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Lettera 185

Trattato sulla correzione dei Donatisti

Scritta circa l'anno 417.

Agostino a Bonifacio, un generale di mercenari gotici ariani, dimostra che l'eresia ariana è diversa da quella donatista ( n. 1-3 ), sorta in occasione dell'elezione di Ceciliano a vescovo di Cartagine ( n. 4-5 ); come stoltamente i Donatisti si lamentino d'esser perseguitati dal momento che furono essi i primi a perseguitare Ceciliano e pertanto non possono vantarsi del nome di martire ( n. 6-11 ); quanto siano state le leggi contro i Donatisti, dal momento che ricondussero all'unità moltissimi scismatici ( n. 12-14 ).

Si ricordano gli atrocissimi delitti compiuti dai Donatisti anche in occasione dello scisma dei Massimianisti e che si debbono reprimere anche mediante la coercizione legale ( n. 15-18 ) poiché è dovere dei pubblici poteri difendere la vera religione e tutelare l'incolumità dei Cattolici anche mediante la forza ( n. 19-24 ); confessa d'aver cambiato la sua precedente opinione circa i mezzi per reprimere la ferocia dei Donatisti, dei quali narra l'orrendo delitto perpetrato contro il vescovo cattolico Massimiano ( n. 25-27 ) e spiega l'enorme utilità dell'intervento dei poteri legali ( n. 28-34 ), a chi appartengano i beni della Chiesa, che cosa significhi giustizia o giustificazione relativa ai singoli fedeli e al Corpo mistico di Cristo, cioè alla Chiesa ( n. 35-42 ); con quanta bontà la Chiesa richiami e abbracci gli erranti che tornano al suo seno ( n. 43-47 ).

Insegna infine che il peccato contro lo Spirito Santo è l'ostinato rifiuto della grazia ( n. 48-51 ).

Agostino a Bonifacio

1.1 - Differenza tra l'eresia ariana e la donatista

Ti esprimo i miei sentimenti di lode, di compiacimento e di stima, carissimo figlio Bonifacio, per il fatto che, pur tra le occupazioni delle guerre e delle armi, hai un'ardente brama di conoscere le cose di Dio.

Da ciò risulta chiaramente che tu poni lo stesso valor militare al servizio della fede che tu hai in Cristo.

Spiegherò dunque brevemente alla tua Dilezione la differenza che corre tra l'eresia ariana e quella donatista.

Gli Ariani sostengono che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo non sono della medesima sostanza.

I Donatisti invece non insegnano quest'errore, ma ammettono nella Trinità un'unica e identica sostanza.

Anche se alcuni di essi affermano che il Figlio è inferiore al Padre, non negano però l'identità della sostanza col Padre; tuttavia la maggior parte di essi, riguardo al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo, professa la medesima fede della Chiesa Cattolica.

Su questo punto non c'è alcuna questione che ci divida ma, disgraziatamente, discordano da noi solo nella comunione ecclesiale; essi inoltre, spinti dal loro funesto errore, sono sempre ribelli e molto ostili all'unità cristiana.

Talvolta, inoltre, come ho potuto sentire io stesso, alcuni di loro, nell'intento di procurarsi le simpatie dei Goti, poiché li vedono abbastanza potenti, affermano d'avere la stessa loro fede.

Costoro però sono confutati dall'autorità dei loro antecessori, poiché si afferma che nemmeno lo stesso Donato, alla cui sètta si vantano di appartenere, avesse una simile credenza religiosa.

1.2 - Perché sono stati predetti gli scandali e le eresie

Tu però, figlio carissimo, non lasciarti turbare da tali errori, dal momento che l'eresia e gli scandali che sarebbero sorti sono stati predetti affinché, vivendo tra i nostri nemici, potessimo affinare lo spirito e, per conseguenza, fossero meglio provate la nostra fede e la nostra carità; la fede per non lasciarci ingannare dagli scismatici, la carità per farci escogitare i mezzi più atti a metterli sulla retta via per quanto è in nostro potere.

Dobbiamo non solo applicarci costantemente a far sì che gli eretici non rechino danno ai deboli e arrivino a liberarsi del loro funesto errore, ma dobbiamo altresì pregare per essi, affinché il Signore schiuda la loro intelligenza e comprendano le Scritture. ( Lc 24,45; 1 Cor 11,19 )

Poiché nei Libri santi non solo è rivelato chiaramente Cristo Signore, ma è anche mostrata in piena luce la sua Chiesa. Costoro invece, con incredibile cecità, sebbene conoscano lo stesso Cristo solo attraverso le Scritture, si rifiutano tuttavia di riconoscere la sua Chiesa attraverso l'autorevole testimonianza delle medesime Scritture, ma se la raffigurano secondo il punto di vista delle loro blasfeme eresie e delle fantasticherie umane.

1.3 - Cristo e la Chiesa nelle Sante Scritture

Gli scismatici sono d'accordo con noi nel riconoscere Cristo nella seguente espressione della S. Scrittura: Trafissero le mie mani e i miei piedi, contarono tutte le mie ossa; essi poi mi guardavano e mi osservavano; si divisero tra loro le mie vesti e sulla mia tunica gettarono la sorte, ( Sal 22,17-19 ) ma non vogliono riconoscere la Chiesa nell'espressione che segue poco dopo e dice: Si ricorderanno e torneranno al Signore tutte le regioni più lontane della terra e si prostreranno in adorazione davanti a Lui tutte le stirpi delle genti, poiché del Signore è il regno ed egli dominerà sulle nazioni. ( Sal 22,28-29 )

Sono d'accordo con noi nel riconoscere Cristo nel passo che dice: Il Signore mi disse: Mio Figlio sei tu, oggi ti ho generato, ma non vogliono riconoscere la Chiesa in quello che immediatamente segue: Chiedilo a me e io ti darò in eredità tutte le genti e in possesso le più lontane regioni della terra. ( Sal 2,7-8 )

Sono d'accordo con noi nel riconoscere Cristo nel tratto del Vangelo in cui lo stesso Signore dice: Era necessario che il Cristo patisse e risuscitasse dai morti il terzo giorno, ma non vogliono riconoscere la Chiesa nell'espressione che segue: [ Era anche necessario ] che si predicasse la penitenza e il perdono dei peccati a tutte le genti, cominciando da Gerusalemme. ( Lc 24,46-47 )

Vi sono nei Libri Santi innumerevoli altri passi che non occorre stipare nella presente lettera; come da essi appare con evidenza Cristo Signore, non solo nella divinità uguale al Padre poiché in principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio, ( Gv 1,1 ) ma anche nell'umiltà della carne da Lui assunta, dato che il Verbo si fece carne e dimorò fra noi; ( Gv 1,14 ) così appare anche con evidenza la sua Chiesa, estesa non soltanto all'Africa, come vanno farneticando costoro, nella loro sfacciata millanteria, ma su tutta la faccia della terra.

1.4 - La presunta colpa di Ceciliano non giustifica lo scisma donatista

Alle prove divine della Sacra Scrittura costoro preferiscono le loro contestazioni.

Così, prendendo a pretesto il caso di Ceciliano, ch'era stato vescovo di Cartagine, al quale rinfacciavano colpe che non hanno mai potuto né possono provare, si sono separati dalla Chiesa Cattolica, cioè dall'unità di tutte le genti.

Ma anche se fossero vere le accuse da essi mosse a Ceciliano e potessero esserci provate una buona volta, potremmo colpirlo d'anatema anche dopo morto; tuttavia non dovremmo giammai abbandonare la Chiesa di Cristo per colpa di alcuna persona, e non dovremmo raffigurarcela in base ad opinioni di attaccabrighe, mentre essa è suffragata dalle testimonianze divine, poiché è meglio riporre la fiducia nel Signore che negli uomini. ( Sal 118,8 )

Ammesso e non concesso che Ceciliano avesse avuto delle colpe ( sia detto senza offendere la sua incensurabilità ), non per questo Cristo avrebbe perduto la sua eredità.

È facile ad un uomo prestar fede a dicerie vere o false sul conto di un altro individuo, ma è segno d'impudenza criminale il condannare la comunione con la Chiesa universale prendendo a pretesto colpe d'un uomo che non si possono provare alla stessa Chiesa universale.

1.5 - La Chiesa Cattolica ha l'avallo di Dio

Non mi risulta affatto che Ceciliano sia stato ordinato vescovo da vescovi che avessero consegnato i Libri Sacri; non ne fui testimone oculare, l'ho udito dire solo dai suoi nemici; non mi viene provato né con testimonianze della Legge, né con le dichiarazioni dei Profeti, né con la sacrosanta autorità dei Salmi, né con le affermazioni dell'Apostolo di Cristo o di Cristo medesimo.

Le asserzioni di tutta la Scrittura al contrario stanno lì a proclamare con unanime consenso la santità della Chiesa sparsa su tutta la faccia della terra, dalla quale s'è distaccata soltanto la sètta di Donato.

La Legge di Dio afferma:

Per mezzo del tuo Discendente saranno benedette tutte le genti; ( Gen 22,18; Gen 26,4 )

per bocca poi del Profeta il Signore dice: Da dove sorge il sole fin dove tramonta si offre al mio nome un'oblazione monda, poiché glorificato è il mio nome tra le genti; ( Ml 1,11 )

per bocca del Salmista inoltre il Signore dice: Il suo dominio s'estenderà da un mare all'altro, dal fiume ai confini del mondo; ( Sal 72,8 )

per mezzo poi dell'Apostolo il Signore dice: ( Il Vangelo ) porta frutti e si sviluppa in tutto il mondo; ( Col 1,6 )

e infine il Figlio di Dio di propria bocca proclama: Mi sarete testimoni in Gerusalemme, in tutta la Giudea, nella Samaria e fino alle estremità della terra. ( At 1,8 )

Ceciliano, vescovo della Chiesa di Cartagine, viene accusato da persone amanti delle contestazioni, mentre invece la Chiesa di Cristo, stabilita tra tutte le genti, è proclamata dalla S. Scrittura.

La stessa pietà, verità e carità non ci permettono d'accogliere contro Ceciliano la testimonianza di coloro che noi non vediamo nel seno della Chiesa, alla quale rende testimonianza Dio stesso; nessun peso ha infatti la testimonianza umana di coloro che non accettano le testimonianze di Dio.

2.6 - Proprio i Donatisti per primi perseguitarono Ceciliano

Ma aggiungo di più: essi stessi deferirono la questione di Ceciliano al tribunale dell'imperatore Costantino; anzi, dopo aver tentato invano di sopraffare Ceciliano presso i tribunali vescovili, per mezzo di accanitissimi persecutori, arrivarono fino a trascinarlo in giudizio davanti al suddetto Imperatore.

Essi stessi per primi, inoltre, fecero quel che adesso rimproverano a noi per trarre in inganno i sempliciotti, dicendo che i Cristiani non debbono chiedere alcun appoggio agl'Imperatori cristiani contro i nemici di Cristo.

Questo fatto non hanno osato negarlo neppure nella conferenza che tenemmo insieme a Cartagine, non solo, ma hanno perfino osato vantarsi che i loro predecessori intentarono un processo criminale contro Ceciliano, e per giunta hanno sparso la menzogna d'aver riportato, in quel processo, la vittoria e d'aver fatto condannare Ceciliano.

Come mai dunque non sono persecutori proprio loro che perseguitarono Ceciliano con le loro accuse e, quantunque dal processo uscissero battuti, vollero tuttavia arrogarsi una falsa gloria con una sfacciata menzogna, non solo non reputando una colpa se avessero potuto dimostrare che Ceciliano fu condannato in base ad accuse dei loro predecessori, ma vantandosene perfino come di un'azione meritoria?

In qual modo poi nella stessa conferenza, essi fossero battuti su tutta la linea, lo affermano i verbali relativi, ma questi sono assai prolissi ed è molto difficile che possano esser letti da te, occupato in tante altre incombenze necessarie alla salvaguardia della pace Romana; per questo potresti forse fartene leggere il riassunto che si trova, a quanto mi pare, nelle mani del vescovo Ottato, mio fratello e collega di episcopato; se non si trovano presso di lui, può averli molto facilmente dalla Chiesa di Sitifi, dal momento che anche questa mia lettera già per la sua prolissità è probabilmente gravosa alle tue occupazioni.

2.7 - Le leggi contro i Donatisti sono piuttosto a favore di essi

Ai Donatisti toccò la medesima sorte degli accusatori di Daniele.

