Questioni sulla lettera ai Romani

60 - [ 68 ] Aggiunge poi una testimonianza presa da Mosè: Io vi provocherò a gelosia verso una " non-nazione ", contro una gente stolta vi accenderò d'ira.

Col termine " gente stolta " spiega il senso della parola " non-nazione ", lasciando intendere che una gente stolta non meriti in alcun modo il nome di gente.

Della fede di questa " non-gente " dice che il popolo dei giudei si sarebbe indignato perché lei avrebbe conseguito ciò che essi rigettarono; o, parlando in concreto, osserva che contro questa " non-gente " o " gente stolta " essi di fatto si irritarono perché, pur essendo una gente stolta ogni popolo che adora gli idoli, abbracciando la fede esso si spoglia del suo paganesimo.

A ciò si riferisce anche l'altra affermazione: Quando gli incirconcisi raggiungono la giustizia della legge, la loro incirconcisione non dovrà forse considerarsi uguale ad una circoncisione? ( Rm 2,26 )

E il senso sarebbe questo: Io vi provocherò a gelosia nei confronti di colei che, deponendo il proprio paganesimo per aderire alla fede in Cristo, è diventata " non-gente " dopo essere stata una " gente stolta " quando adorava gli idoli.

61 - [ 69 ] Che dunque? ha forse Dio rigettato il suo popolo? Neanche per sogno!

Anch'io infatti sono un israelita, dalla stirpe di Abramo, dalla tribù di Beniamino.

Si riferisce a quanto detto sopra: Non può annullarsi la parola di Dio.

In realtà non tutti coloro che traggono origine da Israele sono israeliti, né per il fatto d'essere discendenti di Abramo ne sono figli, ma: In Isacco prenderà nome la tua discendenza. ( Rm 9,6-7 )

Vuol significare che nello stesso popolo dei giudei sarebbero considerati discendenza di Abramo coloro che avrebbero creduto nel Signore.

È conforme a quanto asseriva sopra: Un resto sarà salvato. ( Rm 9,27 )

62 - [ 70 ] Mi chiedo dunque: Hanno forse traviato tanto da cadere?

Certo no; ma dal loro traviamento [ è derivata ] ai pagani la salute.

Non intende affermare che gli ebrei non caddero ma piuttosto che la loro caduta non è stata inutile, avendo giovato alla salvezza dei pagani.

Non traviarono dunque in modo da cadere, cioè perché ne seguisse solo la loro caduta, ossia soltanto la loro punizione, ma dalla loro caduta se ne avvantaggiassero i pagani ottenendo la salvezza.

A questo punto comincia a tessere gli elogi del popolo ebraico prendendo occasione proprio dalla loro caduta nell'incredulità.

Lo fa per impedire che i pagani si inorgogliscano, poiché, se la defezione dei giudei risultò così preziosa per la salvezza delle genti, questi stessi gentili debbono a maggior ragione stare attenti a non inorgoglirsi se non vogliono cadere alla stessa maniera.

63 - [ 71 ] Se il tuo nemico ha fame dàgli da mangiare; se ha sete dàgli da bere; così facendo accumulerai carboni di fuoco sulla sua testa.

A molti queste parole potrebbero sembrare in contrasto col comando, datoci dal Signore, di amare i nostri nemici e di pregare per i nostri persecutori ( Mt 5,44 ) e anche con quanto detto prima dall'Apostolo: Benedite chi vi perseguita; benedite e non maledite; ( Rm 12,14 ) e ancora: Non rendete a nessuno male per male. ( Rm 12,17 )

Come si può infatti amare uno al quale si dà da mangiare e da bere con l'intento d'accumulare sulla sua testa carboni di fuoco, supponendo che nel testo in esame questi carboni di fuoco significhino una grave pena?

Bisogna quindi intendere tali parole come un invito affinché, quando facciamo il bene a chi ci ha danneggiati, tendiamo a suscitare in lui il pentimento delle sue malefatte.

Questi carboni infuocati debbono insomma provocare l'incenerimento, cioè la macerazione, dello spirito, che è come la parte superiore dell'anima.

