Questioni sulla lettera ai Romani

40 - [ 48 ] Quello che era impossibile alla legge, perché resa debole a motivo della carne, Dio mandò il suo Figlio con una carne simile alla carne peccatrice e in carne di peccato condannò il peccato, affinché la giustizia delle legge si adempisse in noi che non camminiamo secondo la carne ma secondo lo spirito.

Mostra nella maniera più esplicita quale sia stato il motivo per cui i precetti della legge, sebbene dovessero essere osservati, di fatto non si osservavano.

Dipendeva dal fatto che gli uomini ai quali era stata data la legge, prima della grazia erano irretiti dai beni carnali e da essi volevano conseguire la felicità, non temendo altra sventura se non quella che li avesse colpiti in quei beni.

Se in tali beni fossero stati in qualche modo messi alla prova, essi con facilità calpestavano i precetti della legge.

In tale maniera la legge veniva svigorita poiché quello che essa comandava non era osservato; e questo non per colpa di lei ma della carne, cioè degli uomini che, bramosi dei beni carnali, non amavano la giustizia della legge ma le preferivano i vantaggi temporali.

Si dice pertanto che il nostro Salvatore, il Signore Gesù Cristo, assumendo la carne mortale, venne con una carne simile a quella che aveva peccato e alla quale era dovuta la morte.

È vero certamente che la morte del Signore fu una degnazione, non un debito; eppure, nonostante ciò, l'Apostolo chiama peccato l'assunzione delle carne mortale, per quanto non peccatrice, perché quando un immortale subisce la morte commette, per così dire, un peccato: Ma con peccato condannò il peccato nella carne.

La morte del Signore in effetti escluse il timore della morte, con la conseguenza che non si bramassero più con avidità i beni temporali e non spaventassero più i mali temporali.

Tutto questo invece comportava la prudenza carnale, che quindi era incapace di far adempiere i precetti della legge.

Da quando però tale prudenza è stata distrutta e spazzata via in virtù di quell'uomo, che era il Signore, ecco che si è in grado di compiere la giustizia della legge, poiché non si cammina più secondo la carne ma secondo lo spirito.

Sono pertanto verissime le parole: Non sono venuto ad abolire la legge ma a darle compimento, ( Mt 5,17 ) e: Pienezza della legge è l'amore, ( Rm 13,10 ) quell'amore che posseggono quanti camminano secondo lo spirito.

Esso infatti rientra nell'ambito della grazia dello Spirito Santo.

Viceversa finché non ci fu l'amore per la giustizia ma il timore, non fu possibile mettere in pratica la legge.

41 - [ 49 ] La prudenza della carne è nemica di Dio: non si assoggetta alla legge di Dio e nemmeno lo potrebbe.

Chiarisce in che senso abbia detto: Nemica, perché nessuno pensi trattarsi di una qualche natura derivante da un principio avverso, e non creata da Dio, e per questo muoverebbe guerra a Dio.

Nemico di Dio è quindi detto chiunque non si sottomette alla sua legge spinto dalla prudenza della carne, per la quale desidera smodatamente i beni temporali e teme i mali temporali.

In effetti, a voler definire la prudenza, essa si esplica nel desiderare il bene e schivare il male.

A ragione dunque l'Apostolo chiama prudenza della carne quella per la quale si desiderano come supremi i beni che non sopravvivono insieme con l'uomo e si teme di perdere quei beni che presto o tardi si dovranno abbandonare.

Ora una prudenza di questo tipo non può essere sottomessa alla legge di Dio; anzi, per obbedire alla legge occorre che tale prudenza scompaia e le succeda la prudenza dello spirito, che non fa riporre la speranza in beni temporali né fa temere i mali.

La nostra anima infatti, pur essendo sempre identica nella natura, può avere e la prudenza della carne, quando va dietro ai beni inferiori, e la prudenza dello spirito, quando sceglie i beni superiori.

È come l'acqua: per natura è sempre la stessa, ma col freddo gela, col caldo si liquefà.

Quando dunque si dice che la prudenza della carne non si assoggetta alla legge di Dio, e nemmeno lo potrebbe, è come se si dicesse - e ciò è vero - che la neve non può diventare calda.

La cosa è infatti impossibile, poiché se alla neve si avvicina il calore si scioglie e diviene acqua calda, che nessuno potrà ancora chiamare neve.

42 - [ 50 ] Il corpo è, sì, morto per il peccato, ma lo spirito è vita in ordine alla giustizia.

Chiama morto il corpo perché mortale.

Dalla mortalità del corpo infatti nasce come un bisogno delle cose terrene che stimola l'anima e suscita in essa desideri ai quali però l'uomo che con la mente è sottomesso alla legge di Dio non obbedisce e quindi non pecca.

43 - [ 51 ] Se abita in voi lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù Cristo dai morti, colui che ha risuscitato Gesù Cristo dai morti darà vita anche ai vostri corpi mortali mediante il suo Spirito che abita in voi.