Allo stesso modo che contro quelli s'avventarono i leoni, ( Dn 6,21 ) così contro costoro si sono rivoltate le leggi, con le quali tentarono di sopraffare un innocente.

Ma c'è una differenza: Per grazia di Cristo le leggi, che sembrano dirette contro gli scismatici, in realtà sono piuttosto a loro favore per il fatto stesso che molti di loro si sono ravveduti e si ravvedono ogni giorno per mezzo di esse e si mostrano grati d'essersi ravveduti e liberati del proprio funesto errore.

Quelli inoltre che le odiavano, ora le amano e, una volta risanati per grazia di Dio dall'eresia, nella stessa misura in cui da insani le detestavano, si rallegrano che siano state utilissime alla loro salvezza le pene di quelle leggi.

Animati ora dalla medesima nostra carità, ci sollecitano a rivolger insieme a loro tutti i nostri sforzi a favore degli altri, coi quali erano avviati alla rovina, affinché non periscano.

Anche il medico è molesto al pazzo furioso come il padre lo è al figlio discolo, l'uno perché lo lega, l'altro perché lo batte; eppure tutti e due sono spinti dall'amore: se però trascurassero il loro dovere e li lasciassero andare alla rovina, la loro sarebbe davvero una bontà malintesa e crudele.

Il cavallo e il mulo privi d'intelligenza ( Sal 32,9 ) si oppongono con morsi e con calci ai veterinari che medicano le loro ferite per curarle e, sebbene i veterinari spesso corrano rischio d'esser morsi o colpiti dai calci e talvolta ne escano realmente malconci, non per questo abbandonano le bestie finché non le guariscano mediante interventi dolorosi e cure moleste; con quanta maggior ragione un uomo non dovrà essere abbandonato da un altro uomo, il fratello dal fratello, perché non corra il rischio di perdersi eternamente?

Soltanto se ravveduto potrà comprendere qual prezioso beneficio gli si procurava quando si lamentava d'essere fatto segno alle persecuzioni.

2.8 - I poteri civili devono difendere la vera religione

Ricordiamo le parole dell'Apostolo: Mentre abbiamo tempo, non stanchiamoci di fare il bene a tutti. ( Gal 6,9-10 )

Perciò, secondo le possibilità di ciascuno, sia mediante i discorsi dei predicatori cattolici, sia mediante le leggi degl'Imperatori cattolici, cioè per mezzo non solo di quanti obbediscono alle ispirazioni di Dio, ma anche di coloro che eseguiscono le leggi imperiali, vengano tutti persuasi alla salvezza, tutti dissuasi dalla perdizione eterna.

Invero, anche allorché gl'Imperatori promulgano leggi ingiuste contro la verità a sostegno dell'errore, vengono ad esser provati con sofferenze quanti credono rettamente e ricevono il premio i perseveranti; così al contrario, quando essi emanano delle leggi giuste a sostegno della verità contro l'errore, i persecutori violenti vengono atterriti, mentre si convertono quelli intelligenti.

Chi dunque rifiuta obbedienza alle leggi imperiali promulgate contro la verità divina, acquista un gran premio; chi al contrario rifiuta obbedienza alle leggi imperiali emanate a favore della verità divina, si procura un terribile supplizio.

Così vengono biasimati i re d'Israele che al tempo dei Profeti non proibirono e non soppressero in seno al popolo di Dio riti religiosi istituiti contro i precetti di Dio, mentre al contrario vengono encomiati come più benemeriti degli altri quelli che usarono la loro autorità per impedirli e sopprimerli.

Anche il re Nabucodonosor, essendo servo degli idoli, aveva stabilito la legge sacrilega che s'adorasse la propria statua, ma quanti si ribellarono alla sua empia disposizione agirono da persone religiose e piene di fede.

Il medesimo re, però, ravvedutosi a causa d'un miracolo di Dio, promulgò a favore della vera religione una legge pia e lodevole, con cui condannava a morte insieme con tutta la sua famiglia chi bestemmiasse il vero Dio di Sidrac, Misac e Abdenago. ( Dn 3,5-96 )

Quelli che avessero disprezzato questa legge e ne avessero subìto giustamente la sanzione, avrebbero dovuto dire, al pari di costoro, d'essere giusti, perché subivano persecuzioni a causa della legge promulgata dal re; e lo avrebbero certamente detto, se fossero stati pazzi come costoro, i quali dividono le membra di Cristo e annullano i suoi Sacramenti e si vantano d'essere perseguitati perché dal fare ciò sono impediti dalle leggi promulgate dagl'Imperatori a favore dell'unità cristiana; millantano a torto la propria falsa innocenza e cercano tra gli uomini la gloria del martirio, che non possono conseguire presso il Signore.

2.9 - Chi sono i veri martiri

Gli autentici martiri sono invece quelli a proposito dei quali il Signore afferma: Beati quelli che soffrono persecuzioni a causa della giustizia; ( Mt 5,10 ) non sono quindi coloro che sono perseguitati a causa dell'ingiustizia e spezzano empiamente l'unità cristiana, ma quelli che sono perseguitati a causa della giustizia.

Allo stesso modo anche Agar fu perseguitata da Sara, ( Gen 16,6 ) ma questa che le faceva persecuzione era santa, mentre quella che la subiva era malvagia.

Potremmo forse paragonare i maltrattamenti subìti da Agar con quelli che sopportò il fedele servo di Dio, David, da parte del malvagio Saul? ( 1 Sam 18,8ss )

Tra i due c'è una gran differenza, non perché David sopportasse la persecuzione, ma perché la sopportava per la giustizia.

Lo stesso nostro Signore fu crocifisso tra due assassini, ( Mt 23,38; Mc 15,27; Lc 22,33 ) ma se la passione li univa, ben diverso era il motivo che li distingueva.

In tal senso deve intendersi nel Salmo la voce dei martiri autentici, desiderosi di non essere confusi coi falsi martiri: Fammi giustizia, o mio Dio, e distingui la mia causa da quella di gente non santa. ( Sal 43,1 )

Non dice: " Distingui la mia pena ", ma: Distingui la mia causa.

La pena dei martiri può esser simile a quella degli empi, ma diversa è la causa.

Appartiene ai martiri la seguente invocazione: Mi hanno perseguitato a torto, aiutami tu; ( Sal 119,86 ) ecco perché David si credette degno d'essere aiutato a ragione, essendo perseguitato senza ragione; se invece fosse stato perseguitato per giusti motivi, non avrebbe dovuto esser aiutato, ma castigato.

2.10 - Non perché si e perseguitati si è giusti

Se invece è vera l'opinione dei Donatisti, che, dal momento che nessuno può perseguitare un altro a giusto titolo, come hanno affermato nella conferenza, la vera Chiesa non è già quella che infligge la persecuzione, ma che la subisce,1 non c'è più bisogno di ripetere le osservazioni accennate più sopra, poiché, se è vero quel che dicono gli scismatici, Ceciliano apparteneva alla vera Chiesa, dal momento che i loro predecessori lo perseguitavano intentandogli un processo perfino davanti al tribunale imperiale.

Noi invece asseriamo che Ceciliano apparteneva alla vera Chiesa non perché subisse la persecuzione, ma perché la subiva per la giustizia; di conseguenza quelli s'erano staccati dalla Chiesa, non perché infliggessero la persecuzione, ma perché la infliggevano ingiustamente.

Così noi affermiamo. Se invece essi non ricercano i motivi per cui si perseguita o si è perseguitati, ma credono che la prova evidente di essere veri Cristiani non è quella d'infliggere la persecuzione ma quella di subirla, senza dubbio includono in questa definizione anche Ceciliano, il quale era perseguitato e non persecutore, mentre ne escludono i loro predecessori, i quali non erano perseguitati ma persecutori.

2.11 - Persecuzioni giuste e ingiuste

Ma, lasciando da parte queste considerazioni, dico: se la vera Chiesa è quella perseguitata e non già quella che perseguita, domandino all'Apostolo di quale Chiesa era figura Sara, quando perseguitava la schiava.

S. Paolo risponde che quella donna che maltrattava l'ancella era figura della nostra libera madre, la Gerusalemme celeste, cioè la vera Chiesa di Dio. ( Gal 4,21-31 )

Ma, se esamineremo più attentamente, era piuttosto Agar a perseguitare Sara col proprio fare altezzoso, anziché Sara a perseguitare Agar ( quando ne reprimeva l'alterigia ) infliggendole il castigo; quella infatti arrecava offesa alla padrona, mentre questa ne reprimeva l'alterigia col punirla.

Domando inoltre: se i buoni e i santi non perseguitano alcuno, ma subiscono solo la persecuzione, di chi credono sia l'espressione del Salmo: Perseguiterò i miei nemici e li atterrerò e non mi volterò indietro finché non cadranno disfatti? ( Sal 18,38 )

Se dunque vogliamo riconoscere e proclamare la verità, v'è una persecuzione ingiusta inflitta dagli empi alla Chiesa di Cristo e v'è una persecuzione giusta inflitta agli empi dalle Chiese di Cristo.

Beata pertanto è questa che soffre la persecuzione a causa della giustizia; ( Mt 5,10 ) miserabili al contrario essi che subiscono la persecuzione a causa dell'ingiustizia.

La Chiesa pertanto perseguita spinta dall'amore, quelli invece spinti dal furore: questa per farli ravvedere, quelli per distruggere; questa per distogliere dall'errore, quelli per precipitare nell'errore; questa infine perseguita e arresta i suoi nemici affinché regrediscano dall'errore e progrediscano nella verità; essi invece, ricambiando male per bene, ( Sal 35,12 ) poiché ci preoccupiamo per la loro vita eterna, tentano di toglierci anche quella temporale, poiché amano l'omicidio al punto di compierlo contro se stessi, allorché non possono perpetrarlo contro altri.

Come l'amore della Chiesa s'affanna a liberarli da tale perversione, affinché nessuno di essi vada incontro alla morte, così il loro furore s'affanna a uccidere noi per saziare la libidine della loro crudeltà o anche ad uccidere se stessi per non dar l'impressione d'aver perduto il potere d'uccidere gli uomini.

3.12 - Lo scellerato furore dei Donatisti

Coloro che non conoscono le loro abitudini, credono che la mania di costoro di darsi la morte sia cominciata solo dopo che furono promulgate dall'Imperatore le leggi in favore dell'unità dei Cristiani che hanno permesso a tanti popoli di liberarsi dalla furiosa e pazza oppressione dei Donatisti.

Chi però conosce il loro modo abituale d'agire, anche prima di tali leggi, non si meraviglia dei loro decessi, ma vi trova un ricordo dei loro abituali eccessi.

Particolarmente quando ancora si prestava culto agl'idoli; grandi folle di Donatisti si recavano alle feste più frequentate dei pagani, non tanto per abbatterne gl'idoli, quanto piuttosto per lasciarsi uccidere dai loro adoratori.

Se avessero voluto far ciò in virtù d'un ordine delle legittime autorità e se fossero stati vittime di qualche incidente, ciò avrebbe potuto avere una certa qual parvenza di martirio, mentre al contrario ci andavano solo per farsi uccidere senza che gl'idoli fossero minimamente danneggiati, né mancava loro l'occasione, poiché ciascuno dei più gagliardi giovani idolatri aveva l'abitudine d'immolare agli stessi idoli quanti più Donatisti riuscisse ad uccidere.

Ve n'erano altri che arrivavano a gettarsi in mezzo a comitive di viandanti armati per farsi uccidere, minacciando terribilmente di caricarli di bastonate se rifiutavano di ucciderli.

Altri poi, incontrando per caso sulla loro strada dei giudici, strappavano loro con la forza la sentenza che fossero uccisi per mezzo dei carnefici o degli ufficiali di polizia.

Si racconta a tal riguardo che un giudice riuscì a beffarsi di loro facendoli legare come se li volesse far giustiziare ma poi li rilasciò così legati e in tal modo evitò d'essere maltrattato e di versare sangue umano.

Sopprimersi gettandosi in precipizi scoscesi, nelle acque, nelle fiamme, era per quei fanatici un gioco d'ogni giorno.

Queste tre maniere di uccidersi le avevano imparate dal demonio; quando avevano deciso di morire e non trovavano chi costringere con minacce a ucciderli con le sue mani, si gettavano nei precipizi oppure nell'acqua o nel fuoco.

