Teologia dei Padri

Indice

Conoscenza e giudizio del male

1. - L'impotenza del demonio contro i servitori di Dio

Dopo aver terminato di esporre i dodici precetti, il pastore mi disse: « Tu possiedi adesso questi precetti; cammina lungo questa via ed esorta coloro che li ascolteranno a fare una penitenza purificatrice per il resto dei giorni della loro vita.

Questo ministero del quale ti incarico, adempilo scrupolosamente: compirai in tal modo un'opera grande.

Troverai, infatti, buona accoglienza presso coloro che si disporranno a fare penitenza e crederanno nelle tue parole. Io sarò con te e li costringerò a crederti ».

Io gli replicai: « Signore, questi comandamenti sono grandiosi, belli, gloriosi e possono rallegrare il cuore dell'uomo che sarà capace di osservarli.

Ma io non so, Signore, se questi precetti possono essere osservati da un uomo, ardui come sono ».

In risposta egli mi disse: « Se tu ti metti in testa ch'essi possono essere osservati, li osserverai facilmente e non saranno ardui; ma se ti sale già al cuore l'idea che essi non possono essere osservati da un uomo, non li osserverai.

Io però te lo confermo: se tu non li osservi, se li abbandoni, non otterrai la salvezza, né l'otterranno i tuoi figli né la tua casa; tu condanni infatti te stesso con questa tua presunzione che questi comandamenti non possano essere osservati da un uomo ».

Ed egli mi disse questo con un tono così indignato che io ne rimasi tutto sconvolto e mi fece una gran paura.

Il suo aspetto era mutato al punto che nessuno avrebbe potuto sostenere la sua collera.

Vedendomi tutto scosso e turbato, egli si mise a parlarmi con un accento più calmo e pacato.

Mi disse: « Uomo insensato, stolto, esitante, tu non comprendi quanto è grande, forte, mirabile la gloria di Dio?

Non ti rendi conto che egli ha creato il mondo per l'uomo e ha sottomesso a lui tutta la creazione, donandogli l'impero assoluto su tutto ciò che si trova sotto il cielo?

Se dunque l'uomo è signore di tutte le creature di Dio e le domina dalla prima all'ultima, non può egli altresì dominare questi precetti?

Certo, può dominare ogni cosa, compresi questi precetti, l'uomo che abbia il Signore nel suo cuore.

Per contro, per coloro i quali non l'hanno che sulla punta delle labbra, per coloro il cui cuore indurito è lontano da Dio, questi precetti sono duri e impossibili a praticarsi.

Voi, dunque, uomini vani e leggeri nella fede, mettete il Signore nel vostro cuore e conoscerete che non v'è nulla di più facile di questi precetti, né di più dolce né di più umano.

Convertitevi, voi che seguite i precetti del diavolo, precetti difficili, amari, brutali, impudichi, e non temete più il diavolo, poiché egli non ha alcun potere contro di voi.

Io, l'Agnello della penitenza che trionfa sul diavolo, sarò con voi.

Può far paura, il diavolo; questa paura, però, è priva di forza.

Non lo temete, dunque, ed egli fuggirà lontano da voi ».

Io gli dissi: « Signore, ascolta ancora qualche parola ».

« Di' ciò che vuoi », rispose lui.

« L'uomo, Signore », dissi, « ha il desiderio di osservare i precetti di Dio e non c'è nessuno che non domandi al Signore di confermarlo nei suoi comandamenti e di sottometterlo ad essi.

Il diavolo è duro, però, e domina gli uomini ».

Replicò lui: « Egli non può dominare i servitori di Dio, se dal fondo del cuore essi sperano in lui.

Il diavolo ha il potere di lottare, ma non quello di trionfare.

Se dunque gli opponete resistenza, una volta battuto, fuggirà lontano da voi pieno di vergogna.

Tutti coloro che sono vani, invece, temono il diavolo come se questi fosse investito di potere.

Poniamo, ad esempio, il caso di un uomo che abbia riempito di buon vino un intero assortimento di anfore, fra le quali ve ne sia qualcuna non del tutto piena.

Se egli viene a controllare le sue anfore, non si occupa di quelle piene, sapendo, appunto, che sono piene.

Egli provvede, invece, a quelle che non lo sono, temendo che s'inacidiscano presto e il vino perda così il suo sapore.

