Teologia dei Padri

Indice

Anima e corpo

1. - Il dominio della ragione illuminata

Dunque, fratelli miei, avere l'anima, e non avere l'intelligenza - cioè non farne uso né vivere secondo essa - significa vivere da bestie.

C'è in noi qualcosa di bestiale, in effetti, per il quale viviamo nella carne: ma l'intelletto deve governarlo.

L'intelletto, infatti, governa dall'alto i moti dell'anima che si muove secondo la carne e brama effondersi senza freno nei piaceri carnali.

A chi dev'essere dato il nome di marito?

A colui che governa o a colui che è governato?

Senza alcun dubbio, quando la vita è ben ordinata, l'anima è governata dall'intelletto che appartiene all'anima stessa.

L'intelletto non è infatti qualcosa di diverso dall'anima; esso è qualcosa dell'anima; come l'occhio non è qualcosa di altro dalla carne, ma è qualcosa della carne.

Ma pur essendo l'occhio qualcosa della carne, esso solo gioisce della luce; le altre membra del corpo possono essere inondate dalla luce, ma non possono percepirla.

Soltanto l'occhio può essere inondato dalla luce e insieme gioirne.

Così nella nostra anima c'è qualcosa che è chiamata intelletto.

Questa parte dell'anima che è chiamata intelletto e spirito, è illuminata da una luce superiore.

Questa luce superiore da cui la mente umana è illuminata, è Dio.

Era la vera luce che illumina ogni uomo che viene nel mondo ( Gv 1,9 ).

Questa luce era Cristo.

Agostino, Commento al Vangelo

2. - Il dominio della ragione sui moti dell'animo

Spesso vediamo che le belve vengono dall'uomo domate, cioè, non solo il loro corpo, ma anche la loro anima viene talmente dall'uomo soggiogata, da servire alla sua volontà con una consuetudine divenuta istintiva.

Ti sembra forse in qualche modo possibile che una belva, immane per ferocia o grandezza corporea, oppure dotata di sensi acutissimi, possa a sua volta sforzarsi di soggiogare l'uomo?

Eppure molte lo possono uccidere, o con la forza, o nascostamente …

E dimmi un po': essendo chiaro che l'uomo facilmente viene superato da molte bestie per forza e doti corporee, cosa è mai ciò per cui l'uomo eccelle tanto, che nessuna bestia lo domina ed egli invece ne può dominare molte?

Non è forse unicamente e solo ciò che chiamano ragione o intelligenza? …

Questo però voglio dire: qualsiasi cosa sia ciò per cui l'uomo è posto al di sopra degli animali - sia che la chiamiamo mente, o spirito, o più rettamente, l'uno e l'altro, perché l'una e l'altra espressione troviamo nei libri sacri - se consta che l'uomo domina e comanda a tutti gli altri animali, l'uomo è nel vero ordine.

Vediamo infatti che noi abbiamo molte doti in comune non solo con gli animali, ma anche con gli arbusti e le piante: infatti assumere alimento, crescere, moltiplicarsi, espandersi è proprio anche delle piante che si trovano al gradino inferiore della vita; vedere, invece, e udire, percepire le realtà corporee con l'olfatto, il gusto e il tatto, vediamo e asseriamo che è anche proprio delle bestie, che anzi per lo più sono in ciò più di noi acute.

Aggiungi poi le forze, la valentia e la robustezza delle membra, e in più la sveltezza e l'agilità nei movimenti; in tutto ciò, noi superiamo alcune bestie, altre ne eguagliamo e da non poche siamo superati.

Ad ogni modo, queste proprietà le abbiamo certamente in comune con le bestie: nel ricercare le soddisfazioni del corpo ed evitarne le molestie consta tutta l'attività della vita animale.

Vi sono poi altre proprietà che non appaiono negli animali, e tuttavia nell'uomo non sono affatto le qualità somme, come scherzare e ridere; chi infatti ha un giudizio retto sulla natura dell'uomo le considera certo umane, ma anche poco importanti nell'uomo; vi è infine l'amore della lode e della gloria e il desiderio di dominare, che pur non ritrovandosi negli animali, non sono le qualità che ci possano far considerare migliori di quelli; infatti, se questi desideri non sono soggetti alla ragione, ci rendono miseri, e nessuno pensò mai di preporsi agli altri per la sua miseria.

Ma, quando la ragione domina questi moti dell'animo, allora si dirà che l'uomo è nel retto ordine.

Non si può parlare invece di ordine retto, anzi nemmeno semplicemente di ordine, ove il meglio viene posposto al peggio.

Agostino, Il libero arbitrio, 1,16.18

3. - La vita dell'anima deriva dal dominio della ragione

Quale sia la vita dell'anima, lo apprendi dal corpo.

Il corpo, infatti, allora solo si dice che è vivo, quando si comporta in una maniera sana.

Quando agisce nel disordine e nella dissolutezza, invece, quantunque sembri apparentemente vivere e camminare, nondimeno un tal genere di esistenza è più grave di qualsiasi morte.

Non diversamente, se qualcuno non dice alcunché di sensato, ma, per di più, servendosi delle parole usate dai minorati di mente, comprende certe cose al posto di altre; ebbene, costui, ancora una volta, è più miserabile di un morto.

Similmente anche l'anima, nel caso in cui non abbia in sé nulla di sensato nonostante il suo sembrare apparentemente viva, è invece morta.

Ciò accade quand'essa scambia l'oro non per quello che è, ma per qualche cosa di magnifico e prezioso; quando non riflette intorno alle cose future, ma striscia per terra; quando compie determinate azioni in luogo di altre.

Donde risulta, infatti, che noi siamo forniti di un'anima?

Non forse dalle nostre azioni?

Quando, dunque, l'anima non si comporta conformemente alle sue prerogative, non è forse morta?

Quando essa non pratica la virtù, ma ruba e si comporta dissolutamente, come posso affermare che tu abbia un'anima?

Forse perché cammini? Ma anche gli animali lo fanno.

Perché mangi e bevi? Ma ciò è caratteristico anche delle bestie.

Perché hai un corpo diritto e ti reggi su due piedi? Ma ciò mi dimostra piuttosto come tu sia un animale dall'aspetto umano.

Infatti, siccome le bestie hanno in comune con te tutto il resto, tranne il fatto di non essere erette, proprio per questo motivo tu mi turbi e mi stupisci ancora di più: ritengo che questo sia un portento maggiore di quanto io stesso riesca a discernere.

Infatti, se io vedessi una bestia parlare con una lingua umana, non pertanto affermerei trattarsi di un uomo; al contrario, proprio per questo riterrei di trovarmi di fronte a un animale più prodigioso di un animale.

Donde, allora, potrebbe essermi chiaro che in te si trova un'anima umana, dal momento che recalcitri come gli asini, sei memore delle offese come i cammelli, mordi come gli orsi, rubi come i lupi, tendi insidie come le volpi, sei scaltro e fraudolento come i serpenti, ti comporti rabbiosamente come i cani?

Giovanni Crisostomo, Omelie sulla seconda lettera ai Corinti, 6,3

4. - Non l'anima o il corpo guidano al peccato, ma la disposizione al male

 

Ho conosciuto che in me, cioè nella mia carne, non dimora il bene ( Rm 7,18 ).

Con ciò concordano anche coloro i quali calunniano la carne e la distolgono dai doveri verso Dio.

Che cosa diremo, allora?

Le stesse cose che abbiamo rilevato dianzi a proposito della legge: come cioè Paolo, anche nel caso presente, intende riferire tutto al peccato.

Infatti egli non ha detto: « La carne compie ciò »; bensì, il contrario: « Non più io compio ciò, ma il peccato che abita in me ».

Se egli afferma questo: che cioè il bene non dimora nella carne, ciò non rappresenta ancora una colpa della carne: infatti, per il fatto che il bene non abiti in essa, ciò non significa che la carne non sia buona.

Noi, invece, riconosciamo che la carne è inferiore all'anima, ma non contraria né avversaria ad essa né cattiva.

Piuttosto, la sottomettiamo all'anima, come la cetra al citaredo, come la nave al nocchiero.

Esse, infatti, non sono avversarie l'una rispetto all'altra per coloro i quali agiscano servendosi di entrambe loro; sono, anzi, assolutamente concordi, sebbene non provviste della medesima dignità.

Pertanto, come colui che, pur affermando: « Non nella cetra, non nella nave risiede l'arte, ma nel nocchiero e nel citaredo » non disprezza la loro opera, ma sottolinea unicamente l'importanza maggiore di chi l'adopera; parimenti anche Paolo, nell'affermare: « Non dimora il bene nella mia carne »; non intende calunniare il corpo, ma semplicemente dichiara la preminenza dell'anima: ad essa, infatti, viene rimesso il governo della nave e l'uso della cetra.