Chi, dunque, dobbiamo credere che avesse loro insegnato ciò se non colui dal quale era invasato il loro spirito, ( Sir 51,18 ) colui che suggerì allo stesso nostro Salvatore di gettarsi giù dal pinnacolo del tempio, come se ciò fosse consigliato dalla Scrittura? ( Mt 4,5-7; Lc 4,9-13 )

Ma essi allontanerebbero dal loro animo una tale suggestione, se portassero nel cuore il Maestro che è Cristo. ( Mt 23,10 )

Ma, siccome hanno accolto nel loro cuore piuttosto il diavolo, o vanno in perdizione come quel branco di maiali che una turba di diavoli fece precipitare dall'alto della collina giù nel lago, ( Mt 8,32; Mc 5,13 ) oppure, strappati da una simile morte e accolti nell'amorevole seno della nostra Madre, la Chiesa Cattolica, sono liberati nello stesso modo che quell'indemoniato presentato dal padre a Cristo dicendogli che si gettava ora nell'acqua, ora nel fuoco. ( Mt 17,14-18; Mc 9,16-26 )

3.13 - Utilità delle leggi emanate contro lo scisma

Si usa dunque loro una grande misericordia quando, anche per mezzo delle leggi imperiali, vengono strappati, dapprima loro malgrado, dalla sètta nella quale appresero tali eccessi alla scuola dei demoni menzogneri, affinché un po' alla volta siano guariti con l'abituarsi ai sani precetti e costumi della Chiesa Cattolica.

Molti di essi, già tornati all'unità cristiana, ci danno un meraviglioso esempio d'ardore nella fede e nella carità; per la gioia d'esser fuori di quella sètta, ove reputavano azioni virtuose gli eccessi del loro furore, non cessano di ringraziare Dio con tutto il cuore, cosa che ora non farebbero, se prima non fossero stati tirati fuori da quella scellerata congrega anche loro malgrado.

Cosa dire poi di coloro i quali ci confessano ogni giorno che già da tempo desideravano di diventar cattolici, ma non avevano potuto farlo per pusillanimità e timore, per il fatto che vivevano tra i Donatisti e, se si fossero fatti uscire di bocca una sola parola in difesa della Chiesa Cattolica, sarebbero stati completamente rovinati, non solo essi ma anche le loro famiglie?

Bisogna dunque aver perso il cervello per sostenere che non era doveroso aiutare costoro ricorrendo alle leggi imperiali, per liberarli da sì gran male; adesso sono costretti ad aver paura quelli che incutevano paura agli altri, e spinti dalla medesima paura tornano anch'essi sulla retta via o, almeno, ancorché fingano d'esser convertiti, non recano più molestia ai veri convertiti, ai quali essi precedentemente ispiravano paura.

3.14 - La Chiesa s'adopera per salvare tutti

Può darsi però che costoro vorranno darsi la morte per impedirci di salvare quelli che si potrebbero salvare e per incutere in tal modo paura alle persone timorate di Dio che s'adoprano a salvarli, di modo che, per paura che non periscano alcuni scellerati, non vengono strappati alla perdizione coloro che non volevano perire o che avrebbero potuto non perire se fossero stati ridotti a dovere con la forza.

Qual partito deve prendere a tal riguardo la carità cristiana, specialmente se si pensa quale piccola minoranza sono quelli che vogliono spaventarci minacciando di togliersi la vita in modo pazzesco, a paragone delle moltitudini che si possono salvare?

Che cosa farà dunque la carità fraterna?

Lascerà forse andar tutti nel fuoco eterno dell'inferno per paura che qualcuno si getti nelle fiamme del fuoco passeggero?

Abbandonerà forse alla perdizione eterna tante persone che fin d'ora desiderano tornare nel sentiero della vita eterna per mezzo della pace con la Chiesa Cattolica o che in seguito non potranno più farlo?

E questo per evitare la morte volontaria di certuni che vivono solo per ostacolare la salvezza degli altri e impediscono loro di vivere secondo la dottrina cristiana, che vivono solo per insegnar loro in qualunque circostanza, secondo l'usanza che quelli hanno appresa dal diavolo, a correre verso la morte volontaria, morte che ora si teme a loro riguardo?

Non sarà meglio che la carità cristiana preservi dalla rovina quelli che può, anche se per propria colpa dovessero perire coloro ch'essa non può salvare?

Essa infatti desidera ardentemente che tutti si salvino, ma si preoccupa ancora di più d'impedire che si perdano tutti.

Ringraziamo comunque Dio che la pace cattolica abbia fatto e faccia rapidi progressi anche da noi, seppure non dappertutto, certo però in moltissime località e in altre parti dell'Africa, senza provocare la morte di nessuno di questi forsennati.

Simili casi luttuosi avvengono ove si trova tale pazza e dannosa genìa di uomini ch'erano soliti commettere i medesimi eccessi anche in tempi precedenti.

4.15 - I Donatisti delinquenti comuni

In verità, prima che queste leggi fossero emanate dagli Imperatori cattolici, andava già diffondendosi a poco a poco la dottrina della pace e dell'unità cristiana; ciascuno secondo le proprie convinzioni, la propria volontà, l'opportunità, passava dalla sètta di Donato alla Chiesa Cattolica, mentre tuttavia squadre di Donatisti forsennati e delinquenti turbavano la pace delle persone dabbene ricorrendo ad ogni sorta di pretesti.

Quale padrone non fu costretto a temere il proprio schiavo, qualora si fosse messo sotto la protezione di quei ribaldi?

Chi mai avrebbe osato solo minacciare un ( donatista ) perturbatore dell'ordine pubblico o istigatore dei disordini?

Chi mai avrebbe potuto scacciare un servo addetto alla guardia dei magazzini che gli divorasse le provviste?

Chi mai avrebbe osato sollecitare il credito da un debitore che avesse chiesto aiuto e protezione a quei masnadieri?

Per non correre pericolo di bastonate, d'incendi, d'una pronta morte, venivano spezzate le tavole dei contratti degli schiavi più facinorosi per lasciarli andar liberi; si restituivano ai debitori scritture delle obbligazioni private estorte ai creditori.

Quanti osavano infischiarsi delle terribili minacce di quegli scellerati, venivano costretti ad eseguire le loro intimazioni con percosse ancora più terribili.

Le case della gente per bene che li avesse offesi, venivano rase al suolo o arse dal fuoco.

Alcuni padri di famiglia, di nobile nascita, allevati ed educati da nobili, a stento poterono essere sottratti alla morte dopo essere caduti privi di sensi per le percosse, oppure furono legati e posti a far girare la macina a forza di bastonate come vili giumenti.

Quale vantaggio apportò l'aiuto legale delle autorità civili contro di essi?

Quale ufficiale giudiziario ha osato fiatare in loro presenza?

Qual esattore ha potuto mai riscuotere ciò ch'essi rifiutavano di pagare?

Chi mai ha osato vendicare la morte di coloro ch'essi avevano massacrati?

Senonché la loro stessa pazzia si sfogò su di essi: alcuni infatti costringevano persone armate ad ucciderli minacciandoli di morte, altri si procuravano da se stessi la morte gettandosi nei precipizi, nell'acqua o nelle fiamme; in tal modo coi supplizi inflittisi da se stessi si sbarazzavano della loro miserabile vita.

4.16 - Terrorismo psicologico dei Donatisti

Tali crimini facevano orrore persino a moltissimi seguaci di quell'eresia; siccome poi credevano che bastasse sentirne dispiacere per provare la propria innocenza, i Cattolici dicevano loro: " Se questi crimini non macchiano la vostra innocenza, perché mai andate dicendo che il mondo cristiano fu macchiato dalle colpe, false o almeno non provate di Ceciliano?

Perché mai con esecrando delitto vi staccate dall'unità Cattolica, come dall'aia del Signore, nella quale, inevitabilmente, fino al tempo della separazione dei buoni dai cattivi al giudizio finale, sarà mescolata, col frumento da raccogliere nel granaio, la paglia destinata alle fiamme? ". ( Mt 3,12; Lc 3,17 )

Con tali argomenti si offriva ad alcuni una dimostrazione sì efficace da farli tornare all'unità cattolica, pronti ad affrontare la reazione ostile di quegli scellerati; molti però, pur desiderando abiurare, non osavano esporsi all'odio d'individui tanto sfrontati nel commettere ogni sorta di soprusi, dal momento che della loro inaudita violenza erano rimasti vittime alcuni che erano tornati alla comunione cattolica.

4.17 - L'origine dello scisma Massimianista

Accadde anche quest'altro fatto: a Cartagine uno dei loro diaconi, chiamato Massimiano, ebbe l'arroganza di mettersi contro il proprio vescovo, per cui alcuni vescovi della sua sètta lo consacrarono vescovo per contrapporlo all'altro, provocando così uno scisma e dividendo il partito di Donato in seno al popolo cartaginese.

Il fatto però fu disapprovato da molti altri vescovi, i quali condannarono Massimiano insieme con gli altri dodici che avevano assistito alla sua ordinazione episcopale.

A tutti gli altri, che avevano abbracciato quello scisma, fissarono un termine entro il quale avevano la possibilità di rientrare nella sètta.

Tuttavia, pur essendo tornati nella sètta dopo il termine stabilito alcuni dei dodici vescovi e anche alcuni di quelli cui era stata concessa una dilazione, li accolsero e li reintegrarono nella loro dignità per mantener la pace nel loro partito e non ribattezzarono alcuno di coloro che quei tali avevano battezzati durante lo scisma.

Questo fatto veniva a rappresentare un validissimo argomento contro gli scismatici a favore della Chiesa Cattolica e bastava da solo a tappar loro la bocca.

La cosa fu fatta risapere in giro con ogni mezzo come esigeva l'interesse della verità per guarire gli animi dallo scisma: nei loro discorsi e nelle loro discussioni i Cattolici, dovunque ne avevano la possibilità, dimostravano che i Donatisti avevano, unicamente per amore della pace donatista, riaccolto e reintegrato nella loro dignità i vescovi da loro condannati, senza ardire d'invalidare il battesimo conferito fuori della loro chiesa da persone ch'essi avevano condannate o n'avevano differita la riabilitazione.

Con tutto ciò gli scismatici non si peritarono di rimproverare alla Chiesa sparsa su tutta la terra d'essere imbrattata da non so quali peccati contrari alla pace di Cristo e di considerare invalido perfino il battesimo conferito nelle chiese dalle quali è giunto all'Africa lo stesso Vangelo.

Molti però, presi da vergogna e da confusione davanti alla verità così manifesta, si convertirono molto più frequentemente e in numero maggiore del solito dovunque potevano respirare un po' di libertà ed erano meno esposti alla crudeltà di quei ribaldi.

4.18 - Perché s'invocò l'intervento statale

Quella circostanza però acuì talmente il loro odio ed istigò talmente il loro furore, che quasi nessuna Chiesa della nostra comunità cattolica poté tenersi al riparo dagli agguati, dalle violenze e dagli assassini perpetrati in pieno giorno.

Non c'era più sicurezza di sorta in nessuna strada che potesse essere percorsa da coloro che si recavano a predicare la pace cattolica contro il loro furore, a confondere la loro demenza con l'evidenza della verità.

Si giunse insomma al punto che non solo i laici e gli ecclesiastici di qualunque grado inferiore, ma gli stessi vescovi cattolici venivano a trovarsi in una drammatica condizione: o di tacere la verità o di subire le vessazioni della loro bestialità.

Se però si fosse taciuta la verità, non solo non si sarebbe potuto liberare nessuno qualora questa non fosse stata predicata, ma molti ancora sarebbero stati sedotti e mandati in rovina dai Donatisti.

Ma se da una parte predicando la verità e provocando la loro ferocia, alcuni potevano essere salvati e i nostri consolidati nella fede, d'altra parte la paura avrebbe potuto distogliere i meno forti dall'abbracciare la verità.

Poiché dunque la Chiesa era travagliata da queste angosciose vicende, quanti pensano che sarebbe stato doveroso soffrire ogni sorta di mali piuttosto che ricorrere all'aiuto che Dio ci offriva per mezzo degl'Imperatori cristiani, non riflettono abbastanza che non si sarebbe potuta addurre una valida giustificazione d'una tale negligenza.

5.19 - Come i governanti devono servire Dio

Quando gli eretici, avversari delle giuste leggi promulgate contro le loro scelleratezze, ci portano come argomento che gli Apostoli non reclamarono tale intervento delle autorità civili, essi non considerano che i tempi erano diversi e ogni cosa deve attuarsi al tempo opportuno.