Parimenti il diavolo: egli viene a tentare tutti i servitori di Dio.

Ora, tutti coloro che sono integri nella loro fede gli resistono energicamente in maniera che lui, non trovando l'ingresso per entrare in essi, fugge lungi da loro.

Il diavolo si reca allora presso coloro che non sono ben riempiti, trova un adito ed entra in essi, compiendo in loro ciò che vuole e riducendoli suoi schiavi.

« E io, l'Angelo della penitenza, vi dico: non temete il diavolo, poiché io sono stato inviato per rimanere con voi che fate penitenza dal profondo del cuore e per confermarvi nella fede.

Abbiate dunque fiducia in Dio, voi che, a causa dei vostri peccati, disperate della vita, voi che aumentate i vostri peccati, voi che imbrattate la vostra vita; infatti, se vi convertite al Signore dal profondo del cuore, se praticate la giustizia per il resto dei giorni della vostra vita, se servite convenientemente Dio secondo la sua volontà, egli vi guarirà dai vostri peccati passati e vi darà il potere di trionfare sulle opere del diavolo.

Non temete affatto le minacce del diavolo: egli è senza forza, come i muscoli di un morto.

Ascoltatemi, dunque, e temete colui che può tutto salvare o mandare in perdizione; osservate i suoi comandamenti e vivrete per Dio ».

Allora io gli dissi: « Signore, io sono adesso confermato in tutti i comandamenti di Dio, poiché voi siete con me.

E io so che voi abbatterete tutta la potenza del diavolo in noi; noi lo domineremo e avremo il sopravvento su tutte le sue opere.

E io spero che, se il Signore mi donerà la forza, potrò osservare i precetti che voi mi avete impartito ».

« Tu li osserverai », disse lui, « se il tuo cuore purificato si volgerà verso il Signore.

Allo stesso modo li osserveranno tutti coloro che purificheranno il loro cuore dai vani desideri di questo mondo e vivranno per Dio ».

Erma, Il Pastore, XII Precetto, 3-6

2. - I cattivi si conoscono progredendo nel bene

Ecco, è già asceso di un gradino e comincia a progredire, ma vive ancora tra i cattivi, tra gli iniqui.

Non è stata ancora ventilata l'aia: pensi forse che, essendo egli già diventato frumento, sia ormai posto nel granaio?

É necessario che venga ancora oppresso da molta pula, e quanto più progredisce, tanto più vede gli scandali tra il popolo.

Infatti, se uno non progredisce, non vede l'iniquità: se non diventa cristiano vero, non vede i cristiani finti.

Questo, fratelli, ci insegna il Signore nella parabola del frumento e della zizzania: « Ma quando le pianticine crebbero e fecero frutto, allora si rivelò la zizzania », cioè: a nessuno si rivelano, i cattivi, se prima egli non diventa buono, perché solo quando crebbero le pianticine e portarono frutto, allora si rivelò la zizzania.

Agostino, Esposizioni sui Salmi, III, 120,6

3. - La maschera di bontà dei cattivi

Dato che siamo giunti a parlare proprio dell'astuzia con cui ciascuno, sempre teso ad escogitare una nuova frode cerca di ingannare e raggirare il fratello, e cerca di accalappiare, quasi truccandosi, e di sedurre con la furbizia chi non può superare con l'inganno, non voglio tralasciar di parlare della capacità di finzione del polipo.

Alla riva bassa, si attacca fortemente a uno scoglio, e, con mirabile capacità di mimetizzazione ne assume il colore e, sul dorso, ne assume anche la forma.

Senza il minimo sospetto dell'inganno giungono i pesciolini che, nel luogo loro abituale, non vi prestano attenzione e lo credono un sasso.

Allora il polipo li chiude nella rete della sua astuzia e quasi li riversa nel recipiente del suo corpo.

La preda così giunge da sola e si lascia tirare in rovina da simili inganni.

Come lui agiscono quelli che spesso cambiano colore nel loro pensiero e si danno a varie pericolose macchinazioni per adescare l'anima e i sensi di ognuno: tra i continenti, sono pieni di lode della continenza; in compagnia degli smodati, sono ben lontani dalla purezza, e immersi nel fango dell'impudicizia.