Questo intende qui dichiarare Paolo, attribuendo autorità all'anima.

Dividendo l'uomo in queste due dimensioni, poi, anima e corpo, afferma che la carne, priva di ragione e d'intelligenza, non conduce bensì viene condotta.

L'anima, invece, Paolo sostiene esser più sapiente, dal momento che è in grado di comprendere ciò che si deve e ciò che non si deve fare, ma non può guidare il cavallo, a suo arbitrio.

Tale, infatti, è colpa sia del corpo che dell'anima, la quale, pur conoscendo ciò che si deve fare, non mette in pratica ciò che le sembra giusto.

Infatti in me c'è la volontà, dice Paolo, ma non trovo la capacità di compiere il bene ( Rm 7,18 ).

In questo caso, ancora una volta, quando l'Apostolo ha detto: « Non trovo », non ha inteso parlare di ignoranza o di dubbio, ma di una certa inadeguatezza nonché delle insidie del peccato.

Lo dichiara ancor più palesemente, quando aggiunge: Sicché non il bene che voglio io faccio, ma il male che non voglio, questo faccio.

Se, quindi, io faccio ciò che non voglio, non sono più io a compierlo, ma il peccato che abita in me ( Rm 7,19-20 ).

Vedi come Paolo, liberando la natura dell'anima e quella della carne dalla colpa, trasferisce ogni cosa nella cattiva azione?

Se infatti egli non vuole il male, l'anima è liberata; se egli neppure lo compie, è liberato anche il corpo: tutto, allora, dipende unicamente dall'inclinazione cattiva.

Infatti l'anima, il corpo e l'inclinazione non stanno sullo stesso piano, in quanto i primi due costituiscono opere di Dio, invece l'inclinazione proviene da noi stessi, ovunque desideriamo dirigerla. Infatti la volontà è naturale e proviene da Dio; ma volere questo o quello dipende da noi e dal nostro proposito.

Giovanni Crisostomo, Omelie sulla lettera ai Romani, 13,2

5. - Il dovere dell'anima di dominare se stessa e il corpo

L'occhio è stato creato perché, contemplando le creature di Dio, si celebri il loro Creatore.

É perciò compito degli occhi il vedere.

Il vedere male, però, dipende dalla mente, che dirige dal di dentro.

Infatti le nostre membra, utili per ben operare, sono state create dal Signore, il quale concesse ch'esse fossero governate da una sostanza incorporea: l'anima.

Quest'ultima, però, intraprese ad esser negligente e ad allentare le redini, come un auriga che non sappia trattenere la violenza dei cavalli al punto che, reso inutile l'impiego dei freni, si lancia a precipizio insieme con le bestie e con tutto il carro.

Proprio a questo modo si comporta anche la nostra volontà: non sapendo servirsi delle membra come si conviene e indulgendo al disordine della concupiscenza, finisce con il sommergere se stessa.

Orbene, il Signore nostro Cristo, conoscendo la nostra fragile natura e la negligenza della nostra volontà, impose una legge che impedisse e respingesse gli sguardi indiscreti, onde estinguere in noi l'incendio fin sul nascere, quand'esso è ancora remoto.

Dice, infatti, il Signore: Chi guarda una donna per desiderarla, già ha commesso adulterio con lei in cuor suo ( Mt 5,28 ).

Per questo, intende dire, vi interdico lo sguardo illecito: onde liberarvi dall'azione illecita.

Non ritenere, disse, che divenga peccato solo con il contatto materiale: quella che viene condannata è l'intenzione.

Giovanni Crisostomo, Omelie sul Genesi, 22

6. - Salute, libertà e gioia se l'anima ha il predominio

A Dio si addicono la lode e l'onore, perché tante cose ha dato a noi uomini per il nostro sostentamento.

Ma chi riflette, deve riconoscere che la gioia dell'anima è più grande che la gioia del corpo.

Quando poi ode che lo Spirito Santo a lui grida: Non seguire le tue brame e distogliti dalle tue voglie ( Sir 18,30 ), impara ad esercitare la virtù della moderazione contro tutto ciò che accarezza il suo senso.

Questa virtù limita certo il benessere della carne, ma accresce la sapienza dello spirito, le cui possibilità sono completamente diverse quando ci dominiamo col digiuno e quando ci siamo aggravati di cibo.

La sazietà non può certo suscitare gli stessi sentimenti intimi che suscita in noi la sobrietà.

Solo quando la carne, che « è piena di brame contrarie allo spirito » sta sotto il dominio dell'anima noi siamo sani e liberi, e veramente sani e liberi.

Allora infatti il corpo segue il giudizio dell'anima e segue la guida sicura di Dio.

Il godimento derivante dalle grandi comodità dei nostri tempi, non ci renda mai colpevoli di qualche negligenza: se infatti il terreno del nostro corpo non viene continuamente lavorato, restando incolto e inattivo, subito produce spine e rovi.

Porta allora frutti che non verranno raccolti nei granai, ma dovranno essere sterminati col fuoco, secondo le parole del Signore: Ogni piantagione non coltivata dal mio Padre celeste verrà estirpata ( Mt 15,13 ).

Dobbiamo dunque proteggere con cura ogni seme e germoglio nobile che abbiamo ricevuto dal giardino del divino seminatore.

Con calma circospezione dobbiamo perciò curare che l'astuzia dell'odiato nemico non arrechi danno a questo dono di Dio e che nel giardino paradisiaco della virtù non germogli lo sterpame del vizio.

Leone Magno, Sermoni, 81

7. - La moralità delle azioni risiede nell'anima

La prudenza della carne consiste nell'indulgere ai piaceri e alle voluttà; la prudenza della carne è l'avarizia e ogni genere di peccato.

Ma perché viene chiamata prudenza della carne?

Eppure questa nulla potrebbe compiere senza il concorso dell'anima.

Non per disprezzare la carne, giacché l'Apostolo, parlando dell'uomo psichico ( 1 Cor 2,14 ), non intende vituperare l'anima, ma sostenere unicamente che, per quanto gli riguardi, non sono sufficienti né il corpo né l'anima per compiere qualcosa di illustre e di grande, qualora non intervenga un aiuto dall'alto.

Per questo egli chiama « psichiche » quelle cose che l'anima compie da sola; carnali, invece, quelle compiute dal solo corpo: non perché queste siano, cioè, naturali, ma poiché, se non abbiano ricevuto un aiuto, infine muoiono.

Anche gli occhi, infatti, sono belli; senza la luce, però, essi incorrono in innumerevoli mali: il che è proprio della loro debolezza, non della natura.

Se esistessero mali naturali, non ce ne serviremmo per soddisfare le nostre esigenze: infatti, nulla di naturale è male.

Che cosa sono, dunque, le prudenze carnali? I peccati.

Infatti quando la carne abbia conseguito la supremazia sull'auriga, insuperbitasi, compie innumerevoli mali.

La virtù della carne, infatti, consiste nell'assoggettarsi all'anima; il suo vizio, invece, è quello di dominare sull'anima.

Perciò, come il cavallo è bello e provvisto di validi stinchi, ma ciò non appare chiaramente senza l'intervento dell'auriga; così anche la carne allora sarà bella, quando l'avremo liberata dai suoi sobbalzi.

Neppure l'auriga, ad ogni modo, una volta privato della sua scienza, è in grado di assolvere adeguatamente il suo compito; infatti egli stesso, senza la scienza, commette errori assai gravi.

Bisogna dunque prestare attenzione in ogni cosa; lo spirito attento rende più valido l'auriga, recando beneficio al corpo e all'anima; come, infatti, l'anima, mentre è nel corpo, lo fa apparire bello, ma quest'ultimo, una volta privato dell'opera di quella, come se un pittore confondesse i colori, diviene brutto quant'altri mai, affrettandosi da ogni parte verso l'annientamento; ebbene, non diversamente, una volta che lo spirito abbia abbandonato il corpo e l'anima, grande e terribile diviene la loro bruttezza.

Pertanto, anche se il corpo è inferiore all'anima, non vituperarlo.

Io non permetto, infatti, che neppure l'anima sia vituperata, nonostante che nulla essa valga senza lo spirito.

Anzi, se qualcosa si deve dire, l'anima merita un rimprovero maggiore.

Il corpo, infatti, non ha mai fatto nulla di male senza l'anima; l'anima, invece, molte cose cattive ha compiuto, anche senza il corpo.

Prova ne sia che, mentre quello si consuma e non è più in grado di sobbalzare, l'anima compie ancora molte cose.

Così avviene quando incantatori, stregoni, iettatori e maghi maltrattano ferocemente il corpo.

