Teologia dei Padri

Indice

Tentazione e concupiscenza

1. - L'abisso del peccato

Allo stesso modo come gli acrobati che camminano sulla corda tesa bisogna che non siano minimamente disattenti ( infatti, se anche si distraessero per un solo istante, si verificherebbe un grave danno: l'acrobata precipiterebbe immediatamente e morirebbe ); parimenti, abbiamo anche noi il dovere di non essere distratti e pigri.

Noi percorriamo una strada angusta, circondata ovunque da precipizi, sulla quale non v'è lo spazio per tutt'e due i piedi a un tempo.

Ti accorgi di quanta attenzione abbiamo bisogno?

Non vedi che coloro i quali procedono fra due precipizi, non soltanto stanno attenti con i piedi, ma anche con gli occhi?

Infatti, se talora sembra opportuno fermarsi, quantunque il piede rimanga con la sua pianta immobile, l'occhio tuttavia, attorniato dall'abisso guarda attentamente tutt'intorno.

Gli sembra, però, necessario aspettare a riprendere il cammino; per questo suggerisce: « Né a destra né a sinistra ».

Orbene, profondo è l'abisso del peccato: enormi precipizi, tenebre oscure, una strada angusta.

Stiamo attenti con timore, camminiamo con tremore.

Nessuno, procedendo lungo una simile via, rida o si ubriachi, ma percorra il cammino in sobrietà e digiuno; nessuno si porti dietro alcunché di superfluo onde procedere, libero da tutto, più speditamente; nessuno trattenga i suoi piedi, ma li lasci agili e sciolti.

Noi, al contrario, quando ci leghiamo a innumerevoli preoccupazioni e portiamo su di noi gl'infiniti pesi di questa vita, nell'avidità e nel disordine, come possiamo aspettarci di progredire lungo una strada così ardua?

Giovanni Crisostomo

2. - I pericoli dell'anima

Vi sono potenze nell'aria e potenze sulla terra ( secondo la parola dell'Apostolo ) che tentano di farci precipitare dall'eccelsa fortezza dell'anima, o di impedirci nel retto cammino, o di deprimerci, quando tendiamo all'alto, e di legarci alle cose terrene.

Ma tanto più, allora, alziamo l'anima alle cose di lassù, seguendo la parola di Dio.

Quelle potenze ci attaccano con le preoccupazioni mondane, e così cercano di piegare il tuo spirito: ma tanto più allora, o anima, rivolgi i tuoi passi a Cristo.

Suscitano in noi la brama dell'oro, dell'argento e dei beni che gli altri possiedono, cercando che tu, per acquistarli, cerchi scuse per declinare l'invito di colui che ti ha chiamato alla cena nuziale del Verbo.

Tu bada di non cercare scuse, ma indossa la veste nuziale e prendi parte al banchetto del ricco, perché non avvenga che egli inviti altri, dato che tu ti scusi per i tuoi affari mondani, e ne sia escluso.

Anche la brama degli onori suscitano in noi queste potenze mondane, per ottenere che tu ti insuperbisca come Adamo e, tentando di renderti simile a Dio nella pienezza del suo potere, disprezzi i divini precetti, cominciando a perdere ciò che hai.

Infatti: A chi non ha, sarà tolto anche quello che ha ( Mc 4,25 ).

Quanto spesso nell'orazione, quando più ci avviciniamo a Dio, pensieri obbrobriosi e delittuosi ci sommergono per distoglierci dall'applicazione alla preghiera!

Quanto spesso il nemico tenta di seminare nel nostro cuore ciò che potrebbe farci recedere dal proposito di santità e dai pii desideri!

Quanto spesso accende gli ardori del corpo!

Quanto spesso ci fa imbattere in occhi impudichi, che tentano il casto affetto dell'uomo giusto e ne feriscono l'incauto cuore con le frecce di un amore improvviso!

Quanto spesso semina nel tuo animo la parola iniqua e i pensieri nascosti del cuore!

Di questi ci dice la divina legge: Bada a te, perché non sia iniqua la parola nascosta nel tuo cuore ( Dt 1,9 ) e il Signore non debba dirti: « Perché pensi al male in cuor tuo? ».

E non succeda che tu, ricco di oro e argento, e di copiosi frutti dei campi o onori, finisca per dire: « La mia bravura mi ha fatto ottenere tutto ciò », e ti dimentichi del Signore Dio tuo ( Dt 8,14-15 ).

Per questi attacchi, dunque, l'anima che cerca di volare, spesso precipita.

Ma tu lotta come un buon soldato di Cristo Gesù e, disprezzando le realtà inferiori, dimenticando i beni terreni, tendi ai beni celesti ed eterni.

Eleva la tua anima, perché non sia attratta dall'esca e non cada nel laccio.

Ambrogio, Il bene della morte, 22-24

3. - Universalità e significato della tentazione

Finché sulla terra saremo circondati dalla carne che lotta contro lo spirito e la cui sapienza è nemica di Dio e non può in alcun modo sottostare alla legge di Dio ( Rm 8,7 ), noi siamo nella tentazione.

Giobbe, inoltre, con queste parole ci ha insegnato che tutta la vita dell'uomo su questa terra è tentazione: Forse che non è una tentazione la vita dell'uomo sopra la terra? ( Gb 7,1 ).

Ciò medesimo traspare dal salmo diciassettesimo: In te sarò liberato dalla tentazione ( Sal 18,30 ).

Paolo stesso, d'altronde, nello scrivere ai Corinti, dice: Non vi hanno assalito che tentazioni umane; ora Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre la vostra capacità, ma con la tentazione vi procurerà anche la via di scampo, affinché possiate sostenerla ( 1 Cor 10,13 ); e ciò affermò non perché noi non venissimo tentati, ma affinché Dio ci concedesse di non esser tentati al di sopra delle nostre forze …

Chi ha mai potuto ritenere con conoscenza di causa che gli uomini non abbiano tentazioni?