Si deve bruciare in quest'anima quanto c'è di male, e l'uomo, mediante il ravvedimento, cambiarsi in meglio [ tutto intero ], per cui quei carboni infuocati siano proprio quelli di cui si dice nei salmi: Cosa ti si darà mai?, o cosa ti si somministrerà per [ guarire ] la lingua lusinghiera?

Frecce acuminate dell'uomo potente unite a carboni divoratori. ( Sal 120,3-4 )

64 - [ 72 ] Ciascuno sia soggetto a chi gli è superiore in autorità, poiché non esiste autorità che non venga da Dio.

È un richiamo giustissimo motivato anche dal fatto che quando uno diventa cristiano è chiamato dal Signore alla libertà.

In base a ciò potrebbe inorgoglirsi e pensare che durante il cammino della vita presente sia dispensato dal rispettare l'ordine stabilito e non doversi più assoggettare alle autorità superiori, alle quali sia pur temporaneamente è stato assegnato [ da Dio ] il governo delle realtà temporali.

Essendo infatti l'uomo un composito di anima e di corpo, finché viviamo in questo mondo, per mantenerci in vita ci serviamo come mezzi anche delle cose materiali.

Per quel tanto dunque che riguarda la vita presente, dobbiamo essere sottomessi alle autorità, cioè a coloro che amministrano le cose umane riscuotendone il debito onore.

Il rovescio è della nostra fede in Dio e della nostra chiamata al suo regno.

Qui non ci dobbiamo considerare soggetti a nessun uomo, specie se pretendesse di sovvertire quel che Dio s'è degnato donarci in ordine alla vita eterna.

Sarebbe pertanto in grave errore quel cristiano che, appunto per essere cristiano, ritenesse di non dover pagare le imposte o i tributi o si considerasse dispensato dal rendere il debito onore alle autorità che esercitano funzioni pubbliche.

Cadrebbe tuttavia in un errore ancor più grave colui che pensasse di doversi talmente assoggettare all'autorità, che occupa un posto preminente per amministrare le cose temporali, da riconoscerle un potere anche sulla propria fede.

Occorre rispettare i limiti fissati dallo stesso nostro Signore quando ordinò di rendere a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio. ( Mt 22,21 )

Sebbene quindi chiamati al regno dove non contano nulla le autorità di questo mondo, tuttavia finché siamo in via e non ancora arrivati a quel mondo dove sarà tolto di mezzo ogni comandante e potestà, dobbiamo accettare con pazienza la nostra condizione, stando all'ordine costituito per le realtà umane.

Non dobbiamo agire con sotterfugi ma nel nostro comportamento rispettare non tanto gli uomini quanto Dio che dà tali precetti.

65 - [ 73 ] Vuoi non temere l'autorità? Fa' il bene e da essa riceverai lode.

L'espressione può stupire qualcuno, pensando alle persecuzioni che di frequente hanno subito i cristiani per ordine di tali autorità.

O che forse non si comportavano bene, se è vero che non solo non erano elogiati dai pubblici poteri ma anzi tormentati e uccisi?

Bisogna però vagliar bene le parole dell'Apostolo.

Egli non dice: Fa' il bene e l'autorità te ne darà lode, ma soltanto: Fa' il bene e da essa riceverai lode.

Potrà succedere che l'autorità approvi il tuo agire bene o anche che ti perseguiti; comunque tu da essa riceverai lode, se ti riuscirà di conquistarla al servizio di Dio o meritando tu stesso da Dio la corona, se essa insisterà nel perseguitarti.

Questo risulta anche da ciò che dice appresso: [ Il magistrato ] è al servizio di Dio per il tuo bene, anche se per se stesso in male.

66 - [ 74 ] Per necessità siate sottomessi.

Con tale espressione l'Apostolo vuol farci comprendere che, per motivi inerenti alla vita attuale noi dobbiamo di necessità essere soggetti ai pubblici poteri, senza opporre resistenze anche quando essi volessero spogliarci delle cose temporali, nelle quali è stata loro concessa l'autorità.