Del resto, neppure i piaceri sono necessari al corpo, ma soltanto alla negligenza dell'anima: l'alimento è necessario al corpo non i piaceri.

Se volessi porre un freno duro e robusto, frenerei il cavallo; il corpo, viceversa, non può arrestare l'anima nei suoi mali.

Perché, allora, l'Apostolo chiama ciò « prudenza della carne »?

Perché è dovuta interamente alla carne.

Se questa, una volta ottenuto il sopravvento, scalza il governo dell'anima, soltanto allora si verifica il peccato.

In questo, dunque, si realizza la virtù del corpo: cedere all'anima.

Di per se stessa, infatti, tale virtù non è né buona né cattiva: che cosa ha mai compiuto il corpo da solo?

Il corpo, pertanto, è buono unicamente in virtù della sua soggezione all'anima, della sua congiunzione con essa.

Per conto proprio, infatti, il corpo è ugualmente propenso tanto al bene quanto al male.

Esso non desidera il libertinaggio né l'adulterio, ma semplicemente il coito; non aspira ai piaceri, ma al nutrimento; non all'ubriachezza, ma al bere.

Infatti, che l'ubriachezza non sia un'aspirazione del corpo, lo puoi constatare dal fatto che si perviene ad essa unicamente superando i limiti stessi del corpo.

Tutto dipende dall'anima, come quando essa si abbandona a cose carnali o diventa grossolana.

Quantunque il corpo sia buono, lo è assai meno dell'anima.

Allo stesso modo come il piombo è inferiore all'oro e ciò nondimeno v'è bisogno anche di quello per le saldature; non diversamente, anche l'anima esige il corpo.

O ancora, come un fanciullo nobile ha bisogno del pedagogo, così anche l'anima richiede un corpo.

Non ti sorprendere se ho recato tali esempi.

Infatti, come noi definiamo puerili certe azioni, non per denigrare l'età infantile, ma talune sue manifestazioni; parimenti si deve dire anche del corpo.

Ciò nondimeno, se noi lo desideriamo, ci è consentito di non rimanere nella carne o su questa terra, ma di dimorare nei cieli e nello spirito.

Il trovarsi in un determinato luogo, infatti, non dipende tanto dalla posizione fisica quanto, piuttosto, da una certa situazione spirituale.

Prova ne sia che, pur trovandosi taluni in un certo posto, noi affermiamo, invece, che non sono affatto lì, dicendo: « Non eri qui ».

Ma che dico? Spesso ce ne usciamo addirittura in espressioni come queste: « Non sei in te », ovvero: « Non sono in me ».

Eppure, che cosa potrebbe mai esservi di più corporeo del caso in cui una persona è vicina a se stessa?

Tuttavia diciamo che quello non è in sé.

Cerchiamo, dunque, di essere in noi, nel cielo, in spirito.

Rimaniamo nella pace e nella grazia di Dio, onde conseguire, una volta riscattati da tutte le inclinazioni carnali, i beni promessi.

Giovanni Crisostomo, Omelie sulla lettera agli Efesini, 5,4

8. - Il corpo mortale è retto dall'anima immortale

Come mai, dal momento che il corpo è naturalmente mortale, l'uomo ragiona sull'immortalità e desidera sovente di morire per la virtù?

O ancora, come mai, dal momento che il corpo è effimero, l'uomo si rappresenta le realtà eterne, al punto da disprezzare le cose presenti e rivolgere il suo desiderio verso le altre?

Il corpo non saprebbe, da solo, ragionare in tal modo su se stesso né su ciò che è estraneo a lui: esso infatti è mortale ed effimero.

Bisogna dunque, necessariamente, che vi sia qualche altra cosa che ragioni su ciò che è opposto al corpo e contrario alla sua natura.

Che cos'è questa, ancora una volta, se non l'anima razionale e immortale?

Ed essa non è esterna al corpo, ma gli è interna, come il musicista che, con la sua lira, faccia ascoltare i migliori suoni.

Come mai, ancora, l'occhio, essendo naturalmente fatto per vedere, e l'orecchio per ascoltare, si distolgono da queste funzioni qui e preferiscono quelle là?

Che cos'è che distoglie l'occhio dal vedere?

O che impedisce all'orecchio di ascoltare, dal momento ch'esso è naturalmente fatto per intendere?

E il gusto, naturalmente fatto per gustare, che cos'è che sovente lo arresta nel suo slancio naturale?

La mano, naturalmente fatta per agire, chi le impedisce di toccare tale oggetto?

L'odorato, fatto per sentire gli odori, chi lo distoglie dal percepirli?

Chi agisce così al contrario delle proprietà naturali dei corpi?

Come mai il corpo si lascia distogliere dalla sua natura e condurre secondo l'avviso di un altro e dirigere da un suo cenno?

Tutto ciò mostra che solo l'anima razionale guida il corpo.

Il corpo non è punto fatto per muoversi da solo, ma esso si lascia condurre e guidare da un altro, come il cavallo non si attacca da solo, ma si lascia dirigere da colui che l'ha ammaestrato.

Vi sono anche delle leggi presso gli uomini, per indurli a compiere il bene e ad evitare il male; ma gli esseri senza ragione non possono né ragionare né discernere il male, poiché sono estranei alla razionalità e alla riflessione logica.

Così gli uomini possiedono un'anima razionale; penso di averlo dimostrato da quanto è stato detto.

Che l'anima sia anche immortale, l'insegnamento ecclesiastico non può ignorarlo, per trovarvi un argomento capace di rifiutare l'idolatria.

Si perverrà più vicino a questa nozione, se si parte dalla conoscenza del corpo e dalla sua differenza con l'anima.

Se il nostro ragionamento ha mostrato ch'essa è diversa dal corpo, e se il corpo è naturalmente mortale, ne segue necessariamente che l'anima è immortale, poiché è differente dal corpo.

Inoltre se, come abbiamo dimostrato, è l'anima che trasforma il corpo, senza essere lei stessa trasformata da altri, ne segue che l'anima si trasforma da se stessa e che, dopoché il corpo sia stato posto sulla terra, essa continua ancora a trasformarsi da se stessa.

Infatti non è l'anima che si trasforma, ma è quand'essa si separa dal corpo che prende a trasformare il corpo stesso.

Se dunque essa fosse mutata dal corpo, ne seguirebbe che, allontanandosi il motore, essa morirebbe; se, invece, è l'anima che muta il corpo, a più forte ragione essa si muta anche da se stessa.

E se ciò è vero, necessariamente, altresì, essa vive dopo la morte del corpo.

Infatti il movimento dell'anima non è cosa diversa dalla sua vita medesima, allo stesso modo come noi diciamo che il corpo vive quando è in movimento, e che per esso è la morte quando cessi di muoversi.

Lo si vedrà ancor più chiaramente a partire dall'attività dell'anima nel corpo.

Quando l'anima è venuta nel corpo e gli si è legata, essa non è ristretta e misurata dalla piccolezza del corpo, ma assai spesso, quando questo è disteso nel suo letto, immobile e come addormentato nella morte, l'anima, secondo la sua propria virtù, è sveglia e si eleva al di sopra della natura del corpo, come se essa se ne andasse lontano da lui: restando, invece, nel profondo del corpo, essa si rappresenta e contempla gli esseri sovraterrestri.

In tal modo, sovente essa incontra persino coloro che sono al di sopra dei corpi terreni, i santi e gli angeli, andandosene verso di loro e confidando nella purezza dello spirito.

Come dunque, a maggior ragione, una volta distaccata dal corpo quando lo vorrà Dio che l'aveva legata ad esso, non avrà essa una conoscenza più chiara dell'immortalità?

Se quando essa era legata al corpo, viveva una vita estranea al corpo, a maggior ragione, dopo la morte di quello, essa vivrà e non cesserà di vivere, poiché Dio l'ha così creata per mezzo del suo Verbo, il nostro Signore Gesù Cristo.

É perché l'anima pensa e riflette sulle cose immortali ed eterne, che anch'essa è eterna.

Allo stesso modo come il corpo, essendo mortale, i suoi sensi contemplano cose mortali; parimenti l'anima, contemplando realtà immortali e ragionando su di esse, deve necessariamente essere immortale e vivere eternamente.

I pensieri e le considerazioni sull'immortalità non la lasciano mai, ma dimorano in essa come un focolaio che assicura l'immortalità.

É per questo che l'anima ha il pensiero della contemplazione di Dio e si traccia da sola la sua propria strada.

Non è dall'esterno ma da se stessa che l'anima riceve la conoscenza e la comprensione del Verbo divino.

Atanasio, Contro i pagani, 32-33

9. - La nobiltà dell'anima

« E spirò sul suo viso il soffio della vita ».