Chi dunque con leggerezza li guarda e ascolta, si fida di loro e ben presto cade in perdizione: non sa allontanarsi dalla strada di chi è la sua rovina e non sa da lui guardarsi perché l'iniquità è ben più grave e rovinosa, quando si copre con la maschera dell'affabilità.

Attenzione perciò da quelli che spiegano larga la rete e tendono le braccia del loro inganno, e che assumono tutti i colori possibili!

Infatti sono polipi. Di più che mille cappi e lacciuoli dispone il loro scaltro ingegno tanto da irretire tutti coloro che incappano nello scoglio del loro inganno.

Ambrogio, Esamerone, 5,21

4. - La situazione dei pii di fronte agli empi

Non crediate che sia senza scopo la presenza dei cattivi nel mondo.

Non pensate che da essi Dio non tragga niente di buono.

Il cattivo vive, o perché abbia a correggersi, oppure perché chi è buono sia per mezzo suo messo alla prova.

Voglia il cielo che coloro che oggi ci mettono alla prova si convertano, e anche loro siano con noi messi alla prova!

Tuttavia, finché seguitano a opprimerci, non odiamoli.

Non sappiamo, infatti, chi di loro persevererà sino alla fine nella sua malvagità; e il più delle volte, mentre ti sembra di odiare un nemico, odi un fratello …

Dice l'Apostolo a coloro che sono già divenuti fedeli: Foste un tempo tenebre, ma ora siete luce nel Signore ( Ef 5,8 ): tenebre in voi stessi, luce nel Signore.

Ebbene, fratelli, tutti i malvagi, finché sono malvagi, mettono alla prova i buoni.

Ascoltate ora brevemente e intendete!

Se sei buono, nessuno ti sarà nemico, se non il malvagio.

Senza dubbio, ti è ben nota quella regola di bontà, secondo la quale tu dovrai imitare la bontà del Padre tuo che fa sorgere il suo sole sopra i buoni e sopra i malvagi e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti ( Mt 5,45 ) …

Quanto a te, che cosa hai dato al tuo nemico?

Tu che non sei capace neanche di sopportarlo!

Se Dio ha per nemico un uomo al quale tante cose ha donato … tu, che non puoi far sorgere il sole e neppure far piovere sulla terra, non puoi riservare qualcosa per il tuo nemico, affinché anche per te, uomo di buona volontà, vi sia pace sulla terra?

Ebbene, se è vero che a te, in fatto d'amore, si prescrive d'amare il nemico imitando il Padre, come potresti tu esercitare in questo comandamento, se non ci fosse alcun nemico da sopportare?

Vedi, dunque, che ogni cosa ti è di giovamento.

Il fatto stesso che Dio risparmia i malvagi e spinge anche te a fare altrettanto, poiché tu pure, se sei buono, lo sei in quanto da malvagio sei diventato buono!

Che se Dio non perdonasse ai malvagi, nemmeno tu potresti ora presentare a lui a rendergli grazie.

Lascia, dunque, che usi misericordia con gli altri colui che ne ha usata con te.

Agostino, Esposizioni sui Salmi, II, 54,4

5. - Tacendo si approva il male

Cosa hanno mai patito i cristiani in quella devastazione ( la distruzione di Roma nel 410 ad opera di Alarico ), che - considerando con fede gli eventi - non abbia giovato piuttosto al loro progresso?

Anzitutto perché pensando umilmente ai peccati, per i quali Dio indignato ha riempito il mondo di tante calamità, pur essendo ben lungi dagli empi, dai delinquenti e dai facinorosi, tuttavia non si reputano tanto lontani dai peccati, da considerarsi indegni di patire per essi pene temporali.

Infatti, pur facendo eccezione del fatto che ciascuno, anche se vive irreprensibilmente, cede a qualche moto di concupiscenza carnale, quantunque non fino alla mostruosità del delitto o all'abisso del vizio e all'abominazione dell'empietà, ma solo in certi peccati o rari, o tanto più frequenti quanto più sono leggeri; eccettuato dunque ciò, si trova forse facilmente chi considera come realmente si devono considerare e tratta come si debbono trattare quei tali, per la cui orrenda superbia, per la lussuria e l'avarizia, per la cui esecrabile iniquità ed empietà, Iddio, come ha minacciosamente predetto, distrugge la terra?