Si tratta evidentemente dei beni che passano: per cui la nostra sottomissione non deve estendersi ai beni, diciamo così, permanenti, ma limitarsi a quelli che ci occorrono nella vita temporale.

Avendo però detto: Per necessità siate sottomessi, qualcuno avrebbe potuto assoggettarsi con cuore sleale e senza amore sincero alle autorità in parola.

Per impedire questo inconveniente aggiunge: Non soltanto per [ sfuggire ] la collera ma anche per motivi di coscienza; e significa: Non solo per non provocare la collera ( cosa che si potrebbe ottenere anche ricorrendo a sotterfugi ) ma anche perché tu dentro la tua coscienza ti senta sicuro d'agire per amore di colui al quale ti sottometti.

E, se ti sottometti, lo fai perché te lo comanda il tuo Signore, il quale vuole la salvezza di tutti e che tutti giungano alla conoscenza della verità. ( 1 Tm 2,4 )

Quando l'Apostolo diceva tali parole, trattava proprio delle persone costituite in autorità; e la stessa cosa diceva in un altro passo, quando agli schiavi inculcava di non prestare il loro servizio per essere visti, come chi volesse ottenere il gradimento degli uomini. ( Ef 6,6 )

Nel prestare obbedienza ai loro padroni non dovevano, cioè, soltanto mostrare di non odiarli né soltanto desiderarne il favore meritandolo con un agire insincero.

67 - [ 75 ] Con le parole: Chi ama il prossimo ha adempiuto la legge mostra come l'ultima perfezione della legge stia nell'amore, cioè nella carità.

Allo stesso modo anche il Signore dice che tutta la legge e tutti i profeti si riassumono in quei due precetti: l'amore di Dio e l'amore del prossimo. ( Mt 22,37-40 )

Non per altro del resto egli, che era venuto a dar compimento alla legge, ci ha fatto, per mezzo dello Spirito Santo, dono dell'amore, affinché quello che prima il timore non era in grado di conseguire lo conseguisse in seguito la carità.

Nello stesso contesto rientrano le conclusioni dell'Apostolo: La carità è la pienezza della legge, e: Fine della legge è la carità, che sgorga da cuore puro e coscienza buona e fede sincera. ( 1 Tm 1,5 )

68 - [ 76 ] E questo, conoscendo il tempo, in quanto è ormai ora di uscir fuori dal sonno.

Si vede in questa parte un riferimento alle altre: Ecco ora il tempo favorevole, ecco ora il giorno della salvezza; ( 2 Cor 6,2 ) e vi è indicato il tempo del Vangelo e l'occasione di salvarsi [ offerta ] a quanti credono in Dio.

69 - [ 77 ] E non prestate cure alla carne nelle [ sue ] concupiscenze.

Mostra come non si debba considerare colpa la cura del corpo quando gli si procura ciò che concorre alla sua salute e ciò che gli è necessario.

Se invece si ricerca quel che è solo piacere superfluo ed esigenza di lussuria, per cui si gode delle cose bramate dalla carne, è giusto il rimprovero [ dell'Apostolo ] contro colui che colloca nelle voluttà la cura della carne.

Chi infatti semina nella sua carne, dalla carne mieterà la corruzione. ( Gal 6,8 )

E questo vale per chiunque gode dei piaceri carnali.

70 - [ 78 ] Accogliete chi è debole nella fede astenendovi da valutazioni circa i suoi pensieri.

Insegna di accogliere chi è debole nella fede e sostenerne la debolezza mediante la nostra stabilità, senza pronunziare giudizi circa i suoi pensieri.

Non dobbiamo cioè azzardare giudizi riguardo all'interno del nostro prossimo, in quanto non lo conosciamo.

A questo proposito dice continuando: L'uno pensa di poter mangiare tutto; chi invece è infermo deve mangiare verdura.

Già a quel tempo infatti c'erano molti che, saldi nella fede e memori dell'insegnamento del Signore secondo il quale non contamina quel che si mette in bocca ma ciò che ne esce, ( Mt 15,11-20 ) prendevano indistintamente e con coscienza tranquilla ogni cibo.