La Scrittura intende dire che quel soffio diede la forza vitale a colui che era stato formato dalla terra: così avvenne, appunto, la creazione dell'anima.

Donde soggiunge: « E l'uomo divenne anima vivente ».

Che cosa vuol dire « anima vivente »?

Significa che opera efficacemente, che possiede membra corporee destinate ad assolvere determinate operazioni e obbedienti alla sua volontà.

Poi, non so come, noi abbiamo sovvertito quell'ordine e l'iniquità crebbe al punto che oggi costringiamo quest'anima ad assecondare le concupiscenze della carne.

Essa, perciò, che in qualità di signora doveva presiedere e comandare, la obblighiamo a soddisfare le voluttà della carne, ignorando la sua nobiltà e la superiorità della quale aveva goduto prima che si verificassero codesti avvenimenti.

Considera, infatti, te ne prego, l'ordine della creazione; esamina con te stesso che cosa fosse l'uomo prima che gli fosse spirato dal Signore quel soffio di vita e diventasse anima vivente.

Un'immagine inanimata, priva di movimento e assolutamente inutile.

Pertanto tutto ciò che lo elevò a una dignità tanto grande, null'altro fu se non quel soffio di vita spirato da Dio.

D'altronde, affinché tu veda ciò non soltanto da quelle cose che allora accaddero, ma anche da quelle che adesso si verificano quotidianamente, rifletti con te stesso come, dopo l'emigrazione dell'anima, codesto corpo appaia tanto amaro e triste.

Ma che dico, amaro e triste?

Quanto orrendo, quanto maleodorante e brutto quant'altri mai; quello stesso corpo che prima, retto dall'anima, era leggiadro, gradevole e bellissimo, pieno di molta prudenza e fornito con accortezza per compiere cose buone.

Riflettendo su tutte queste cose e comprendendo quanto grande sia la nobiltà dell'anima nostra, non commettiamo nulla che sia indegno di essa, non la coinvolgiamo in azioni illecite, non la sottomettiamo alla servitù della carne, non trattiamo così crudelmente e senza misericordia un'essenza così nobile e dotata di una dignità tanto grande.

Infatti, grazie alla sua sostanza, noi, che siamo stati avvolti in un corpo, se lo vogliamo, possiamo gareggiare con le potenze spirituali con l'aiuto della grazia divina; noi, pur camminando sulla terra, possiamo vivere in cielo, in nulla essendo a quelle inferiori; anzi, essendone fors'anche superiori.

Come ciò possa accadere, lo dirò.

Quando qualcuno, infatti, circondato da questo corpo corruttibile, avrà condotto una vita simile a quella delle supreme virtù, come non otterrà una grazia ben maggiore da Dio, dal momento che, pur essendo oppresso dalle necessità del corpo, ha serbato incorrotta la nobiltà dell'anima?

Ma chi mai, potresti dire, potrà esser riconosciuto tale?

A ragione ciò ci sembra impossibile, in considerazione della nostra modestissima virtù.

Ma se vuoi accorgerti che ciò non è impossibile, pensa, ti prego, a tutti i giusti i quali, dal principio fino al tempo presente, piacquero al Signore.

Pensa, altresì, a Giovanni, figlio di una donna sterile e cittadino del deserto; a Paolo, maestro del mondo, e a tutta la moltitudine dei santi, dotati della nostra medesima natura, oppressi dalle identiche necessità del corpo.

Dunque, non stimare più l'impresa impossibile e non essere più pigro nei confronti della virtù: tante occasioni, infatti, hai ricevuto dal Signore onde abbracciarla senza difficoltà.

Giovanni Crisostomo, Omelie sul Genesi, 12

10. - Il retto ordine dell'anima

« Loda anima mia il Signore ».

Chi è che dice ciò? La carne non lo dice … lo dice forse l'anima a se stessa, e in qualche modo comanda a sé, si esorta e si eccita.

Essa in una parte di sé quasi fluttua tra le tempeste, in un'altra sua parte, che chiamano mente razionale - con la quale raggiunge la sapienza -, si unisce a Dio e a lui sospira.

Essa nota che alcune sue parti inferiori sono turbate dalle passioni mondane, defluiscono, per una certa brama di desideri terreni, nelle realtà esterne, abbandonando nell'intimo Dio; richiama se stessa dalle cose esteriori a quelle interiori, dalle cose inferiori a quelle superiori, e dice: « Loda anima mia il Signore … già troppo sei vissuta occupata e flagellata dalla molteplicità dei desideri; sei ferita e piagata, sei divisa da molti amori, sempre inquieta, mai sicura.

Raccogliti in te stessa … se cercherai i beni superiori, metterai sotto i piedi quelli inferiori: ma se da quelli ti allontanerai, questi diventeranno il tuo supplizio ».

La realtà sta così, fratelli miei: l'uomo ha ricevuto il corpo come uno schiavo al suo servizio, e ha come signore Dio; ha sopra di sé il Creatore, ha sotto di sé ciò che nella creazione è a lui inferiore; l'anima razionale è posta quasi in mezzo, e la sua legge è: star unita al superiore, reggere l'inferiore.

Ma non può reggere l'inferiore, se non si fa reggere da colui che è migliore.

Se viene attratta da ciò che è inferiore, abbandona il migliore.

Non può così reggere quello che doveva reggere, perché non vuol farsi reggere da colui che la reggeva.

Ritorni dunque a lui, e lo lodi.

L'anima, nella luce di Dio, consiglia se stessa con la sua mente razionale, perché è con questa che concepisce il consiglio, fisso nell'eternità del suo autore.

Vi legge ivi qualcosa di tremendo, degno di lode, di amore, di desiderio e brama: ancora non lo afferra, ancora non lo comprende; viene quasi oppressa dallo splendore e non è capace di restare ivi fissa: si raccoglie perciò in quello che in un certo senso la sana e dice: « Loda anima mia il Signore! ».

Agostino, Esposizioni sui Salmi, IV, 145,5

11. - Il servo dell'anima

L'anima è peccatrice, perché immonda, e la sua ignominia le deriva dalla sua unione con la carne.

Ma se anche la carne è peccatrice - e ci è vietato comportarci secondo i suoi dettami - non è tuttavia infame per sua diretta responsabilità; da se stessa infatti non ha senso e comprensione per invitare al peccato o imporlo.

Qual è dunque la sua situazione?

É un servizio, però non come quello di un servo o di un amico da poco, ma come quello di un bicchiere, o qualcosa di simile.

Il bicchiere infatti è al servizio di chi ha sete; ma se costui non ne usa correttamente, a nulla il bicchiere gli serve … è dunque per l'anima quasi una suppellettile, uno strumento nell'officina della vita.

Nelle Scritture la carne viene rimproverata, perché senza di essa nulla può l'anima nelle opere di libidine, di gola, di ubriachezza, di crudeltà, d'idolatria e in tutti gli altri atti, carnali, non nei princìpi, ma negli effetti.

Anzi gli stessi princìpi dei delitti, anche senza gli effetti, vengono imputati di solito all'anima: Chi guarderà una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio nel suo cuore ( Mt 5,28 ).

Ma, del resto, cosa può la carne senza l'anima nelle opere di probità, giustizia, tolleranza e pudicizia?

E perché mai incriminare qualcuno di delitti, se non puoi addurre delle prove?

Ma si accusa colei per mezzo della quale si commette colpa, perché chi commette questa colpa sia maggiormente aggravato per aver accusato anche la propria serva.

Più grave è l'odio contro il superiore, quando il suo dipendente viene colpito; e, anche se colui che obbedisce non è scusato, più viene colpito colui che comanda.

Prescindendo da ciò che gli si aggiunge per incursione dello spirito malvagio, il male dell'anima procede dal peccato originale, che è in qualche modo naturale.

Infatti, come abbiamo detto, la corruzione della natura è un'altra natura, che ha il proprio Dio e il proprio padre, cioè l'autore della corruzione.

Resta tuttavia nell'intimo dell'anima il bene, quello che le è fondamentale, quel che di divino a lei affratellato come qualcosa che propriamente le è naturale.

Ciò che deriva da Dio, infatti, non può essere estinto ma solamente oscurato: può essere oscurato, perché non è Dio; non può essere spento, perché procede da Dio.

Perciò, come un lume ostacolato da qualche impedimento resta, ma non appare, se la densità dell'ostacolo è rilevante, così il bene nell'anima, oppresso dal male, secondo la qualità di questo, o sembra sparire del tutto, perché la sua luce è coperta, oppure splende, in quanto gli è concesso, se trova uno spiraglio di libertà.