Presenta il quarto di quei quattro stadi che abbiamo enumerato antecedentemente.4

È questo uno stadio che non si trova nella vita presente, rientra però nella speranza per la quale aspettiamo la redenzione del nostro corpo, quando ciò che in noi è corruttibile si rivestirà di incorruttibilità e ciò che è mortale di immortalità. ( 1 Cor 15,53-54 )

Lì ci sarà pace perfetta, in quanto l'anima non dovrà più subire alcune molestia dal corpo ormai vivificato e cambiato in sostanza celeste.

44 - [ 52 ] Non avete infatti ricevuto uno spirito da schiavi che genera timore ma avete ricevuto lo spirito di figli adottivi per il quale gridiamo: Abbà! Padre.

Vengono con la massima chiarezza distinti i periodi dei due Testamenti: il primo nell'ambito del timore, il nuovo nella carità.

Ci si domanda cosa sia lo spirito della schiavitù.

Ora, se è vero che lo spirito dell'adozione a figli è lo Spirito Santo, ne consegue che lo spirito della schiavitù nel timore è quello spirito che ha potere di morte.

Da questo timore infatti erano ridotti in schiavitù per tutta la vita coloro che vivevano sotto la legge, non sotto la grazia.

Né c'è da stupirsi se dalla provvidenza divina ricevettero un tale spirito coloro che andavano dietro a beni temporali, e questo non perché appartengono a lui la legge e il comandamento.

Infatti la legge è santa, e il comandamento è santo, giusto e buono, ( Rm 7,12 ) ma non è certamente buono lo spirito della schiavitù.

Questo spirito certamente non buono ricevono coloro che non sono in grado di adempiere i precetti della legge data: essi sono asserviti ai desideri carnali poiché la grazia del Salvatore non li ha ancora elevati alla condizione di figli adottivi.

In effetti di per sé lo spirito di servitù non esercita il potere su nessun uomo che non gli sia consegnato, secondo la disposizione della provvidenza divina, da quella giustizia di Dio che dà a ciascuno quel che gli spetta.

Un tale potere aveva ricevuto l'Apostolo: dice infatti di certuni che li ha consegnati a satana perché imparino a non bestemmiare; ( 1 Tm 1,20 ) e ancora, di un'altra persona: Ho già decretato di consegnare a satana questo tale per la rovina della carne e così l'anima si salvi. ( 1 Cor 5,3-5 )

Sono pertanto coloro che non si trovano in regime di grazia ma, stando sotto la legge, sono vinti dal peccato e obbediscono ai desideri della carne e per la trasgressione accrescono la gravità dei loro misfatti.

Di costoro si dice che hanno ricevuto lo spirito della schiavitù, cioè lo spirito di colui che ha il potere di morte.

Se infatti per spirito di schiavitù intendiamo lo stesso spirito dell'uomo, si rischierebbe di intenderci anche lo spirito di adozione, e cioè [ lo stesso spirito dell'uomo ] cambiato in meglio.

Ma siccome per spirito di adozione intendiamo lo Spirito Santo, come attestano chiaramente le parole dell'Apostolo: Lo stesso Spirito rende testimonianza al nostro spirito, non resta che intendere, per spirito di schiavitù, quello spirito cui sono asserviti i peccatori.

Da tutto ciò consegue che, come lo Spirito Santo libera dal timore della morte, così lo spirito della schiavitù, che ha potere di morte, opprime i colpevoli con la paura della morte.

In tale condizione l'uomo si volge al Salvatore per impetrarne l'aiuto, e ciò anche a dispetto del diavolo, che desidererebbe tenerlo sempre in suo potere.

45 - [ 53 ] Infatti la creazione nella sua attesa attende la rivelazione dei figli di Dio.

Essa è stata sottomessa alla caducità non per sua iniziativa, ecc. fino alle parole: Anche noi gemiamo in noi stessi nell'attesa dell'adozione, della redenzione del nostro corpo.

Queste parole occorre interpretarle in modo che non ci costringano a pensare che negli alberi, nelle erbe, nelle pietre e simili creature ci sia della sensibilità per cui provano dolore e gemono: è l'errore dei manichei!

Parimenti non dobbiamo immaginare che siano soggetti alla caducità gli angeli santi né ritenere che verrà il giorno in cui saranno liberati da questo asservimento alla morte: poiché essi sono certamente immortali.

Quell'" ogni creatura " dobbiamo quindi vederlo circoscritto, senza falsificare il testo, al solo uomo.

Non ci può infatti essere natura creata che non sia o spirituale, come quella sublime che spicca negli angeli, o animale, che si manifesta nella vita anche delle bestie, o corporea, come quella degli esseri che si vedono e si toccano.

Ora questa natura creata è tutta intera nel solo uomo, poiché esso risulta di spirito, di anima e di corpo.