Dov'erano infatti gl'Imperatori che avevano creduto in Cristo e che lo servivano col promulgare leggi a favore della vera religione contro l'irreligiosità?

Poiché allora conservava tutta la sua verità il detto del profeta David: Perché mai fremono le genti e le nazioni tramano vani progetti?

Sono insorti i re della terra e i principi si sono collegati tra loro contro il Signore e contro il suo Cristo, ( Sal 2,1-2 ) e ancora non si attuava quel che si legge poco dopo nello stesso Salmo: Ordunque, siate intelligenti, o re, ravvedetevi, voi che amministrate la giustizia sulla terra; servite il Signore con timore e rendetegli omaggio con tremore. ( Sal 2,10-11 )

Orbene, in qual modo i sovrani possono servire Dio col timore se non col proibire e punire con religiosa severità i reati commessi contro i suoi comandamenti?

Infatti un re serve Dio in due modi diversi: in quanto uomo lo serve vivendo fedelmente, in quanto invece è anche re lo serve promulgando e facendo osservare con opportuno rigore leggi che prescrivono ciò ch'è giusto e proibiscono il contrario.

Così lo servì il re Ezechia, distruggendo i boschetti e i templi degl'idoli e le " alture " costituite contro l'ordine del Signore. ( 2 Re 18,4 )

Così lo servì Giosia, facendo anch'egli la stessa cosa; ( 2 Re 23,4-20 ) così fece il re di Ninive, obbligando tutti i cittadini a placare il Signore con la penitenza; ( Gen 3,6-9 ) così lo servì Dario, consegnando a Daniele l'idolo perché lo distruggesse e dando in pasto ai leoni i nemici del Profeta. ( Dn 14,21-41 )

Così lo servì Nabucodonosor, già menzionato, con terribili pene proibendo di bestemmiare Dio a tutti gli abitanti del suo regno. ( Dn 3,96 )

I re dunque, come tali, servono Dio quando, per ubbidirgli, fanno ciò che solo i re possono fare.

5.20 - La coercizione legale dell'empietà

Al tempo degli Apostoli i sovrani non adoravano né servivano ancora il Signore, ma facevano ancora vani progetti contro Dio e contro il suo Cristo, perché si compissero tutte le predizioni dei Profeti; le loro leggi, quindi, anziché vietare l'empietà, l'avrebbero potuta piuttosto incoraggiare.

Era infatti nell'ordine provvidenziale dei tempi che i Giudei mettessero a morte i predicatori di Cristo, credendo di rendere in tal modo ossequio a Dio, come aveva predetto il Signore ( Gv 16,2 ) e che i Pagani insorgessero furibondi contro i Cristiani, affinché la pazienza dei martiri trionfasse su tutti.

Ma dopo ch'è cominciata ad avverarsi la predizione della S. Scrittura: E lo adoreranno tutti i re della terra, tutte le genti lo serviranno, ( Sal 72,11 ) bisognerebbe aver perduto il cervello per suggerire ai sovrani: " Non preoccupatevi di sapere da chi nel vostro Stato viene difesa o combattuta la Chiesa del vostro Signore; non v'importi di sapere chi vuol essere adoratore di Dio o idolatra ".

Come infatti potrebbe dirsi loro: " Non preoccupatevi di sapere chi nel vostro Stato vuol vivere secondo le leggi del pudore o dell'impudicizia "?

Perché mai, dal momento che Dio ha dato all'uomo il libero arbitrio, la legge dovrebbe punire l'adulterio e permettere l'idolatria?

O forse pecca meno gravemente l'anima infedele a Dio, che la moglie infedele al marito?

Ammesso pure che le colpe commesse più per ignoranza che per disprezzo della religione si debbano punire con pene più miti, forse che per questo si devono lasciare del tutto impunite?

6.21 - I migliori li guida l'amore, i più li raffrena il timore

Chi potrebbe dubitare ch'è certo meglio condurre gli uomini all'amore di Dio con l'istruzione e la persuasione, piuttosto che costringerveli col timore o col dolore del castigo?

Ma per il fatto che gli uni sono migliori, non ne segue che gli altri debbano essere abbandonati a se stessi, perché l'esperienza ci ha dimostrato e ci dimostra ch'è utile a molti essere prima scossi dal timore e dal dolore, per poi esser disposti a essere istruiti oppure a praticare ciò che avevano già appreso a parole.

Qualcuno ci obietta la seguente massima d'un autore pagano: È meglio, secondo me, tenere a freno i figli col sentimento dell'amore e con la bontà, che non con la paura.2

Ciò è senza dubbio vero; ma come sono migliori quelli che si lasciano reggere dall'amore, così sono più numerosi quelli che si possono correggere col timore.

Infatti, per rispondere all'obiezione con le parole dello stesso autore, ecco cosa si legge inoltre nella sua commedia: Tu, se non sei costretto dal castigo, non sai agir rettamente.3

Ecco inoltre perché la S. Scrittura, a proposito di quelli che diventano migliori per mezzo della bontà, dice: Il timore non può stare con l'amore, ma il perfetto amore scaccia il timore; ( 1 Gv 4,18 ) d'altra parte però, a proposito dei meno virtuosi ( e sono i più numerosi ), dice: Con le sole parole non può correggersi un servo cattivo, perché, anche se capisce, non ubbidirà. ( Pr 29,19 )

Dicendo che non bastano le parole per correggerlo, la S. Scrittura non ci comanda di abbandonarlo, ma sottintende il mezzo con cui convertirlo, altrimenti non direbbe: Non basteranno le parole per correggerlo, ma direbbe soltanto: "Non si potrà correggere".

In un altro passo la S. Scrittura c'insegna che non solo il cattivo servo, ma anche il figlio insubordinato deve essere corretto con la verga con suo gran vantaggio: Battendolo con la verga - dice essa - ne salverai l'anima dalla morte. ( Pr 23,14 )

Ed altrove si legge: Chi risparmia il bastone, vuol male al proprio figlio. ( Pr 13,24 )

Poniamo che esistano persone le quali, animate da retta fede e da retta intelligenza, dicano con tutte le forze della propria anima: L'anima mia ha sete del Dio vivente; quando giungerò e mi presenterò al cospetto del Signore? ( Sal 42,3 ) per esse non c'è bisogno né di pene temporali né di leggi imperiali né della paura dell'inferno, poiché il bene da esse ardentemente bramato è quello d'essere unite a Dio ( Sal 73,28 ) sicché non solo temono la privazione di tale felicità, come il più terribile supplizio, ma non si rassegnano a sopportare neppure il solo ritardo nel goderla.

Ma prima che diventino buoni figliuoli e arrivino ad esclamare: Abbiamo vivo desiderio d'essere sciolti dai legami del corpo per essere uniti a Cristo, ( Fil 1,23 ) molti devono essere prima ricondotti al loro Signore con la verga delle pene temporali simili a cattivi servi e a schiavi fuggitivi.

6.22 - La conversione di Saulo

Chi potrebbe amarci più del Cristo, che ci ha amati fino a dare la vita per le sue pecorelle? ( Gv 10,15 )

Eppure, mentre egli aveva chiamato Pietro e gli altri Apostoli con un semplice invito, quando si trattò di Paolo, il cui primo nome era Saulo, che doveva essere il grande costruttore della Chiesa, della quale era prima terribile devastatore, non si contentò d'usare parole per dargli una lezione, ma usò perfino la forza per gettarlo a terra e, per costringere questo crudele, accecato dall'infedeltà, a desiderare la luce interiore, non esitò a colpirlo con la cecità fisica. ( Mt 4,18-22; Mc 1,16-20; Lc 5,1-11; Gv 1,35-43 )

Se non ci fosse stato quel castigo, non ne sarebbe poi stato guarito e se i suoi occhi fossero stati sani non ci sarebbe stato bisogno quando, apertili, non vide nulla, che Anania - come narra la Sacra Scrittura - gli ponesse le mani sul capo affinché riavesse la vista facendogli cadere dagli occhi come delle scaglie dalle quali erano serrati. ( At 9,1-18; At 13,9 )

Come va dunque che costoro vanno strombazzando: " Ognuno è libero di credere o di non credere.

Chi mai fu da Cristo forzato o costretto a credere? ".

Orbene, ecco l'esempio dell'apostolo Paolo; riconoscano che Cristo prima lo costrinse e poi lo ammaestrò, prima lo colpì e poi lo consolò.

È pure davvero mirabile come egli, che fu costretto da un castigo corporale a seguire il Vangelo, si adoperò per la propagazione del Vangelo più di tutti gli altri Apostoli, ( 1 Cor 15,10 ) chiamati con un semplice invito; egli arrivò all'amore sotto la spinta del timore e poi la sua perfetta carità scacciò via il timore. ( 1 Gv 4,18 )

6.23 - Il ritorno all'ovile delle pecore sedotte

Per qual ragione, dunque, la Chiesa non dovrebbe usar la forza per ricondurre al proprio seno i figli ch'essa ha perduti, dal momento che questi figli perduti usarono essi stessi la forza per mandarne altri in perdizione?

Anche se alcuni non furono condotti all'eresia con la forza, ma furono traviati con la seduzione, qualora venissero ricondotti in seno alla Chiesa mediante leggi severissime ma salutari, ( Mt 18,12-13; Lc 15,4-7 ) con quanto maggior affetto la madre affettuosa non li accoglierebbe di nuovo nel proprio seno e con quanta più viva gioia si rallegrerebbe del loro ritorno, che non per quei figli, i quali non s'allontanarono mai da essa!

Non devono forse i pastori di anime usare ogni diligenza per le pecorelle che, pur senza essere state strappate a forza, bensì fuorviate con suadenti blandizie, si sono sbandate dal gregge ed hanno cominciato ad appartenere a un nuovo padrone?

Non devono forse, una volta trovatele, ricondurle all'ovile del Signore non solo col terrore, ma pure col dolore dei castighi, qualora volessero resistere?

E questo è tanto più doveroso nel caso che le pecorelle per la loro fecondità si fossero moltiplicate presso servi disertori e predoni, dal momento che in esse si riscontra il marchio del Signore, marchio che non viene violato affatto in coloro che noi accogliamo senza ribattezzarli.

Poiché si deve correggere l'errore d'una pecorella ma senza alterare il marchio impressovi dal Redentore.

Mi spiego: supponiamo che un disertore, contrassegnato col distintivo del sovrano, lo imprimesse ad un altro; supponiamo pure che tutt'e due vengano poi amnistiati e l'uno torni tra i ranghi militari, mentre l'altro si presenti a prestare il servizio militare per la prima volta; in nessuno dei due il distintivo viene per questo cancellato.

O non è forse piuttosto vero ch'esso viene riconosciuto e rispettato col dovuto onore in ciascuno di essi perché è il segno del sovrano?

Poiché dunque i Donatisti non possono dimostrare ch'è male costringerli a tornare all'unità cattolica, pretendono che non devono essere costretti neppure a compiere il bene.

Noi invece dimostriamo che, come Paolo fu forzato da Cristo, la Chiesa non fa che imitare il suo Signore nel forzare costoro, anche se nei primi tempi non costrinse alcuno, ma aspettò che si compissero le profezie relative alla fede dei principi e dei popoli pagani. ( Sal 72,11 )

6.24 - I diversi invitati al banchetto evangelico

Da questo si comprende anche quanto sia a proposito l'affermazione di S. Paolo che dice: Siamo anche pronti a punire ogni disubbidienza, quando la vostra obbedienza sarà perfetta. ( 2 Cor 10,6 )

Per lo stesso motivo, il Signore stesso prima fece chiamare gli invitati al suo grande banchetto, poi li fece entrare a forza; avendogli poi detto i servi: Signore, il tuo comando è stato eseguito e c'è ancora posto; andate per le strade e lungo le siepi - rispose - e costringete ad entrare tutti quelli che incontrerete. ( Lc 14,16.21.23 )

Nei fedeli condotti alla Chiesa solo con metodi persuasivi si ravvisa compiuta la prima forma d'ubbidienza; nei secondi, che furono costretti, si vede l'uso dei mezzi coercitivi contro i disubbidienti.

Che significa infatti: Costringeteli ad entrare, mentre prima era stato detto: Conduceteli qua, ed era stato risposto: Il tuo comando è stato eseguito ed ancora c'è posto?