Così gli uomini possono essere pessimi e ottimi, pur tuttavia uno solo è il genere dell'anima: negli uomini pessimi vi è qualcosa di buono, e in quelli ottimi qualcosa di malvagio: unicamente Dio, infatti, è senza peccato, e l'unico uomo senza peccato è Cristo, perché è Dio.

Perciò la divinità dell'anima, per il suo precedente stato di bontà, talvolta erompe, come nei presagi, e ci viene attestata la sua coscienza di Dio: « Dio buono! »; « Dio lo vede » e « Raccomando a Dio ».

Perciò nessuna anima è senza delitto, perché nessuna è senza seme di bontà.

Per questo, quando giunge alla fede, ristrutturata dalla seconda nascita dall'acqua e dalla virtù superna, liberata dal velo della sua precedente corruzione, essa può contemplare tutto il suo splendore.

Viene accolta dallo Spirito Santo, come nella prima nascita fu accolta dallo spirito profano.

E all'anima che va sposa allo Spirito segue la carne, quale ancella recata in dote, non più serva dell'anima, ma dello Spirito. Oh beato connubio!

Tertulliano, L'anima, 40-41

12. - Il dominio del corpo e dei suoi sensi

Non dobbiamo servire il corpo più di quanto non sia assolutamente necessario.

Dobbiamo invece compiere del nostro meglio a favore dell'anima in maniera da liberarla, per mezzo di una saggia vita, da quei vincoli che essa ha con le passioni del corpo, come da un carcere, e, al tempo stesso, rendere il corpo stesso inespugnabile da parte dei vizi e delle passioni.

Al ventre vanno somministrate le cose necessarie, non quelle che sono assai piacevoli, come accade a coloro che vanno in cerca di certi direttori di mense e di certi cuochi, ricercandoli in ogni dove per terra e per mare, come per pagare dei tributi a un padrone capriccioso …

Prendersi soverchia cura, oltre il necessario, per il taglio dei capelli e la foggia degli abiti, è proprio degli sciagurati, come dice Diogene, o di coloro che agiscono scioccamente.

Perciò ritengo che sia da giudicarsi ugualmente vergognoso l'essere amanti dell'eleganza e il farsi chiamare « drudi » o l'insidiare i matrimoni altrui.

Che cosa, infatti, sta a cuore a una persona intelligente: rivestirsi di una veste fine e sontuosa oppure indossare un pallio sufficiente a proteggerla dal freddo e dal caldo?

Allo stesso modo, anche le altre cose non sono da coltivarsi oltre il necessario, né si deve avere per il corpo una cura maggiore di quella utile all'anima.

Per un uomo degno di questo nome, infatti, sarebbe non meno vergognoso avere il comportamento di un raffinato damerino, che il servire da schiavo una passione.

Quaggiù, infatti, prodigare ogni cura affinché il proprio aspetto fisico si presenti il meglio possibile, non è proprio di un uomo che conosca se stesso e faccia tesoro di quella saggia sentenza secondo cui l'uomo non è quello che si vede ma che è necessaria una sapienza superiore, grazie alla quale ciascuno di noi conosca se stesso e le proprie qualità.

Il che, tuttavia, è più difficile per coloro che hanno una mente impura, che non il guardare il sole quando si hanno gli occhi cisposi.

La purezza dell'anima, poi, per dirlo una volta per tutte e in modo chiaro a voi, consiste nel disprezzare i piaceri sensuali, nell'allontanare gli occhi dalle insulse ostentazioni dei ciarlatani o dalla visione dei corpi che eccitano la sensualità, nel non infondere nell'anima attraverso l'ascolto, corrotte melodie.

Infatti, le passioni sogliono essere prodotte da questo genere di musica.

Noi amiamo però un altro tipo di musica, quella migliore e che migliora, usata da Davide, autore dei sacri carmi per sedare, come dicono, il furore e la follia del re ( 1 Sam 16,23 ).

Riferiscono, altresì, che Pitagora, imbattutosi in crapuloni ubriachi, ordinò al flautista, presente al banchetto, di mutare la musica e di cantar loro motivi dorici.

Quelli, nell'udire quel canto, si riebbero a tal punto che, toltesi le corone, ritornarono a casa pieni di vergogna.

Altri, invece, alla maniera dei Coribanti e Baccanti, al suono del flauto, impazziscono e si scatenano.

Tale è la differenza delle reazioni a seconda che si ascolti della buona o della cattiva musica!

Perciò dovete considerare la musica, che adesso va di moda, peggio della più turpe delle cose.

Non ho bisogno di aggiungere come sia anche da proibire che profumi di ogni genere, recanti piacere all'olfatto, si mescolino per l'aria e che, altresì, voi vi imbrattiate con unguenti.

E che cosa dire del fatto che non si devono ricercare i piaceri del tatto e del gusto, se non ricordare come essi costringano coloro che si dedicano a procurarsene a vivere come bestie proni e piegati verso il ventre e verso quelle cose che si trovano al di sotto di esso.

In una parola, tutto il corpo è spregevole per colui che non voglia voltolarsi nei suoi piaceri come nel fango, ovvero, come dice Platone, bisogna assecondarlo nella misura in cui serva alla filosofia.

Non molto diversamente si esprime anche Paolo, il quale ammonisce che non bisogna curare il corpo per sollevarne gli appetiti ( Rm 13,14 ).

Infatti, coloro i quali si preoccupano del benessere del corpo ma, per esso, trascurano interamente l'anima, in che cosa mai differiscono da coloro che operano sì con gli strumenti adatti, ma trascurano del tutto l'arte cui pure essi sono servitori?

Per cui, tutto al contrario, il corpo va castigato e represso, non diversamente dall'impeto di una belva e i tumulti ch'esso suscita nell'anima vanno domati con la sferza della ragione.

Esso non va completamente abbandonato a briglie sciolte al piacere e la ragione non va trascurata sì da sembrare un auriga trascinato da cavalli sfrenati e imbizzarriti.

Né è fuor di luogo rammentarsi di Pitagora il quale, avendo notato che uno dei suoi discepoli mangiava cibi a dismisura e diventava grasso, gli si rivolse così dicendo: « Non la smetterai di erigerti un carcere così pesante? »

Donde tramandano che anche Platone, presago del nocumento arrecato da un corpo immoderato, abbia scelto a bella posta un luogo insalubre dell'Attica per l'Accademia, proprio per tagliare l'eccessiva comodità del corpo, come si fa con i tralci troppo lussureggianti di una vite.

Personalmente, poi, ho udito affermare dai medici che la comodità spinta fino all'estremo è anche pericolosa.

Dal momento che, dunque, l'eccessiva cura per il corpo è ad esso stesso inutile e di nocumento all'anima, sarebbe chiara follia sottomettervisi e seguirlo.

Se invece ci adoperassimo a disprezzarlo, difficilmente stimeremmo qualsiasi altra cosa terrena.

A quale ricchezza, infatti, daremo importanza, se non teniamo in conto i piaceri del corpo?

Per quanto mi riguarda, non vedo alcun piacere; sarebbe soltanto un divertimento simile a quello dei dragoni che nelle favole vigilano sui tesori sepolti.

Chi si sa e si sente libero rispetto a tali beni se ne starà distante non permettendosi alcunché di turpe in parole e in atti.

Infatti, tutto ciò che è superfluo e non è necessario, sia la pagliuzza d'oro della Lidia o il lavoro delle formiche che trasportano l'oro, egli disprezzerà di più, quanto meno ne avvertirà il bisogno.

Costui misura il suo bisogno secondo le necessità della natura e non secondo le brame.

Prova ne sia il fatto che coloro i quali sorpassano i limiti necessari, alla maniera di coloro che sono trascinati lungo un declivio, non essendovi nulla di robusto a cui aggrapparsi, non cessano giammai di predare sempre di più.

Anzi, quanto più essi si impadroniranno di certe cose, tanto più sentiranno il bisogno, non soltanto di quelle stesse, ma anche di altre sempre maggiori, onde soddisfare la propria cupidigia.

Basilio il Grande, Discorso ai giovani sulla letteratura pagana, 7-8

13. - La carne partecipa alla lode e al biasimo dell'anima

Tu ti richiami sempre ai brani scritturistici in cui la carne viene biasimata; tieni presente anche quelli in cui viene lodata.

Leggi i passi che deprimono la carne: aguzza gli occhi e vedi quelli in cui viene innalzata.

Ogni carne è fieno ( Is 40,6 ); però Isaia non ha detto questo solo, ma anche: Ogni carne vedrà la salvezza di Dio ( Is 40,5 ).

Spicca il fatto che nel Genesi Dio dice: Il mio spirito non resterà in questi uomini, perché sono carne ( Gen 6,3 ); ma per voce di Gioele si ode anche: Effonderò del mio spirito in ogni carne ( Gl 3,1 ).