Pertanto, se è detto che la creatura attende la rivelazione dei figli di Dio lo si dice dell'uomo che ora è fra gli stenti e soggiace alla corruzione ma aspetta quella manifestazione di cui dice l'Apostolo: Voi siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio.

Quando apparirà Cristo, vostra vita, allora apparirete anche voi con lui nella gloria. ( Col 3,3-4 )

E Giovanni: Carissimi, ora siamo figli di Dio, ma quello che saremo non è ancora apparso; sappiamo però che, quando egli si manifesterà, noi saremo simili a lui, poiché lo vedremo così com'egli è. ( 1 Gv 3,2 )

Questa è la rivelazione dei figli di Dio che la creazione attende: l'attendono cioè le creature tutte, che attualmente nell'uomo sono soggette alla caducità, essendo impiegate per finalità temporali, che passano come ombra.

Per questo anche nel salmo si dice: L'uomo è diventato simile alla vanità, e i suoi giorni passano come ombra. ( Sal 143,4 )

Della vanità parla anche Salomone dicendo: Vanità delle vanità, e tutto è vanità.

Quale ricavato ha l'uomo da ogni suo lavoro per cui s'affatica sotto il sole? ( Qo 1,2-3 )

E ancora Davide: Perché amate la vanità e andate a caccia di menzogne? ( Sal 4,3 )

A questa vanità dice Paolo che la creatura è soggetta non perché lei stessa l'abbia voluto: si tratta infatti d'un assoggettamento penale.

Se è vero infatti che l'uomo peccò di sua iniziativa, non per sua iniziativa egli fu condannato.

La condanna fu inflitta alla nostra natura [ da un altro ], che l'accompagnò con la speranza della redenzione.

Perciò soggiunge: A motivo di colui che ve l'assoggettò, con la speranza che la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della morte per la libertà della gloria dei figli di Dio.

Si tratta di tutto ciò che è soltanto creatura e per il periodo in cui non fu associata al numero dei figli di Dio; tuttavia l'Apostolo, guardandola alla luce di coloro che avrebbero creduto, vedeva realizzata l'affermazione che la creazione sarà liberata dalla schiavitù della morte.

Non sarebbe cioè stata ulteriormente asservita alla morte, di cui sono schiavi tutti i peccatori da quando all'uomo peccatore fu detto: Certamente morirai. ( Gen 2,17 )

Orbene essa sarà liberata per la libertà della gloria dei figli di Dio: mediante la fede, cioè, giungere alla gloria dei figli di Dio.

Finché rimase priva della fede non poteva chiamarsi se non " creatura " e si riferivano a lei le parole poste subito dopo: Sappiamo che la creatura geme ed è nelle doglie fino al presente.

Solo più tardi infatti sarebbero passati alla fede coloro che prima anche con lo spirito erano soggetti ad errori molesti.

Ma perché nessuno credesse che tali parole riguardassero soltanto le ambasce degli increduli, aggiunge delle constatazioni riguardanti coloro che avevano creduto: i quali sebbene con lo spirito, cioè con la mente, siano al servizio della legge di Dio, tuttavia con la carne sono ancora asserviti alla legge del peccato, ( Rm 7,25 ) per cui dobbiamo sopportare le molestie e gli importuni richiami della nostra mortalità.

È per questo che l'Apostolo soggiunge: E non soltanto ma anche noi, che pur possediamo le primizie dello Spirito, anche noi gemiamo in noi stessi.

Dice dunque che non soltanto quella che chiamiamo creatura è nel gemito e nel dolore in quegli uomini che ancora non credono e non rientrano quindi nel numero dei figli di Dio, ma ci siamo anche noi che crediamo e possediamo le primizie dello Spirito.

Sebbene con lo spirito siamo già uniti a Dio mediante la fede e per questo motivo il nostro nome non è più quello di " creatura " ma di " figli di Dio ", tuttavia anche noi gemiamo in noi stessi nell'attesa dell'adozione, cioè della redenzione del nostro corpo.

In realtà l'adozione è già avvenuta nell'ambito dello spirito, non del corpo.

Il nostro corpo non è stato ancora trasformato in quella configurazione celeste, come è già stato trasformato lo spirito, che, mediante la riconciliazione operata dalla fede, è passato dagli errori a Dio.

Ne segue che anche il credente è ancora in attesa di quella epifania che si otterrà con la resurrezione del corpo.

Allora si raggiungerà il quarto di quei ben noti stadi.

E lì regnerà la pace completa e perfetta insieme con l'eterna quiete: in nessun modo la corruttibilità ci opporrà resistenze, né ci saranno fastidi a tenerci in angustia.5

46 - [ 54 ] Allo stesso modo è ancora lo Spirito che viene in soccorso alla nostra limitatezza, in quanto noi non sappiamo cosa si debba chiedere ordinatamente nella preghiera.

Ovviamente parla dello Spirito Santo, come appare chiaramente dalle parole successive: Egli intercede per i santi secondo Dio.

