Contro Giuliano

Indice

Libro VI

23.70 - Esegesi di Rm 7,14ss

Riguardo alle parole dell'Apostolo: So infatti che il bene non dimora in me, vale a dire nella mia carne … ( Rm 7,18 ) ecc., fino a: Ah me infelice!

Chi mi libererà da questo corpo fonte di morte? ( Rm 7,24 ) tu sostieni che le ho interpretate "in maniera diversa da come deve essere interpretato tutto il capitolo".

Senza saperlo, mi attribuisci molto.

Non sono infatti né il primo né il solo ad intendere questo passo che distrugge la vostra tesi come dev'essere inteso secondo verità.

In un primo tempo anzi l'avevo inteso diversamente, o meglio non l'avevo compreso affatto, come testimoniano alcuni miei scritti di quel tempo.31

Mi sembrava infatti che l'Apostolo non avesse potuto dire di se stesso, che era spirituale: ma io sono carnale ( Rm 7,14 ), e che era tenuto prigioniero dalla legge del peccato esistente nelle sue membra.

Ritenevo che queste parole non si potessero riferire se non a quelli che la concupiscenza teneva tanto soggiogati a se stessa da spingerli a fare tutto ciò che essa voleva.

Mi sembrava una pazzia attribuire una cosa del genere all'Apostolo, se si pensa che una innumerevole schiera di santi con lo spirito si oppone alla carne per non portare a compimento le sue voglie.

Più tardi mi sono arreso ad interpretazioni migliori e più chiare o piuttosto alla verità stessa che bisogna professare, e nelle parole dell'Apostolo ho visto il gemito dei santi che combattono contro la concupiscenza della carne.

Essi, pur essendo spirituali nella mente, trovandosi ancora immersi in questo corpo corruttibile che appesantisce l'anima, ( Sap 9,15 ) sono giustamente ritenuti carnali, ma saranno spirituali anche nel corpo, quando, dopo aver seminato un corpo in condizione terrena, si risorge in un corpo spirituale. ( 1 Cor 15,44 )

Per ora sono ancora ritenuti prigionieri sotto la legge del peccato nella parte che soggiace ai movimenti dei desideri a cui non acconsentono.

E così è avvenuto che queste cose le ho intese come l'hanno intese Ilario, Gregorio, Ambrogio e tutti gli altri illustri e santi Dottori della Chiesa, i quali hanno capito che lo stesso Apostolo ha dovuto lottare strenuamente contro le concupiscenze carnali, che non voleva ma che tuttavia aveva, ed hanno capito altresì che con quelle sue parole l'Apostolo ha dato una testimonianza del suo conflitto.32

Anche tu, d'altronde, hai ammesso che i santi debbono esercitare gloriose lotte contro quei movimenti, innanzitutto per debellarli perché non abbiano il sopravvento, e poi per sanarli perché siano estinti del tutto.33

Se combattiamo insieme, riconosciamo insieme le parole di chi combatte.

In tal modo non viviamo noi, ma Cristo vive in noi, purché in questa lotta contro la concupiscenza e nel conseguimento della vittoria fino alla distruzione totale dei nostri nemici, abbiamo fiducia in lui e non in noi.

Egli infatti divenne per noi sapienza e insieme giustizia e santificazione e redenzione, affinché, come sta scritto: Colui che si gloria, si glori nel Signore. ( 1 Cor 1,30-31 )

23.71 - Chi possiede lo Spirito di Cristo lotta contro la carne

Non è contraddittorio pertanto dire: Non più io vivo, ma Cristo vive in me ( Gal 2,20 ) e nello stesso tempo: So bene che il bene non dimora in me, vale a dire nella mia carne. ( Rm 7,18 )

Solo in quanto Cristo vive in lui, egli supera ed espugna il fatto che nella sua carne non c'è il bene ma il male.

Nessuno spirito infatti potrebbe opporsi alla sua carne se in lui non abitasse lo spirito di Cristo.

Ben lungi quindi l'affermare, come vai insinuando, che "l'Apostolo ha scritto queste cose per dimostrarsi renitente ad essere condotto verso qualche sgualdrina dalle mani del pestifero piacere".

Ha detto infatti: Non sono più io che lo compio, ( Rm 7,20 ) per dimostrare che la concupiscenza della carne provoca l'impulso della libidine, senza il consenso del peccato.