Anche gli scritti dell'Apostolo non li devi conoscere solo ove egli combatte la carne ( Rm 7,18 ); se afferma che coloro i quali vivono nella carne non possono piacere a Dio, perché le sue brame sono contrarie allo spirito ( Gal 5,17 ) e se ha altre espressioni simili, che sono di disonore alla carne - non nella sua sostanza ma nei suoi atti -, dobbiamo asserire tuttavia che in altri passi egli non si oppone ad essa se non per rimproverare l'anima in quanto essa, cioè, è intimamente unita all'anima, al cui comando si sottomette.

Sono poi lettere di Paolo anche quelle ove egli dice che porta le stigmate di Cristo nella carne ( Gal 6,17 ), dove ci comanda di custodire la nostra carne come tempio di Dio ( 1 Cor 3,16 ), ove considera il nostro corpo membro di Cristo ( 1 Cor 6,15 ) e ove ci ammonisce di onorare e portare Dio nel nostro corpo ( 1 Cor 6,20 ).

Tertulliano, La risurrezione della carne, 10

14. - Compenetrazione reciproca e compartecipazione tra anima e corpo

Non abbandoniamoci al corpo, non mescoliamo ad esso la nostra anima.

Sta detto infatti: Con l'amico mescola l'animo tuo, non con il nemico ( Sir 6,1 ).

E nemico è a te il tuo corpo, che combatte la tua mente, le cui opere sono ostilità, dissenso, liti e turbamenti.

Non mescolare con lui la tua anima, perché non perda l'uno e l'altra.

Se avviene questa mescolanza, infatti, la carne, che è da meno, si fa migliore dell'anima, che le è superiore - dato che l'anima dà la vita al corpo, la carne invece trasfonde la morte nell'anima -.

In tal modo, si confondono le opere dell'uno e dell'altra, si confondono quasi le loro stesse sostanze.

Di conseguenza l'anima accoglie in sé l'insensibilità del corpo morto e questo prende il dominio sulle virtù dell'anima; e non si pensi che l'anima, perché viene infusa nel corpo, venga con esso anche confusa: ce ne sia esempio lo splendore di questa luce.

La luce infatti è infusa sulla terra, ma non ne è confusa.

Non si confondano dunque le opere di coloro le cui sostanze sono distinte; l'anima stia nel corpo per vivificare il corpo, per dirigerlo e illuminarlo.

Non possiamo tuttavia negare che essa partecipi intimamente al suo corpo, infatti con lui si rattrista.

Gesù stesso infatti dice: L'anima mia è triste fino alla morte ( Mt 26,38 ), esprimendo così il suo affetto umano, e altrove: L'anima mia è molto turbata ( Gv 12,27 ).

Così il sonatore di flauto, o di cetra, o di organo, partecipa alla sua melodia con la voce, col gesto e con l'affetto: coi suoni tristi è triste, con quelli lieti è lieto, coi suoni acuti è eccitato e in quelli tenui è mite e mansueto; e ciò per esprimere meglio il suono che eseguisce e toccare in qualche modo gli animi.

Anche l'anima è in questo corpo come uno strumento musicale e quasi, per dir così, ne tocca con le dita i nervi, come fossero corde: eccita in tal modo le passioni di questa carne, perché essa renda un concento consono e armonizzantesi con le virtù e il buon costume, perché in tutti i suoi pensieri, in tutte le sue opere custodisca quest'armonia e le sue decisioni e i suoi fatti si accordino.

L'anima è dunque quella che dispone e il corpo è al suo uso: perciò l'una è al comando, l'altro al servizio; l'una siamo noi, l'altro ci appartiene.

Se qualcuno ama la bellezza dell'anima, ama noi; se qualcuno invece preferisce l'avvenenza del corpo, non ama l'uomo, ma ama la carne che tanto presto marcisce e svanisce.

Contempla dunque colui, di cui dice il profeta: Che non ricevette invano l'anima sua ( Sal 24,4 ).

Ha invece ricevuto invano la sua anima chi edifica cose terrene, chi costruisce realtà mondane - e così parliamo delle miserie di questa vita -: tutte le volte che ci alziamo per mangiare e bere, nessuno si riempie tanto da non aver ancor fame e sete dopo un solo momento.

Tutte le volte che cerchiamo di guadagnare, nessuno è soddisfatto nella sua brama di possedere: Non si sazia, sta detto, l'occhio di vedere, né l'orecchio è mai pieno di udire ( Qo 1,8 ).

Chi ama l'argento, non si sazia con l'argento: non vi è fine per la fatica, e l'abbondanza non ha frutto.

Ogni giorno desideriamo sapere cose nuove, ma che cosa è la scienza stessa, se non un'aggiunta al dolore di ogni giorno?

Ambrogio, Il bene della morte, 26-29

15. - Anima e corpo dinanzi al tribunale di Dio

Supponi la liberazione o la punizione futura soltanto dell'anima, mentre il corpo, come qualcosa di inutile e di brutale, ritieni che debba esser lasciato a consumare dalla putredine?

Quale giustificazione potrebbe mai avere il fatto che soltanto l'anima, dopo aver combattuto insieme con il corpo, venga incoronata essa sola ovvero, una volta uscita dal corpo, essa sola venga condotta al supplizio?

L'anima, infatti, castigata giustamente, con queste parole apostroferebbe il giudice: « Non da sola, o Signore, ho trasgredito le tue leggi, ma insieme con il corpo ho inciampato negli scogli dei delitti; anzi, a onor del vero, è stato proprio lui a trascinarmi nella fossa del peccato.

Adescata dai suoi occhi, ho profanato i talami altrui, attratta da quella bellezza che apparteneva ad altri; ho desiderato ricchezze e denaro poiché gli occhi del corpo mi costringevano a vedere tali cose.

Per questo sono caduta nel profondo dell'ingiustizia.

Le passioni del corpo, infatti, mi hanno ridotto in schiavitù, privandomi di quella libertà che tu mi avevi donato.

Sono stata costretta a servire i suoi bisogni, siccome sua parente nonché compagna di servitù.

Il ventre mi sospinse al vizio della gola, il vizio della gola mi condusse alla voracità, la voracità suscitò nel mio intimo pensieri d'ingiustizia.

Talora contro voglia e tollerandolo a mala pena, ho ceduto ai bisogni della carne: angosciata e dolente, mi sono vista costretta a compiacere alla sua concupiscenza.

Sovente riuscivo persino a resistere e a respingere con determinazione i suoi assalti.

Ma il più delle volte le continue guerre mi vincevano: infelice, venivo catturata e, tormentandomi, obbedivo alla sorella.

A me, infatti, toccava dolermi di tutto ciò; e mentre ero afflitta dal dolore, dovevo continuare a sostenere le insidie della carne.

Ricevevo i suoi assalti e ignoravo che cosa si dovesse fare.

La miseria nella quale il corpo versava, infatti, era per me motivo di grande tristezza; ciò nondimeno, se cercavo un rimedio, nasceva conflitto ancor maggiore, sgominando infine la mia resistenza.

Perciò non condannare me sola, o Signore, ai supplizi: liberami insieme col corpo dalle sofferenze oppure condanna alle pene lui insieme con me ».

Anche il corpo, d'altronde, avendo opportunamente assecondato gli sforzi dell'anima, direbbe a sua volta al giusto giudice ( posto che potesse parlare ): « Dopo avermi creato, o Signore, hai soffiato in me l'anima.

Infatti, se si deve mostrare quale sia realmente stato il cammino della natura fin dal principio, bisogna allora dire che io sono stato creato prima; soltanto in un secondo momento hai introdotto in me la forza vitale dell'anima.

Con costei anch'io fui partecipe della vita trascorsa in paradiso.

Assieme, nel medesimo istante del concepimento, siamo passati nell'utero: ancora assieme, usciti a questa vita attraverso le vie aperte dal parto, abbiamo percepito lo splendore di questa luce e abbiamo respirato l'aria; assieme abbiamo percorso la strada della vita.

Mai nulla di buono l'anima ha compiuto da sola, ma servendosi del mio aiuto, cioè di quello della carne, essa ha ammassato un tesoro di virtù.

Sono stato io che, sopportando digiuni, veglie, giacigli sulla nuda terra e i tormenti d'ogni altra miseria, ho raccolto il tesoro conquistato per lei.

Io ho somministrato le lacrime per lei mentre pregava; io ho messo il cuore al servizio dello spirito, onde favorire lei mentre sospirava.

É con la mia lingua ch'essa ti ha sempre celebrato; servendosi delle mie labbra come di strumenti, essa ha offerto preghiere per te.

Stendendo le mie mani al cielo, essa ha raccolto i frutti della tua bontà, condotta dai miei piedi, è corsa presso i tuoi santi luoghi.