In realtà noi non sappiamo cosa si debba chiedere ordinatamente nella preghiera per due motivi: primo, perché non ci si è palesato ancora il bene futuro che speriamo e verso il quale siamo protesi, e poi perché nella stessa vita presente molte cose ci possono sembrare vantaggiose, mentre in effetti sono ostacoli, e molte che riteniamo ostacoli sono in realtà vantaggiose.

Capita, ad esempio, una sofferenza: di quelle che Dio manda ai suoi servi per metterli alla prova o farli emendare.

A chi è poco addentro la cosa molte volte sembra inutile; ma se si pone mente alle parole: Dacci l'aiuto attraverso la tribolazione poiché vana è la salvezza che viene dall'uomo, ( Sal 60,13 ) se ne conclude che il più delle volte è nella tribolazione che Dio ci aiuta e che non vale la pena desiderare smodatamente la salute.

Questa infatti a volte diventa un ostacolo per l'anima, come quando la impastoia con l'attrattiva e l'amore alla vita presente.

Al riguardo dice ancora: Ho scoperto la tribolazione e il dolore e ho invocato il nome del Signore. ( Sal 115,3-4 )

Dicendo: Ho scoperto sottintende " utile".

Non ci si rallegra infatti giustamente d'aver trovato una cosa se non la si fosse cercata.

Noi dunque non sappiamo cosa si debba chiedere convenientemente nella preghiera, mentre Dio sa quel che ci giova per la vita presente e ciò che ci darà al termine della vita.

Qui allora interviene lo Spirito stesso intercedendo per noi con gemiti inesprimibili.

Dice che lo Spirito geme in quanto fa gemere noi, suscitando in noi mediante la carità il desiderio della vita futura.

È come nella frase: Il Signore vostro Dio vi tenta perché vuol sapere se lo amiate, ( Dt 13,3 ) dove quel " Perché vuol sapere " significa " perché vuol farvi sapere ".

A Dio infatti nulla è nascosto.

47 - [ 55 ] Quelli che ha chiamati li ha anche giustificati.

L'affermazione può sconcertare e farci chiedere se per davvero tutti i chiamati siano anche giustificati.

Tanto più che altrove leggiamo: Molti i chiamati ma pochi gli eletti. ( Mt 22,14 )

Siccome però anche gli eletti sono dei chiamati, è evidente che non ci sono giustificati che non siano anche chiamati, sebbene non vi rientrino tutti i chiamati ma solo quelli che sono stati chiamati secondo la predisposizione, come diceva sopra, intendendo per predisposizione il piano di Dio e non il progetto dell'uomo.

Lo stesso Apostolo infatti spiega cosa significhi la frase secondo la predisposizione quando dice: Poiché coloro che ha conosciuto in antecedenza li ha anche predestinati ad essere conformi all'immagine del Figlio suo.

Ne segue che non tutti i chiamati sono stati chiamati secondo la predisposizione che rientra nella prescienza e predestinazione di Dio.

Egli non predestinò nessuno del quale nella sua prescienza non conobbe che avrebbe creduto e seguito la sua chiamata, cioè di quelli che egli stesso chiama gli eletti.

È vero infatti che molti, pur essendo stati chiamati, non vengono; ma non c'è nessuno che possa venire se non è stato chiamato.

48 - [ 56 ] Perché egli sia il primogenito tra molti fratelli.

Insegna con sufficiente chiarezza la necessità di ben comprendere come il nostro Signore in un senso è unigenito, in un altro è primogenito.

Quando lo si dice unigenito, si vuol dire che non ha fratelli: è il Figlio naturale di Dio, il Verbo esistente in principio, ad opera del quale sono state create tutte le cose. ( Gv 1,1-3 )

Lo si dice al contrario primogenito per aver associato a sé dei fratelli.

Ciò è avvenuto per l'assunzione dell'umanità e l'economia dell'incarnazione, a seguito della quale si è degnato chiamare alla dignità di figli adottivi anche noi che per natura non eravamo figli.

Quando infatti si dice che è primo, si intende che non è solo ma ha dei fratelli che lo seguiranno là dove lui li ha preceduti.

Così in un altro passo [ l'Apostolo ] afferma che Cristo è il primogenito dai morti per occupare il primo posto. ( Col 1,18 )

Se in effetti prima di lui non ci fu per alcuno la resurrezione di morti che non dovessero più morire, dopo di lui c'è stata la resurrezione di una moltitudine di santi, che egli non esita chiamare fratelli per la comune partecipazione alla stessa natura umana.

49 - [ 57 ] Chi ci separerà dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione o l'angoscia o la persecuzione?, ecc.

È una conseguenza di quanto detto sopra: Purché soffriamo con lui per essere con lui glorificati.

Io infatti ritengo che le sofferenze del tempo presente non sono paragonabili con la gloria futura che si rivelerà in noi. ( Rm 8,17-18 )

A questa esortazione in effetti è finalizzata tutta la presente sezione: mira cioè a impedire che i lettori si lascino abbattere dalle persecuzioni, cosa che accadrebbe se vivessero secondo quella prudenza della carne che porta a ricercare i beni temporali e a temere i mali temporali.