Per lo più, infatti, dinanzi a loro si fa finta di niente, evitando così di ammaestrarli e ammonirli, e talvolta anche di riprenderli e correggerli.

E ciò, perché ci pesa l'impegno, oppure perché ci rincresce affrontarli a viso aperto, oppure perché vogliamo evitare inimicizie, perché essi non ci siano di impedimento o di danno nei beni materiali, che la nostra cupidigia ancora brama, o che la nostra debolezza teme di perdere.

Perciò, quantunque ai buoni dispiaccia la vita dei malvagi ed evitino, con ciò, di incorrere con quelli nella dannazione per loro preparata dopo questa vita, tuttavia per il fatto che, mentre si danno tanta cura dei propri peccati leggeri, veniali, indulgono invece ai gravi peccati di quelli, giustamente vengono con quelli flagellati su questa terra, quantunque possano evitare la punizione eterna.

Giustamente dunque sentono l'amarezza di questa vita - in cui la divina Provvidenza li affligge insieme con i malvagi - perché amandone la dolcezza non seppero mostrare la propria amarezza quando quelli peccarono.

Se qualcuno poi si trattiene dal correggere e ammonire i malvagi perché aspetta il momento opportuno, oppure perché teme che ciò stesso non li renda peggiori, distogliendo i deboli dalla vita retta e pia, opprimendoli e sviandoli dalla fede, un tale comportamento non sembra occasionato dalla cupidigia, ma consigliato dalla carità.

La colpa consiste in ciò che chi aborrisce le azioni dei malvagi vivendo da loro in modo ben diverso, tuttavia indulge ai loro peccati, che pur dovrebbe riprovare e correggere, perché teme di offenderli e averne così nocumento in quei beni che gode onestamente e lecitamente, ma forse più cupidamente di quanto convenga a chi è pellegrino in questo mondo e porta in sé la speranza della patria superna.

Non solo i più deboli, infatti, dediti alla vita coniugale, con figli o con intenzione di averne, che hanno casa e famiglia … bramano possedere molti beni terreni e temporali, si rattristano se li perdono, e perciò non osano offendere nessuno, neppure coloro la cui vita scellerata e perversa loro dispiace, ma anche coloro che conducono una vita di grado superiore, liberi dal vincolo coniugale e che si accontentano di poco vitto e di modesto vestito, preoccupati per lo più della loro fama e della loro incolumità, si astengono dal rimproverare i cattivi, temendone le insidie e la violenza.

E anche se il loro timore per la violenza di quelli e il terrore che in loro suscitano non giunge al punto da far loro commettere identiche malvagie azioni, tuttavia essi non vogliono, comunemente, riprendere proprio ciò che si guardano bene dal commettere ( pur potendo talvolta correggere qualcuno con le proprie riprensioni ), per non correre il rischio, nel caso di una cattiva riuscita, di perdere la propria fama o porre in pericolo la propria incolumità.

E ciò non lo fanno perché convinti che la loro fama e la loro vita sono necessarie per istruire utilmente il prossimo, ma per quella debolezza che, compiacendosi della « lingua adulatrice e del giorno terreno » [ l'espressione « humanus dies » designa il giudizio degli uomini in opposizione a quello di Dio « dies Domini » ( 1 Cor 4,3 ) ], teme il giudizio della massa e la tortura o l'uccisione del corpo, cioè per i ceppi della cupidigia, non per i doveri della carità.

Questo mi pare dunque un motivo non lieve per cui i buoni vengono flagellati insieme con i cattivi, quando a Dio piace punire le abitudini perverse anche col flagello delle pene terrene.

Agostino, La città di Dio, 1,9-10

6. - Il comandamento di odiare il peccato

Poiché talora si nutre amore anche nei confronti delle azioni cattive, quali, ad esempio, la lussuria, la rapina per procurarsi del denaro, l'ubriachezza, i banchetti; l'Apostolo allora, volendo estirpare un simile amore, dice: Aborrite il male ( Rm 12,9 ).

Non dice semplicemente: « Astenetevi dal male »; ma: « odiate il male ».

E non « odiatelo » e basta, ma « odiatelo fortemente » …

Infatti, dal momento che molti, pur non commettendo il male, tuttavia ne provano il desiderio, per questo Paolo dice: « Aborritelo ».

Egli vuole, in effetti, che la mente sia pura e che noi avversiamo e combattiamo l'iniquità con grande odio e ostilità.