Quando mai un uomo sarà così al sicuro da non dover combattere per non peccare?

Uno è povero? Ebbene, stia attento a non rubare e profanare il nome di Dio ( Pr 30,9 ).

É ricco? Stia allora attento a non sentirsi troppo sicuro: egli, infatti, può « divenire un gran mentitore » e affermare, insuperbendosi: « Chi mi vede? ».

Neppure Paolo, ricco in ogni parola e in ogni scienza ( 1 Cor 1,5 ), è immune dal pericolo di inorgoglirsene e di peccare; per questo ha bisogno dello stimolo di Satana, che lo schiaffeggia per non farlo inorgoglire ( 2 Cor 1,5 ).

Se qualcuno, avendo compreso il bene, ha evitato il male, legga ciò che è scritto nel secondo libro delle Cronache intorno ad Ezechia, del quale si narra come sia incorso nella tracotanza del cuore ( 2 Cr 32,25 ).

Se poi qualcuno, dal momento che non abbiamo molto parlato a proposito del povero, si preoccupa poco, come se la tentazione, quando si è poveri, non si avvertisse, sappia che l'insidiatore tende tranelli per sconfiggere il povero e il bisognoso ( Sal 37,14 ), segnatamente in conformità a quanto afferma Salomone, dicendo che il povero non sostiene la minaccia ( Pr 13,8 ).

C'è forse bisogno di ricordare quanti, avendo male amministrato le loro ricchezze materiali, si videro inflitta la medesima pena, e nel medesimo luogo, del ricco del Vangelo?

E quanti furono, peraltro, coloro i quali, mal sopportando la povertà e vivendo in maniera servile e dimessa, sconveniente ai santi, decaddero dalla speranza delle cose celesti?

Come neppure sono immuni dal peccato coloro i quali si trovano in una condizione intermedia fra la ricchezza e la povertà.

Chi, poi, è sano e robusto fisicamente, ritiene per questo di essere sano e robusto di fronte ad ogni tentazione?

E di chi altro, se non della persona sana e vigorosa, è proprio il peccato con il quale viene violato il tempio di Dio ( 1 Cor 3,17 )?

Nessuno oserà soffermarsi esplicitamente su tale brano, trattandosi di cose evidenti per tutti.

D'altra parte, però, qual è mai il malato che sia riuscito a sottrarsi alla tentazione di distruggere il luogo sacro di Dio, trovandosi nell'ozio in quel periodo di tempo, e non abbia assecondato almeno qualcuno dei pensieri impuri?

C'è forse bisogno di dire quante cose lo turbino oltre a queste, se non procura di serbar puro il suo cuore, con ogni sollecitudine?

Molti, infatti, vinti dalle sofferenze e non essendo in grado di sopportare virilmente le malattie, finirono quasi coll'ammalarsi più con l'anima che col corpo.

Altresì molti, per scongiurare l'infamia, si vergognarono di sostenere generosamente il nome di Cristo e precipitarono nella condanna eterna.

Qualcuno, poi, ritiene che per lui cesserà la tentazione, il giorno in cui egli avrà conseguito gloria presso gli uomini.

Per coloro i quali si inorgogliscono, come se fosse un valore, della gloria ottenuta presso molti, valgono le dure parole della Scrittura: « Ricevettero la mercede dagli uomini », e le altre parole ancora più lampanti: Come potete voi credere, voi che ricevete gloria gli uni dagli altri e non cercate la gloria che viene dall'unico Dio? ( Gv 5,44 ) …

Non dobbiamo dunque pregare di non essere tentati ( il che, infatti, è impossibile ), ma di non venire sopraffatti dalla tentazione, ciò che capita, appunto, a coloro che ne sono posseduti e vinti.

Se in un passo diverso dall'orazione ( domenicale ) sta scritto, con parole facilmente comprensibili: « Perché non entriate in tentazione », dobbiamo così rivolgerci nella stessa orazione a Dio Padre: « Non ci indurre in tentazione ».

Vale la pena vedere in che senso si debba intendere che Dio induca in tentazione chi non prega o chi non viene esaudito.

Ripugnerebbe, infatti, ritenere che, se uno vinto, entra nella tentazione, Dio lo abbia indotto in tentazione, come se lo abbandonasse alla disfatta.

Non è assurdo, infatti, convincersi che il buon Dio, il quale non può recare frutti cattivi, possa far cadere qualcuno nel peccato? …

Io credo, invece, che Dio governi ogni anima razionale avendo di mira la loro vita eterna.

Le anime, infatti, da parte loro, sono sempre dotate di libero arbitrio e perciò spontaneamente esse si trovano nelle migliori condizioni, fino a salire all'apice del bene, ovvero, a motivo della loro negligenza, esse discendono in vari modi verso un sempre maggior numero di mali.

Ciò nondimeno, dal momento che una più breve guarigione suscita in talune persone la trascuratezza delle loro malattie al punto che, avendole essi curate così facilmente, in seguito, una volta risanati, cadono nuovamente nelle medesime infermità; allora, non senza motivo, Iddio abbandona queste anime alla loro malizia, lasciandovela crescere e diffondersi fino a diventare insanabile, affinché queste, rimaste così a lungo nel male e nel peccato sino alla nausea e alla sazietà, si rendano alla fine conto del loro danno e rimpiangano di aver intrapreso il male.

In tal modo, queste anime, una volta guarite, potranno conservare con maggior sicurezza la riacquistata sanità …

Le tentazioni sopravvengono affinché appaia chiaramente ciò che siamo o perché si conoscano le cose nascoste nel nostro cuore: lo dimostra quanto viene affermato dal Signore nel libro di Giobbe, scritto altresì nel Deuteronomio, e che in tal modo suona: Ritieni che io abbia risposto a te in maniera diversa da farti apparire giusto? ( Gb 40,3 ).