Altri invece, più deboli [nella fede], si astenevano dall'uso delle carni e del vino per non toccare, sia pure inconsapevolmente, carni sacrificate agli idoli.

Allora infatti tutta la carne sacrificata agli idoli veniva poi venduta nel macello; e così molte libagioni fatte dai pagani ai loro dèi si prelevavano come primizie dal loro vino, anzi v'eran di quelli che offrivano sacrifici nei torchi stessi.

Quanto all'Apostolo, a coloro che con buona coscienza usavano dei cibi immolati comanda di non disprezzare la debolezza dei fratelli che si astenevano da tali cibi e bevande; a questi deboli poi ordina di non giudicare coloro che non si astenevano dalle carni sacrificate e ne bevevano vino, quasi che ne venissero contaminati.

A ciò si riferiscono la parole seguenti: Chi mangia non giudichi - cioè non disprezzi - colui che non mangia; e colui che non mangia non giudichi colui che mangia.

Succedeva infatti che i forti deridevano ostinatamente i deboli, mentre i deboli pronunziavano, sui forti, giudizi temerari.

71 - [ 79 ] Chi sei tu che osi giudicare l'altrui servo?

Dice questo affinché sulle azioni che possono compiersi o con retta o anche con mala intenzione lasciamo a Dio il compito di giudicare, e non ci arroghiamo il potere di pronunziare sentenze sulla volontà dei nostri simili, che a noi non è dato vedere.

Quanto invece ai fatti che si vedono ed è palese che non li si può eseguire con intenzione buona e pura, non ci si rimprovera se [ li ] giudichiamo.

Pertanto su ciò che riguarda i cibi, non sapendo noi con quale coscienza li si mangi, non dobbiamo, al dire di Paolo, ergerci a giudici ma lasciare a Dio il giudizio.

Quanto invece a quell'orribile incesto, quando quel tale si prese in moglie la moglie di suo padre, l'Apostolo comandò che se ne istituisse il giudizio. ( 1 Cor 5,1 )

Era infatti impossibile al colpevole sostenere d'aver commesso con retta coscienza quella mostruosa nefandezza.

Quando dunque le colpe sono così manifeste che è impossibile al colpevole dire d'averle commesse in buona coscienza, anche noi dobbiamo darne la sentenza; quando invece non risulti chiaro con quale intenzione siano state fatte, non dobbiamo pronunziare giudizi ma rimetterle al giudizio di Dio, secondo la massima scritturale: Le cose occulte appartengono a Dio, le cose manifeste sono per voi e per i vostri figli. ( Dt 29,28 )

72 - [ 80 ] Effettivamente uno giudica con alternanza di giorni, un altro invece giudica ogni giorno.

Omettendo per il momento un esame più approfondito, mi sembra che tali parole non si riferiscono a due uomini ma a un uomo da un lato e a Dio dall'altro.

Colui che giudica con l'alternanza dei giorni è l'uomo: il quale può dare oggi un giudizio e domani un altro.

Ad esempio, può domani stimare buono colui che oggi condanna come cattivo o come reo convinto e confesso; oppure può riscontrare domani che è un depravato quello che oggi elogia come persona giusta.

Colui che invece giudica l'insieme dei giorni è Dio, il quale conosce non solo come sia al presente ogni uomo ma anche come sarà tutti i giorni.

Nel comprendere pertanto ognuno procuri di raggiungere il sommo.

Così egli dice; e il senso è che ciascuno si permetta di estendere il suo giudizio tanto quanto è concesso all'intelligenza umana o a ogni uomo in particolare.

Chi valuta il giorno sia sapiente per il Signore; e vuol dire che la stessa capacità di giudicare bene il giorno presente è una sapienza da attribuirsi al Signore.

Che poi ti limiti a giudicare un sol giorno ti viene detto perché impari a non disperare per l'avvenire del ravvedimento di colui del quale, oggi come oggi, disapprovi la colpa manifesta.

73 - [ 81 ] Beato chi non giudica se stesso nella cosa che approva.