Dal momento che io ho detto, infatti, afferma Paolo, « amatevi l'un l'altro », non per questo dovete ritenere che io vi esorti a collaborare reciprocamente nelle cose cattive: io comando, viceversa, proprio il contrario, affinché voi siate lontani dalla malizia non soltanto con l'azione, ma anche con il pensiero; e non basta soltanto questo, ma dovete altresì combatterla con un odio smisurato.

Non essendo d'altronde sufficiente questo per Paolo, egli ispira con queste parole le opere buone: « Aderite al bene ».

Non disse, cioè, semplicemente di « compierle », ma incoraggiò ad aderirvi con entusiasmo.

Giovanni Crisostomo, Omelie sulla lettera ai Romani, 21,2

7. - La trave nel proprio occhio

Dal momento che per ciascuno di noi è più facile curiosare nelle cose altrui, piuttosto che valutare quelle proprie, Iddio, affinché questo non accada a noi, ci dice: « Smetti di scrutare il male di chiunque altro; guardati dal perder tempo a considerare e a ricercare il male altrui, ma bada, invece, a te stesso; rivolgi, cioè, gli occhi della tua anima a scrutare te stesso ».

Non pochi, infatti, in conformità alle parole del Signore ( Mt 7,3 ), notano la pagliuzza nell'occhio del fratello, ma non vedono la trave nel loro stesso occhio.

Non smettere, dunque, di scrutare te stesso, affinché la tua vita proceda in maniera adeguata e conveniente.

Non osservare, poi, quanto accade intorno a te, onde rinvenire qualche occasione di rimprovero in qualcuno, imitando quell'arrogante fariseo che, standosene in piedi, giustificava se stesso e aveva in disprezzo il pubblicano ( Lc 18,11 ).

Non tralasciare di investigare te stesso, onde scoprire se tu abbia peccato con il pensiero o con la lingua o se con le opere delle mani sia stato da te commesso qualcosa di temerario.

Se troverai, infatti, che nella tua vita ti sei discostato molte volte dalla giusta via ( e lo troverai, giacché sei uomo ), pronuncia allora le parole del pubblicano: O Dio, sii propizio a me peccatore ( Lc 18,13 ).

Basilio il Grande, Omelia

8. - La condanna naturale del peccato

Dio ha posto in noi un tribunale che non si può corrompere o far tacere, neanche se cadessimo nell'abisso della malvagità; per questo i viziosi stessi condannano se stessi, e se un altro dà loro il titolo che si meritano, se ne vergognano, si adirano, lo prendono come un'ingiuria.

Così, non con le opere, ma certo con le parole condannano quel che fanno; con la coscienza, anzi, persino con le stesse opere.

Giacché per il fatto che commettono un peccato in gran segreto, mostrano chiaramente che cosa ne pensino.

Il vizio, infatti, è cosa talmente brutta, che lo condannano tutti, anche quelli che ne sono infetti; la virtù, invece, è tanto bella, che l'ammirano anche quelli che non la vogliono praticare.

Così, anche il lussurioso loda la castità, l'avaro condanna l'ingiustizia, l'irascibile ammira la mansuetudine e disapprova la pusillanimità come lo scostumato la lascivia.

Come si spiega, allora, che essi commettono tali colpe?

A causa della loro grande ignavia e non già perché la ritengano cosa buona, giacché altrimenti non se ne vergognerebbero e non negherebbero il fatto quando qualcuno li accusa.

Molti, anzi, essendo stati scoperti, non sopportarono il disonore e si impiccarono: tanto grande è in noi la coscienza di ciò che è buono e onesto!

Così il bene è più splendido del sole e i vizi sono, per contro, quanto possa esservi di più repulsivo.

Giovanni Crisostomo, Omelie sulla lettera agli ebrei, 24,1

9. - Peccati che gridano al cielo

Il grido di Sodoma e Gomorra si è fatto udire: il loro peccato si è fatto grave ( Gen 18,20 ).

É bello che Dio dica che i peccati possono gridare.

E senz'altro deve essere forte il grido del peccato, perché dalla terra raggiunge il cielo.

Ma perché egli ci assicura che i peccati degli uomini, per così dire, gridano?