Ho messo a disposizione dell'anima l'udito, perché potesse percepire i tuoi oracoli; con l'aiuto dei miei occhi, nel guardare il sole, la luna, il coro delle stelle, il cielo, la terra, il mare e tutte le creature visibili, essa veniva condotta verso la contemplazione di te: dalla grandezza e beltà delle cose viste, si faceva un'idea del Creatore.

Grazie ai miei occhi, l'anima trasse il tesoro nascosto nelle Scritture.

Usando delle mie dita come di strumenti, scolpì con le lettere le tue divine istituzioni, lasciandone perpetua memoria.

Con le mie mani essa ha costruito luoghi di preghiera su tutta la terra.

Con il mio aiuto, ha soddisfatto le leggi della carità; con le mie mani, ha lavato i piedi dei santi; con le mie mani, sempre, ha soccorso gli afflitti nei loro bisogni, prodigando cure ai corpi malati.

Non mi separare, dunque, dalla mia compagna, che fino adesso è stata congiunta con me; non sciogliere quel legame che non a caso ci ha unito l'uno all'altra, ma che è stato, anzi, decretato dal cielo stesso per opera tua.

Conferisci la medesima corona a coloro che hanno compiuto un'unica corsa.

Ciò, infatti, si addice alla tua equità; questo conviene al tuo retto giudizio ».

Tali cose, dico, affermerebbe anche il corpo, avendo fornito un'opera utile all'anima nel corso dei combattimenti ( sempre che, naturalmente! fosse dotato dell'uso della voce ).

Tuttavia, né il corpo né l'anima, che ha servito l'iniquità, si esprimono in siffatta maniera.

Il giudice, infatti, non ha bisogno di tale supplica: allo stesso modo come sapientemente governa, così egli rettamente giudica e quando rende i corpi alle anime, lo fa conformemente alla dignità di ciascheduno di essi.

Infatti, come un valorosissimo soldato, avendo riportato la vittoria nel combattimento ed essendogli stato conferito dai suoi l'onore di una statua, è naturale che venga dipinto o effigiato o scolpito in pietra o in bronzo o in legno, con quella medesima armatura con la quale abbia sconfitto i nemici ( vale a dire: se li ha sconfitti con l'arco, che venga rappresentato con l'arco; se con l'asta, con l'elmo e con lo scudo, sia nuovamente effigiato con queste medesime armi ); ebbene, non diversamente ci pare naturale che l'anima, la quale ha combattuto in compagnia del corpo, ha conseguito la vittoria superando gli invisibili nemici e ha come autore il Creatore universale, non venga essa neppure ritratta nuda e spoglia d'ogni armatura.

Né vediamo così onorato soltanto il duce dell'esercito, ma altresì l'atleta e il pugile e il corridore e l'attore delle tragedie e l'auriga.

Ciascuno di costoro, infatti, viene rappresentato nella statua in quella stessa veste che indossava quando conseguì la vittoria …

Perciò non ritenere Dio, che è la fonte della giustizia, più ingiusto degli uomini.

Neppure devi supporre ch'egli onori i vincitori alla maniera degli uomini.

Infatti, se gli uomini, i quali spesse volte non hanno un grande discernimento del giusto, anzi, trascurano tali cose, sono soliti onorare in cotal maniera i vincitori di combattimenti vili e inutili; molto di più lo stratega di questa battaglia e il legislatore di questi giochi onorerà e incoronerà codesti insigni e grandi atleti della virtù: anzi, egli andrà oltre i limiti della stessa giustizia, con la magnificenza dei propri doni.

Teodoreto di Ciro, La provvidenza divina, 9

EMP R-6. - Partecipazione al sacerdozio di Cristo

Dice san Paolo: Vi esorto per la misericordia di Dio ( Rm 12,1 ).

Paolo ci esorta, anzi Dio stesso ci esorta attraverso di lui.

E Dio lo fa perché vuole essere non soltanto Signore, ma soprattutto padre …

Vi esorto a offrire il vostro corpo.

Chiedendo questo a tutti gli uomini, l'apostolo li innalza alla dignità del sacerdozio.

Offrire il vostro corpo come ostia viva.

Ministero inaudito del sacerdozio cristiano, l'uomo è insieme vittima e sacerdote di se stesso.

Non cerca più fuori di sé ciò che desidera immolare a Dio; porta con sé e in sé quello che per il suo bene vuole sacrificargli.

La vittima rimane immolata, il sacerdote non cambia il suo atteggiamento: la vittima viene sacrificata ma resta in vita, e il sacerdote che la offre non può ucciderla.

Sacrificio straordinario, in cui il corpo è offerto senza essere distrutto, e il sangue è dato senza essere sparso.

Dice l'apostolo: Vi esorto, per la misericordia di Dio, a offrire il vostro corpo come ostia viva.

Fratelli, questo sacrificio è conforme a quello di Cristo che, pur vivendo, ha immolato il suo corpo per la vita del mondo: veramente ha fatto del suo corpo una vittima vivente, poiché, sebbene ucciso, egli vive.

Si tratta dunque di un sacrificio in cui la morte sconta la sua pena, ma la vittima rimane; la vittima vive, e la morte viene condannata.

Ecco perché per i martiri la morte è una nascita, la fine un inizio: vengono uccisi e vivono, e risplendono in cielo mentre in terra erano considerati ormai perduti per sempre.

Vi esorto, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire il vostro corpo come ostia viva e santa.

É quello che aveva cantato il profeta: Non hai voluto sacrificio né offerta, ma mi hai dato un corpo ( Sal 40,7: LXX ).

Non rifiutarti dunque di essere il sacrificio di Dio e il suo sacerdote; non trascurare quello che la sua potenza e la sua generosità ti hanno dato.

Indossa la veste della santità, cingiti con la cintura della castità; il Cristo sia come un velo sul tuo capo, la croce rimanga come una protezione sulla tua fronte.

Poniti sul petto il sacramento della conoscenza di Dio, fa' bruciare sempre come un profumo l'incenso della preghiera, impugna la spada dello Spirito, rendi il tuo cuore un altare: e così, nella sicurezza che ti dà la protezione di Dio, conduci il tuo corpo al sacrificio.

Dio vuole la fede, non la morte; ha sete dell'intenzione, non del sangue; si lascia placare dalla volontà, non dal sacrificio della vita.

Questo, Dio lo ha mostrato quando ha chiesto in sacrificio il figlio del santo patriarca Abramo.

Immolando suo figlio, infatti, che cosa offriva Abramo se non il proprio corpo?

E che altro cercava Dio in questo padre se non la fede, dal momento che gli comandò di offrire il figlio ma non gli permise di ucciderlo? …

Il tuo corpo vive ogni volta che tu, facendo morire i vizi, sacrifichi a Dio la tua vita per mezzo della virtù.

Non può morire colui che ottiene di essere ucciso dalla spada della vita.

Il nostro Dio, che è la via, la verità e la vita ( Gv 14,8 ), ci liberi dalla morte e ci conduca alla vita eterna.

Pietro Crisologo, Sermoni, 108

16. - Giustizia per l'anima e il corpo

L'anima, pur essendo immortale, ha il corpo mortale come compagno delle azioni; perciò, presso il giusto giudice, al tempo della resa dei conti, nuovamente abiterà nel suo compagno, onde conseguire con lui i comuni castighi o premi.

Per facilitare il discorso impostiamolo così.

Che cosa si intende per uomo?

I due elementi simultaneamente oppure uno solo dei due?

Ma è chiaro come l'essere vivente designi l'unione di entrambi.

Non conviene, infatti, parlare inutilmente delle cose note e incontrovertibili.

Stando così le cose, consideriamo anche questo: se cioè le azioni commesse dagli uomini, come l'adulterio, l'assassinio, il furto e tutto ciò che è affine a questi ovvero, al contrario, la sobrietà, la continenza e ogni azione opposta al vizio, siano da considerare come frutto sia dell'anima che del corpo o siano, invece, da ascrivere unicamente alla prima.

Anche in questo, tuttavia, la verità è manifesta.

Mai, infatti, l'anima commette un furto o un saccheggio separata dal corpo né da sola dà il pane a chi ne ha bisogno o fornisce da bere a chi ha sete o si rende utile al carcerato.

In ogni azione, invece, l'anima è sempre congiunta al corpo e insieme essi intraprendono e portano a compimento tutto quanto viene fatto.

Per quale motivo, allora, nel giudicare le azioni compiute, separi l'uno dall'altra?

E inoltre, pur riconoscendo che negli atti commessi l'uno è compagno all'altra, nondimeno determini e circoscrivi il giudizio all'anima soltanto?