23.72 - L'Apostolo non parlava della superbia dei giudei

Perché tenti inutilmente di "applicare queste parole all'orgoglio dei Giudei, quasi che l'Apostolo li abbia trasfigurati in se stesso perché disprezzavano i doni di Dio, come se non fossero loro necessari"?

Questo è il vostro sospetto.

Ma volesse il cielo che dei doni di Cristo pensassi almeno che valgono qualcosa per farti vincere la concupiscenza.

Tu affermi che i Giudei disprezzavano quei doni perché "egli perdonava i peccati che avrebbero evitato di commettere seguendo l'ammonimento della legge".

Quasi che la remissione dei peccati conferisse all'uomo il beneficio che la carne non avesse più concupiscenza contro lo spirito, ( Gal 5,17 ) donde sono derivate le parole: So che il bene non dimora in me, vale a dire nella mia carne, ( Rm 7,18 ) e tutte le altre parole simili.

Non recedi dal vostro domma secondo cui la grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore è ordinata alla sola remissione dei peccati e non all'aiuto per evitare i peccati e vincere i desideri della carne, riversando l'amore di Dio nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo elargitoci. ( Rm 5,5 )

Non pensi neppure che chi dice: Sento nelle mie membra un'altra legge in conflitto con la legge della mia ragione, ( Rm 7,23 ) dichiara altresì di non poter essere liberato se non dalla grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore, di non essere giudeo e di non affaticarsi perché ha peccato, ma perché non pecchi più.

23.73 - L'Apostolo si dice spirituale e carnale

Tu dici che "l'Apostolo esagera la forza dell'abitudine".

Rispondimi allora: il battesimo non combatte forse contro questa forza?

Se dici di no, contraddici l'esperienza di tutti i cristiani.

Se, al contrario, ammetti che combatte, perché nelle parole dell'Apostolo non riconosci la voce di chi combatte?

"Per mezzo di una legge buona e di un comandamento santo, continui, l'animo dei cattivi si era inferocito perché, mancando la volontà propria, nessuna istruzione aveva potuto ispirare la virtù".

O acuto pensatore! O illustre espositore delle parole divine!

Che ne fai delle parole: Non faccio il bene che voglio ( Rm 7,15 ) e: Volere il bene è alla mia portata; ( Rm 7,18 ) e: Compio ciò che non voglio; ( Rm 7,19 ) e: Io mi diletto, seguendo l'uomo interiore, della legge di Dio? ( Rm 7,22 )

Ascolti queste parole e poi dici che la virtù è mancata perché mancava la volontà.

Che dici se lì c'era non solo la volontà ma anche la virtù, per non acconsentire alla concupiscenza della carne, che con i suoi moti serviva la legge del peccato?

Pur non cedendo ad esse e non offrendo le sue membra quali armi di ingiustizia al servizio del peccato, ( Rm 6,13 ) mentre nella sua carne sentiva qualcosa che in opposizione alla sua volontà aveva voglie contro lo spirito e nello stesso tempo con lo spirito nutriva desideri contro la carne, con sincerissima voce di castità poteva dire: Io stesso con la ragione servo la legge di Dio e con la carne la legge del peccato. ( Rm 7,25 )

La legge dunque è santa e santo e giusto e buono è il precetto.

Una cosa buona sarebbe allora diventata la mia morte? No, di certo.

Piuttosto il peccato, per apparire tale, per mostrarsi all'estremo peccaminoso, mi causò la morte servendosi di una cosa buona. ( Rm 7,12-13 )

Queste parole dell'Apostolo, da te citate, si comprendono bene se vengono riferite alla sua vita passata, quando era ancora sotto la legge e non sotto la grazia.

Usa infatti anche il verbo al passato quando dice: Io non conobbi il peccato se non per mezzo della legge. ( Rm 7,7 )

E realmente non avrei conosciuto la concupiscenza ( Rm 7,7 ) … ha prodotto in me ogni sorta di voglie ( Rm 7,13 ) … un tempo, senza la legge io vivevo ( Rm 7,9 ) ( quando non poteva ancora avere l'uso della ragione ); ma quando venne il precetto, il peccato prese vita ed io morii; ( Rm 7,9-10 ) … il peccato, cogliendo occasione dal precetto, mi sedusse e per mezzo di esso mi uccise ( Rm 7,11 ) … mi causò la morte servendosi di una cosa buona. ( Rm 7,13 )

Con tutte queste espressioni voleva significare il tempo in cui viveva sotto la legge e, non avendo ancora l'aiuto della grazia, era sconfitto dalle concupiscenze carnali.