Se il Signore avesse voluto farci intendere che devono esser costretti con la terribile potenza dei miracoli, molti miracoli non sono forse stati compiuti per quelli che per primi furono chiamati alla Chiesa e soprattutto per i Giudei, dei quali la S. Scrittura dice: I Giudei reclamano miracoli? ( 1 Cor 1,22 )

Perfino tra i pagani al tempo degli Apostoli furono compiuti strepitosi miracoli per avvalorare il Vangelo; sicché, se l'ordine del padrone di costringere gl'invitati si dovesse intendere anche riguardo ai miracoli, la costrizione si sarebbe dovuta usare a buon diritto verso i primi invitati.

Di conseguenza, se quelli che la Chiesa trova lungo i sentieri e le siepi, cioè nell'eresia e nello scisma, sono forzati ad entrare nel suo seno in virtù dell'autorità ricevuta per grazia di Dio, nel tempo opportuno, tramite sovrani religiosi e fedeli, coloro che sono colpiti dalle leggi imperiali non devono mormorare perché dalla Chiesa sono forzati ad entrare, ma considerare lo scopo per cui sono forzati.

Il banchetto del Signore è l'unità del corpo di Cristo, non solo nel sacrificio dell'altare, ma anche nel vincolo della pace. ( Ef 4,3 )

Dei Donatisti invece possiamo asserire con assoluta esattezza che non costringono alcuno al bene, poiché tutti quelli ch'essi costringono, non li costringono se non al male.

7.25 - Precedente opinione di Agostino sulle sanzioni contro i Donatisti

Tuttavia prima che in Africa fossero promulgate le suddette leggi, con cui è fatto obbligo di prender parte al divino banchetto, pensavo anch'io, al pari di certi nostri fratelli cattolici, che, per quanto la furia dei Donatisti incrudelisse ovunque, non si dovesse chiedere agl'Imperatori che ordinassero la soppressione totale dell'eresia mediante una precisa legge stabilendo una pena per quelli che volessero rimanere nella sètta.

Credevamo fosse meglio che si provvedesse a che non fossero vittime delle soperchierie di quei forsennati coloro che diffondevano la verità cattolica con la predicazione o la consolidavano col leggere la S. Scrittura.

Pensavamo che si potesse arrivare in qualche modo a reprimere l'eresia qualora fosse confermata la legge dell'imperatore Teodosio, di santa memoria, promulgata contro ogni sorta di eretici in genere, con la quale si comminava una multa di dieci libbre d'oro ai vescovi o ai chierici delle sette eretiche ovunque fossero stati trovati;4 qualora - ripeto - tale legge fosse confermata espressamente contro i Donatisti i quali negavano d'essere eretici, in modo però che da quella multa fossero colpiti non tutti gli scismatici indiscriminatamente, ma solo in quelle regioni dove la Chiesa Cattolica subisse delle violenze da parte del clero o dei Circoncellioni o dei fedeli donatisti; in modo cioè che fossero tenuti a pagare la multa i vescovi e gli altri ministri della loro sètta per ordine dei magistrati incaricati, dietro querela sporta dai Cattolici rimasti vittime di quegli eccessi.

In altre parole, pensavamo che, tenuti a freno dalla paura, gli eretici non osassero più perpetrare i loro abituali soprusi e fosse consentito a chiunque insegnare e professare liberamente la verità della fede cattolica senza che alcuno vi fosse costretto, ma chiunque lo volesse potesse abbracciarla e professarla senza timore e ciò per evitare d'aver Cattolici ipocriti e falsi.

Diversamente da noi però la pensavano altri nostri fratelli più anziani, che tenevano conto degli esempi di molte città e paesi, nei quali vedevamo ben salda l'autentica Chiesa Cattolica, ivi costituitasi e affermatasi per speciale beneficio di Dio allorché i Donatisti furono obbligati a rientrare nella comunione cattolica in forza delle leggi dei precedenti Imperatori.

Ciononostante prevalse la nostra opinione di chiedere agl'Imperatori solo quanto ho già detto.

Così fu deciso dalla nostra assemblea e a tale scopo furono inviati dei deputati alla Corte imperiale.

7.26 - La decisione del sinodo cartaginese

Ma la somma misericordia di Dio sapeva bene quanto il terrore suscitato da queste leggi e quanto le pene comminate, amare ma salutari, fossero necessarie a spiriti malvagi o apatici, e come l'ostinazione non si vince con i consigli ma con mezzi disciplinari di un certo rigore; permise perciò che i nostri deputati non potessero raggiungere l'effetto che s'erano proposti.

Infatti prima di noi erano giunte all'Imperatore gravissime lagnanze da parte di vescovi di altre località, sottoposti dai Donatisti a molte angherie, fino ad essere scacciati dalle loro sedi.

Ma il fatto più raccapricciante, che mise i nostri deputati nella condizione di non sapere più che cosa dovessero fare, fu l'orrendo e incredibile assassinio di Massimiano, vescovo cattolico di Bagai.

Era stata infatti promulgata una legge allo scopo che l'eresia tanto efferata dei Donatisti, verso la quale l'usare indulgenza sembrava più crudele delle sevizie perpetrate da essi, non solo non potesse più esercitare violenze, ma non potesse per nulla esistere impunemente.

Per conservare però la mansuetudine cristiana anche verso coloro che non la meritavano, non fu stabilita la pena capitale ma un'ammenda pecuniaria e fu comminato l'esilio per i loro vescovi o ministri.

7.27 - Lo strazio subìto dal vescovo cattolico Massimiano ad opera dei Donatisti

Il suddetto vescovo di Bagai era ricorso al giudice ordinario; dopo essere stata pronunciata la sentenza tra le due parti, egli aveva ottenuto la basilica, di cui i Donatisti s'erano impadroniti con la forza, sebbene appartenesse ai Cattolici.

Mentre il vescovo stava all'altare, lo assalirono con orribile violenza e furiosa crudeltà, e lo percossero con bastoni e con armi d'ogni sorta e con le stesse tavole dell'altare che avevano fatto a pezzi; gli diedero perfino una pugnalata all'inguine e, per il sangue che fluiva dalla ferita, sarebbe rimasto lì esamine, se non gli avesse salvato la vita una loro maggiore ferocia.

Trascinandolo infatti per terra dopo averlo ferito così gravemente, la polvere penetrata nelle vene aperte arrestò l'emorragia che lo avrebbe condotto alla morte.

Finalmente, dopo essere stato abbandonato da loro, i nostri tentarono di portarlo via al canto dei Salmi, ma quelli più furibondi e più accaniti di prima, lo strapparono dalle mani di quelli che lo trasportavano, maltrattando e mettendo in fuga i Cattolici, ai quali essi erano superiori per numero e facilmente incutevano paura per i loro metodi spietati.

Portarono quindi il vescovo sulla sommità d'un'alta torre, da cui lo gettarono giù ancor vivo, convinti che fosse già morto.

Il poveretto invece andò a cadere sopra un mucchio di terra molle, dove fu visto, alla luce d'una lanterna, da alcuni passanti notturni che lo riconobbero, lo raccolsero e lo portarono nella casa di certi buoni Cattolici, ove, dopo molti giorni di assidue cure, riprese le forze uscendo da una condizione che lasciava ben poco a sperare; ma ciononostante, s'era già sparsa anche di là dal mare la voce ch'egli fosse stato ucciso da quegli scellerati di Donatisti.

Quando però egli giunse in Italia, mostrandosi vivo con somma sorpresa di tutti, allora con le numerose, gravi e recenti cicatrici fece vedere che le voci della sua morte non erano state del tutto infondate.

7.28 - Il ricorso al potere civile secondo S. Paolo

Massimiano chiese quindi aiuto all'Imperatore cristiano, non già per desiderio di vendetta personale, ma per mettere al riparo da simili violenze la diocesi affidata alle sue cure.

Se non avesse agito in quel modo, avrebbe dato maggior motivo d'essere accusato di negligenza, che d'esser lodato per la sua pazienza.

Allo stesso modo l'apostolo Paolo era mosso non tanto dalla preoccupazione per la propria vita passeggera quanto per la Chiesa di Dio, allorché svelò al tribuno la congiura ordita contro di lui da alcuni Giudei che avevano tramato di ucciderlo; il tribuno quindi dovette farlo condurre sotto scorta armata al luogo destinatogli, per farlo sfuggire all'agguato tesogli da quei briganti. ( At 23,12-32 )

Lo stesso Paolo non ebbe la minima esitazione d'invocare le leggi romane, che proibivano di fustigare un cittadino romano, qual egli si proclamava di essere. ( At 22,24-29 )

In una simile circostanza, per non essere consegnato in potere dei Giudei bramosi di sopprimerlo, reclamò il salvacondotto per recarsi dall'Imperatore romano, sebbene questi non fosse ancora cristiano. ( At 25,11 )

Con ciò dimostrò chiaramente come devono comportarsi i ministri di Cristo, quando nei pericoli della Chiesa possono ricorrere agli Imperatori cristiani.

Ecco perché il pio e fedele imperatore, informato di quegli eccessi, preferì reprimere completamente l'errore di quella eresia con sacrosante leggi e ricondurre all'unità cattolica per mezzo del timore e della repressione gli scismatici, che portavano l'insegna di Cristo contro lo stesso Cristo, piuttosto che toglier loro solamente la licenza di commettere efferati misfatti e lasciar loro la possibilità di perdersi rimanendo nell'errore.

7.29 - Utilità delle leggi contro i Donatisti

Da quando quelle leggi arrivarono in Africa, coloro che aspettavano l'occasione, o erano trattenuti dal timore delle rappresaglie di quei forsennati, o temevano d'incorrere nella riprovazione dei congiunti, entrarono subito nella comunione della Chiesa Cattolica.

C'erano anche molti altri, ch'erano trattenuti nell'eresia solo dalla tradizione familiare, senza aver mai, prima d'allora, cercato di sapere ed esaminare per qual causa era sorto lo scisma; allorché però questi, dopo aver riflettuto seriamente, si persuadevano che esso non aveva alcun serio fondamento per cui mettesse conto di soffrire tante sciagure, diventavano cattolici senz'alcuna difficoltà.

Furono infatti le preoccupazioni ad aprire loro gli occhi, mentre la mancanza di preoccupazioni li aveva resi noncuranti.

L'esempio e la convinzione di tutti questi convertiti furono poi seguiti da altri meno capaci di capire da soli qual differenza corresse fra l'eresia donatista e la verità cattolica.

7.30 - Diversi effetti delle leggi imperiali contro gli eretici

Mentre però la vera madre dei fedeli aveva la gioia di accogliere nel suo seno intere folle di scismatici, altre moltitudini restavano ostinate e pertinaci in quel funesto errore, a causa d'una sventurata animosità.

Moltissimi di questi tuttavia tornarono in seno alla Chiesa Cattolica ma solo fingendo d'essersi convertiti; altri rimasero sconosciuti per il loro piccolo numero.

Tuttavia moltissimi di quegli stessi, che avevano fatto solo finta, finirono poi per convertirsi sul serio e per abitudine, e a forza di sentire la predicazione della verità, specialmente in seguito alla conferenza e alla disputa svoltasi tra noi e i loro vescovi a Cartagine.

In alcuni luoghi però ci volle più tempo e s'incontrarono più difficoltà o perché i Donatisti erano più numerosi, più ostinati e più irrequieti, per cui prevalsero su una minoranza più disposta all'unione coi Cattolici, o perché le folle, sottomesse all'autorità di pochi prepotenti, ne seguivano le perverse direttive.

Ci sono tuttora molti di costoro i quali creano ancora serie difficoltà e angustie ai Cattolici, soprattutto ai vescovi e al clero, i quali hanno dovuto subire orribili e crudeli maltrattamenti, che sarebbe troppo lungo ricordare qui.

Basti accennare che ad alcuni furono perfino cavati gli occhi, ad un vescovo furono tagliate le mani e la lingua, alcuni furono anche trucidati.

Non parlo di molte altre stragi commesse con incredibile crudeltà, dei saccheggi nelle case durante aggressioni notturne, degli incendi, non solo di abitazioni private, ma perfino di chiese; non mancarono nemmeno degli eretici che gettarono nelle fiamme i libri della Sacra Scrittura.