Nel Deuteronomio, poi: Ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame e ti ha fatto mangiare la manna ( Dt 8,3 ), e ti ha condotto nel deserto tra serpenti che mordono e scorpioni ( Dt 8,15 ), affinché diventassero note le cose che sono nel tuo cuore ( Dt 8,2 ) …

Dopo aver diligentemente esaminato queste cose per chiedere consapevolmente a Dio di non entrare in tentazione, ma di essere liberati dal male e dopo avere scrutato noi stessi, una volta divenuti degni, ascoltando Dio, di essere esauditi da lui, scongiuriamolo affinché, nella tentazione, non rimaniamo mortificati, colpiti e infuocati dai dardi incandescenti del maligno ( Ef 6,16 ).

Vengono accesi, infatti, tutti coloro che hanno i cuori divenuti come fornelli ( Os 7,6 ) come dice uno dei dodici [ profeti minori: n.d.t. ]; diversamente accade, invece, per coloro i quali con lo scudo della fede estinguono i dardi infuocati scagliati dal maligno ( Ef 6,16 ) contro di loro; coloro, cioè, che hanno in se stessi fiumi di acqua che zampilla per la vita eterna ( Gv 4,14 ), che non permettono al maligno di appiccare il fuoco, ma facilmente lo estinguono con un diluvio di pensieri divini e salutari impressi dalla contemplazione della verità nell'anima di chi si sforza di diventare spirituale.

Origene, La preghiera, 29,1-30,3

4. - La bellezza delle realtà corporee è pervertitrice

Gli occhi amano le forme belle e varie, i colori nitidi e ridenti.

Ma non avvincano questi oggetti la mia anima.

L'avvinca Dio, che fece sì questi oggetti buoni assai, ma è lui solo il mio bene, non essi.

Per tutto il giorno, finché ho gli occhi aperti, mi raggiungono senza darmi tregua, mentre me ne danno le voci che cantano e talora, nel silenzio, tutte le voci.

La regina stessa dei colori, la luce, inondando tutto ciò che si vede, dovunque io sia durante il giorno, mi raggiunge in mille modi e mi accarezza, anche quando, intento ad altro, non bado ad essa.

Si insinua con tale vigore che, se viene a mancare all'improvviso, la ricerco avidamente, e se si assenta a lungo il mio animo si rattrista.

O Luce, che vedeva Tobia, quando, con questi occhi chiusi, insegnava al figlio la via della vita e lo precedeva col piede della carità senza mai perdersi, che vedeva Isacco con i lumi della carne sommersi e velati dalla vecchiaia, quando meritò non già di benedire i figli riconoscendoli ma di riconoscerli benedicendoli; che vedeva Giacobbe quando, privato anch'egli della vista dalla grande età, spinse i raggi del suo cuore illuminato sulle generazioni del popolo futuro prefigurato nei suoi figlioli, e impose sui nipoti avuti da Giuseppe le mani arcanamente incrociate, non come il loro padre cercava di correggerlo esternamente, ma come lui distingueva internamente.

Questa è la Luce, l'unica Luce, e un'unica cosa coloro che la vedono e amano.

Viceversa questa luce corporale, di cui stavo parlando, insaporisce la vita ai ciechi amanti del secolo con una dolcezza suadente, ma pericolosa.

Quando invece hanno imparato a lodarti anche per essa, Dio creatore di tutto, l'attirano nel tuo inno, anziché farsi catturare da lei nel loro sonno.

Così vorrei essere.

Resisto alle seduzioni degli occhi nel timore che i miei piedi, con cui procedo sulla tua via, rimangano impigliati, e sollevo verso di te i miei occhi invisibili, affinché tu strappi dal laccio dei miei piedi ( Sal 25,15 ), come fai continuamente, poiché vi si lasciano allacciare.

Tu non cessi di strapparmi di là, mentre io a ogni passo sono fermo nelle tagliole sparse dovunque, perché tu non dormirai, né sonnecchierai, custode d'Israele ( Sal 120,4 ).

Quante cose, da non poterle enumerare, gli uomini aggiunsero alle naturali attrattive degli occhi, mediante varie arti e mestieri, nelle vesti, nelle calzature, in vasi e prodotti d'ogni genere, e poi nei dipinti e nelle diverse raffigurazioni che vanno ben oltre la necessità, la misura e un significato pio!

Seguendo esteriormente le loro creazioni, gli uomini abbandonano interiormente il loro Creatore e distruggono ciò che di loro creò.

Ma io, Signore mio e onore mio, traggo anche di qui un inno per te e una lode da offrire in sacrificio a chi sacrifica per me.

La bellezza che attraverso l'anima si trasmette alle mani dell'artista, proviene da quella bellezza che sovrasta le anime, cui l'anima mia sospira giorno e notte.

Ma coloro che fabbricano e cercano le bellezze esteriori, traggono di là la norma per giudicarne il valore, non traggono di là la norma per farne buon uso.

Eppure c'è, e non la vedono; diversamente non andrebbero tanto lontano e preserverebbero la loro forza presso di te ( Sal 59,10 ), anziché disperderla in amenità sfibranti.

Io stesso, che lo dico e lo vedo, lascio prendere il mio passo al laccio delle bellezze esteriori; ma tu lo strappi di là, Signore, lo strappi tu, perché la tua misericordia è davanti agli occhi miei ( Sal 26,3 ).

Io mi lascio prendere miseramente e tu mi liberi misericordiosamente, a volte senza farmi soffrire, per esservi ormai del tutto impigliato.

Agostino, Le Confessioni, 10,34

5. - La curiosità vana è pervertitrice

Oltre la concupiscenza della carne, che risiede nella soddisfazione voluttuosa di tutti i sensi cui si asserviscono rovinosamente quanti si allontanano da te, esiste nell'anima una diversa bramosia, che si trasmette per i medesimi sensi del corpo, ma tende, anziché al compiacimento della carne, all'esperienza mediante la carne.