50 - [ 58 ] Dicendo: Io sono certo ( non dice soltanto: " Io sarei dell'avviso " ) mostra che egli ritiene con tutta sicurezza che né alcun genere di morte né la vita temporale promessa [ da uomini ] né altre cose elencate in seguito possono separare il credente dall'amore di Dio.

Nessuno infatti lo separa: né chi minaccia la morte, perché chi crede in Cristo anche se muore vivrà; né chi promette la vita, poiché Cristo dà la vita eterna e, in confronto con la vita eterna, ogni promessa di vita temporale non merita alcuna considerazione.

Non separa l'angelo, del quale Paolo dice: Anche se scendesse dal cielo un angelo e vi annunziasse cose diverse da quelle che avete ricevute, sia anatema. ( Gal 1,8-9 )

Né separa il principato, certo quello avverso, poiché egli personalmente si è spogliato di tali principati e potenze e ha trionfato su di loro. ( Col 2,15 )

E non ci separano nemmeno le cose presenti o quelle future: intendi le cose temporali, tanto quelle che piacciono quanto quelle che risultano gravose; tanto quelle che alimentano la speranza, quanto quelle che incutono timore. Non le potenze.

Anche qui bisogna intendere le potenze avverse, di cui è detto: Nessuno può rapire gli oggetti posseduti da un forte se prima non lega il forte. ( Mt 12,29 )

E nemmeno l'altezza o la profondità. Spesse volte infatti separa da Dio la vana curiosità di cose sia del cielo sia degli abissi che non si riesce a penetrare o, se le si scopre, non se ne ricava alcun profitto.

Questo accade quando non vince la carità, che viceversa invita a tendere alle certezze spirituali non facendo leva nelle cose esterne, che sono vane, ma agendo nell'uomo interiore.

E nessun'altra creatura.

La frase può intendersi in due modi: primo, nessuna creatura visibile, perché noi, cioè l'anima, siamo creature ma invisibili; e in tal caso direbbe che non ci separa alcun'altra creatura, cioè nessun amore corporeo.

In altro senso non ci separa dall'amore di Dio alcuna creatura: in quanto cioè tra noi e Dio non c'è alcuna creatura che ci ostacoli ed escluda dal suo abbraccio.

In effetti al di sopra della mente umana, che è di natura razionale, non c'è nessuna creatura ma Dio.

51 - [ 59 ] Dice: Da loro i padri, da cui è nato Cristo secondo la carne, e aggiunge: Il quale è al di sopra di tutti Dio benedetto nei secoli.

Espone con estrema completezza la fede per la quale professiamo che il nostro Signore è figlio dell'uomo per la carne assunta, mentre nell'eternità è il Verbo in principio, il Dio benedetto al di sopra di tutti e per sempre.

Siccome di questa professione i giudei hanno accettato solo una parte, sono stati confutati dal Signore.

Avendoli egli un giorno interrogati di chi dicessero fosse figlio il Cristo, risposero: Di Davide; ( Mt 22,42-43 ) e ciò egli realmente è per la carne.

Non risposero però nulla riguardo alla divinità; non dissero cioè che era Dio.

Per questo il Signore li interrogò: Come mai allora Davide mosso dallo Spirito lo chiama Signore? ( Mt 22,43 )

Da tale interrogazione avrebbero dovuto dedurre che essi avevano sì confessato che Cristo è figlio di David, ma non avevano detto nulla del fatto che Cristo è Signore di David.

Egli è la prima cosa per l'assunzione della carne, l'altra invece per l'eterna divinità.

52 - [ 60 ] Infatti prima ancora che nascessero e facessero alcunché di bene o di male, perché restasse valido il disegno di Dio secondo la sua elezione, non per riguardo alle opere ma a colui che l'aveva chiamato fu detto a lui: Il maggiore sarà servo del minore, come sta scritto: Ho amato Giacobbe e odiato Esaù.

È un testo che turba diversi lettori in quanto indurrebbe a credere che l'apostolo Paolo abbia negato il libero arbitrio della volontà per il quale si merita Dio praticando il bene e la pietà e lo si offende quando si compie il male e si agisce da empi.

Ciò affermano in base al fatto che Dio avrebbe amato l'uno e odiato l'altro prima che i due, non ancora nati, avessero compiuto qualsiasi opera, tanto buona che cattiva.

Rispondiamo che ciò accadde per la prescienza di Dio, mediante la quale egli, anche di chi non è ancora nato, sa quale sarà [ nella vita ].

Ma qualcuno potrebbe obiettare ancora: In colui che amò Dio scelse dunque le sue opere, anche se non esistevano, in quanto egli conosceva in antecedenza quali sarebbero state.

Ora, se scelse tali opere, come può dire l'Apostolo che l'elezione non fu fatta in base alle opere?