7.31 - All'odio e alle calunnie dei Donatisti la Chiesa risponde con l'amore

Ma i frutti raccolti ci hanno consolati in tante pene e sventure, poiché proprio dove erano stati commessi i più feroci delitti dagli scellerati eretici, l'unità cristiana è più perfetta e ha compiuto i maggiori progressi e si ha maggior motivo di lodare il Signore, che s'è degnato di concedere ai suoi servi la grazia di riconciliare con Dio mediante le loro sofferenze i loro fratelli e di radunare con il proprio sangue nella pace della salvezza eterna le pecorelle di Cristo traviate da un pernicioso errore. ( Mt 18,15; Ez 34,5-6 )

Potente e misericordioso è il Signore; noi lo supplichiamo ogni giorno affinché conceda anche agli altri di pentirsi e di tornare in sé liberandosi dai lacci del diavolo, da cui sono tenuti schiavi a suo arbitrio; ( 2 Tm 2,25-26 ) essi vanno solo in cerca di pretesti per calunniarci e ricambiarci male per bene, ( Sal 35,12 ) poiché non arrivano a capire la buona disposizione e l'amore cordiale che serbiamo per essi, e che non desideriamo altro se non di ritirarli dall'errore e dalla perdizione, secondo il comando del Signore dato ai pastori per mezzo del profeta Ezechiele. ( Ez 34,4-6 )

8.32 - Alcuni perivano, molti si convertivano

Gli eretici poi non solo - come ho già affermato altrove - non ascrivono mai a propria colpa le prepotenze commesse contro di noi, ma ascrivono a nostra colpa il male che fanno a se stessi.

Ma chi mai di noi potrebbe desiderare che uno solo di essi perisse o soffrisse la minima perdita?

Ora, se la casa di David non poté riaver pace senza che fosse ucciso suo figlio Assalonne, che faceva guerra al padre, sebbene questi con la più gran sollecitudine avesse dato ai suoi l'ordine di far del tutto per ricondurglielo sano e salvo, in modo che si pentisse e l'affetto paterno gli perdonasse, cosa rimaneva al padre, se non piangerne la perdita e cercare di addolcire il proprio dolore ( 2 Sam 18,5-15.33; 2 Sam 22,1-51 ) col pensiero d'aver ristabilito la pace nel suo regno?

Allo stesso modo la nostra Madre, la Chiesa Cattolica, si è trovata di fronte alla guerra sferratale da questi scismatici, che sono pur sempre suoi figli, poiché non sono altro che un ramoscello staccatosi ( Is 18,5; Rm 11,17.19 ) in Africa dal grande albero che stende i suoi rami su tutta la faccia della terra: ( Lc 13,19; Mt 13,32; Mt 24,14; Mc 4,32 ) essa nel suo amore per loro non fa che soffrire i dolori del parto, affinché tornino alla radice, avulsi dalla quale non possono avere la vita. ( Gal 4,19 )

Pur nel deprecabile caso che qualcuno si perda, essa può accoglier di nuovo al suo seno il gran numero di tutti gli altri suoi figli, tenendo soprattutto presente che costoro periscono non tanto per uno scontro bellico, come Assalonne, quanto piuttosto affrontando la morte di loro spontanea volontà.

La Chiesa perciò allevia e compensa il dolore del suo cuore materno con la salvezza procurata a tanti altri fedeli.

Oh, se tu potessi vedere come la gente, contenta dell'unità cristiana, accorre numerosa, entusiasta ad ascoltare e a cantare gli inni sacri; dovresti vedere quanto sono affollate le assemblee dei fedeli attenti ed esultanti di sentire la parola di Dio!

Con quanto dolore molti d'essi ricordano l'errore passato e con quanta gioia meditano la verità conosciuta, quanto sdegno e disgusto provano per le menzogne degli antichi maestri, ora che comprendono quante falsità e fandonie andavano spargendo sui nostri Sacramenti!

Oh, se tu potessi vedere quanti altri confessano che già da tempo desideravano diventare cattolici, ma non osavano trovandosi tra individui tanto fanatici ed esaltati!

Se dunque tu potessi abbracciare d'un solo sguardo le assemblee di tutti questi convertiti, affrancati da quella peste, sparsi in moltissimi paesi dell'Africa, certamente diresti che sarebbe stata troppo grande crudeltà - solo per paura che alcuni, disperati e incomparabilmente meno numerosi di quell'immensa folla di convertiti, si dessero la morte gettandosi da se stessi nelle fiamme - lasciare gli altri perdersi in eterno e bruciare nelle fiamme inestinguibili.

8.33 - Bisogna preoccuparsi del bene dei più

Se per esempio in una casa, che sapessimo con sicurezza esser sul punto di rovinare, abitassero due persone che non volessero credere alla sciagura da noi predetta e si ostinassero a restarvi dentro, penso che saremmo giustamente reputati crudeli, se, potendolo, non li tirassimo fuori anche a forza e dopo ciò non mostrassimo loro la rovina incombente, in modo che dopo non s'arrischiassero a tornare nella casa pericolante.

Se poi uno di loro ci dicesse: " Appena entrerete per trarcene fuori, mi ucciderò ", mentre un altro non volesse né uscirne né esserne tratto fuori né osare uccidersi, a qual partito dovremmo appigliarci?

Dovremmo forse lasciarli seppellire ambedue sotto le rovine o non sarebbe meglio sottrarne almeno uno col nostro caritatevole intervento, anche se l'altro dovesse perire non per colpa nostra ma sua?

Non c'è alcuno tanto disgraziato che non veda subito cosa occorre fare in tali frangenti.

Eppure il paragone da me portato suppone solo il caso d'una persona che si perde e d'una che si salva.

Cosa deve dunque pensarsi di pochi che si perdono e d'una moltitudine immensa di fedeli che si salvano?

Il numero di quei disgraziati che si uccidono volontariamente non è nemmeno paragonabile al numero dei fondi, dei borghi, dei paesi, dei villaggi, dei municipi e delle città che vengono salvati dalla funesta ed eterna rovina dello scisma mediante queste leggi.

8.34 - Come guadagnare le anime con la carità

Ma, se considerassimo più attentamente la questione che trattiamo, penso che, se in una casa destinata a rovinare ci fossero molti individui e potesse salvarsene almeno uno, anche se, nel tentativo di farlo, gli altri corressero ad uccidersi gettandosi nel vuoto, potremmo sempre nel dolore per la sventura degli altri trarre una certa consolazione dall'aver salvato almeno quell'unica persona; ma non nel caso che lasciassimo perire tutti per paura che gli altri si diano la morte da se stessi, col risultato di non salvarne in tal modo nessuno.

Che cosa dunque dobbiamo pensare del nostro obbligo di carità da esercitare a favore del prossimo, per indirizzarlo a conseguire la vita eterna o allontanarlo dall'eterno castigo, se la retta ragione e la stessa cortesia ci obbligano d'aiutare il prossimo a conservare o prolungare solo per breve tempo questa vita, già di per sè breve e peritura?

9.35 - La costrizione lamentata dagli eretici

I Donatisti poi ci rinfacciano che noi bramiamo, anzi rubiamo addirittura le loro proprietà.

Ebbene, diventino essi pure cattolici ( Dio lo volesse! ) ed entrino in tal modo in possesso con noi, nell'unità e nella carità cristiana, non solo dei beni che sostengono essere loro propri, ma anche dei nostri.

Essi inoltre sono talmente accecati dalla brama di calunniare, da non riflettere quanto siano tra loro contrarie le affermazioni che fanno.

Essi affermano senza dubbio e pare ce lo rinfaccino come un sistema quanto mai odioso, che noi li costringiamo ad entrare nella nostra comunione con la forza coercitiva delle leggi.

Certamente noi non agiremmo affatto così, se bramassimo di possedere le loro proprietà.

Quale individuo avido desidera mai un comproprietario?

Qual è mai quell'ambizioso, acceso della brama di dominio o esaltato dall'orgoglio della propria potenza, che desideri un altro associato nel comando?

Basterebbe che osservassero come vivono alcuni Donatisti diventati Cattolici ed ora uniti a noi da fraterno amore, e padroni non solo dei beni che già possedevano, ma pure dei nostri che ancora non possedevano.

Tuttavia questi medesimi beni, che sono dei poveri, sono nostri e loro qualora ci troviamo ( noi ed essi ) nell'indigenza; qualora invece abbiamo dei beni a sufficienza per parte nostra, i beni che possediamo non sono nostri, ma dei poveri; in tale ipotesi ne siamo, per così dire, solo gli amministratori a loro favore e ci guardiamo bene dall'attribuircene la proprietà, cosa questa che equivarrebbe a un'ingiusta usurpazione.

9.36 - Chi è partecipe dei beni della Chiesa

Gl'Imperatori cristiani, dunque, con leggi ispirate dal loro sentimento religioso, hanno bensì prescritto che tutti i beni intestati alle chiese della setta donatista passino in proprietà della Chiesa Cattolica con le stesse chiese; ma dal momento che i fedeli e i poveri delle medesime chiese, i quali venivano sostentati con i proventi di quelle piccole proprietà, sono anch'essi tornati tra noi, essi piuttosto, che sono ancora fuori della Chiesa, devono rinunciare ad agognare i beni altrui; entrino anch'essi nella comunione dell'unica Chiesa e allora amministreremo insieme, non solo i beni che pretendono essere propri, ma pure quelli di proprietà esclusivamente nostra.

Poiché sta scritto: Ogni cosa è vostra, ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio. ( 1 Cor 3,22-23 )

Cerchiamo d'essere tutti una cosa sola nell'unità del Corpo di Cristo sottomessi a Lui come capo, ( Gal 3,28; Ef 1,22-23; Ef 4,15; Ef 5,23; Col 1,18 ) e facciamo in modo che a proposito di tali cose si avveri quanto sta scritto negli Atti degli Apostoli: I Cristiani formavano un'anima sola e un cuore solo e nessuno di loro chiamava proprio un suo bene, ma ogni cosa era posseduta in comune. ( At 4,32 )

Facciamo in modo d'avere nel cuore quel che ripetiamo cantando: Ecco quanto è bello e dolce il convivere insieme come fratelli! ( Sal 133,1 ) affinché gli eretici constatino e capiscano con quanta sincerità la Chiesa Cattolica, nostra madre, rivolge loro a gran voce quel che scrive S. Paolo ai Corinti: Cerco non già le cose vostre, ma solo voi stessi. ( 2 Cor 12,14 )

9.37 - Chi appartiene alla comunità dei giusti

Ma, se oltre a ciò, consideriamo l'espressione del libro della Sapienza: Perciò i giusti portarono via le spoglie degli empi ( Sap 10,19 ) e quella del libro dei Proverbi: I beni degli empi sono ammassati per i giusti, ( Pr 13,22 sec. LXX ) allora vedremo che non si tratta di cercare chi possiede le ricchezze degli eretici, ma chi appartiene alla comunità dei " giusti ".

Ora sappiamo bene che i Donatisti non solo pretendono d'essere " giusti " ma si vantano di possedere tanta " giustizia ", da poterla comunicare perfino agli altri.

Affermano infatti che sono loro a operare la giustificazione di quelli ch'essi battezzano.

In tal modo non resta loro se non di stabilire che quelli che sono battezzati da loro devono credere a colui che amministra il battesimo.

E perché non dovrebbero fare ciò, dal momento che l'Apostolo dice: A chi crede in Colui che fa giusto l'empio la fede viene computata a giustizia? ( Rm 4,5 )

Il battezzato creda perciò in chi gli amministra il battesimo se è questo a farlo giusto, affinché la fede gli sia ascritta a giustizia.

Penso peraltro che essi avrebbero orrore di se stessi se si degnassero di riflettere anche solo un tantino a tali assurdità, dal momento che Dio solo è giusto e principio di giustificazione. ( 2 Mac 1,25; Rm 8,33 )

Di costoro inoltre può dirsi quanto l'Apostolo diceva dei Giudei, i quali misconoscendo la giustizia di Dio e sforzandosi di stabilire la propria, non vollero sottomettersi alla giustizia di Dio. ( Rm 10,3 )

9.38 - Quando la Chiesa sarà perfetta

Quanto a noi, Dio non voglia che alcuno si proclami da se stesso " giusto ", così da accampare una sua propria giustizia, come se ce la fossimo procurata da noi stessi, dal momento che la S. Scrittura ci dice: Che cosa possiedi tu senza averlo ricevuto? ( 1 Cor 4,7 )

Dio non voglia neppure che durante la vita terrena alcuno osi vantarsi d'essere immune da peccati, come affermarono gli eretici alla conferenza avuta con noi, che cioè essi appartenevano ad una Chiesa scevra di macchie o di rughe o di altri simili difetti, ( Ef 5,27 ) non sapendo che tale condizione è privilegio unicamente di quelli che muoiono subito dopo aver ricevuto il battesimo o la remissione dei peccati, di cui hanno chiesto perdono nella preghiera; questa condizione per la Chiesa intera si avvererà quando sarà assolutamente scevra di macchie o di rughe o di altri simili difetti, allorché potrà esclamare: Dov'è, o morte, la tua vittoria?