Certo perché Dio vuol dire che le sue orecchie rintronano per il rumore dei peccati e perciò la punizione dei delitti non viene più rimandata.

E deve essere in effetti un grido, e un grido altissimo, se da esso viene superata la bontà di Dio che si vede costretta a punire i peccati.

Il Signore dunque ci dice quanto malvolentieri egli punisca le colpe anche gravi, affermando che il grido di Sodoma è giunto fino a lui.

Ci vuole con ciò dire: « La mia misericordia mi esorterebbe a perdonare, ma il grido dei peccati mi costringe a punire ».

Salviano di Marsiglia, Il divino governo del mondo, 1,8

10. - La risurrezione dei morti e i tre gradi della vita in peccato

Se dunque il Signore, per effetto della sua grazia e della sua grande misericordia, risuscita le anime per farle vivere in eterno, abbiamo ragione di vedere in quei tre morti che egli risuscitò alla vita terrena, la rappresentazione e il simbolo della risurrezione delle anime, che si realizza attraverso la fede.

Egli risuscitò la figlia del capo della sinagoga, che giaceva morta nella sua casa; risuscitò il figlio della vedova, che era già stato trasportato fuori le mura della città; risuscitò infine Lazzaro, che era stato sepolto da quattro giorni.

Rifletta ognuno sulla sua anima: se pecca, muore, perché il peccato è la morte dell'anima.

Ma talvolta il peccato è commesso solo nel pensiero. Il male ti attira, cedi ad esso e pecchi.

É il consenso che hai dato al peccato che ti uccide; però la morte è solo dentro di te, perché quando è dentro il pensiero, il male non si è ancora esternato in un atto. Il Signore volle appunto significare la risurrezione dell'anima che pecca con il pensiero, quando risuscitò la fanciulla che non era ancora stata portata fuori, ma giaceva morta in casa, intendendo per casa l'anima nella quale il peccato è nascosto.

Ma se non soltanto hai ceduto col pensiero al peccato, ma lo hai anche commesso con le opere, è come se tu lo avessi portato fuori; già sei fuori, e vi sei stato trasportato morto.

Il Signore risuscitò anche quel giovane e lo restituì a sua madre che era vedova.

Se hai peccato, ebbene, pentiti, il Signore ti risuscita e ti restituisce alla Chiesa, che è la tua madre.

Il terzo morto è Lazzaro.

Siamo di fronte al caso più grave, che è l'abitudine cattiva al peccato.

Una cosa infatti è peccare, un'altra è avere l'abitudine al peccato.

Chi pecca, ma subito si corregge, è ben presto restituito alla vita: non è avvolto nella consuetudine, e perciò non è sepolto.

Chi invece continua a peccare, è come se fosse seppellito, e giustamente si dice di lui che emana fetore, nel senso che la pessima fama di peccatore che si è fatto, si diffonde ovunque come un insopportabile odore.

Così sono coloro che ormai sono assuefatti al peccato e ai costumi depravati.

Tu dici a uno di costoro: Non farlo!

Ma come può udirti chi è seppellito sottoterra, corrotto, oppresso dal peso dell'abitudine al peccato?

E tuttavia la potestà di Cristo fu sufficiente a risuscitare un simile morto.

Abbiamo conosciuto, abbiamo visto, e tutti i giorni vediamo, uomini che spezzano le malvagie abitudini, per vivere più santamente di coloro stessi che rimproveravano i loro delitti.

Tu, per esempio, rimproveravi la condotta di qualcuno: ebbene, guarda la sorella di Lazzaro ( ammesso che sia lei la peccatrice che unse i piedi del Signore e con i capelli glieli asciugò dopo averglieli lavati con le lacrime ); la sua risurrezione è più grande di quella di suo fratello, perché si è liberata dall'enorme peso della consuetudine al peccato.

Essa era infatti una famosa peccatrice: e fu per lei che il Signore disse: Molti peccati le sono stati rimessi, perché molto ha amato ( Lc 7,47 ).

Abbiamo visto e conosciuto molti peccatori di questo genere; che nessuno si disperi, ma anche che nessuno nutra troppa presunzione di sé.

É male disperare, ma è male anche presumere troppo, nutrire eccessiva fiducia.

Quindi non disperare, ma sta' stretto a ciò in cui devi avere fiducia.

Agostino, Commento al Vangelo di san Giovanni, 49,3

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