Occorre pertanto capire bene la cosa: come cioè le opere buone sono compiute in forza della carità, la quale è in noi per un dono dello Spirito Santo.

Lo asserisce lo stesso Apostolo: La carità di Dio è stata riversata nei nostri cuori ad opera dello Spirito Santo, che ci è stato dato. ( Rm 5,5 )

Se pertanto chi compie in noi il bene è la carità, che possediamo per un dono di Dio, nessuno può gloriarsi delle opere quasi che siano roba sua. Cosa ha dunque scelto Dio?

Se infatti è lui che dona lo Spirito Santo, ad opera del quale l'amore compie il bene, e lo dona a chi vuole, in base a che cosa ha scelto a chi donare?

Dove infatti non ci sono meriti non può esserci elezione: prima del merito si è tutti uguali e non si può parlare di elezione là dove c'è completa parità.

Giova però ricordare che lo Spirito Santo non viene dato se non a chi crede: con la conseguenza che Dio certamente non sceglie le opere, che sono dono suo, concesso a noi quando ci viene dato lo Spirito Santo affinché mediante la carità compiamo il bene.

Dio tuttavia sceglie la fede nel senso che, se uno non crede in lui e non rimane nella volontà di ricevere il dono di Dio, di fatto non lo riceve: non riceve lo Spirito Santo ad opera del quale si riversa in noi la carità e con essa si può compiere il bene.

Dio quindi nella sua prescienza non sceglie le opere di alcuno, essendone lui il datore, ma nella stessa prescienza ne sceglie la fede.

Colui del quale in antecedenza ha conosciuto che gli crederà, questo stesso sceglie per accordargli lo Spirito Santo, per cui, operando il bene, consegue anche la vita eterna.6

È quanto dice lo stesso Apostolo con le parole: Lo stesso Dio opera tutto in tutti; ( 1 Cor 12,6 ) mentre in nessun testo è detto che Dio crede tutto in tutti.

Il credere dunque è conquista nostra, l'operare il bene è dono di colui che a quanti credono in lui dà lo Spirito Santo.7

Questo procedimento fu proposto a certi giudei che avevano creduto in Cristo e si gloriavano delle opere compiute prima di ricevere la grazia.

Essi affermavano d'aver meritato la stessa grazia del Vangelo mediante le precedenti opere buone, mentre la verità è che nessuno senza aver prima ricevuto la grazia può compiere opere buone.

È poi grazia la vocazione stessa del peccatore: che credo non possiede meriti precedenti all'infuori di quelli per cui gli è dovuta la condanna.

Se invece uno è chiamato e segue colui che lo chiama ( cosa questa che rientra nel libero arbitrio ), merita anche lo Spirito Santo ad opera del quale può compiere il bene.

E se rimarrà per sempre nell'adesione allo Spirito ( cosa anche questa in potere del libero arbitrio ), meriterà la vita eterna, che esclude ogni defezione e ogni corruttibilità.

53 - [ 61 ] Avrò misericordia di colui a cui uso misericordia e tratterò con compassione colui del quale ho compassione.

Si chiarisce come in Dio non ci sia mai ingiustizia: cosa che potrebbe invece supporre qualcuno all'udire le parole: Prima che nascessero io ho amato Giacobbe e odiato Esaù.

Io infatti - dice - avrò misericordia di colui a cui uso misericordia.

In un primo momento, quando noi eravamo peccatori, Dio ha avuto misericordia di noi chiamandoci.

A colui poi del quale ho avuto misericordia e per questo l'ho chiamato - dice - userò ancora misericordia quand'egli avrà creduto.

In che modo userà ancora misericordia se non dando lo Spirito Santo a chi crede e lo domanda?

Con colui verso il quale è stato misericordioso dandogli lo Spirito agirà ancora con misericordia, nel senso che renderà misericordioso l'uomo stesso affinché mediante la carità possa operare il bene.

Chiunque pertanto compie opere di misericordia non osi attribuirlo a se stesso, poiché è stato Dio a dargli, mediante lo Spirito Santo, quella carità senza la quale nessuno può essere misericordioso.

Dio quindi non ha scelto quelli che già stavano operando il bene; sceglie piuttosto quelli che credono e così li rende capaci di operare il bene.

È nostro infatti il credere e il volere, mentre è di Dio far sì che quanti credono e vogliono riescano a compiere il bene.

È questo un dono dato dallo Spirito Santo ad opera del quale è diffusa nei nostri cuori la carità di Dio,8 che ci rende misericordiosi.9

54 - [ 62 ] La frase: Dunque non dipende né da chi vuole né da chi corre ma da Dio che usa misericordia non esclude il libero arbitrio della volontà.

Dice soltanto che non basta il nostro volere senza l'aiuto di Dio, che ci rende misericordiosi e mediante il dono dello Spirito Santo ci mette in grado di operare il bene.