É la curiosità vana, ammantata del nome di cognizione e di scienza …

Il piacere cerca la bellezza, l'armonia, la fragranza, il sapore, la levigatezza; la curiosità invece ricerca anche sensazioni a queste opposte, per saggiarle; non per affrontare un fastidio ma per la bramosia di sperimentare e conoscere.

Cosa ha di piacevole la visione di un cadavere dilaniato, che ci fa inorridire?

Eppure, non appena se ne trova uno in terra, tutti accorrono ad affliggersi, a impallidire, e temono addirittura di rivederlo in sogno, quasi fossero costretti a vederlo da svegli, o fossero indotti dalla promessa di uno spettacolo ameno.

La stessa cosa accade per gli altri sensi, ma sarebbe lunga la rassegna.

Da questa perversione della curiosità derivano le esibizioni di ogni stravaganza negli spettacoli, le sortite per esplorare le opere della natura fuori di noi, la cui conoscenza non è per nulla utile, e in cui gli uomini non cercano null'altro che il conoscere; e ancora le indagini per mezzo delle arti magiche col medesimo fine di una scienza perversa; e ancora, nella stessa religione, l'atto di tentare Dio, quando gli si chiedono segni e prodigi, desiderati non per trarne qualche beneficio, ma solamente per farne esperienza.

In questa foresta immensa, disseminata di insidie e pericoli, ecco, ho potuto sfrondare e spogliare molto il mio cuore: quando tu, Dio della mia salvezza, mi hai dato da fare.

Eppure quando oserei dire, fra i richiami fragorosi di tante sollecitazioni di questo genere, che assediano da ogni parte la nostra esistenza quotidiana, quando oserei dire che nessuna trattiene su di sé il mio sguardo e assorbe la mia vana curiosità?

Certo, non mi attirano più i teatri, né mi curo di conoscere i passaggi degli astri, e mai l'anima mia ha cercato di conoscere i responsi delle ombre; detesto qualsiasi rito sacrilego.

Ma quante macchinazioni non compie il nemico per suggestionarmi e spingermi a chiederti, Signore Dio mio, che devo servire in umiltà e semplicità, qualche segno!

Ti supplico per il nostro re, per la nostra semplice, pura patria, Gerusalemme, che il consenso a queste sollecitazioni, come è lontano da me oggi, così lo sia sempre, sempre più.

Quando invece ti prego per la salute degli altri, il fine che mi propongo è ben diverso; perciò mi concedi e mi concederai di seguire volentieri la tua volontà, qualunque sia.

Eppure chi può enumerare le moltissime miserie risibili che tentano ogni giorno la nostra curiosità, e le molte volte che cadiamo?

Quanto spesso, partiti col tollerare un racconto futile per non offendere la debolezza altrui, a poco a poco vi tendiamo gradevolmente l'orecchio!

Se non assisto più alle corse dei cani dietro la lepre nel circo, però in campagna, se vi passo per caso, mi distoglie forse anche da qualche riflessione grave e mi attira quella caccia; non mi costringe a deviare il corpo della mia cavalcatura, ma l'inclinazione del mio cuore sì; e se tu non mi ammonissi tosto con la mia già provata debolezza a staccarmi da quello spettacolo per elevarmi a te con alti pensieri, o a passare oltre sprezzantemente, resto là come un ebete vano.

Che dico, se spesso mi attira, mentre siedo in casa, una tarantola che cattura le mosche o un ragno che avvolge nelle sue reti gli insetti che vi incappano?

Per il fatto che sono animali piccoli, l'azione che essi compiono, non è la medesima?

Di là passo, sì, a lodare te, creatore mirabile, ordinatore di tutte le cose; ma non è questa la mia intenzione all'inizio.

Altro è l'alzarsi prontamente, altro il non cadere.

La mia vita pullula di episodi del genere, sicché l'unica mia speranza è la tua grandissima misericordia.

Il nostro cuore diventa un covo di molti difetti di questo genere, porta dentro di sé fitte caterve di vanità, che spesso interrompono e disturbano le nostre preghiere.

Mentre sotto il tuo sguardo tentiamo di far giungere fino alle tue orecchie la voce del nostro cuore, l'irruzione, chissà da dove, di futili pensieri, stronca un atto così grande.

Agostino, Le Confessioni, 10,35

6. - La tentazione si vince con una coraggiosa perseveranza

Consacrandosi alla virtù, è possibile vincere la tentazione.

Questa può esser superata, infatti, non già attraverso proibizioni di ogni sorta ( sovente, in effetti, Iddio consente che i suoi vengano provati ), ma sopportando virilmente le avverse circostanze.

Bisogna sconfiggere la tentazione, anche se sembra invincibile, ora con la sapienza ora con la fortezza, mai abbandonandosi alla disperazione.

Con fortezza e sapienza, non con il proibire, ma rassegnandosi magnanimamente di fronte alle avversità.

Anche nelle circostanze sfavorevoli, infatti, la prudenza, che abbia saputo sopportare con moderazione tutti gli avvenimenti spiacevoli, è in grado di sostenere ogni molestia.

Il rimedio a quei mali che non dipendono da noi risiede in quella filosofia che, invece, è in nostro potere; è lei, appunto, ad annientare anche i mali che sembrano indistruttibili.

Nelle situazioni gravi e penose si esige la fortezza; nella prosperità, invece ( anche questa, infatti, ci viene data per metterci alla prova ), c'è bisogno di grandezza d'animo.

Isidoro di Pelusio, Lettera a Teone, 5,314

7. - Lotta contro le tentazioni

Se ti viene in mente un cattivo pensiero, grida, con lacrime al Signore: « Signore, sii buono con me peccatore! Perdonami, o amico degli uomini. Signore, allontana il male da noi! ».