Quando invece dice: La legge è spirituale, ma io sono carnale, ( Rm 7,14 ) dimostra quello che soffriva nel conflitto.

Non dice infatti "fui" oppure "ero" carnale, bensì sono carnale.

Ancor più apertamente distingue i tempi quando dice: E non sono più io che opero il male bensì il peccato che abita in me. ( Rm 7,17 )

Non era lui che operava il movimento dei cattivi desideri, a cui egli non prestava il suo consenso per commettere il peccato.

Col nome del peccato che dimorava in lui indicava la concupiscenza stessa, giacché essa è derivata dal peccato e, attraendo e allettando chi vi acconsente, concepisce e partorisce il peccato.

Le rimanenti parole fino a: io con la ragione servo la legge di Dio e con la carne la legge del peccato, ( Rm 7,25 ) si riferiscono a lui già costituito in grazia, ma ancora in lotta contro la concupiscenza, mentre non acconsentiva al peccato, ma sperimentava i desideri del peccato a cui resisteva.

23.74 - Non viene accusata la natura della carne, ma la sua concupiscenza

Nessuno di noi accusa la sostanza del corpo, nessuno la natura della carne.

Inutilmente quindi giustifichi ciò che noi non incolpiamo.

Non neghiamo tuttavia che dentro di noi ci sono le cattive concupiscenze alle quali non acconsentiamo se viviamo bene.

Le dobbiamo castigare, frenare, sconfiggere, vincere: esse però ci sono e non sono estranee a noi.

Non sono nostri beni ma nostri mali.

Né, come affermano i manichei, esisteranno fuori di noi, ma, una volta sanate, non esisteranno più, come afferma la verità cattolica.

24.75 - L'esegesi di Rm 15,12 fatta dai pelagiani

Solo la tua straordinaria sfacciataggine, solo la tua demenza, direi, può respingere la fondatissima fede espressa nelle parole dell'Apostolo: Per opera di un solo uomo il peccato entrò nel mondo e attraverso il peccato la morte; così la morte passò su tutti gli uomini, perché tutti peccarono in lui. ( Rm 5,12 )

Invano cerchi di cavar fuori un senso nuovo e distorto in contrasto con quello vero, affermando che in quella frase è stato detto: Perché tutti peccarono in lui, come se si dicesse: "E per questo motivo tutti peccarono", così come era stato detto: Per questo motivo ( in quo ) il più giovane corregge la sua vita. ( Sal 119,9 )

Praticamente vorresti dire che non si deve intendere nel senso che tutti gli uomini hanno peccato all'inizio in un solo uomo, uniti insieme come in una massa, ma che hanno peccato proprio perché quel primo uomo aveva peccato, vale a dire, hanno peccato imitandolo e non perché sono stati generati da lui.

L'espressione "in lui" col senso di "e per questo motivo", non si adatta a questo significato.

Si pecca infatti per il motivo che ciascuno si propone nel peccare, o in qualsiasi altro modo si presenti un'occasione di peccato.

Chi può mai essere tanto insensato da dire che quest'uomo ha commesso omicidio perché, nel Paradiso, Adamo ha mangiato il frutto dell'albero proibito, mentre sappiamo che in una rapina ha ucciso un altro uomo, non pensando affatto ad Adamo, ma semplicemente perché si potesse appropriare dell'oro che portava?

In ugual modo tutti gli altri peccati che ciascuno commette personalmente hanno un motivo per il quale sono commessi, anche se nessuno ricorda il peccato commesso da quel primo uomo né se lo propone come esempio nel peccare.

Di conseguenza non si può neppure dire che Caino, che pur aveva conosciuto suo padre, ha peccato perché aveva peccato Adamo.

Ci è noto infatti il motivo per cui ha ucciso il fratello: non di certo perché Adamo aveva commesso una colpa, ma semplicemente perché era invidioso del bene di suo fratello.

