva.

E tutti quanti l'udivano rimanevano ammirati per la sua prudenza e le sue risposte.

[2647] 47. Frate Ugo volentieri e più di frequente abitava in questa città di Hyères.

C'erano qui molti notai e giudici, medici e altri letterati; essi nei giorni di festa si davano convegno nella camera di frate Ugo per ascoltarlo mentre parlava della dottrina dell'abate Gioacchino e insegnava ed esponeva i misteri della Scrittura e prediceva le cose future.

Era infatti un grande gioachimita ed aveva tutte le opere dell'abate Gioacchino scritte a grandi lettere.

Io stesso avevo interesse a questa dottrina per ascoltare frate Ugo.

Infatti, prima d'allora ne ero già a conoscenza e avevo sentito esporre questa dottrina quando abitavo a Pisa, da un certo abate dell'Ordine da Fiore, un vecchio e santo uomo, che aveva collocati al sicuro tutti i suoi libri editi da Gioacchino nel convento di Pisa, per timore che l'imperatore Federico facesse distruggere il suo monastero, sito tra Lucca e Pisa, sulla strada per la città di Luni.

Riteneva infatti che in Federico proprio in quel tempo si sarebbero compiuti tutti i misteri, perché era allora in aperta rottura con la Chiesa.

48. San Ludovico di Francia

[2648] Era il re Ludovico di Francia sottile e gracile, magro e alto, volto angelico e faccia graziosa.

E veniva alla chiesa dei frati ( per il capitolo ) senza pompa regale, in abito da pellegrino, con sacca e bastone al collo al posto delle decorazioni regie.

Non a cavallo, ma a piedi, e lo seguivano i suoi tre fratelli, con uguale umiltà e abito ...

Si poteva crederlo un monaco quanto alla devozione, più che un guerriero valoroso per le armi da guerra.

Entrato nella chiesa dei frati, genuflesse davanti all'altare sostando in preghiera ...

Poi il Re con voce alta e chiara disse che nessuno doveva entrare nell'aula capitolare se non i cavalieri insieme ai frati, perché voleva parlare loro.

E quando fummo radunati a capitolo, il Re cominciò a informarci sulle necessità sue e del regno, raccomandò se stesso, i suoi fratelli, la regina, la madre sua e tutto il regno, e genuflettendo implorò le preghiere e le suppliche dei frati ...

Ascoltate le parole di frate Giovanni da Parma, il Re ringraziò il ministro generale, e fu così felice per la sua risposta che volle averla scritta con lettere autentiche confermate col sigillo dell'Ordine.

E così fu fatto.

Quel giorno il Re si assunse il carico di tutte le spese, e mangiò con i frati nel loro refettorio ...

49. I frati minori, gente disperata

[2649] Non va passata sotto silenzio una cosa: che i Fiorentini non si scandalizzano se un frate minore lascia l'Ordine, anzi lo scusano dicendo: « Ci meravigliamo che ci è stato sì gran tempo, poiché i frati minori conducono una vita disperata e si tormentano in troppi modi ».

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