Riferisce dunque a questo intervento divino le parole dette sopra: Avrò misericordia di colui a cui uso misericordia e tratterò con compassione colui del quale ho compassione.

Noi infatti non potremmo nemmeno volere se non fossimo chiamati; e quando, una volta chiamati, riusciamo a volere, non bastano né la nostra volontà né il nostro darci da fare se Dio non ci somministra le forze per correre e non ci conduce là dove ci chiama.

È dunque dato per scontato che, quando operiamo il bene, ciò non deriva né da chi vuole né da chi corre ma da Dio che usa misericordia, sebbene nell'operare il bene intervenga anche la nostra volontà: la quale però da sola non potrebbe niente.

Risulta quindi conseguente anche la testimonianza sulla condanna del faraone presa dalla Scrittura là dove dice di lui: Per questo ti ho suscitato: per mostrare in te la mia potenza e così il mio nome venga annunziato in tutta la terra.

È quello che leggiamo nell'Esodo: Il cuore del faraone si indurì ( Es 10,1 ) a tal punto che non lo persuasero nemmeno segni così evidenti.

Che dunque già fin da allora il faraone non obbedisse ai comandi di Dio derivava da una condanna.

Nessuno però può dire che quell'indurimento del cuore capitò al faraone senza che se lo fosse meritato: fu una pena a lui dovuta, per la quale Dio con giudizio lo ripagava della sua incredulità.

Non gli è pertanto imputato il fatto che allora non obbedì, poiché avendo il cuore indurito non poteva obbedire, ma lo si incolpa d'essersi reso degno, con la precedente incredulità, di avere il cuore indurito.

È come negli eletti di Dio: nei quali alla radice del merito non ci sono le opere ma la fede, alla quale poi per dono di Dio tengono dietro le opere buone.

Lo stesso è di coloro che Dio condanna.

Alla radice della pena meritata c'è la mancanza di fede congiunta all'empietà, sicché lo stesso operare il male costituisce già una punizione.10

Lo affermava antecedentemente lo stesso Apostolo: Siccome non accettarono di conoscere Dio, Dio li abbandonò al loro sentire riprovevole perché facessero cose che non convengono. ( Rm 1,28 )

Dopo tutto ciò, giunge a questa conclusione: Egli quindi usa misericordia con chi vuole e indura chi vuole.

È quindi vero che egli fa operare il bene a colui al quale usa misericordia, mentre abbandona colui che, indurito nel cuore, si dà a compiere il male; tuttavia la misericordia usata all'uno va attribuita a un precedente merito di fede, mentre l'indurimento dell'altro a una precedente sua empietà.11

Se dunque operiamo il bene, è per un dono di Dio; se operiamo il male è per un suo castigo, tenendo però ben presente che all'uomo non viene tolto il libero arbitrio della volontà né quando crede a Dio per ottenere la misericordia né quando rinnega Dio per cui ottiene la condanna.

Giunto a questa conclusione, si pone una domanda, come se ci fosse un obiettore; e dice: Ciò ammesso, mi chiederai: Ma allora di che sta a lamentarsi?, poiché alla sua volontà chi può opporsi?

A tale domanda risponde in modo che comprendiamo come le ultime origini da cui procede il meritare la fede o la scelta dell'empietà possono essere palesi all'uomo spirituale, cioè a colui che non vive più da uomo terreno.

Costui potrà, forse, intendere come Dio nella sua prescienza scelga quelli che gli crederanno e condanni chi rimane nell'incredulità, non scegliendo i primi per le loro opere, ma accordando alla fede di quei primi il dono di compiere il bene e abbandonando questi altri all'indurimento nella loro incredulità per cui commettono il male.

Come ho detto, una tale penetrazione è aperta agli uomini spirituali, mentre è assolutamente estranea ad ogni sapienza carnale.

Nel confutare quindi l'obiettore in parola, cerca di fargli capire che se vuol meritare il dono dello Spirito per penetrare verità come questa deve prima spogliarsi del suo uomo di creta.

E dice: O uomo, chi sei tu che contraddici a Dio? Può forse un vaso dire a colui che l'ha plasmato: Perché mi hai fatto così?

O che forse non ha il vasaio potestà di fare con la stessa massa d'argilla un vaso per usi nobili e un altro per usi disonorevoli?

Finché sei un vaso - dice - e fai parte del mucchio di creta, finché non sei stato elevato al livello delle realtà spirituali e non sei ancora quell'uomo spirituale che giudica tutto e non è giudicato da nessuno, devi porti un freno quando si tratta di problemi come questo e non metterti a litigare con Dio.

Se infatti uno desidera conoscere il suo progetto, deve prima farsi ammettere nella sua amicizia, cosa che non possono conseguire se non gli spirituali, cioè coloro che portano in sé l'immagine dell'uomo celeste.