24.76 - L'Apostolo non parla di imitazione

In definitiva, neppure le testimonianze che hai addotte suffragano questa vostra interpretazione.

L'interpretazione di per questo motivo il più giovane corregge il suo cammino, è giusta perché segue la frase: osservando le tue parole.

Il giovane corregge il suo cammino perché medita le parole di Dio come bisogna meditarle; meditandole le osserva ed osservandole vive rettamente.

La causa per cui corregge il suo cammino dunque sta precisamente nell'osservare la parola di Dio.

Anche le parole del beatissimo Stefano: Mosè si diede alla fuga per queste parole, ( At 7,29 ) si intendono bene nel senso di "proprio a causa di queste parole" perché egli le sentì, ne ebbe paura, le meditò per fuggire: esse furono la causa del suo fuggire.

In tutte queste espressioni è stato forse detto qualcosa che possa rapportarsi ad una imitazione, per cui l'uno imita l'altro senza pensarlo affatto, cosicché in nessun modo si possa dire che ha peccato perché ha peccato un altro, in cui non era presente in origine, ed a cui non ha pensato affatto quando ha commesso il suo peccato personale?

24.77 - Il primo e il secondo Adamo

"Se Paolo parlava della trasmissione del peccato originale, tu affermi, in nessun caso avrebbe detto con maggior congruenza: Il peccato si è trasmesso perché tutti sono stati generati dal piacere dei coniugi; ma avrebbe aggiunto: Si è trasmesso in quelli che hanno avuto origine dalla carne corrotta del primo uomo".

Non ti rendi conto però che allo stesso modo ti si può dire: Se l'Apostolo parlava della imitazione del peccato, in nessun caso avrebbe detto con maggiore congruenza: Il peccato si è trasmesso perché vi era stato in precedenza il peccato del primo uomo; ma avrebbe aggiunto: Si è trasmesso perché tutti hanno peccato ad imitazione di quell'uno solo.

Se in questa circostanza l'Apostolo avesse parlato secondo il tuo o il mio arbitrio, si sarebbe espresso in una di queste due maniere.

Ma siccome non ha detto né quello che dici tu né quello che dico io, vorresti forse che nelle sue parole non si intenda né il peccato originale dei cattolici, né il peccato d'imitazione dei pelagiani?

Penso che non voglia questo.

Metti da parte dunque quelle cose che possono essere dette con la stessa forza dall'una e dall'altra parte e, se non ti dispiace esaminare senza contese ciò che l'Apostolo ha detto, considera cosa faceva per poterlo dire.

Scoprirai che attraverso un solo uomo l'ira di Dio è arrivata sul genere umano ed attraverso un solo uomo arriva la riconciliazione con Dio di quelli che gratuitamente sono liberati dalla condanna di tutto il genere umano.

Quello è il primo Adamo, fatto dalla terra, questo è il secondo Adamo fatto da una donna.

Lì per mezzo del Verbo è stata creata la carne; qui il Verbo stesso si è fatto carne, affinché per la sua morte potessimo vivere noi che eravamo morti perché l'avevamo lasciato.

Ma Dio, scrive l'Apostolo, dimostra il suo amore verso di noi per il fatto che Cristo è morto quando si era ancora peccatori.

A maggior ragione quindi ora che siamo stati riconciliati nel suo sangue saremo salvi dall'ira divina per suo merito. ( Rm 5,8-9 )

24.78 - A causa di un solo uomo l'ira di Dio sul genere umano

Di quest'ira egli dice: Eravamo così per natura figli dell'ira, alla stessa maniera degli altri. ( Ef 2,3 )

Di essa il profeta Geremia dice: Maledetto il giorno in cui sono nato, ( Ger 20,14 ) ed il santo Giobbe: Perisca il giorno nel quale fui generato, ( Gb 3,3 ) ed ancora in un altro passo: L'uomo, nato da una donna, ha una vita breve e piena di affanni.

Come un fiore sboccia e appassisce; fugge come l'ombra e non si arresta; sopra di lui tieni gli occhi aperti e lo citi in giudizio con te.

Chi mai potrà uscire puro dall'immondizia?