Certo, il Signore conosce i cuori: sa quali pensieri sorgono da un animo cattivo, ma sa anche quali pensieri vengono in noi versati dalla stizza amara dei demoni.

Tuttavia sappilo: più tu combatti e resti fedele nel servizio del Signore, più i tuoi sensi e i tuoi pensieri verranno purificati.

Infatti, nostro Signore Gesù Cristo ha detto: Ogni ramo che in me porta frutto, io lo purificherò, perché porti frutto maggiore ( Gv 15,2 ).

Solo abbi la più sincera volontà di farti santo!

Il Signore ama e appoggia col suo aiuto coloro che sono zelanti e lavorano per ottenere la salvezza dell'anima.

Senti ora un esempio, che ti illustra i cattivi pensieri.

Quando l'uva viene colta dalla vite, gettata nel torchio e pigiata, produce il suo mosto, che viene raccolto in vasi.

E questo mosto, all'inizio, fermenta tanto forte, come se bollisse al fuoco più acceso in una caldaia; anche i vasi migliori non riescono a contenerne la forza, ma si rompono per il suo calore.

Ciò avviene con i pensieri degli uomini, quando essi si elevano da questo mondo vano, e dalle sue cure, alle realtà celesti.

Allora gli spiriti cattivi che non ne possono sopportare il fervore, conturbano in mille modi la mente dell'uomo, cercando di suscitarvi una tetra burrasca, per rovinare e squarciare il vaso, cioè l'anima, riempiendola di dubbi e rendendola infedele.

Efrem Siro, Ammonimento ai monaci egiziani, 10,2

8. - Esame critico dei moti dell'anima

In accordo con le sacre Scritture e la sana dottrina, i cittadini della santa città di Dio che vivono in questo pellegrinaggio secondo la sua volontà, provano timori e desideri, sentono dolore e gioia.

Siccome poi il loro amore è retto, tutti questi affetti in loro sono retti.

Temono le pene eterne; desiderano la vita eterna; soffrono per la loro condizione, perché ancora gemono, aspettando l'adozione, cioè la redenzione del loro corpo; godono della speranza, perché certamente si compirà la parola, che sta scritta.

La morte è stata assorbita nella vittoria ( 1 Cor 15,54 ).

E così temono di peccare e desiderano di perseverare; si dolgono dei peccati e godono delle opere buone.

Sono spronati a temere il peccato quando odono: Poiché sarà molta l'iniquità, si raffredderà la carità di molti ( Mt 24,12 ); a desiderare la perseveranza, quando sentono che sta scritto: Chi sarà perseverante sino alla fine, questi sarà salvo ( Mt 10,22 ); a dolersi dei peccati, quando odono: Se diremo di non aver peccati, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi ( 1 Gv 1,8 ); a godere delle opere buone, quando odono: Dio ama colui che dona con gioia ( 2 Cor 9,7 ).

Così, a seconda se sono forti o deboli, temono la tentazione, oppure la desiderano: si dolgono delle tentazioni, godono delle tentazioni.

Vengono spronati a temere le tentazioni quando odono: Se qualcuno sarà caduto in qualche delitto, voi che siete uomini spirituali, ammonitelo in spirito di mansuetudine: attento però a te stesso, di non essere anche tu tentato ( Gal 6,1 ); vengono invece eccitati a desiderare la tentazione quando odono un eroe della città di Dio dire: Mettimi alla prova, o Signore, e tentami: brucia i miei reni e il mio cuore ( Sal 26,2 ); a dolersi delle tentazioni, li spinge la vista di Pietro che piange; a godere delle tentazioni, le parole di Giacomo che dice: Stimatelo una vera gioia, fratelli miei, quando incappate in varie tentazioni ( Gc 1,2 ).

Vengono poi mossi interiormente da questi affetti non solo nei propri confronti, ma anche per coloro di cui desiderano la liberazione e temono la perdizione: si addolorano se vanno perduti e godono se vengono liberati …

Da questi moti dell'animo, da questi affetti provenienti dall'amore del bene e dalla santa carità, si lasciò muovere, quando lo giudicò opportuno, anche lo stesso Signore, degnatosi di condurre vita umana in forma di servo, ma privo assolutamente di peccato.

Egli aveva un vero corpo umano e un vero animo umano; certamente non era falso in lui l'affetto umano.

Non ci è riferito il falso, dunque, dal Vangelo quando ricorda questi suoi affetti: che si rattristò e si adirò per la durezza di cuore dei giudei; che disse: Godo per voi, perché crediate ( Gv 11,15 ); che prima di risuscitare Lazzaro lacrimò, perfino; che desiderò mangiare l'agnello di pasqua con i suoi discepoli e che all'avvicinarsi della passione la sua anima era triste.

Certamente per qualche disegno particolare della sua grazia egli accolse nel suo animo questi moti interiori quando lo volle, proprio come quando lo volle si fece uomo.

Però - lo si deve ammettere - quando questi affetti sono in noi retti e secondo Dio, sono tuttavia propri di questa vita, non di quella che speriamo nel futuro; anzi spesso cediamo ad essi contro voglia.

Perciò qualche volta, quantunque non mossi da cupidigia colpevole ma da carità lodevole, piangiamo anche quando non lo vorremmo.

Abbiamo dunque in noi questi affetti nella debolezza della nostra condizione umana; non così il Signore Gesù, la cui debolezza deriva dalla sua potenza.

Ma fino a quando sosteniamo la debolezza di questa vita, se non avessimo nessuno di questi affetti, non vivremmo rettamente.

Anche l'Apostolo detestava e rimproverava alcuni che egli dichiarava essere senza affezione ( Rm 1,31 ); e anche il sacro salmo li rimproverava dicendo di loro: Aspettai che qualcuno si contristasse con me, ma non vi fu ( Sal 69,21 ).