È un'espressione che va riferita soprattutto a quel che diceva prima: Il nostro bene non dev'essere vituperato; ( Rm 14,16 ) e ciò equivale a quanto dice ora nella frase che stiamo esaminando: La fede che hai dentro te stesso abbila dinanzi a Dio.

Da intendersi: è un bene la fede per la quale riteniamo che tutto è puro per chi è puro ( Tt 1,15 ) e se per avere tale fede sentiamo di doverci approvare, usiamo in bene di questo nostro privilegio.

Non abusiamone quindi facendolo diventare motivo di scandalo per i nostri fratelli più deboli, perché così facendo peccheremmo contro i fratelli e, scandalizzando i deboli, condanneremmo noi stessi proprio in ordine a quel bene nel quale riponiamo l'approvazione, ogni volta che ci compiacciamo della nostra fede.

74 - [ 82 ] Asserisco poi che Cristo si è fatto servo dei circoncisi a motivo della verità di Dio, perché fossero confermate le promesse fatte ai padri; quanto invece alle genti, esse glorificano Dio per la misericordia.

Dice questo per far capire ai pagani che Cristo Signore fu mandato ai giudei, e pertanto non debbono insuperbirsi.

Se infatti il Vangelo è stato annunziato ai pagani, ciò è avvenuto perché i giudei hanno respinto ciò che era stato inviato a loro.

È scritto con estrema chiarezza negli Atti degli Apostoli là dove gli apostoli dicono ai giudei: La parola doveva essere prima annunziata a voi, ma siccome voi ve ne dimostrate indegni, ecco che noi ci rivolgiamo ai pagani. ( At 13,46 )

Convergono anche le testimonianze del Signore.

La prima: Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d'Israele; ( Mt 15,24 ) e la seconda: Non è bene gettare ai cani il pane dei figli. ( Mt 15,26 )

Considerando bene queste realtà, i pagani capiranno che non debbono burlarsi, in base alla loro fede per cui credono che tutto è puro per chi è puro, ( Tt 1,15 ) di coloro che, provenendo dal popolo dei circoncisi, forse sono più fragili e per questa fragilità non riescono ad assaggiare in alcun modo le carni immolate, temendo una qualche comunione con gli idoli.

75 - [ 83 ] Affinché io sia servo di Cristo Gesù fra i pagani esercitando l'ufficio sacro del Vangelo di Dio, affinché l'offerta dei pagani sia gradita essendo santificata nello Spirito Santo.

L'espressione è da intendersi nel senso che i pagani debbono essere offerti a Dio in sacrificio gradito, e ciò avverrà quando credendo in Cristo saranno santificati mediante il Vangelo.

La stessa cosa diceva prima: Vi scongiuro, fratelli, per la misericordia di Dio: offrite i vostri corpi quale vittima vivente, santa, accetta a Dio. ( Rm 12,1 )

76 - [ 84 ] Vi scongiuro, fratelli, segnatevi a dito quelli che seminano discordie e scandali prevaricando dalla dottrina che avete appresa.

Come si può comprendere, parla di coloro dei quali scrive a Timoteo: Come ti ho già raccomandato, alla mia partenza per la Macedonia, di rimanere ad Efeso, per intimare a certuni che non insegnino cose diverse e non s'interessino di favole e genealogie interminabili, che suscitano contese e non servono a costruire l'edificio di Dio, che poggia sulla fede. ( 1 Tm 1,3-4 )

E a Tito: Molti purtroppo sono insubordinati, ciarloni e capaci di traviare le menti, e ciò soprattutto fra quelli che provengono dalla circoncisione.

Occorre confutarli. Essi infatti mettono confusione in intere famiglie insegnando cose non consentite per amore di lucro.

Così disse un tale, vero profeta nei loro riguardi: " I cretesi sono sempre bugiardi, brutte bestie, pance sfaticate ". ( Tt 1,10-12 )

A tal sorta di problemi si riferisce anche quanto è qui detto: Costoro non sono al servizio di Cristo Signore ma del proprio ventre, come anche altrove si afferma: Il loro dio è il ventre. ( Fil 3,19 )