Nessuno, anche se la sua vita sarà di un solo giorno. ( Gb 14,1-5 sec. LXX )

Il libro dell'Ecclesiastico di quest'ira dice: Ogni uomo s'invecchia come una veste; c'è un decreto da sempre: morrai! ( Sir 14,18 ) ed ancora: Dalla donna ha avuto origine il peccato e per essa tutti moriamo; ( Sir 25,24 ) ed ancora: Un gravame ha assegnato Dio e un giogo pesante è sui figli dell'uomo, dal giorno nel quale sono usciti dal seno della madre fino al giorno nel quale ritorneranno alla madre di tutti. ( Sir 40,1 )

Sempre di quest'ira l'Ecclesiaste aggiunge: O vanità delle vanità, tutto è vanità.

Che vantaggio ricava l'uomo da tutta la pena per cui fatica sotto il sole? ( Qo 1,2-3 ) e l'Apostolo ribatte: Ogni creatura è stata sottomessa alla vanità. ( Rm 8,20 )

Per quest'ira il Salmo piange: Ecco, di due palmi hai fatto i miei giorni e la mia vita è nulla dinanzi a te.

Sì, ogni uomo è costituito da un puro soffio, ( Sal 39,6 ) ed un altro Salmo: I loro anni sono come cose da nulla: al mattino sono come erba che cresce; al mattino fiorisce e ricresce; a sera avvizzisce e si affloscia. Infatti siamo consunti dalla tua ira e siamo atterriti dalla tua destra.

Hai posto le nostre colpe davanti a te, i nostri segreti nella luce del tuo volto.

Perché tutti i nostri giorni sono svaniti per il tuo furore, abbiamo compiuto i nostri anni come un sospiro. ( Sal 90,5-9 )

24.79 - Nessuno è liberato dall'ira di Dio se non per mezzo di Cristo

Nessuno potrà essere liberato da quest'ira se dal Mediatore non sarà riconciliato con Dio.

Proprio per questo motivo lo stesso Mediatore dice: Chi si rifiuta di credere al Figlio non vedrà la vita, ma la collera di Dio incombe su di lui. ( 1 Gv 5,12 )

Bada che non ha detto "incomberà", ma incombe su di lui.

Gli adulti, dunque, per mezzo della propria mente e della propria bocca e i bambini per mezzo di quella degli altri credono e professano di dover essere riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, affinché l'ira di Dio non incomba su di essi, che sono stati resi colpevoli anche a causa dell'origine viziata.

Parlando di essa Paolo scrive: Cristo è morto per noi quando si era ancora peccatori.

A maggior ragione quindi ora che siamo stati riconciliati nel suo sangue saremo salvi dall'ira divina per suo merito.

Se infatti fummo riconciliati con Dio mediante la morte del Figlio suo quando gli eravamo nemici, a più forte ragione ora, riconciliati ormai con lui, saremo salvi nella sua vita.

E non solo siamo riconciliati, ci gloriamo altresì in Dio per il Signore nostro Gesù Cristo, grazie al quale abbiamo ora ottenuto la riconciliazione.

È vero, per opera di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e attraverso il peccato la morte; così la morte passò su tutti gli uomini, perché tutti peccarono in lui. ( Rm 5,8-12 )

Ci è manifesto quindi cosa faceva l'Apostolo per dire questo.

Andate ora voi e sottraete i bambini a questa riconciliazione che avviene per mezzo della morte del figlio di Dio, che è venuto nel mondo senza peccato, cosicché l'ira di Dio rimanga su di essi a causa di colui per il quale il peccato entrò nel mondo.

Come si può parlare di imitazione quando leggiamo: Il giudizio che tenne dietro a quel solo peccato si conchiuse con una condanna, ma l'opera di grazia che venne dopo le tante colpe si conchiuse con la giustificazione? ( Rm 5,16 )

Perché abbiamo la grazia della giustificazione dopo le tante colpe, se non perché oltre a quel primo peccato di origine ha trovato da distruggere molti altri che se n'erano aggiunti?

Diversamente, anche la condanna avrebbe dovuto derivare dalle molte colpe che gli uomini avevano commesso ad imitazione del primo, così come da essi era arrivata la giustificazione dopo le tante colpe, perdonate le quali, essi respiravano in grazia.