Dov'è, o morte, il tuo pungiglione?

Il pungiglione della morte infatti è il peccato. ( 1 Cor 15,55-56 )

9.39 - I battezzati non sono impeccabili

Se dunque nella presente vita, in cui il corpo corruttibile appesantisce l'anima, ( Sap 9,15 ) la Chiesa dei Donatisti è già perfetta, costoro non dovrebbero rivolgere a Dio la preghiera insegnataci dal Signore: Rimetti a noi i nostri debiti. ( Mt 6,12 )

Dal momento che nel battesimo ci sono stati rimessi tutti i peccati, perché mai la Chiesa fa questa domanda se fin d'ora è senza macchie o rughe o alcunché di simile?

Allo stesso modo essi dovrebbero considerare priva di alcun valore l'affermazione dell'apostolo Giovanni, che nella sua lettera proclama: Se diciamo d'essere senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non abita in noi.

Se invece confessiamo i nostri peccati, Dio è tanto fedele e giusto, da rimetterceli e purificarci da ogni iniquità. ( 1 Gv 1,8-9 )

Animati da questa speranza tutti i fedeli della Chiesa ripetono: Rimetti a noi i nostri debiti affinché, mentre non c'insuperbiamo, ma ci confessiamo, Cristo Signore ci mondi da ogni iniquità, e così nel giudizio finale si faccia comparire innanzi la sua Chiesa gloriosa senza macchie o rughe o alcunché di simile. ( Ef 5,27 )

Egli la purifica fin d'ora mediante il lavacro dell'acqua e con la parola. ( Ef 5,26 )

Col battesimo infatti non resta la più piccola macchia dei peccati passati che non venga cancellata, purché tuttavia lo stesso battesimo non sia ricevuto invalidamente fuori della Chiesa Cattolica, ma venga amministrato dalla Chiesa, oppure, s'è stato già amministrato fuori della Chiesa, non si rimanga con esso fuori del suo grembo.

Inoltre qualunque colpa di qualsiasi specie venga commessa dopo il battesimo per umana fragilità da chi vive quaggiù, viene rimessa in virtù del battesimo già ricevuto.

A nulla infatti giova ai non battezzati dire: Rimetti a noi i nostri debiti. ( Mt 6,12 )

9.40 - Cristo " giustifica " solo il proprio corpo, la Chiesa

Ecco in qual modo Cristo purifica la sua Chiesa col lavacro dell'acqua e con la parola, al fine di mostrarla senza macchie o rughe o alcunché di simile, cioè tutta bella e perfetta, allorché la morte sarà fatta sparire dalla vittoria. ( 1 Cor 15,54 )

Ora adunque siamo " giusti " poiché abbiamo in noi la forza derivante dall'esser nati da Dio e dal fatto di vivere nella fede ( Rm 1,17; Gal 3,11; Eb 10,38 ) ma, poiché portiamo in noi le conseguenze della natura corrotta, derivate da Adamo, non siamo senza peccato.

È anche vero quanto dice la Scrittura: Chi è nato da Dio, non pecca; ( 1 Gv 3,9 ) e inoltre: Se diremo d'essere senza peccato, non faremo che ingannarci da noi stessi, e la verità non abita in noi. ( 1 Gv 1,8 )

Il " giusto " che giustifica è perciò solo Cristo nostro Signore; noi invece siamo stati giustificati senz'alcun merito, ma solo per grazia di lui. ( Rm 3,24 )

Orbene, egli non santifica se non il proprio Corpo, che è la Chiesa: ( Col 1,24; Sap 10,19 ) se quindi è lecito al Corpo di Cristo appropriarsi le spoglie degli empi e se è vero che le ricchezze degli empi vengono accumulate ( Pr 13,22 sec. LXX ) per il Corpo di Gesù Cristo, non si ostinino gli empi a rimanere fuori della Chiesa per accusarla con false affermazioni, ma vengano dentro per essere giustificati.

9.41 - I cattolici avranno ragione degli eretici

Il passo quindi della S. Scrittura che, a proposito del giorno del giudizio, dice: Allora i giusti si ergeranno con gran sicurezza di fronte a coloro che li avranno oppressi e avranno portato via i frutti delle loro fatiche, ( Sap 5,1 ) non deve intendersi nel senso che il Cananeo debba erigersi contro Israele per il fatto che questo s'impadronì dei frutti delle sue fatiche, ( Gs 17,12-13 ) ma nel senso che sarà Naboth ad erigersi contro Achab, che s'appropriò i frutti delle fatiche di quello.

Il Cananeo infatti era empio, mentre Naboth era giusto. ( 1 Re 21,1-16 )

Allo stesso modo non saranno i Pagani ad erigersi contro i Cristiani per il fatto che questi s'impadronirono dei frutti delle loro fatiche, allorché furono saccheggiati o distrutti i templi degl'idoli, ma saranno i Cristiani ad erigersi contro i Pagani che s'impadronirono delle loro ricchezze, quando furono atterrati i corpi dei martiri.

Così non saranno nemmeno gli eretici ad erigersi contro i Cattolici, che s'impadronirono dei loro beni quando furono applicate contro di essi le leggi degli Imperatori cattolici, ma saranno i Cattolici ad erigersi contro gli eretici, che portarono via il frutto delle loro fatiche, quando regnava incontrastata la prepotenza degli empi Circoncellioni.

La stessa S. Scrittura indica la soluzione della questione, poiché non dice: " Allora si ergeranno gli uomini " ma: Allora si ergeranno i giusti, sicuri del proprio diritto, perché avranno la coscienza a posto.

9.42 - Gli scismatici, membra strappate dal Corpo di Cristo

Nessuno poi quaggiù è " giusto " in forza di una giustizia propria, ossia di una giustizia di cui saremmo autori noi stessi, ma ciascuno è giusto nella misura del grado di fede che Dio gli ha concesso, come dice l'Apostolo; S. Paolo quindi soggiunge: Come infatti in un sol corpo abbiamo molte membra e non tutte adempiono la stessa funzione, così noi pure, benché in molti, formiamo un sol corpo in Cristo. ( Rm 12,3-5 )

Nessuno quindi può esser " giusto " finché resterà separato dall'unità di questo Corpo.

Infatti, come un membro amputato dal corpo d'una persona viva non può mantenere lo spirito vitale, così un individuo, amputato dal Corpo di Cristo " il giusto ", non può mantenere in alcun modo lo spirito della giustizia, anche se mantiene la forma di membro presa nel Corpo.

Entrino dunque i Donatisti nell'unità di questo Corpo ed entrino in possesso dei frutti delle loro fatiche per usarli per i fini voluti dalla religione e non per il piacere di disporne dispoticamente.

Le nostre intenzioni, come ho già detto, non sono macchiate dal vizio della cupidigia - qualunque sia il giudizio dei nostri avversari - dal momento che, per quanto possiamo, andiamo in cerca di quei medesimi, che vanno asserendo essere propri i beni in questione, affinché godano con noi non solo tali beni, ma altresì i nostri, nella santa comunione cattolica.

10.43 - È illecito ripetere il battesimo

" Ma è proprio questo vostro interessamento per noi che ci stupisce " ci obiettano; " se siamo ingiusti, perché mai ci volete con voi? ".

" È vero: - rispondiamo loro - andiamo in cerca di voi 'ingiusti' perché non continuiate a rimanere 'ingiusti' ".

Siete perduti, è vero, ma proprio per questo andiamo in cerca di voi, per aver la gioia d'avervi ritrovato ed esclamare: Questo nostro fratello era morto, ma è risorto; era perduto, ma è stato ritrovato. ( Lc 15,32 )

" E allora - incalza il donatista - perché non mi battezzi, per lavarmi dai peccati? ".

Rispondo: " Perché non voglio recare offesa all'impronta del sovrano nel ricondurre nei ranghi un soldato disertore ".

" Perché mai - insiste egli - non dovrei fare almeno penitenza nel tuo quartiere? ".

" Anzi, se non la farai, non potrai sperare di salvarti; come potrai godere d'esser tornato sulla retta via, se prima non proverai il dolore d'esserti traviato? ".

" Ma alla fine dei conti - incalza ancora - che cosa riceviamo da voi passando dalla vostra parte? ".

" Non certo il battesimo, che poté sussistere in voi fuori dell'unità del Corpo di Cristo, ma non poté esservi di giovamento; ricevete invece l'unità dello spirito ( che ci unisce ) mediante il vincolo della pace, senza la quale nessuno potrà contemplare Dio, ( Ef 4,3; Eb 12,14 ) e ricevete la carità, la quale, al dire della S. Scrittura, copre la moltitudine dei peccati; ( 1 Pt 4,8 ) essa è un bene sì grande, che senza di essa non serve a nulla né parlare le lingue degli uomini e degli angeli, né conoscere tutti i misteri, né avere il dono della profezia, né una fede capace di spostare le montagne, né distribuire tutto ciò che si possiede ai poveri, né affrontare la morte tra le fiamme, come afferma l'Apostolo. ( 1 Cor 13,1-3 )

Se voi un tesoro sì grande lo considerate come una cosa da nulla o come un'inezia, giustamente siete nell'errore; giustamente perirete se non passate all'unità cattolica ".

10.44 - La disciplina ecclesiastica mitigata per i convertiti

" Se dunque - obiettano ancora - per salvarci dobbiamo fare penitenza per essere stati fuori e contro la Chiesa, in qual modo dopo siffatta penitenza potremo conservare la dignità di chierici o anche di vescovi presso di voi? ".

Ciò - dobbiamo riconoscerlo francamente - non dovrebbe aver luogo, ed effettivamente non avverrebbe, se non trovasse un compenso nel recupero dell'unità.

Ma a farsi questo rimprovero, e soprattutto a dolersene con umiltà, dovrebbero essere essi, che sono caduti nella morte spirituale per essersi staccati dalla Chiesa, affinché siano richiamati alla vita della grazia mediante questa specie di ferita, alla Chiesa Cattolica, nostra madre.

Quando infatti s'innesta un ramo staccato dal tronco, si deve praticare un'altra ferita all'albero, affinché possa inserirvisi di nuovo e riprendere vita, esso che, staccato dalla radice della vita, era destinato a perire; allorché però ha ben attecchito sull'albero, in cui è innestato, ritorna il vigore coi frutti; se invece non attecchisce perfettamente, si secca, ma l'albero continuerà a vivere.

V'è anche un altro modo di innestare: quando s'inserisce nell'albero un ramo estraneo, si pratica bensì un'incisione piccolissima nell'albero stesso, senza tagliare alcuno dei suoi rami; allo stesso modo, quando questi dissidenti ritornano alla radice dell'unità cattolica e non si toglie loro la carica e il grado del loro ordine sacro e dell'episcopato ( come sarebbe doveroso castigo del loro tradimento ), la Chiesa riceve una specie di ferita sul proprio corpo vivo e si lede in qualche modo l'integrità e il rigore delle norme disciplinari, ma, poiché non è nulla né chi pianta né chi innaffia, ( 1 Cor 3,7 ) e poiché per la misericordia di Dio, invocata nelle nostre preghiere, attecchiscono nella pace i rami innestati, la carità copre la moltitudine dei peccati. ( 1 Pt 4,8 )

10.45 - La carità supera la severità per guarire mali maggiori

La norma con cui la Chiesa ha stabilito che nessuno sia promosso o torni o resti nel clericato, qualora sia stato sottoposto alla penitenza per qualche peccato ( pubblico ), è stata emanata non perché si disperi del perdono, ma per mantenere in vigore la disciplina.

Se così non fosse, porremmo in discussione il potere concesso da Cristo alla Chiesa, quando disse ai suoi Apostoli: Ciò che scioglierete sulla terra sarà pure sciolto nel cielo. ( Mt 16,19; Mt 18,18 )

Ma per evitare che qualche superbo e ambizioso, anche dopo la scoperta di suoi gravi peccati, ne facesse per caso pubblica penitenza nella speranza d'arrivare a cariche ecclesiastiche, fu stabilita la norma assai rigorosa che non potesse diventare chierico chi avesse dovuto espiare con la penitenza pubblica peccati capitali; e ciò, affinché togliendo la speranza di cariche temporali, l'umiltà rimanesse il rimedio più efficace e più genuino.