Essere liberi da ogni dolore mentre siamo in questo luogo di miseria, certamente - come ritenne anche e disse un grande letterato di questo mondo [ Cicerone ] - non lo si può ottenere senza pagare un grosso prezzo: disumanità nell'animo, ottusità nel corpo.

Da ciò, la parola, di origine greca, « apatia » - che alla latina, se possibile, si renderebbe con « impassibilità » -; se si deve intendere nel senso di una vita libera da quelle affezioni ( dell'animo, certo, non del corpo ) che sorgono in noi contro la ragione e turbano la mente, è certo cosa buona e sommamente desiderabile, ma non è una realtà di questo mondo.

Infatti non solo gli uomini comuni, ma i più religiosi, i più giusti e santi sostengono: Se diremo di non aver peccato, inganniamo noi stessi, e la verità non è in noi ( 1 Gv 1,8 ); noi avremmo in effetti una tale « apatia » solo quando in noi non vi fosse nessun peccato; ma noi viviamo bene se riusciamo a vivere senza gravi crimini; chi credesse di vivere senza alcun peccato, non solo non eviterebbe il peccato, ma allontanerebbe il perdono.

Se poi dobbiamo parlare di « apatia » quando nell'animo non penetra nessun affetto, chi non è convinto che si tratti di un'ottusità peggiore di tutti i vizi?

Si può dire, senza errare, che la futura beatitudine perfetta sarà senza stimolo di timore e senza nessuna tristezza; ma chi potrebbe dire che ivi non vi sarà amore, né gaudio, se non chi è completamente fuori dalla verità?

Se perciò l' « apatia » è quella in cui nessun timore atterrisce e nessuna sofferenza addolora, la dobbiamo evitare in questa vita, se vogliamo vivere rettamente, cioè secondo Dio; la dobbiamo sperare invece in quella vita beata, che ci è promessa per l'eternità.

Agostino, La città di Dio, 14,9

9. - Imperturbabilità nelle tempeste esteriori e interiori

Alle persone incostanti risulta difficile perseverare in una vita ordinata; viceversa, coloro i quali posseggono uno spirito fermo, equilibrato e coerente conducono senza sforzo una vita come si conviene.

Il Signore ci ha concesso una vita tranquilla, e assolutamente facile persino, se noi ci mostriamo capaci di frenare i tumulti che nascono in noi dal di dentro, suscitati dai vizi, e manteniamo il nostro animo al di sopra delle cose che accadono esteriormente.

Né le sventure né le malattie, infatti, né gli altri inconvenienti della vita toccano l'uomo probo, finché egli abbia la propria anima che cammina in Dio, mira alle realtà future e supera con facilità e disinvoltura le tempeste terrene.

Coloro i quali, invece, sono troppo presi dalle preoccupazioni della vita, strisciano per terra con gli altri animali come degli uccelli grassi provvisti inutilmente delle ali.

Basilio il Grande, Lettere, 293 ( a Giuliano )

10. - La vera purezza consiste nell'astenersi da tutte le passioni

Affermare che la purezza vada posta al più alto livello degli stati di vita che dipendano da me, e sia tenuta in predilezione, è impartire un giusto precetto.

Molti credono di onorarla e di servirla, ma ve ne sono ben pochi, se bisogna dirlo, che l'onorano veramente.

Allorché l'uomo s'impegna a trattenere la sua carne dal gustare la voluttà del rapporto sessuale, senza padroneggiarla negli altri campi, egli non onora affatto la purezza.

Piuttosto, anzi, egli la disonora, e gravemente, attraverso passioni di bassa lega: egli non fa che scambiare piaceri con piaceri.

Quando l'uomo, sforzandosi di resistere ai desideri fisici, nutre la presunzione e l'orgoglio di governare gli ardori della propria carne, guardando tutti gli altri come se fossero niente e meno di niente, egli non onora punto la purezza: egli la disonora con la sua presuntuosa insolenza; egli pulisce bene l'esterno del suo piatto, della sua pentola - la sua carne, il suo corpo -, ma insudicia il suo cuore con la fuliggine dell'arroganza.

Quando uno si vanta delle proprie ricchezze, non si dedica veramente ad onorare la purezza: egli la disonora più di tutto il resto, poiché la pone al di sotto di un po' di tornaconto materiale, essa con la quale nulla di quanto vi sia di prezioso nella vita potrebbe essere paragonato.

Al suo confronto, infatti, tutte le ricchezze e tutto l'oro non sono altro che un po' di sabbia ( Sap 7,9 ).

Colui che non pensa ad altro che ad amare sfrenatamente se stesso, interessandosi a sé soltanto e senza preoccuparsi del suo prossimo, non onora minimamente la purezza; anzi, egli la disonora, poiché è ben lontano da quanti la praticano degnamente e schernisce la carità che la sostiene, la tenerezza di cuore e l'umanità che essa comporta.

Non bisogna da una parte vivere nella purezza e nella verginità mentre dall'altra nella lordura delle malefatte e della sregolatezza; da una parte far voto di continenza immacolata e dall'altra macchiarsi di peccati; da una parte convincersi di non nutrire alcuna preoccupazione nei confronti dei beni di questo mondo e dall'altra procurarseli e incatenarsi ad essi.

Metodio di Olimpo, LaLa verginità, 11

11. - Dominio dello spirito sulle passioni

Sappi che mentre una parte dell'anima è fornita della facoltà di ragionare e di comprendere, l'altra parte, invece, è soggetta alle passioni ed è irrazionale.

La proprietà della prima consiste nel dominare; caratteristico della seconda, invece, è di obbedire e di conformarsi alle norme della ragione.

Non permettere mai, perciò, che la tua mente sia ridotta in schiavitù e diventi serva delle passioni e dei vizi; e non permettere, altresì, che le passioni insorgano contro la ragione e si accaparrino l'impero dell'anima.

La contemplazione diligente di te stesso, alla fine, sarà sufficiente per condurti alla conoscenza di Dio.