Ma siccome era sufficiente solo quello perché ci fosse la condanna, mentre alla grazia non era sufficiente distruggere solo quello perché ci fosse la giustificazione con la remissione di tutti i peccati, è stato scritto: Il giudizio che tenne dietro a quel solo peccato si conchiuse con una condanna ma l'opera di grazia che venne dopo le tante colpe si conchiuse con la giustificazione.

Come i bambini, pur non potendo ancora imitare Cristo, possono appartenere alla sua grazia spirituale, così, senza l'imitazione del primo uomo, sono legati da lui attraverso il contagio della generazione carnale.

Se poi pretendi che siano estranei a peccato del primo uomo perché non lo hanno imitato con la propria volontà, per la medesima ragione dovrai dire che sono estranei alla giustizia di Cristo perché neppure lui hanno imitato con la propria volontà.

24.80 - Tutti muoiono in Adamo, tutti sono vivificati in Cristo

Riguardo poi al fatto che non vuoi dare al molti, detto in un secondo tempo, il senso di tutti, detto in precedenza, ritenendo che "sia stata usata la parola "molti" per non indicare "tutti"", potrai dire la stessa cosa del seme di Abramo a cui erano state promesse tutte le genti. ( Gen 22,18 )

Potrai dire infatti che non è vero che gli sono state promesse tutte le genti perché di lui in un altro passo si dice: Ti ho fatto padre di molte genti. ( Gen 17,5 )

Un sano intelletto tuttavia ci dimostra che la Scrittura ha parlato così perché il "tutti" può non significare "molti", come quando diciamo "tutti" i Vangeli ed indichiamo un piccolo numero soltanto, quattro per la precisione.

Così pure "molti" talvolta può non significare "tutti" come quando diciamo che "molti" credono in Cristo, e tuttavia non "tutti" credono.

Non tutti aderiscono alla fede, ( 2 Ts 3,2 ) dice infatti l'Apostolo.

Nelle espressioni invece: Saranno benedette, per la tua discendenza, tutte le nazioni, e: Padre di molte nazioni, è dimostrato che "tutte" e "molte" hanno lo stesso valore.

Così, quando è stato detto che per opera di un solo uomo il peccato è entrato in tutti e, dopo, che la disobbedienza di uno solo molti sono stati costituiti peccatori, "tutti" e "molti" hanno lo stesso valore.

Parimenti nelle espressioni: Per l'opera di giustizia di uno solo perviene a tutti gli uomini la giustificazione che dà la vita, e: Per l'obbedienza di uno solo molti sono stati costituiti giusti, ( Rm 5,12.18.19 ) senza alcuna eccezione, a "molti" bisogna dare il significato di "tutti", non perché tutti sono giustificati in Cristo, ma perché tutti quelli che sono giustificati non possono essere giustificati se non in Cristo.

Possiamo in tal modo affermare che in una casa tutti entrano per una sola porta, non nel senso che tutti entrano in quella casa, ma nel senso che quelli che vi entrano non possono entrarvi se non per quella porta.

Tutti quindi alla morte per opera di Adamo, tutti alla vita per opera di Cristo.

Difatti: Come tutti muoiono in Adamo, così pure tutti in Cristo saranno richiamati in vita, ( 1 Cor 15,22 ) vale a dire che dall'origine del genere umano nessuno va alla morte se non per opera di Adamo, e che per opera di Adamo non si può andare se non alla morte, e viceversa nessuno va alla vita se non attraverso Cristo e attraverso Cristo non si può andare se non alla vita.

24.81 - I pelagiani sono nemici della religione cristiana

Voi invece, volendo intendere che non "tutti", ma soltanto "molti" sono stati condannati per opera di Adamo o sono stati liberati per opera di Cristo, con la vostra orrenda perversità vi rendete nemici della religione cristiana.

Qualora fosse possibile ad alcuni salvarsi senza Cristo, oppure essere giustificati senza Cristo, egli sarebbe morto inutilmente.

Ci sarebbe stata infatti, come voi dite, un'altra via nella natura, nel libero arbitrio, nella legge naturale o in quella scritta, attraverso cui avrebbero potuto salvarsi ed essere giustificati quelli che lo avessero voluto.

Chi mai avrebbe potuto escludere dal regno di Dio le giuste immagini di Dio, se non un ingiusto?