Allora infatti non vi chiamerò più servi - dice - ma amici perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l'ho fatto conoscere a voi. ( Gv 15,15 )

Finché però sarai un vaso di creta, bisogna che questa tua condizione venga antecedentemente ridotta in frantumi con quel bastone di ferro di cui si dice: Li governerai con scettro di ferro e come vasi da vasaio li frantumerai. ( Sal 2,9 )

Annientato l'uomo esteriore e rinnovato l'uomo interiore, sarai radicato a fondato sulla carità, e potrai comprendere la lunghezza e la larghezza, l'altezza e la profondità e penetrare con la mente nella sublime scienza dell'amore di Dio. ( Ef 3,16-19 )

Ne deriva che, sebbene Dio abbia formato con la stessa pasta alcuni vasi destinati ad usi nobili e altri ad usi spregevoli, non tocca a te discuterne: a te, dico, che vivi ancora impastato della stessa creta, cioè animato da sentimenti terreni e ti regoli con sapienza carnale.

55 - [ 63 ] Sopportò con molta pazienza i vasi dell'ira già pronti per la perdizione.

Con tali parole mostra abbastanza chiaramente che l'indurimento del cuore avvenuto nel faraone derivava dall'esserselo egli meritato con una precedente occulta empietà.

Questa fu pazientemente tollerata da Dio finché non si arrivò al tempo di procedere contro di lui con una congrua punizione: la quale poi tendeva a far ravvedere coloro che aveva disposto di liberare e di richiamare [ dall'errore ] e, andando incontro con aiuti alle loro invocazioni e ai loro gemiti, portarli al suo culto e al suo amore.

56 - [ 64 ] Egli ci ha chiamati non solo di tra i giudei ma anche tra i pagani, come è detto in Osea: Chiamerò mio popolo colui che non è mio popolo, ecc.

Esponendo il fine di tutta questa argomentazione arriva a dire che i giudei non debbono gloriarsi delle opere essendo vero l'insegnamento che, se noi compiamo il bene, ci è dato dalla misericordia di Dio.

L'aver ricevuto il Vangelo non lo dovevano quindi attribuire a meriti da loro acquisiti, e facevano male a non volerlo estendere ai pagani.

È questa una superbia che debbono ormai deporre, rendendosi conto che, se non siamo chiamati alla fede per le nostre opere ma per la misericordia di Dio e se il dono di compiere il bene viene accordato a quanti accolgono la fede, non si debbono escludere da tale misericordia i gentili,12 quasi che i giudei abbiano qualche titolo preferenziale, mentre effettivamente non ne hanno alcuno.

57 - [ 65 ] Isaia però grida in favore d'Israele: Se sarà il numero dei figli d'Israele pari alla rena del mare, un resto sarà salvato.

Fa vedere come Dio sia la pietra angolare che unisce in sé le due pareti. ( Ef 2,20 )

In effetti la testimonianza del profeta Osea è a favore dei pagani: Chiamerò mio popolo [ quelli che erano ] non mio popolo e la non amata [ chiamerò ] amata, ( Os 2,24 ) mentre quanto detto da Isaia, che cioè un resto sarà salvato, ( Is 10,22 ) è una testimonianza a favore di Israele, di cui quel resto che ha creduto in Cristo è ritenuto come la discendenza di Abramo.

In tal modo stabilisce la concordia tra i due popoli, in conformità con quanto asserito dal Signore quando nel Vangelo pronunziava sui pagani questa testimonianza: Ho altre pecore che non sono di questo ovile e che anche queste debbo condurre; e ci sarà un solo gregge e un solo pastore. ( Gv 10,16 )

58 - [ 66 ] Fratelli, il sincero desiderio del mio cuore e la mia preghiera a Dio è per loro, perché si salvino.

Da questo momento comincia a parlare della speranza dei giudei, affinché i pagani non osino inorgoglirsi contrapponendosi a loro.

Se infatti da un lato occorreva rintuzzare la superbia dei giudei, che si gloriavano delle opere, dall'altro anche ai pagani bisognava impedire d'inorgoglirsi per essere stati preferiti ai giudei.

59 - [ 67 ] Vicino a te è la parola, sulla tua bocca e nel tuo cuore.

E questa è la parola delle fede che noi predichiamo.

Se infatti con la bocca confesserai che Gesù è il Signore e nel tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo.

Con il cuore infatti si crede per la giustizia, con la bocca poi si professa per la salvezza.

Tutto questo brano si riferisce a quanto detto sopra e cioè: Il Signore opererà nella terra una parola che completa e riepiloga. ( Rm 9,28 )

Abolite infatti le innumerevoli e svariate pratiche rituali che opprimevano il popolo giudaico, dalla misericordia di Dio ci è stato concesso di giungere a salvezza con una breve confessione di fede.


4 Sopra 13
5 Sopra 13
6 Retract. 1,22,3
7 Retract. 1,22,4
8 Rm 5,5;
Retract. 1,22,5
9 Retract. 1,22,6
10 Retract. 1,22,7
11 Retract. 1,22,8
12 Retract. 1,22,9