Infatti, se vi fosse un vero giudice degli umani delitti, e costui giudicasse diligentemente donde provengano le cause prime del peccato, forse ravviserebbe che anzitutto il corpo, nella colpa e nel crimine, ha passato i limiti del dovere e dell'onestà.

Prova ne sia il fatto che spesse volte, trovandosi l'anima in una situazione di pace e di tranquillità, l'occhio, invece, agitato, vede ciò che sarebbe stato meglio non vedesse e, trasmettendo il contagio all'anima, trasforma la sua quiete e la sua tranquillità in una tempesta.

Similmente le orecchie, avendo udito certe parole invereconde e provocatrici, attraverso, per così dire, certi loro condotti, recano e inducono nei pensieri il fango dell'ira e dell'immodestia.

Talora anche il naso, per mezzo dell'olfatto e dell'attrattiva offerta dagli odori, macchia l'uomo interiore di vizi gravi e illeciti.

Parimenti le mani, con il contatto, sono solite vulnerare la robustezza di un'anima sana.

E io stesso, procedendo e considerando via via in questo modo, trovo che la causa d'una gran parte dei peccati è proprio questo piccolo corpo.

Ciò nondimeno, in omaggio alla virtù, esso tollera le fatiche e, nei combattimenti onesti, si impegna e soffre, mentre viene segato dal ferro o cremato dal fuoco, mentre è percosso dalle sferzate o aggravato da pesanti catene e sopporta ogni avversità per non tradire la sacra filosofia, città ornata di bellissime torri, assediata dalla guerra dell'iniquità.

Se, dunque, il corpo, nelle buone azioni, lotta e soffre insieme con l'anima, neppure nei peccati esso è assente.

Per quale motivo, allora, e con quali argomenti chiami in giudizio la sola sostanza incorporea?

Un discorso del genere non è giusto né degno di persone benpensanti.

Se l'anima ha peccato sola e nuda, sola sarà anche punita; se invece essa ha avuto chiaramente un collaboratore, il giusto giudice non lo ignorerà.

Io, poi, anche questo sento mostrare dalla Scrittura: che, cioè, i condannati vengono estenuati da giusti supplizi, come il fuoco, le tenebre, i vermi.

Ora, tutto questo rappresenta pene di corpi compositi e materiali; l'anima, invece, di per se stessa, non sarà mai toccata dal fuoco né le tenebre le saranno mai moleste, giacché essa è priva di occhi come di qualsiasi altro organo della vista.

Che cosa potranno farle, poi, i vermi, i quali possono corrompere i corpi, non gli spiriti?

Perciò, grazie a queste convenienti considerazioni, si deve concludere che noi siamo sotto ogni rispetto costretti a riconoscere la risurrezione dei morti.

Questo Iddio porterà a compimento a tempo opportuno, confermando con l'ausilio dei fatti stessi le proprie promesse.

Gregorio di Nissa, Discorsi sulla santa Pasqua, 3

17. - La conservazione del corpo come un bel vestito

Il corpo ha l'occhio per guida e l'occhio stesso, da parte sua, vedendo tutto il corpo, lo conduce per la via giusta.

Ordina un po' a qualcuno di transitare per luoghi impervi, spinosi e fangosi, dove si sprigioni il fuoco, dove vi siano piantate delle spade, dove si spalanchino precipizi e scorrano acque abbondanti.

Ed ecco che costui, agile, solerte e tranquillo, avendo l'occhio come guida, prestando la massima attenzione, attraversa quegli aspri siti, trattenendo da ogni parte, con le mani e i piedi, la sua tunica, affinché non sia strappata dai cespugli e dalle spine o non sia macchiata dal fango né lacerata da spada.

E l'occhio, luce del corpo, lo dirige tutto, affinché non cada per i precipizi o non venga sommerso dalle acque né incontri veruna difficoltà.

In tal modo quella persona, svelta e prudente, procedendo con la sua veste tirata su e con l'attenzione sommamente desta, guidata dall'occhio per la giusta strada, non soltanto conserva se stessa illesa, ma anche la sua tunica rimarrà integra, non essendo stata né bruciata né strappata.

Se poi qualcuno impacciato, lento, neghittoso, pigro e indolente passasse per quei medesimi luoghi, la sua tunica, rimanendo sciolta, verrebbe strappata dai cespugli e dalle spine o bruciata dal fuoco, dal momento ch'egli non la tratterrebbe accortamente; ovvero, ancora, essa verrebbe lacerata dalle spade infisse o macchiata dal fango.

Per dirla in breve, questa persona sciuperebbe assai presto quella sua veste nuova ed elegante; e ciò a causa della sua negligenza, della sua indolenza e della sua pigrizia.

Anzi, se prestasse ancor minore attenzione con il suo occhio, cadrebbe in un precipizio o verrebbe sommersa dalle acque.

Allo stesso modo anche l'anima, la quale indossa la tunica del corpo come una bella veste, è fornita della facoltà del discernimento, e questa la guida e la dirige quand'essa, insieme con il corpo passa attraverso i boschi e le spine della vita, il fango, il fuoco, i precipizi: cioè le passioni, i piaceri, e le altre assurdità di questo secolo.

Ovunque l'anima deve contenere e sorvegliare, con sobrietà e forza e diligenza e attenzione, se stessa e la tunica del corpo, affinché non si laceri fra i cespugli e le spine del mondo, quali le sollecitudini, gli affari e le preoccupazioni terrene, oppure non venga bruciato dal fuoco della concupiscenza.

L'anima, come provvista di un occhio, lo rivolge altrove per non vedere l'oscenità; similmente anche controlla le orecchie, affinché non ascoltino le denigrazioni; la lingua, poi, perché non proferisca vanità; le mani e i piedi li distoglie dalle azioni disoneste.

Essa, infatti, ha la volontà di distogliere e richiamare le membra del corpo da spettacoli immorali, dall'ascolto di ciò che è cattivo e inverecondo, dai discorsi poco decenti, dalle preoccupazioni mondane e perverse …

In tal modo l'anima, lottando e soffrendo, con diligenza e attenzione trattiene in ogni modo le membra dalla malizia; le preserva da ogni lacerazione, da ogni bruciatura e da ogni macchia; serba intatta e magnifica la tunica del corpo.

Essa stessa infine, dotata della virtù di conoscere, comprendere e discernere, sarà preservata dalla potenza del Signore, che la conserva racchiusa in se stessa e la sottrae a ogni concupiscenza mondana.

In tal modo, l'aiuto di Dio ottiene che realmente l'anima venga custodita da quei mali che prima abbiamo enumerato.

Infatti, quando il Signore vede qualcuno distogliersi troppo pigramente dai piaceri della vita, dalle distrazioni e dalle cure materiali, dai vincoli terreni e dalle occupazioni dei vani pensieri; egli, allora, gli fornisce uno speciale soccorso della propria grazia: così quell'anima, resistendo fortemente, attraversa integra questo mondo perverso.

In tal modo, avendo ben conservato se stessa e la veste del suo corpo, essa consegue la lode celeste da parte di Dio e dei suoi angeli; e ciò poiché l'anima, per quanto fu in lei, allontanatasi da ogni concupiscenza mondana, e soccorsa dall'aiuto divino, ha compiuto felicemente la sua corsa nello stadio di questo mondo.

Se qualcuno, invece, pigro e accidioso, non procede accortamente in questa vita e deliberatamente non si astiene da ogni passione terrena, e non ricerca solo il Signore in ogni desiderio, si trova allora intralciato dalle spine e dai boschi di questo mondo, la veste del corpo è bruciata dal fuoco della concupiscenza e macchiata dal fango dei piaceri.

L'anima vigliacca, così, nel giorno del giudizio viene rimproverata per non aver saputo conservare immacolata la propria veste, corrompendola con le fallacie di questo secolo: essa verrà, perciò, estromessa dal regno.

Infatti, che cosa farà Dio a colui che spontaneamente abbia abbandonato se stesso al mondo e vada errando, ingannato dai piaceri o sedotto dalle occupazioni terrene?

Il Signore, invece, presta soccorso a colui il quale, avendo avversato i piaceri materiali e tutti i costumi dianzi descritti, diriga i suoi pensieri costantemente verso di lui con tutta la forza e, rinnegando se stesso, ricerchi ardentemente soltanto il Signore.

Questi custodisce chi si astiene dalle insidie e dalle catene della selva di questo mondo, chi con timore e tremore opera la sua salvezza ( Fil 1,12 ) e passi prudentemente attraverso le insidie, le catene e le concupiscenze di questo secolo, ricercando l'aiuto del Signore e sperando di salvarsi in virtù della grazia della sua misericordia.

Pseudo-Macario, Omelie spirituali, 4,2-5

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