Potrai forse affermare che attraverso Cristo si entra più facilmente.

Non si potrebbe dire ugualmente della legge: la giustizia si ha per la legge, ma più facilmente per Cristo?

L'Apostolo tuttavia ha detto: Se la giustizia si ottiene mediante la legge, Cristo allora è morto inutilmente. ( Gal 2,21 )

Oltre all'unico Mediatore tra Dio e gli uomini, un uomo, Cristo Gesù, ( 1 Tm 2,5 ) non c'è sulla terra altra persona per la cui opera è necessario che siamo salvati. ( At 4,12 )

È stato scritto: Tutti in Cristo saranno richiamati in vita, proprio perché in lui, risuscitandolo dai morti, ( At 17,31 ) Dio ha fissato la fede per tutti.

Il vostro domma invece, con la predicazione della natura innocente, della potenza del libero arbitrio, della legge naturale o di quella data da Mosè, cerca di persuadere che per avere la salvezza eterna, quantunque se ne senta il bisogno, non è necessario passare attraverso Cristo.

Questo perché il sacramento della sua morte e risurrezione ( ammesso pure che lo crediate ), rende la via più comoda, ma non esclude che ve ne possa essere un'altra.

Pensando quanto i cristiani vi debbano detestare per questo motivo, rinunciate al vostro errore anche se noi stiamo zitti.

25.82 - La testimonianza di Ez 18,2 nella questione del peccato originale

Come estremo e fortissimo baluardo della tua causa hai voluto che ci fosse la testimonianza del profeta Ezechiele, nella quale asseriva che non avrebbe più dovuto esservi il proverbio: I padri mangiano uva acerba e i figli ne hanno i denti allegati, e che i figli non avrebbero dovuto morire per le colpe dei padri, né i padri per quelle dei figli, ma ognuno avrebbe dovuto morire per i peccati propri. ( Ez 18,2-4 )

Non capisci che qui si ha la promessa del Nuovo Testamento e della eredità spirituale, che si riferisce all'altro secolo.

Il compito della grazia del Redentore è quello di cancellare il "paterno chirografo" ( Col 2,14 ) e far sì che ognuno renda conto di se medesimo.

Del resto, chi può numerare le innumerevoli testimonianze della Sacra Scrittura, nelle quali i peccati dei padri obbligano i figli?

Per qual motivo Cam ha commesso il peccato e la vendetta è stata scaricata su suo figlio Canaan? ( Gen 9,22-25 )

Perché mai per il peccato di Salomone, il figlio fu punito con la diminuzione del regno? ( 1 Sam 12 )

Perché la punizione dei peccati di Acab, re d'Israele, è stata differita ai suoi posteri? ( 1 Sam 21 )

Perché mai si legge nei Libri sacri: Che punisce la colpa dei padri sui figli di coloro che mi odiano ( Ger 32,18 ) …, che punisce la colpa dei padri sui figli fino alla terza e alla quarta generazione, ( Es 20,5 ) espressione con la quale si può intendere un numero indefinito di anni?

Sono false queste cose? Chi lo può dire se non un apertissimo nemico della Sacra Scrittura?

La generazione carnale, però, anche quella del popolo di Dio che appartiene al Vecchio Testamento, che genera per la schiavitù, ( Gal 4,24 ) obbliga i figli con i peccati dei genitori.

La generazione spirituale invece, al pari dell'eredità, ha mutato con la promessa dei premi la minaccia dei castighi.

Prevedendolo nello spirito, i Profeti hanno detto queste cose.

In modo più chiaro si è espresso Geremia: In quei giorni non si dirà più: I padri mangiarono l'uva acerba e i denti dei figli ne restarono allegati!

Perché certamente ognuno morirà per la sua iniquità, ad ogni uomo che mangi l'uva acerba si allegheranno i denti. ( Ger 31,29-30 )

È chiaro dunque che, nel linguaggio profetico, questo viene preannunciato come lo stesso Nuovo Testamento: dapprima era occulto e poi è stato rivelato per mezzo di Cristo.