Basilio il Grande, Omelia « Fa' attenzione a te stesso », 7

12. - Ottenebrati dalle passioni, diventiamo insensibili verso le ferite dell'anima

Se il corpo si ferisce, se un osso si frattura, se i nervi si rompono, infermità fisiche come queste si producono ordinariamente in meno di un'ora.

Ma c'è poi bisogno di molte sofferenze e di molto tempo per guarirle: quante infiammazioni, quanti tormenti!

Se poi accade che un uomo subisca la stessa ferita una seconda volta o più sovente ancora e che la sua frattura si ripeta, quante pene allora prima di poter guarire, quante sofferenze per riuscire a scamparla! …

Passiamo adesso dall'esempio del corpo alle ferite dell'anima … Oh!

Se noi potessimo vedere come, dopo ogni peccato, il nostro uomo interiore è ferito e come le cattive parole gli facciano male! …

Se potessimo vedere, se potessimo sentire le cicatrici dell'anima ferita, resisteremmo certo al peccato fino a costo di morirne!

Al contrario, invece, come degli uomini posseduti dal demonio o come dei folli che, non avendo l'uso dei sensi naturali, non si accorgono di essere feriti, noi, ottenebrati dalle passioni mondane o eccitati dai vizi, non siamo in grado di avvertire quali colpi impartiamo, quali ferite infliggiamo all'anima nostra con il peccato.

Origene, Omelie sul libro dei Numeri, 8,1

13. - La diminuzione quotidiana della concupiscenza

Se nella carne sei soggetto alla legge del peccato, fa' quanto dice l'Apostolo: Non lasciate che il peccato regni nel vostro corpo mortale, sì da obbedire ai suoi desideri, né mettete le vostre membra al servizio del peccato come strumenti di iniquità ( Rm 6,12-13 ).

É inevitabile che il peccato sia per un certo tempo nelle tue membra; gli si tolga almeno il regno, non si faccia ciò che comanda.

Sei colto dall'ira? Non lasciare che la collera si impadronisca della tua lingua e si abbandoni alle maledizioni; non permettere che l'ira si serva della tua mano o del tuo piede per colpire.

Questi scoppi di ira irragionevole non si manifesterebbero se il peccato non fosse nelle tue membra: ma non permettere all'ira di regnare, non concederle armi che essa può volgere contro di te.

Essa stessa imparerà a non esplodere in questo modo, quando comincerà a non trovare armi di cui servirsi.

« Non mettete le vostre membra al servizio del peccato, come strumenti di iniquità »: altrimenti sarete del tutto schiavi e non potrete dire « con la mente mi faccio servo di Dio ».

Se la mente infatti controlla le armi, le membra non si muoveranno come strumenti della furia del peccato.

Il capitano interiore custodisca la rocca, perché nel vigilare sarà aiutato da un comandante che sta al di sopra di lui: freni l'ira, reprima la concupiscenza.

Sempre vi è qualcosa da frenare, qualcosa da reprimere, qualcosa da controllare.

Che voleva quel giusto, che con la mente serviva la legge di Dio, se non che fossero del tutto distrutte le passioni che occorre frenare?

A questo deve sforzarsi chiunque tende alla perfezione, affinché quella stessa concupiscenza al cui servizio egli non pone le membra, ogni giorno decresca.

Il volere, dice ancora l'Apostolo, è in mano mia, ma il completare il bene no ( Rm 7,18 ).

Forse disse: Non è alla mia portata fare il bene?

Se avesse detto così, non avremmo alcuna speranza.

Non disse che non era alla sua portata fare il bene, ma « completare il bene ».

Cos'è la perfezione del bene, se non la distruzione e la fine del male?

E cos'è la distruzione del male, se non ciò che dice la legge: Non desiderare ( Es 20,17 )?

Non desiderare del tutto, è la perfezione del bene, perché è la distruzione del male.

Per questo l'Apostolo diceva « completare il bene non è in mano mia », perché non era in suo potere eliminare del tutto il desiderio.

Poteva soltanto fare in modo da porre un freno al desiderio, da non cedere ad esso, da non mettere le sue membra al suo servizio.

« Completare il bene non è in mia mano » cioè non posso completamente adempiere quanto sta scritto: « Non desiderare ».

E allora, che fare? Adempiamo a quest'altro precetto: Non andar dietro alle tue voglie ( Sir 18,30 ).

Questo devi cercare di fare, finché nelle tue membra resteranno ancora gli illeciti desideri.

« Non andar dietro alle tue voglie ».

Conservati servo di Dio e nella libertà di Cristo: con la mente sii servo della legge del Dio tuo.

Non lasciarti andare al tuo desiderio.

Andando dietro ad esso gli dai vigore; e se dai vigore ai tuoi desideri, in che modo potrai vincere? se con le tue forze medesime nutri contro di te i tuoi nemici?

Questa libertà, dunque, piena e perfetta, si trova in Cristo, che disse: « Se il Figlio vi libererà, allora sarete veramente liberi ».

Quando si realizzerà? Quando l'odio sarà annientato quando, ultima nemica, sarà distrutta la morte …

Bisogna infatti che questo corpo corruttibile si rivesta di incorruttibilità, e questo corpo mortale si rivesta di immortalità; quando poi questo corpo corruttibile si sarà rivestito della incorruttibilità, e questo corpo mortale si sarà rivestito della immortalità, allora si verificherà quella profezia che sta scritta: La morte è stata assorbita nella vittoria.

O morte, dov'è la tua vittoria? ( 1 Cor 15,26.53-55 ).

Che significa: « Morte, dov'è la tua vittoria »?

La carne desiderava contro lo spirito e lo spirito contro la carne, ma quando dominava la carne del peccato, « Dov'è, morte, la tua vittoria? ».

Ora siamo sicuri di vivere, ora non temiamo la morte di colui che è morto per noi e che è risorto, affinché quelli che vivono, dice l'Apostolo, non vivano più per se stessi, ma per colui che per essi è morto e risuscitato ( 2 Cor 5,15 ).