Così anche il re David, pur avendo dovuto fare penitenza di peccati mortali, rimase tuttavia nella sua dignità. ( 2 Sam 12,1-20; 2 Sam 24,17 )

Così pure S. Pietro quando versò amarissime lacrime, si pentì certamente d'aver rinnegato il Signore, ma ciononostante continuò a rimanere apostolo. ( Mt 26,69-75; Mc 14,66-72; Lc 22,55-62 )

Ma non per questo si deve ritenere inutile la saggia precauzione dei successori, i quali, avendo esperimentato, a mio avviso, che alcuni avevano fatto penitenza solo nella speranza di conservare o raggiungere le cariche ecclesiastiche, vollero, senza togliere nulla alla possibilità della salvezza, rendere più sincera l'umiltà e più sicura la salvezza.

Nuove malattie obbligano a trovare anche nuove medicine; quando però si tratta di simili questioni, quando cioè gravi scismi minacciano di condurre all'eterna rovina non già singole persone ma popolazioni intere, occorre mitigare la severità di certe norme e fare in modo che la più schietta carità venga in aiuto a guarire mali più gravi.

10.46 - Bontà della Chiesa verso i chierici tornati dallo scisma

Provino dunque costoro amaro dolore del loro detestabile errore, come quello provato da S. Pietro per la paura da cui fu spinto a mentire, ( Mt 26,69-75; Mc 14,66-72; Lc 22,55-62 ) e tornino alla vera Chiesa di Cristo, cioè alla Chiesa Cattolica, nostra madre; siano in essa chierici e vescovi, arrecando utilità a colei che trattarono con ostilità.

Lungi dal guardarli di malocchio, noi accogliamo a braccia aperte, desideriamo, esortiamo, forziamo a entrare nella Chiesa tutti quelli che incontriamo per le vie e lungo le siepi; ( Lc 14,23 ) ma, pur così facendo, non riusciamo ancora a persuadere alcuni che non cerchiamo affatto le loro ricchezze, ma solo le loro anime.

Quando l'apostolo Pietro rinnegò il Salvatore, pianse e continuò ad essere apostolo, pur non avendo ricevuto ancora lo Spirito Santo. ( Gv 14,26; Gv 16,13 )

È vero, ma costoro sono ancora più lontani dall'averlo ricevuto, dal momento che, separati dalla compagine dell'unico corpo vivificato dallo Spirito Santo, ( Gv 6,64; Gv 16,13 ) hanno conservato fuori della Chiesa e contro la Chiesa i Sacramenti della Chiesa e come in una guerra civile si sono dati a combatterla innalzando le nostre insegne e le nostre armi contro di noi.

Ma tornino; e regni la pace per mezzo della forza di Gerusalemme, forza che consiste nella carità.

A questa santa città la S. Scrittura si rivolge dicendo: Regni la pace nella tua forza e l'abbondanza nelle tue torri. ( Sal 122,6-7 )

La materna sollecitudine che la madre Chiesa ha sempre avuto ed ha tuttora per adunare essi e tanti altri fedeli, che essi seducono o hanno sedotto, non serva loro di pretesto per insuperbirsi e levarsi contro di essa.

Non s'insuperbiscano per il fatto che la Chiesa li accoglie così.

Non facciano servire al male della propria superbia l'opera esplicata dalla Chiesa per il bene della pace.

10.47 - Gli scismatici convertiti mantenuti nei loro gradi

Ecco quale condotta è solita tenere la Chiesa nell'aiutare le moltitudini che corrono pericolo di perdersi a causa degli scismi e delle eresie.

Tale norma non poteva piacere a Lucifero, poiché fu praticata nell'accogliere e guarire coloro ch'erano periti a causa del veleno dell'eresia ariana: ma Lucifero a cui quella condotta era dispiaciuta, perse la luce della carità e cadde nelle tenebre dello scisma.

La stessa norma fu conservata in Africa nei confronti dei Donatisti fin dall'inizio dalla Chiesa Cattolica, la quale si uniformò alle decisioni dei vescovi, che nella Chiesa di Roma avevano giudicato la controversia tra Ceciliano e il partito di Donato.

Essi, dopo aver condannato solo un certo Donato, che risultò in modo evidente autore dello scisma, decisero che tutti gli altri, una volta emendatisi, fossero accolti senza che perdessero la loro dignità, sebbene fossero stati ordinati fuori della Chiesa.

Non già che potessero avere lo Spirito Santo anche fuori dall'unità del Corpo mistico di Gesù Cristo, ma si voleva soprattutto venire incontro a coloro che i Donatisti, se fossero rimasti fuori della Chiesa, avrebbero potuto sedurre e impedire dal ricevere quel beneficio; si mirava inoltre a far sì che, trattando la debolezza degli stessi convertiti con maggiore dolcezza guarissero più facilmente in seno alla Chiesa, qualora la caparbietà non impedisse più alla loro anima di vedere la verità in tutta la sua luce.

Qual altro provvedimento avevano mai escogitato essi stessi quando, dopo aver condannato i Massimianisti come consapevoli di sacrilego scisma - come dice testualmente il loro concilio5 - e, dopo aver perfino ordinato al loro posto altri vescovi, avendo costatato ch'erano ancora seguiti dai fedeli, li riammisero nella setta conservandoli nella loro dignità per non perdere tutti i seguaci?

Mossero forse alcuna obiezione o contestazione contro il battesimo che avevano conferito quelli stessi da loro condannati?

Perché mai, dunque, si meravigliano e si lamentano o fanno perfide insinuazioni per il fatto che noi, nell'interesse dell'autentica concordia cristiana, li abbiamo accolti in tal modo, e non si ricordano invece quanto fecero essi stessi per la falsa concordia dei Donatisti, contraria a quella di Cristo?

Se tale fatto fosse conosciuto e lo si sapesse loro rinfacciare opportunamente, non saprebbero certo rispondere nulla.

11.48 - Il peccato contro lo Spirito Santo

" Ma perché mai - obiettano ancora - andate in cerca di noi, se, rigettando con disprezzo il vostro battesimo, abbiamo peccato contro lo Spirito Santo, dal momento che questo peccato non ci può essere assolutamente perdonato secondo l'affermazione del Signore che dice: Chi commetterà peccato contro lo Spirito Santo, non gli sarà perdonato né in questa vita né in quella futura? ". ( Mt 12,32 )

Essi però non considerano che, se si seguisse tale interpretazione, non dovrebbe salvarsi nessuno.

Non parla e non pecca forse contro lo Spirito Santo sia chi non è ancora cristiano, sia chi è eretico seguace di Ario, o d'Eunomio, o di Macedonio i quali affermano ch'esso è una semplice creatura o seguace di Fotino, il quale gli nega una sua sussistenza personale e non ammette altro Dio che il Padre, e così pure altri eretici, che sarebbe troppo lungo ricordare?

Nessuno dunque di tali eretici potrà salvarsi?

Forse che agli stessi Giudei, contro i quali il Signore pronunciò quella frase, si sarebbe dovuto negare il battesimo, qualora avessero creduto in Lui?

In realtà il Salvatore non disse: " non sarà perdonato nel Battesimo ", ma: non sarà perdonato né in questa vita né in quella futura.

11.49 - Quale peccato contro lo Spirito Santo sia irremissibile

Cerchino dunque di comprendere che Cristo non intese dire che non sarà perdonato alcun peccato contro lo Spirito Santo, ma solo un certo peccato speciale.

Così anche quando disse: Se non fossi venuto, non avrebbero colpa, ( Gv 15,22 ) non voleva intendere qualsiasi colpa, dal momento che i Giudei erano macchiati di molti e gravi peccati, ma voleva alludere a un certo peccato particolare che se non lo avessero commesso si sarebbero potuti rimettere loro tutti gli altri peccati commessi; alludeva cioè al peccato consistente nel rifiutare di credere in Lui, venuto nel mondo, peccato che non avrebbero commesso, s'egli non fosse venuto tra loro.

Così pure quando disse: Chi peccherà contro lo Spirito Santo, ( Mt 12,32 ) o: Chi bestemmierà contro lo Spirito Santo, ( Gv 20,22-23 ) non voleva intendere qualsiasi peccato commesso contro lo Spirito Santo con azioni o parole, ma un peccato ben determinato, quello cioè che consiste nell'ostinazione del cuore fino alla fine della vita, per cui uno rifiuta di ricevere il perdono dei peccati nell'unità del Corpo di Cristo, ( Gv 6,64 ) vivificato dallo Spirito Santo.

Infatti, subito dopo aver detto ai discepoli: Ricevete lo Spirito Santo, soggiunse: A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi; saranno ritenuti a chi voi li riterrete.

Chi dunque respingerà questo dono della grazia di Dio e vi si opporrà, o in qualsiasi modo si mostrerà ad esso maldisposto fino alla fine di questa vita terrena, non gli sarà perdonato né in questa vita né in quella futura poiché è un peccato naturalmente sì grave, che impedisce la remissione di tutti gli altri.

Che però uno l'abbia commesso, non si potrà avere alcuna prova, se non dopo la morte.

Finché uno vive quaggiù, la pazienza di Dio - come dice l'Apostolo - cerca solo di spingerlo al pentimento; ( Rm 2,4 ) ma s'egli, rimanendo ostinatamente ribelle a Dio nella misura dell'ostinazione del suo cuore, del suo cuore impenitente - come soggiunge subito l'Apostolo - accumula sul proprio capo la collera di Dio per il giorno dell'ira e della manifestazione del giusto giudizio di Dio, ( Rm 2,5 ) allora non sarà perdonato né in questa vita né in quella futura.

11.50 - Privi dello Spirito Santo quanti sono fuori della Chiesa

Non si deve comunque disperare di coloro con cui trattiamo o di cui ora parliamo, poiché sono ancora in vita.

Essi però non cerchino lo Spirito Santo fuori dell'unità del Corpo di Cristo di cui posseggono bensì il sacramento esternamente, ma non hanno in cuore la realtà di cui quello è segno e perciò mangiano e bevono la loro condanna. ( 1 Cor 11,29 )

Un unico pane è infatti il segno sacramentale dell'unità; poiché - dice l'Apostolo - c'è un solo pane, noi, sebbene molti, siamo un solo Corpo. ( 1 Cor 10,17 )

Solamente la Chiesa Cattolica è quindi l'unico Corpo di Cristo, essendo egli stesso il Capo e il Salvatore del proprio Corpo. ( Ef 5,23 )

Fuori di questo Corpo nessuno è vivificato dallo Spirito Santo poiché, sempre al dire dell'Apostolo: la carità di Dio è diffusa nei nostri cuori per opera dello Spirito Santo, che ci è stato elargito. ( Rm 5,5 )

Ora, non può esser partecipe della divina carità chi è nemico dell'unità. Di conseguenza, quelli che sono fuori della Chiesa, non hanno lo Spirito Santo, poiché di essi sta scritto: Quelli che si separano sono animaleschi, privi dello Spirito. ( Gd 19 )

Ma non lo riceve neppure chi è entrato con finzione nella Chiesa Cattolica, poiché anche a tal riguardo è scritto: Lo Spirito Santo fugge l'ipocrisia della dottrina. ( Sap 1,5 )

Chi dunque vuol avere lo Spirito Santo, si guardi dal rimanere fuori della Chiesa o d'entrarvi simulatamente oppure, se v'è già entrato con finzione, si guardi bene dal persistere in questa simulazione, se vuol veramente crescere in unione con l'albero della vita.

11.51 - Come correggere e guarire gli erranti

T'ho inviato una lettera prolissa e forse gravosa per le tue occupazioni.

Se quindi potrà essere da te letta anche solo a diverse riprese, il Signore ti darà l'intelligenza per possedere gli argomenti da opporre agli eretici al fine di ricondurli sul retto sentiero e salvarli.

Come a figlio fedele te li raccomanda la madre Chiesa per ricondurli - nel tempo e nel modo più opportuno che potrai - sul retto sentiero e avviarli alla salvezza, sia parlando ogni tanto tu stesso con loro, sia rispondendo alle loro obiezioni, sia indirizzandoli a coloro che la Chiesa ha costituiti maestri della verità.

Indice

1 Aug., Ad Donat. post collat. 16,20
2 Teren., Adel., 1,57-58
3 Teren., Adel., 1,69-75 loc. adbrev. a CICER., Actio in Verr. 3,62
4 Cod. Theodos. 16,5,21
5 Aug., Contra Cresc. 3,53,59; 4,10,12; De Bapt. 1,5,7