Ora, affinché le cose che ho ricordate e le numerose altre dette circa i peccati dei genitori che colpiscono i figli, tutte scritte secondo verità e che sembrano contrastare la suddetta profezia, non ci impressionassero, il Profeta stesso scioglie la fastidiosa questione aggiungendo immediatamente dopo: Ecco, verranno giorni - oracolo del Signore - nei quali con la casa d'Israele io concluderò una nuova Alleanza.

Non come l'Alleanza che conclusi con i loro Padri. ( Ger 31,31-32 )

In questo Nuovo Testamento, pertanto, dopo che il chirografo è stato cancellato dal sangue del Testatore, l'uomo, con la rinascita, comincia a non essere più soggetto al debito dei genitori, ai quali per nascita era obbligato.

Lo stesso Mediatore infatti dice: Non chiamate nessuno padre sulla terra, ( Mt 23,9 ) perché troviamo una nuova nascita con cui non succediamo ai nostri padri, ma viviamo sempre con il Padre.

26.83 - Conclusione dell'intera opera

Se non vuoi essere testardo, o Giuliano, puoi constatare che ho risposto a tutto ed ho confutato tutto quello che hai ritenuto di dover discutere nei tuoi quattro libri, per dimostrare che non si deve credere al peccato originale e che non si può incolpare la concupiscenza senza condannare allo stesso tempo il matrimonio.

Ti ho dimostrato che all'antico debito paterno non è obbligato soltanto colui che ha cambiato alleanza e padre: adottato egli stesso per grazia, ha trovato un solo coerede per natura.

Ti ho dimostrato inoltre che, dopo la morte, la concupiscenza della carne non porta la morte solo a colui che nella morte di Cristo ha trovato la morte, con cui morire al peccato e sfuggire alla morte per cui era nato nel peccato.

Uno solo infatti morì per tutti, tutti conseguentemente morirono. ( 2 Cor 5,14 )

È morto per tutti e non ci può essere nessuno che possa vivere senza che per lui sia morto colui che, essendo vivo, è morto per i morti.

Negando queste cose, contrastandole, cercando di svellere le fondamenta della fede cattolica, tu spezzi gli stessi nervi della fede cristiana e della vera pietà, e poi hai il coraggio di affermare che hai iniziato una guerra contro gli empi, proprio mentre stai indossando le armi dell'empietà contro la madre che ti ha generato spiritualmente.

Hai l'ardire di "aggregarti alla schiera dei Santi Patriarchi, dei Profeti, degli Apostoli, dei Martiri, dei Sacerdoti".

Eppure i Patriarchi ti dicono che anche per i bambini sono stati offerti sacrifici per i peccati, ( Lv 12 ) poiché non è immune da peccato neppure il fanciullo di un solo giorno. ( Gb 14,4 sec. LXX )

I Profeti ti dicono: Siamo stati concepiti nelle iniquità ( Sal 51,7 ), e gli Apostoli: Non sapete forse che tutti noi che fummo battezzati in Cristo Gesù, fummo battezzati nella sua morte? ( Rm 6,3 )

Così voi pure consideratevi sì morti al peccato, ma vivi per Dio in Cristo Gesù. ( Rm 6,11 )

A loro volta i Martiri ti ripetono che, dopo essere nati secondo la carne da Adamo, con la prima nascita hanno contratto il contagio dell'antica morte, cosicché nel battesimo ai bambini vengono rimessi non i peccati personali, ma quelli di altri.34

I Sacerdoti infine ti dicono che, essendo stati formati dal piacere della carne, subiscono il contagio della colpa, prima ancora di ricevere il dono di questa vita.35

Ed hai la presunzione di associarti a costoro proprio mentre stai cercando di sconfessarne la fede!

Hai il coraggio di affermare che saresti sconfitto da una associazione di manichei proprio tu, che li rendi invincibili, a meno che anche tu non sia sconfitto insieme ad essi.

T'inganni, figlio, miserevolmente t'inganni, ed anche destabilmente t'inganni!

Quando avrai deposta l'animosità che ti tiene avvinto, potrai possedere la verità da cui esser vinto.

Indice

31 Agostino, De divv. qq. ad Simplic. 1, 1;
Expos. quar. prop. ex ep. ad Rm 40,40;
Expos. ad Gal. 4
32 2,3-4
33 3,21
34 Cipriano, Ep. 64 (ad Fidum)
35 Ambrogio, De sacram. regen. 2, 6