Rivolgiamo, noi che siamo feriti, preghiere al nostro medico, lasciamoci portare alla locanda per essere curati.

Egli è colui che ci promette la salvezza, è colui che ebbe pietà dell'uomo abbandonato dai ladroni, per strada, mezzo morto, e che versò sulle sue ferite olio e vino, ne curò le piaghe, lo caricò sul cavallo, lo portò in una locanda e lo raccomandò all'albergatore.

A quale albergatore? Forse a colui che disse: Noi siamo ambasciatori per Cristo ( 2 Cor 5,20 ).

Egli diede anche due denari all'oste, da spendere per curare quel poveretto: può darsi che in questi due denari siano raffigurati i due precetti che racchiudono tutta la legge e i profeti.

Dunque, fratelli, la Chiesa su questa terra, nella quale l'uomo ferito trova la guarigione, è l'albergo per il viaggiatore: ma per questa stessa Chiesa, nei cieli, c'è l'eredità di Dio.

Agostino, Commento al Vangelo di san Giovanni, 41,12-13

14. - Insidiosità del nemico interiore

L'abate Pafnuzio aveva trascorso tanti anni in una disciplina così rigorosa, da credere di essere ormai del tutto sciolto dai lacci della concupiscenza carnale, soprattutto perché si sentiva ormai superiore a tutte le infestazioni dei demoni, contro i quali aveva a lungo apertamente combattuto.

Dovendo un giorno accogliere presso di sé degli uomini santi, mentre preparava una focaccia di lenticchie, che ivi chiamano « athera », si scottò una mano, perché, mentre cercava di ravvivare la fiamma, questa uscì dal forno.

Rattristato di ciò, cominciò in silenzio a lamentarsi tra sé e sé: « Perché il fuoco non è in pace con me, mentre invece i più duri attacchi dei demoni ormai più non mi colpiscono?

E come sarà possibile che nel tremendo giorno del giudizio quel fuoco inestinguibile ed evidenziatore dei meriti di tutti, attraverso il quale dovrò pur passare, non mi arda, se ora questo fuoco esteriore, temporaneo e tanto limitato, non mi risparmia? »

Tutto agitato da questi pensieri, si assopì all'improvviso per l'abbattimento, e venne un angelo del Signore e gli disse: « Perché, Pafnuzio, ti rattristi che questo fuoco terreno non ti risparmi, mentre nelle tue membra esiste ancora la commozione dei moti carnali, non ancora del tutto riarsa e purificata?

Finché le sue radici vivranno nelle tue midolla, non permetteranno che questo fuoco naturale sia in pace con te.

E non ti è possibile in altro modo che esso ti sia innocuo, se tu stesso non saprai per esperienza diretta che tutti i tuoi moti interni sono ormai estinti …

Se la tranquillità del tuo cuore sarà immobile e sentirai che la vampa della tua carne resterà in te pacifica, allora anche questa fiamma visibile ti lambirà mite e innocua, come i tre fanciulli di Babilonia ».

Scosso da questa rivelazione, il vecchio interrogò la sua coscienza, esaminò la purezza del suo cuore e disse: « Non c'è da meravigliarsi se, anche cessate le lotte con gli spiriti immondi, io sento il bruciore di questo fuoco.

É infatti virtù più grande e grazia più eccelsa spegnere le brame interne della carne che soggiogare, nel segno del Signore e nella virtù dell'Altissimo, la malvagità dei demoni che ci assalgono all'esterno ».

Giovanni Cassiano, Conferenze, 15,10

15. - L'avversario è sempre con noi

Vediamo innanzitutto chi è l'avversario col quale percorriamo la stessa strada.

L'avversario è sempre con noi: questa è la nostra infelicità e la nostra miseria!

Ogni volta che pecchiamo, il nostro avversario esulta di gioia, sapendo che può andar superbo al cospetto del principe di questo mondo che lo ha messo al nostro fianco: egli infatti, avversario di questo o di quell'uomo, è riuscito ad esempio a rendere quest'uomo schiavo del principe di questo mondo per mezzo di questi o di tali altri peccati e delitti.

Ma può succedere che l'uomo sia equipaggiato con l'armatura di Dio e si faccia scudo da tutte le parti: l'avversario cercherà ugualmente di infliggergli una ferita, ma non potrà in alcun modo colpirlo.

L'avversario cammina sempre con noi, non ci abbandona mai, cerca ogni occasione per tenderci dei tranelli, per vedere se può in qualche modo farci crollare e far scivolare nel profondo del nostro cuore un pensiero cattivo.

Origene, Commento al Vangelo di san Luca, 25,5

16. - Il diavolo è bugiardo

Il demonio non dice mai la verità: egli è bugiardo, come suo padre.

Dice il Signore ai giudei: Vostro padre è bugiardo, fin dall'inizio è bugiardo, ed è il padre suo ( Gv 8,44 ).

Egli dice che il padre è bugiardo, non dice mai la verità, così come suo padre, che è il padre dei giudei.

Cioè, il diavolo sin dall'inizio è bugiardo.

E chi è il padre del diavolo? State attenti a quanto dice il Signore.

« Vostro padre - egli dice - è bugiardo, sin dall'inizio parla secondo menzogna, come suo padre ».

In parole più chiare, egli dice: Il diavolo è bugiardo, parla secondo menzogna, ed è il padre della stessa menzogna [ cf. Girolamo, In Isaiam, 14,22 ].

Cioè, non è che il diavolo abbia un altro padre: ma egli stesso è il padre della menzogna.

Per questo il Signore dice che è bugiardo, e che dal principio del mondo non dice mai la verità; sì, parla secondo menzogna, ed è il padre di lei, il padre della stessa menzogna.

Girolamo, Commento al Vangelo di san Marco, 2

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